N. 288 ORDINANZA 11 - 22 luglio 1996

 
 
 Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale.
 
 Ambiente (tutela dell') - Trattamento sanzionatorio penale - Scarichi
 industriali di sostanze pericolose nelle acque  -  Discrasia  con  la
 normativa  comunitaria - Inapplicabilita' della direttiva comunitaria
 nel caso di specie - Riferimento alla giurisprudenza della  Corte  in
 materia  (vedi  sentenza  n.  168/1991) - Ragionevolezza della scelta
 discrezionale del legislatore -  Richiesta  di  sentenza  additiva  -
 Manifesta inammissibilita'.
 
 (D.Lgs.  27  gennaio  1992,  n.  133,  art.  7, primo comma e art. 7,
 settimo comma).
 
 (Cost., artt. 3, 9, 10, 11, 32 e 41).
(GU n.32 del 7-8-1996 )
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
 composta dai signori:
  Presidente: avv. Mauro FERRI;
  Giudici:  prof.  Luigi  MENGONI,  prof.  Enzo  CHELI,  dott.  Renato
 GRANATA, prof.  Giuliano  VASSALLI,  prof.  Francesco  GUIZZI,  prof.
 Cesare  MIRABELLI,  prof.  Fernando  SANTOSUOSSO,  avv. Massimo VARI,
 dott.  Cesare  RUPERTO,  dott.  Riccardo   CHIEPPA,   prof.   Gustavo
 ZAGREBELSKY, prof. Valerio ONIDA, prof. Carlo MEZZANOTTE;
 ha pronunciato la seguente
                               Ordinanza
 nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'art. 7, primo comma,
 limitatamente  alle  parole "(...), contenenti le sostanze pericolose
 per le quali sono fissati i valori limite delle  norme  di  emissione
 nell'allegato  B,  (...)",  e dell'art. 7, settimo comma, del decreto
 legislativo 27 gennaio  1992,  n.  133  (Attuazione  delle  direttive
 76/464/CEE,    82/176/CEE,    83/513/CEE,   84/156/CEE,   84/491/CEE,
 88/347/CEE  e  90/415/CEE  in  materia  di  scarichi  industriali  di
 sostanze pericolose nelle acque), promosso con ordinanza emessa il 21
 aprile  1995  dal pretore di Vicenza nel procedimento penale a carico
 di Bonfiglioli Roberto, iscritta al n.  473  del  registro  ordinanze
 1995  e  pubblicata  nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 37,
 prima serie speciale, dell'anno 1995;
   Udito nella camera di consiglio  del  17  aprile  1996  il  giudice
 relatore Carlo Mezzanotte;
   Ritenuto che il pretore di Vicenza, nel corso del processo a carico
 di  Bonfiglioli  Roberto,  ha  sollevato  questione  di  legittimita'
 costituzionale, in riferimento agli artt. 3, 9, 10, 11, 32 e 41 della
 Costituzione, dell'art. 7, primo comma, del  decreto  legislativo  27
 gennaio 1992, n. 133, limitatamente alle parole "(...), contenenti le
 sostanze  pericolose  per le quali sono fissati i valori limite delle
 norme di emissione nell'allegato B, (...)", e  dell'art.  7,  settimo
 comma,  dello stesso decreto legislativo, il quale cosi' dispone: "Le
 disposizioni  del  presente  articolo  si  applicano  agli   scarichi
 contenenti    le   sostanze   pericolose   indicate   nell'elenco   I
 dell'allegato A per i quali non sono fissati i  valori  limite  delle
 norme  di  emissione  nell'allegato  B, con decorrenza dalla data del
 decreto previsto dall'art. 2, terzo comma, lettera b)";
     che, ad avviso del  giudice  a  quo,  le  disposizioni  impugnate
 renderebbero  applicabile  il  decreto  legislativo  n. 133 del 1992,
 quanto  agli  impianti  esistenti,  in  relazione  ai  soli  processi
 produttivi  per  i  quali  l'allegato  B  gia'  indica  i  valori  di
 emissione, mentre differirebbero la operativita' di  tutte  le  altre
 disposizioni  contenute  nello  stesso decreto legislativo al momento
 della  adozione  dei  decreti   ministeriali   integrativi   previsti
 dall'art. 2, terzo comma, con la conseguenza che la normativa interna
 risulterebbe contrastante con la normativa comunitaria che disciplina
 gli  scarichi  industriali  di  sostanze  pericolose  nelle  acque, e
 comunque piu' favorevole di quella  che  risulterebbe  dall'integrale
 adeguamento della normativa interna a quella comunitaria;
     che  la questione di legittimita' sollevata, secondo il giudice a
 quo, sarebbe ammissibile, sia perche' l'accoglimento della  questione
 non   avrebbe  l'effetto  di  introdurre  nell'ordinamento  un  nuovo
 illecito penale, ma solo quello di  eliminare  due  disposizioni  che
 restringono   l'ambito   di  operativita'  delle  fattispecie  penali
 definite dal decreto legislativo n. 133 del  1992,  sia  perche'  non
 potrebbe  trovare applicazione, nel caso di specie, l'orientamento di
 questa  Corte  secondo  il quale sarebbero inammissibili le questioni
 volte a censurare il contrasto tra norma interna e norma comunitaria,
 posto che, se nel  giudizio  di  merito  si  disapplicasse  la  norma
 interna a vantaggio di quella comunitaria, l'effetto sarebbe comunque
 quello,   inammissibile,   di   rendere  applicabile  una  norma  che
 disciplina in modo piu' severo la medesima condotta. L'unico  rimedio
 alla  rilevata  situazione  di  contrasto  tra  norma interna e norma
 comunitaria  sarebbe  quindi  la  dichiarazione   di   illegittimita'
 costituzionale della disposizione interna, che, mentre opererebbe nel
 senso  della  affermazione  del  principio  della  certezza  e  della
 chiarezza applicativa in  un  caso  tipico  di  contrasto  tra  norma
 interna   e   norma  comunitaria,  non  produrrebbe  neanche  effetti
 pregiudizievoli per l'imputato,  dovendo  in  ogni  caso  il  giudice
 definire  il  giudizio  sottoposto  alla sua cognizione tenendo conto
 della buona fede e della ignoranza  scusabile  dell'imputato  stesso,
 rilevanti  in  quanto quest'ultimo avrebbe agito in base ad una norma
 esistente, anche se poi dichiarata incostituzionale;
     che la questione  sarebbe  anche  non  manifestamente  infondata,
 dovendosi ravvisare, ad avviso del giudice a quo, la violazione:
      a) dell'art. 3 della Costituzione, in quanto sarebbe palesemente
 irragionevole  la  sottoposizione  dei  soli  impianti nuovi e di una
 minima  parte  soltanto  di  quelli  preesistenti  ad  una  normativa
 conforme a quella comunitaria;
      b)  degli  artt.  10 e 11 della Costituzione, dal momento che la
 maggior  parte  degli  impianti  esistenti  risulta   esclusa   dalla
 applicazione  della  disciplina  introdotta  dal decreto legislativo,
 emanato in attuazione di numerose direttive comunitarie;
      c) degli artt. 9 e 32 della Costituzione, in quanto,  proprio  a
 causa  della limitata applicazione del decreto legislativo n. 133 del
 1992,  derivante  dalle  disposizioni  impugnate,  non   troverebbero
 adeguata  tutela  ne' il "paesaggio", inteso quale ecosistema nel suo
 complesso, ne' il diritto  assoluto  e  incondizionato  alla  salute,
 inteso come diritto ad un ambiente salubre;
      d)  dell'art.  41 della Costituzione, in quanto, sul presupposto
 della costituzionalizzazione del principio  "chi  inquina  paga",  la
 esclusione  dal  nuovo  e piu' incisivo regime di autorizzazioni e di
 controlli  di  gran  parte  degli  scarichi  esistenti,  risulterebbe
 pregiudizievole,  anche  sul piano della concorrenza fra imprese, per
 le aziende che hanno affrontato rilevanti investimenti per adeguare i
 propri impianti alle esigenze di tutela ambientale;
     che la questione sarebbe altresi' rilevante, dal momento  che  il
 pubblico  ministero  nel giudizio a quo ha contestato il reato di cui
 all'art. 18 del decreto legislativo n. 133 del 1992  al  titolare  di
 uno  scarico esistente non riconducibile ai processi produttivi per i
 quali risultano gia' indicati, nell'allegato B, i  valori  limite  di
 emissione  (nel  caso,  la  sostanza  pericolosa era il cadmio) e che
 conseguentemente, sulla  base  della  normativa  impugnata,  dovrebbe
 pervenirsi  ad  una  sentenza  predibattimentale  di  proscioglimento
 perche' il fatto non e' previsto dalla legge come reato,  mentre  nel
 caso di accoglimento della questione dovrebbe viceversa procedersi al
 dibattimento,   impregiudicato   l'esito   finale  del  giudizio,  in
 considerazione della possibile applicazione  dei  principi  affermati
 anche  dalla  giurisprudenza  di  questa  Corte,  i  quali  portano a
 valorizzare la buona fede e  l'ignoranza  scusabile  della  legge  da
 parte dell'imputato.
   Considerato   che  la  direttiva  comunitaria  non  puo'  ritenersi
 direttamente applicabile nel caso di specie, come del  resto  ammesso
 dallo stesso giudice a quo, dal momento che, secondo quanto affermato
 dalla  Corte  di  giustizia  (v.  sentenze 26 febbraio 1986, in causa
 152/1984, Marshall; 11 giugno 1987,  in  causa  14/1986,  pretura  di
 Salo';  8  ottobre  1987,  in causa 80/1986, Kolpinghius) e da questa
 Corte (sentenza n. 168 del 1991), le direttive non possono di per se'
 creare obblighi a carico dei  singoli  e  non  possono  essere  fatte
 valere in quanto tali nei loro confronti;
     che  il  legislatore nazionale, con il decreto legislativo n. 133
 del  1992,  ha  dato  attuazione  alla  direttiva,  configurando   la
 richiesta  di  autorizzazione  ad effettuare gli scarichi di impianti
 esistenti contenenti le sostanze  indicate  nelle  tabelle  allegate,
 secondo le prescrizioni delle disposizioni impugnate, come un obbligo
 sanzionato  penalmente  (la  cui  sanzione e' stabilita dall'art. 18,
 commi 1 e 2);
     che conseguentemente, se la Corte accogliesse  la  questione  nei
 termini  in  cui  e' stata prospettata e ritenesse costituzionalmente
 illegittima la graduale attuazione delle limitazioni  degli  scarichi
 prodotti   dagli   impianti  esistenti,  e  rispondente  ai  principi
 comunitari solo la previsione della richiesta di  autorizzazione  per
 tutti  gli  scarichi  esistenti  e  per tutte le sostanze considerate
 dalla direttiva, l'effetto non potrebbe essere altro  che  quello  di
 ampliare   il   precetto,  l'osservanza  del  quale  il  legislatore,
 nell'esercizio  della  sua  discrezionalita',  non  irragionevole  in
 considerazione  dei  valori protetti, ha ritenuto di dover presidiare
 con una sanzione penale;
     che tale effetto eccede dall'ambito dei poteri di  questa  Corte,
 la  quale,  pur  non  escludendo  la possibilita' che norme penali di
 favore  possano  formare  oggetto  del   giudizio   di   legittimita'
 costituzionale,  ha  tuttavia  escluso  costantemente  che da proprie
 pronunce possa discendere  la  creazione  di  un  precetto  penale  o
 l'ampliamento di una fattispecie penale gia' definita, come nel caso,
 dal  legislatore  (sentenza  n.    411 del 1995; ordinanza n. 146 del
 1993; ordinanza n. 377 del 1992; sentenza n. 313 del  1983;  sentenza
 n. 108 del 1981);
     che  pertanto  la  questione  di legittimita' costituzionale deve
 essere dichiarata manifestamente inammissibile;
   Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11  marzo  1953,  n.
 87  e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi davanti
 alla Corte costituzionale.
                           Per questi motivi
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
   Dichiara  la  manifesta   inammissibilita'   della   questione   di
 legittimita'  costituzionale  dell'art. 7, primo comma, limitatamente
 alle parole "(...), contenenti le sostanze pericolose  per  le  quali
 sono  fissati  i valori limite delle norme di emissione nell'allegato
 B, (...)", e dell'art. 7, settimo comma, del decreto  legislativo  27
 gennaio   1992,   n.  133  (Attuazione  delle  direttive  76/464/CEE,
 82/176/CEE,  83/513/CEE,   84/156/CEE,   84/491/CEE,   88/347/CEE   e
 90/415/CEE  in materia di scarichi industriali di sostanze pericolose
 nelle acque), sollevata in riferimento agli artt. 3, 9, 10, 11, 32  e
 41  della  Costituzione,  dal  pretore  di  Vicenza  con  l'ordinanza
 indicata in epigrafe.
   Cosi'  deciso  in  Roma,  nella  sede  della  Corte costituzionale,
 Palazzo della Consulta, l'11 luglio 1996.
                         Il Presidente: Ferri
                       Il redattore: Mezzanotte
                       Il cancelliere: Di Paola
   Depositata in cancelleria il 22 luglio 1996.
               Il direttore della cancelleria: Di Paola
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