N. 275 ORDINANZA 11 - 22 luglio 1996

 
 
 Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale.
 
 Sicurezza  pubblica  -  Applicazione  di  misure  di  prevenzione nei
 confronti degli appartenenti alle  associazioni  di  tipo  mafioso  -
 Facolta' del procuratore della Repubblica presso il tribunale nel cui
 circondario   dimora   la  persona  anziche'  del  procuratore  della
 Repubblica presso il tribunale del capoluogo del distretto del  luogo
 di  dimora  del  proposto - Richiesta di sentenza additiva - Profonde
 differenze di procedimento e di sostanza tra le due sedi, penale e di
 prevenzione, l'una collegata al processo, l'altra a una situazione di
 pericolosita' - Autonomia dei  due  ordini  di  giudizi  -  Manifesta
 infondatezza.
 
 (Legge 31 maggio 1965, n. 575, art. 2).
 
 (Cost., artt. 3 e 97, primo comma).
(GU n.32 del 7-8-1996 )
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
 composta dai signori:
  Presidente: avv. Mauro FERRI;
  Giudici:  prof.  Enzo  CHELI,  dott.  Renato GRANATA, prof. Giuliano
 VASSALLI, prof. Cesare MIRABELLI, prof.  Fernando  SANTOSUOSSO,  avv.
 Massimo  VARI,  dott.  Cesare  RUPERTO, dott. Riccardo CHIEPPA, prof.
 Gustavo ZAGREBELSKY, prof. Valerio ONIDA, prof. Carlo MEZZANOTTE;
 ha pronunciato la seguente
                               Ordinanza
 nei giudizi di legittimita' costituzionale dell'art. 2 della legge 31
 maggio 1965, n. 575 (Disposizioni contro la  mafia)  come  modificato
 dall'art.  22,  comma  01, del d.-l. 8 giugno 1992, n. 306 (Modifiche
 urgenti al nuovo  codice  di  procedura  penale  e  provvedimenti  di
 contrasto  alla criminalita' mafiosa), convertito, con modificazioni,
 nella legge 7 agosto 1992, n. 356, promossi con n. 3 ordinanze emesse
 il  5  maggio  1995,  il  28  aprile  1995 e il 22 settembre 1995 dal
 Tribunale di Napoli, rispettivamente iscritte ai nn. 488, 489  e  840
 del  registro  ordinanze  1995  e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale
 della Repubblica nn. 38 e 50, prima serie speciale, dell'anno 1995;
   Visti gli atti di  intervento  del  Presidente  del  Consiglio  dei
 Ministri;
   Udito  nella  camera  di  consiglio  del  12 giugno 1996 il giudice
 relatore Gustavo Zagrebelsky;
   Ritenuto che con ordinanza del 28 aprile 1995 (r.o. 489  del  1995)
 il  Tribunale  di  Napoli  ha  sollevato  questione  di  legittimita'
 costituzionale dell'art.  2  della  legge  31  maggio  1965,  n.  575
 (Disposizioni  contro  la  mafia),  nel  testo modificato, da ultimo,
 dall'art. 22, comma 01, del d.-l. 8 giugno 1992, n. 306,  convertito,
 con  modificazioni, nella legge 7 agosto 1992, n. 356, in riferimento
 agli articoli 3 e 97 della Costituzione;
     che la norma e'  censurata  dal  Tribunale  nella  parte  in  cui
 attribuisce   la   facolta'   di   promuovere   il  procedimento  per
 l'applicazione di misure di  prevenzione  nei  confronti  di  persone
 indiziate  di  appartenenza  ad  associazioni  di  tipo  mafioso,  al
 procuratore della Repubblica presso il tribunale nel cui  circondario
 dimora  la persona anziche' al procuratore della Repubblica presso il
 tribunale del capoluogo del distretto  in  cui  ricade  il  luogo  di
 dimora del proposto;
     che  ad  avviso del Tribunale rimettente l'anzidetta attribuzione
 del potere di impulso del procedimento di prevenzione al  procuratore
 "circondariale"  della  Repubblica si rivelerebbe irragionevole e non
 coordinata con l'attribuzione -  effettuata  dal  d.-l.  20  novembre
 1991,  n.  367, convertito, con modificazioni, nella legge 20 gennaio
 1992, n. 8 -  al  procuratore  distrettuale  della  Repubblica  delle
 funzioni di pubblico ministero nei procedimenti penali per i reati di
 criminalita' organizzata (art. 51, comma 3-bis, cod. proc. pen.);
     che  tale differenziazione comporterebbe un pregiudizio sul piano
 dell'efficienza dell'azione della pubblica  amministrazione  -  nella
 quale  andrebbe  inclusa  anche  l'amministrazione  giudiziaria  - in
 quanto gli elementi in  base  ai  quali  e'  possibile  formulare  la
 proposta  per  la  misura  preventiva emergerebbero proprio nel corso
 delle indagini preliminari relative ai  reati  di  stampo  mafioso  e
 sarebbero   quindi   nella   disponibilita'   del  procuratore  della
 Repubblica individuato ex art. 51, comma 3-bis, cod. proc.  pen.,  il
 quale  non  sarebbe,  d'altra  parte,  obbligato  a  trasmettere  gli
 elementi  di  cui  dispone  al  procuratore   presso   il   tribunale
 circondariale, se non in limitate ipotesi;
     che  la  denunciata  discrasia  normativa  non troverebbe neppure
 adeguato bilanciamento nell'attribuzione del  potere  di  impulso  in
 argomento anche al Procuratore nazionale antimafia (ex art. 22, comma
 01, del decreto-legge n. 306 del 1992, convertito in legge n. 356 del
 1992, ulteriormente modificativo della norma impugnata), essendo tale
 potere, oltre che sistematicamente "spurio", comunque riferibile alle
 sole   misure   di   prevenzione  personali  e  non  anche  a  quelle
 patrimoniali;
     che,  inoltre,  il  giudice  a  quo  ravvisa  nella  disposizione
 denunciata  un  profilo di contrasto con il principio di eguaglianza,
 giacche'  l'accennata  disciplina  favorirebbe  coloro  che  -  quali
 possibili  destinatari della proposta di applicazione della misura di
 prevenzione  -  dimorano  in  un circondario diverso da quello il cui
 capoluogo  e'  anche  capoluogo   del   distretto,   correlativamente
 sfavorendo coloro per i quali i detti luoghi coincidono;
     che  e'  intervenuto  in giudizio il Presidente del Consiglio dei
 Ministri,  rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura  generale  dello
 Stato, il quale, sottolineando da un lato l'estraneita' del parametro
 ex   art.   97   della   Costituzione   all'ambito   della   funzione
 giurisdizionale,  e  rilevando  dall'altro  la  consapevolezza  della
 scelta  legislativa  censurata nonche' la sua coerenza con il sistema
 normativo  di  riferimento,  ha  concluso  per  una  declaratoria  di
 infondatezza della questione;
     che questioni analoghe a quella sopra detta sono state sollevate,
 con  due  distinte ordinanze del 5 maggio e del 22 settembre del 1995
 (r.o. 488 e 840 del 1995), dal medesimo Tribunale di Napoli;
     che  nei  relativi  giudizi  e'  intervenuto  il  Presidente  del
 Consiglio  dei  Ministri,  tramite l'Avvocatura generale dello Stato,
 che, richiamando il precedente atto di intervento,  ha  concluso  nel
 medesimo senso della infondatezza delle questioni cosi' ulteriormente
 sollevate.
   Considerato  che  le  questioni  prospettate  sono  sostanzialmente
 identiche, e che pertanto i relativi giudizi possono essere riuniti e
 decisi congiuntamente;
     che con la censura, formulata nei riguardi della disposizione che
 individua gli organi cui e'  attribuito  il  potere  di  impulso  del
 procedimento  di  prevenzione,  il  Tribunale  rimettente  richiede a
 questa Corte una pronuncia che sostituisca un  ufficio  del  pubblico
 ministero  a  un  altro  quanto  alla  titolarita'  di  detto potere,
 nell'assunto della maggiore, se non esclusiva, idoneita' dell'ufficio
 del procuratore distrettuale della Repubblica (art. 51, comma  3-bis,
 cod.   proc.  pen.)    a  determinare  l'avvio  del  procedimento  in
 questione;
     che,  dunque,  la  prospettiva   cui   mira   la   questione   di
 costituzionalita' e' quella della riunificazione, in capo al medesimo
 ufficio  del  procuratore  della  Repubblica  presso il tribunale del
 capoluogo  del  distretto,  della  attribuzione  delle  funzioni   di
 pubblico  ministero  nelle indagini preliminari e nei procedimenti di
 primo grado per i reati indicati nel citato  art.  51,  comma  3-bis,
 cod.  proc.  pen.,  e  della  attribuzione del potere di proposta per
 l'applicazione di misure di prevenzione ai sensi  della  legislazione
 antimafia;
     che  simile  prospettiva potrebbe trovare ingresso in questa sede
 solo qualora potessero dirsi omogenee  le  rispettive  funzioni  che,
 come  si  e'  detto,  il Tribunale rimettente chiede di accentrare in
 unico ufficio del pubblico ministero;
     che, viceversa, l'anzidetta omogeneita' non e' ravvisabile, sotto
 diversi profili;
     che,  in  particolare,  in  primo  luogo  manca  una  regola   di
 necessaria  coincidenza  tra il pubblico ministero (distrettuale) che
 compie le indagini per i reati di criminalita' organizzata  e  quello
 (sempre  distrettuale)  che,  nell'ipotesi  formulata dal rimettente,
 avvia il procedimento di prevenzione, giacche', dovendosi  effettuare
 l'individuazione del procuratore della Repubblica nel processo penale
 di riflesso dalla individuazione del giudice competente, i criteri di
 determinazione  della  competenza territoriale (artt. 8, 9 cod. proc.
 pen.) e le modificazioni  di  questa  in  ragione  della  connessione
 (artt.   12,   16   cod.  proc.  pen.)    ben  possono  portare  alla
 individuazione di un pubblico ministero distrettuale per il reato "di
 mafia" diverso da quello (della "dimora") cui il giudice a quo chiede
 venga attribuita la facolta' di  avviare  il  procedimento  delineato
 dalle leggi n. 1423 del 1956 e n. 575 del 1965;
     che,  piu'  in  generale,  devono essere sottolineate le profonde
 differenze, di procedimento e di sostanza, tra le due sedi, penale  e
 di  prevenzione:  la  prima  ricollegata a un determinato fatto-reato
 oggetto  di  verifica  nel   processo,   a   seguito   dell'esercizio
 dell'azione  penale;  la seconda riferita a una complessiva notazione
 di pericolosita', espressa mediante condotte che non  necessariamente
 costituiscono  reato e che sono localizzate attraverso il concetto di
 "dimora" della persona, e altresi' verificate in un procedimento che,
 pur se giurisdizionalizzato, vede  quali  titolari  dell'"azione"  di
 prevenzione   soggetti   diversi,   appartenenti  all'amministrazione
 (Ministro dell'interno,  con  facolta'  di  delega  ai  prefetti,  al
 direttore  della  direzione investigativa antimafia e ad altri organi
 dell'amministrazione della pubblica sicurezza; questore; nonche',  in
 precedenza,  Alto Commissario per il coordinamento della lotta contro
 la delinquenza mafiosa);
     che,  alla  luce  dell'accennata  diversita'  di  funzione  e  di
 struttura  dell'accertamento  penale e dello strumento di prevenzione
 della pericolosita',  il  legislatore  e'  variamente  intervenuto  a
 regolare   i  punti  di  possibile  interferenza  tra  le  due  sedi,
 abbandonando  originarie  sovrapposizioni  e,  di   seguito,   regole
 atipiche   di   pregiudizialita',  per  pervenire,  da  ultimo,  alla
 configurazione di  ambiti  di  totale  autonomia;  salva  l'opportuna
 disposizione  di  coordinamento e di economia investigativa contenuta
 nell'art. 23-bis, commi primo e secondo,  della  legge  13  settembre
 1982, n. 646, menzionata del resto dal giudice a quo;
     che,  ulteriormente,  e'  proprio nella linea di questa autonomia
 reciproca dei due ordini di giudizi che il legislatore e' intervenuto
 (con l'art. 20 del d.-l. 13 maggio  1991,  n.  152,  convertito,  con
 modificazioni,  nella  legge  12  luglio 1991, n. 203) sull'impugnato
 art. 2 della legge  n.  575  del  1965,  ricollegando  la  competenza
 dell'organo   abilitato   alla  proposta  di  prevenzione  all'ambito
 circondariale in cui ricade  la  dimora  del  proposto,  secondo  una
 scelta,  non  censurabile  in questa sede, di ulteriore accentuazione
 della vicinanza tra l'organo di investigazione e la persona che ne e'
 oggetto, in funzione dell'efficienza degli  accertamenti  utili  alla
 formulazione della proposta;
     che,  con  detta scelta, il legislatore ha quindi consapevolmente
 mutato il precedente criterio di collegamento tra pubblico  ministero
 proponente  e  giudice  (del  capoluogo  di  provincia)  competente a
 decidere, rendendo altresi'  possibile  la  diversificazione  tra  il
 procuratore  della  Repubblica che avvia il procedimento e quello che
 svolge  le  funzioni  di  pubblico  ministero  davanti  al  tribunale
 decidente;
     che,   nell'ambito   di   tale  quadro  normativo,  la  richiesta
 sostituzione di un organo a un altro nella titolarita' del potere  di
 impulso  del procedimento, per quanto osservato, non puo' dirsi sotto
 alcun profilo soluzione costituzionalmente imposta  sul  piano  della
 ragionevolezza del sistema;
     che,   al  contrario,  l'introduzione  della  regola  processuale
 richiesta dal giudice a quo, oltre a essere in antitesi con il quadro
 anzidetto, produrrebbe essa stessa effetti di complessiva disarmonia,
 poiche'  individuerebbe  il  solo  procuratore   distrettuale   della
 Repubblica  quale ufficio del pubblico ministero abilitato ad avviare
 il procedimento di prevenzione, e cio' anche in tutti quei  casi  nei
 quali,  pur  facendosi  applicazione della legge n. 575 del 1965, non
 v'e'  connotato  "mafioso"  o  comunque  riferibile  a  contesti   di
 criminalita' organizzata nel senso indicato dall'art. 51, comma 3-bis
 cod. proc. pen. preso a norma di raffronto, vale a dire nelle ipotesi
 di  pericolosita' non qualificata richiamate dall'art. 19 della legge
 22 maggio 1975, n.  152;
     che, relativamente al profilo di contrasto con  l'art.  97  della
 Costituzione,  deve  essere ribadita l'estraneita' di detto parametro
 all'esercizio della funzione giurisdizionale, nel suo complesso e  in
 relazione  ai  diversi provvedimenti che ne costituiscono espressione
 (da ultimo, ordinanze nn. 159, 147, 99 e sentenza n. 84 del 1996);
     che le  questioni  sollevate  devono  percio'  essere  dichiarate
 manifestamente infondate, in riferimento a entrambi i parametri;
   Visti  gli  artt.  26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n.
 87, e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi davanti
 alla Corte costituzionale.
                           Per questi motivi
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
   Riuniti  i  giudizi,  dichiara  la  manifesta  infondatezza   delle
 questioni  di  legittimita' costituzionale dell'art. 2 della legge 31
 maggio 1965, n. 575 (Disposizioni contro  la  mafia),  sollevate,  in
 riferimento  agli  articoli  3 e 97, primo comma, della Costituzione,
 dal Tribunale di Napoli, con le ordinanze indicate in epigrafe.
   Cosi' deciso  in  Roma,  nella  sede  della  Corte  costituzionale,
 Palazzo della Consulta, l'11 luglio 1996.
                         Il Presidente: Ferri
                       Il redattore: Zagrebelsky
                       Il cancelliere: Di Paola
   Depositata in cancelleria il 22 luglio 1996.
               Il direttore della cancelleria: Di Paola
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