N. 874 ORDINANZA (Atto di promovimento) 31 maggio 1996

                                N. 874
  Ordinanza  emessa  il 31 maggio 1996 dal pretore di Bari sul ricorso
 proposto da Natuzzi Giuseppe contro l'INPS
 Previdenza e assistenza sociale  -  Pensioni  I.N.P.  S.  -  Rimborsi
    conseguenti  alle sentenze della Corte costituzionale nn. 495/1993
    e 240/1994 - Previsione  della  estinzione  dei  giudizi  pendenti
    nonche'  della  perdita  di efficacia dei provvedimenti giudiziali
    non ancora passati in giudicato, alla data di  entrata  in  vigore
    della  normativa  impugnata  -  Incidenza  sul diritto di difesa e
    sulla garanzia previdenziale.
 Previdenza e assistenza sociale  -  Pensioni  I.N.P.  S.  -  Rimborsi
    conseguenti  alle sentenze della Corte costituzionale nn. 495/1993
    e 240/1994 - Esclusione  dal  rimborso  degli  interessi  e  della
    rivalutazione   monetaria   -   Contrasto  con  la  giurisprudenza
    costituzionale  circa  la  natura  di  componenti  essenziali   ed
    integranti  del credito previdenziale di detti accessori (sentenza
    n. 156/1991) - Disparita' di trattamento  di  situazioni  omogenee
    con incidenza sulla garanzia previdenziale.
 Previdenza  e  assistenza  sociale  -  Pensioni  I.N.P. S. - Rimborsi
    conseguenti alle sentenze della Corte costituzionale nn.  495/1993
    e  240/1994 - Attuazione dei rimborsi delle somme maturate fino al
    31 dicembre 1995, mediante assegnazione di titoli di Stato in  sei
    annualita'  -  Violazione  del  principio  di  uguaglianza e della
    garanzia previdenziale.
 (D.-L. 28 marzo 1996, n. 166, art. 1; d.-l. 27 maggio 1996, n. 295).
 (Cost., art. 3, primo comma, 24 e 38).
(GU n.38 del 18-9-1996 )
                              IL PRETORE
   Sciogliendo la riserva in ordine  all'eccezione  di  illegittimita'
 costituzionale  del  d.-l.  27  maggio 1996, n. 295  pubblicato nella
 Gazzetta Ufficiale del 28 maggio 1996, n. 123, che  ha  reiterato  il
 d.-l. 28 marzo 1996, n. 166,  pubblicato nella Gazzetta Ufficiale del
 29 marzo 1996, n. 75.
                             O s s e r v a
   Come  gia'  sottolineato  con l'ordinanza dell'11 aprile 1996 dalla
 dott.ssa Angela Arbore, in controversia similare, l'art. 1 del citato
 decreto-legge n. 75/1996 (sostanzialmente riprodotto dall'art. 1  del
 d.-l.  n. 295/1996), si appalesa essere  in contrasto con varie norme
 della costituzione. "In primo luogo", la  norma  de  qua  lascia  del
 tutto   irrisolto   il  profilo  dell'accertamento  del  diritto  dei
 pensionati rispetto alle prestazioni oggetto delle sentenze  495  del
 1993  e 240 del 1994. Infatti, l'art. 1 statuisce solo in ordine alle
 modalita' di rimborso  delle  somme  maturate  in  conseguenza  delle
 suddette  pronuncie,  ma nulla prevede in ordine all'accertamento del
 diritto, diversamente, ad esempio da quanto previsto dalla  legge  n.
 87  del  1994,  ove  si  disponeva,  si',  l'estinzione  dei  giudizi
 pendenti, ma era presupposto l'accertamento satisfativo  del  diritto
 reclamato  negli  stessi.  Come  si  legge nella sentenza della Corte
 costituzionale  del 31 marzo 1995, n. 103 (vedasi, in proposito, Foro
 Italiano 1995,  I,  1731  e  segg.)  "per  individuare  i  limiti  di
 costituzionalita' dell'intervento del legislatore nel processo quando
 di  questo venga definito l'esito attraverso una norma che ne imponga
 l'estinzione, la  Corte  ha  gia'  in  altre  occasioni  valutato  il
 rapporto  tra  siffatto  intervento  ed il grado di realizazzione che
 alla pretesa azionata sia stato accordato per la via legislativa.
   Allorche' la legge sopravvenuta abbia  soddisfatto,  anche  se  non
 integralmente, le ragioni fatte valere nei giudizi dei quali imponeva
 l'estinzione,  si  e' esclusa l'illegittimita' costituzionale di tale
 ultima previsione, proprio perche' questa  sarebbe  coerente  con  il
 riconoscimento  ex  lege  del diritto fatto valere giudizialmente. Ed
 invero, per   escludersi la menomazione  del  diritto  di  azione  e'
 necessario e sufficiente che l'ambito delle situazioni giuridiche  di
 cui  sono  titolari  gli  interessati  risulti  comunque arricchito a
 seguito della normativa che da' luogo  all'estin-zione  dei  giudizi,
 come nel caso oggetto della succitata sentenza n. 185 del 1981" (cfr.
 Corte  costituzionale,  10  dicembre  1991, n. 185, in Foro Italiano,
 1982, I, 346). Le suddette valutazioni sono state  fatte  proprie  da
 una  fondamentale ordinanza pronunziata dalla Corte costituzionale in
 data  1  aprile-2  maggio  1996  nella  controversia  tra Pietrangelo
 Riccardine e l'Istituto Nazionale della Previdenza Sociale, avente ad
 oggetto l'applicazione della
  sentenza n. 240 del 1994.
   Come si legge nella citata ordinanza, con il recente d.-l. 28 marzo
 1996 n. 166 (pubblicato nella Gazzetta  Ufficiale 29 marzo  1996,  n.
 75) si e' stabilito all'art. 1, per quando qui interessa:
     a)  che  il  rimborso  delle  somme, maturate fino al 31 dicembre
 1995, sui trattamenti pensionistici erogati dagli enti  previdenziali
 interessati  in  conseguenza  dell'applicazione  delle sentenze della
 Corte costituzionale n. 495 del 1993 e n. 240 del 1994, e' effettuato
 mediante assegnazione agli aventi diritto di titoli di  Stato  aventi
 libera  circolazione (comma primo);
     b) che tale rimborso avverra' in sei annualita', sulla base degli
 elenchi  riepilogativi  che  gli  enti  provvederanno  annualmente ad
 inviare al Ministero del tesoro (ivi);
     c) che il diritto al rimborso delle somme  arretrate  di  cui  al
 primo   comma   spetta  ai  soggetti  interessati,  nonche'  ai  loro
 superstiti aventi titolo alla pensione di reversibilita' alla entrata
 in vigore del decreto (comma secondo);
     d) che nella determinazione dell'importo maturato al 31  dicembre
 1995 non concorrono gli interessi e la rivalutazione monetaria (ivi);
     e)  e  che  i giudizi pendenti alla data di entrata in vigore del
 decreto-legge aventi ad oggetto le questioni di cui all'art.  1  sono
 dichiarati  estinti  d'ufficio  con  compensazione delle spese tra le
 parti, mentre restano privi di effetto i provvedimenti giudiziali non
 ancora definiti (comma terzo).
   Poiche' la ricorrente, titolare di una pensione di  reversibilita',
 e'  ricompresa,  quindi,  tra i destinatari del rimborso disciplinato
 dell'art. 1 e poiche' questo troverebbe, appunto, il  suo  fondamento
 nella  sentenza  della  Corte  costituzionale n. 240/1994, a norma di
 tale disposizione il presente giudizio dovrebbe dichiararsi  estinto,
 con  compensazione  delle  spese  tra le parti e con i conseguenziali
 effetti, in favore dell'assicurata, disciplinati dai primi due  commi
 della norma in oggetto.
   Il  risultato  che  con  tale disposizione il legislatore ha inteso
 conseguire   suscita   peraltro,   sotto   diversi   aspetti,   serie
 perplessita'  in  ordine  alla  sua  legittimita'  sotto  il  profilo
 costituzionale.
   Per individuare, alla stregua dell'art. 24  della  Costituzione,  i
 limiti  di  costituzionalita'  dell'intervento  del  legislatore  nel
 processo quando di questo venga definito l'esito attraverso una norma
 che  ne  imponga  l'estinzione,  nella  giurisprudenza  della   Corte
 costizionale,  si  e'  fatto  riferimento,  in  termini  generali, al
 rapporto tra siffatto intervento ed il  grado  di  realizzazione  che
 alla pretesa azionata sia stato accordato per via legislativa.
   Si  e'  affermato  cioe' che, allorche' la legge sopravvenuta abbia
 soddisfatto anche se non integralmente, le ragioni fatte  valere  nei
 giudizi   dei   quali   imponeva   l'estinzione,  sia  da  escludersi
 l'illegittimita', costituzionale di tale ultima previsione, in quanto
 il diritto di azione non puo'  dirsi  vulnerato  ove  l'ambito  delle
 situazioni,  giuridiche  di cui sono titolari gli interessati risulti
 comunque  arricchito  a  seguito  della  normativa  che   da'   luogo
 all'estinzione dei giudizi (Corte costituzionale 10 dicembre 1981, n.
 185; e, soprattutto, 31 marzo 1995, n. 103).
   Si  e'  ritenuto,  viceversa,  che allorche' lo ius superveniens si
 opponga alle richieste  degli  interessati  ed  alla  interpretazione
 giurisprudenziale  ad  essi  favorevole,  stabilendo l'estinzione dei
 processi in corso, e si operi cosi'  da  parte  del  legislatore  una
 sostanziale  vanificazione  della  via  giurisdizionale, intesa quale
 mezzo al fine dell'attuazione di  un  preesistente  diritto,  sia  da
 ravvisarsi  la  violazione  del  diritto di agire, di cui all'art. 24
 della Costituzione (Corte costituzionale  10  aprile  1987,  n.  123;
 nonche' n. 103/1995 cit.).
   Nella  specie,  il  decreto-legge  n. 166 del 1996, nello stabilire
 l'estinzione ope legis dei giudizi  in  corso,  ha  -  come  detto  -
 escluso anzitutto che sugli importi maturati sino al 31 dicembre 1995
 possano  essere  computati  gli  interessi  legali e la rivalutazione
 monetaria, dei quali i soggetti aventi  diritto  all'integrazione  al
 minimo   verrebbero   ad   essere,   quindi,  privati  nonostante  la
 consolidata interpretazione giurisprudenziale ad essi favorevole.
   Poiche' lo ius superveniens e' preordinato, in definitiva, non gia'
 ad arricchire la situazione patrimoniale degli interessati, bensi'  a
 depauperarla attraverso l'esclusione degli "accessori" del credito da
 essi  vantato,  e'  legittimo  il  dubbio  di costituzionalita' della
 disposizione in esame, in relazione all'art. 24 della Costituzione.
   Il dubbio investe anche il terzo comma dell'art. 1, nella parte  in
 cui   stabilisce   che   all'estinzione   dei   giudizi  consegue  la
 "compensazione delle spese tra le parti".
   Attraverso tale disposizione si sottrae, infatti, al giudice  della
 pretesa  sostanziale  dedotta  in  giudizio un punto accessorio della
 controversia che, ad ogni  modo,  anche  per  i  riflessi  di  ordine
 economico  sull'entita'  dell'incremento  in  concreto realizzato dal
 soggetto vittorioso, non puo' esserne distolto  senza  che  ne  resti
 vulnerato,  ancora  una  volta,  l'art.  24  della  Costituzione (per
 riferimenti in tal senso, cfr. Cons. Stato, Sez. VI,  Ord.  3  maggio
 1994, n. 664).
   La  disciplina  prevista dall'art. 1 e del d.-l. n. 166/1996 per il
 rimborso delle somme in  favore  dei  soggetti  interessati  realizza
 sotto   un  duplice  aspetto  una  deroga  al  diritto  comune  delle
 obbligazioni.
   Per un verso, tale disposizione consente invero, al soggetto tenuto
 al rimborso, di estinguere  il  proprio  debito  in  sei  annualita',
 precludendo  al  creditore la possibilita' di esigere tempestivamente
 l'adempimento dell'obbligazione nella sua interezza (art. 1181 c.c.).
   Peraltro versa essa, prevedendo che  il  rimborso  delle  somme  in
 questione sia effettuato mediante assegnazione agli aventi diritto di
 titoli  di  Stato  aventi libera circolazione, legittima l'estinzione
 delle  relative  obbligazioni  mediante  una  datio  in  solutum,   a
 prescindere dal consenso del creditore (art. 1197 c.c.).
   Ora,  poiche'  la  predisposizione di questo particolare sistema di
 adempimento -  inidoneo  a  realizzare  una  immediata  ed  integrale
 ricostituzione  del  patrimonio del creditore e per di piu' dotato in
 qualche  misura,  di  un  carattere  aleatorio  (in  relazione   alle
 oscillazioni che si verifichino nel mercato dei titoli di Stato) - ha
 per  destinatari,  in  assenza  di qualsiasi compresibile e razionale
 giustificazione, le  sole  categorie  di  pensionati  alle  quali  il
 decreto-legge  n.  166/1996  fa  riferimento, non appare infondato il
 dubbio di costituzionalita' della relativa disposizione in  relazione
 all'art. 3, comma primo, della Costituzione.
   Non  sembra  al  Collegio  che possa validamente invocarsi in senso
 contrario il precedente rappresentato  dalla sentenza 30 luglio 1980,
 n. 141 del giudice delle leggi, che  dichiaro'  infondata,  anche  in
 relazione   all'art.   3   della   Costituzione,   la   questione  di
 costituzionalita' della normativa che aveva stabilito che gli aumenti
 derivanti  dalle  varie  azioni  del  costo  della   vita   venissero
 corrisposti,  per  le fasce ivi individuate, tramite buoni del tesoro
 poliennali.
   Nel caso allora preso in considerazione dalla Corte  costituzionale
 i   soggetti   "colpiti"  dalla  normativa  cui  si  e'  fatto  cenno
 appartenevano, infatti, a categorie  diverse  (lavoratori-dipendenti,
 titolari  di  trattamenti  pensionistici,  ecc.),  tra  le quali quel
 "sacrificio" veniva quindi in qualche modo ripartito;  laddove  nella
 fattispecie  i  destinatari  del sistema di adempimento delineato dal
 d.-l. n.  166/1996,  coincidono  con  l'area  piu'  svantaggiata  dei
 pensionati.   (siccome   titolari  del  diritto  all'integrazione  al
 minimo), i quali dovrebbero, in via esclusiva subire  le  conseguenze
 negative derivanti dalle pur innegabili difficolta' di bilancio della
 pubblica  amministrazione.    Ne'  pare  che,  di  fronte a tale piu'
 accentuata disparita' di trattamento, la "tendenza del  Parlamento  a
 battere  le  vie  di sempre e a non muovere alla ricerca di ricchezze
 novelle meno agevolmente  identificabili",  gia'  sottolineata  dalla
 Corte  costituzionale nella sentenza n. 141/1980, possa - come allora
 - trovare adeguata giustificazione nell'ambito della discrezionalita'
 politica riservato al legislatore. L'art.    3,  comma  primo,  della
 Costituzione   sembra,   poi,   subire   un  ulteriore  vulnus  dalla
 disposizione di cui all'art. 1 del d.-l. n. 166 del 1996 per la parte
 in cui esclude dal rimborso gli interessi legali e  la  rivalutazione
 monetaria  in  relazione agli importi maturati a tutto il 31 dicembre
 1995.
   Una  volta  che  gli  interessi legali e la rivalutazione monetaria
 sono dovuti - come si e' in precedenza sottolineato -- in  relazione,
 a  ciascuna  prestazione  di  natura previdenziale, appare in effetti
 lesivo  del  principio  di  uguaglianza  sancirne  l'esclusione   nei
 confronti  di  talune  categorie  di  crediti (cfr. al riguardo Corte
 costituzionale 6 dicembre 1988, n. 1060; e 15  marzo  1994,  n.  85).
 Tanto  piu' e' da ritenere, del resto, ingiustificata tale disparita'
 di trattamento ove si consideri che i destinatari  del  decreto-legge
 n.  166  del  1996  appartengono  - come del pari si e' accennato - a
 fasce sociali tra le  piu'  svantaggiate,  avendo  l'integrazione  al
 minimo  la  funzione  di  integrare la pensione quando dal calcolo in
 base ai contributi accreditati al lavoratore,  ovvero  al  de  cuius,
 risulti  un  importo  inferiore  ad un minimo ritenuto necessario, in
 mancanza di altri redditi di una certa consistenza,  ad  assicurargli
 mezzi  adeguati  alle esigenze di vita (cosi' Corte costituzionale n.
 240 del 1994, citata).
   Ne' potrebbero nel caso in esame trovare ingresso - a giudizio  del
 Collegio  - le argomentazioni che, in altra fattispecie hanno indotto
 il giudice delle leggi ad escludere la violazione dell'art.  3  della
 Costituzione in relazione ai rimborsi dovuti dall'I.N.P. S.  a titolo
 di  sgravi  contributivi  per  effetto della sentenza n. 261 del 1991
 della Corte costituzionale, rimborsi che il d.-l. 22 marzo  1993,  n.
 71,  convertito in legge 20 maggio 1993, n. 151, aveva consentito che
 avvenissero in dieci annualita', senza oneri - per  l'istituto  -  di
 rivalutazione  monetaria  ed  interessi  e  senza  la possibilita' di
 compensazione  con   i   debiti   dell'imprenditore   nei   confronti
 dell'I.N.P. S.  (sentenza 13 luglio 1995, n. 320).
   In  quel caso, infatti, la Corte costituzionale ha osservato che il
 legislatore, nelle sue discrezionali scelte  di  politica  economica,
 aveva  emanato  norme  di  favore per determinate imprese sgravandole
 dall'onere di corrispondere contributi  sociali  per  incentivare  la
 produzione  e  sviluppare  l'occupazione;  che le imprese escluse dal
 beneficio avevano realizzato, quindi, i loro programmi di  produzione
 ripartendo  costi  e  ricavi  secondo  l'impostazione  dei rispettivi
 bilanci; e che la  successiva  estensione  degli  stessi  benefici  a
 queste  imprese,  conseguente  alla  sentenza  n.  261  del  1991, si
 differenziava da quella situazione originaria poiche' il  rimborso  a
 distanza  di  tempo  dei  contributi non conseguiva piu' le finalita'
 sociali che avevano giustificato lo sgravio  (non  essendo  possibile
 "ora  per  allora"  incentivare  produzione  e  occupazione).  Ed  ha
 ritenuto, pertanto, che non vi fosse una dispari'ta'  di  trattamento
 tra  le  imprese  che  avevano  beneficiato pienamente degli sgravi e
 quelle destinatarie della legge da ultimo richiamata  in  quanto,  in
 questa diversa prospettiva, ed anche in considerazione delle esigenze
 di   reperimento  delle  necessarie  risorse  finanziarie,  erano  da
 considerare legittimi i limiti e le gradualita'  introdotti  in  tali
 sopravvenute erogazioni.
   Da  quanto  precede  emerge,  quindi, che la particolare disciplina
 allora devoluta al giudizio della  Corte  costituzionale  trovava  la
 propria  giustificazione,  oltre  che nella condizione finanziaria di
 crisi della pubblica amministrazione, nelle diverse finalita' assolte
 dall'istituto degli  sgravi  contributivi  con  riferimento  ai  suoi
 destinatari;  laddove  nel  caso  in  esame  non  sembra ravvisabile,
 nell'ambito   di   quella   parte   della   pensione    rappresentata
 dall'integrazione   al   minimo,   sottratta   ai   beneficiari,  una
 distinzione  della  sua  funzione  previdenziale  -  in rapporto alla
 diversa epoca della sua erogazione in loro favore.
   Il  dubbio  di  costituzionalita'  in   ordine   all'art.   1   del
 decreto-legge  n. 166 del 1996, per la parte presa in considerazione,
 si  profila,  infine,  anche   in   relazione   all'art.   38   della
 Costituzione,  quanto  meno  per il periodo anteriore alla entrata in
 vigore dell'art. 16, comma sesto, della legge n. 412 del 1991.
   Nella sentenza 12 aprile 1991, n.  156  e'  stato  affermato  dalla
 Corte  costituzionale  che,  per  il tramite e nella misura dell'art.
 38, comma secondo, della Costituzione,  si  rende  applicabile  anche
 alle   prestazioni   previdenziali  l'art.  36,  comma  primo,  della
 Costituzione (di cui l'art. 429 c.p.c. e'  un  modo  di  attuazione),
 quale  parametro  delle  esigenze  di  vita  del lavoratore; e che la
 mancata previsione di una regola analoga per i crediti  previdenziali
 costituisce  violazione  non  solo dell'art. 3 della Costituzione, ma
 anche dell'art. 38.
   Ora, poiche' l'integrazione al minimo  rappresenta  una  componente
 non  ancora  liquidata  dell'ordinaria  pensione  (cass.  sez. un. 21
 giugno 1990, n. 6245; e Corte cost. n. 240/1994 cit.), la  previsione
 normativa  circa  la  mancata corresponsione degli interessi legali e
 della rivalutazione monetaria sui crediti a questo titolo maturati  a
 tutto  il  dicembre  1995 sembra porsi in contrasto con quel precetto
 costituzionale.
   Tenuto conto di tutte le considerazioni che  precedono,  stante  la
 rilevanza   delle  questioni  di  legittimita'  costituzionale  delle
 disposizioni del decreto-legge n. 166 del 1996  sopra  indicate,  gli
 atti  devono  essere  trasmessi  alla Corte costituzionale e deve nel
 contempo disporsi che la cancelleria adempia  alle  notificazioni  ed
 alle  comunicazioni  prescritte,  dall'art.  23  della legge 11 marzo
 1953, n. 87, come precisate in dispositivo.
                                P. Q. M.
   Visto l'art. 23 della legge 11 marzo  1953,  n.  87,  dichiara  non
 manifestamente  infondata la questione di legittimita' costituzionale
 dell'art. 1, d.-l. 28 marzo 1996 n. 166, reiterato con  decreto-legge
 del 27 maggio 1996 n. 295, in relazione agli artt. 3, comma primo, 24
 e 38 della Costituzione;
   Dispone    l'immediata   trasmissione   degli   atti   alla   Corte
 costituzionale e la sospensione del giudizio in corso;
   Ordina che, a cura della cancelleria,  la  presente  ordinanza  sia
 notificata  alle  parti ed al Presidente del Consiglio dei Ministri e
 comunicata ai Presidenti delle due Camere del Parlamento.
   Cosi' deciso in Bari il 31 maggio 1996
                         Il pretore: De Peppo
 96C1284