N. 897 ORDINANZA (Atto di promovimento) 16 giugno 1996

                                N. 897
  Ordinanza emessa il 16 giugno 1996 dal pretore di Napoli sul ricorso
 proposto  da  Mezzacapo  Nicola  ed  altri  contro  l'Asl  Napoli  1,
 distretti 46 e 47
 Sanita'  pubblica  -  Medici  di  base  e pediatri di libera scelta -
    Fissazione del limite massimo di  settanta  anni  per  l'esercizio
    dell'attivita'    convenzionata   -   Mancata   previsione   della
    determinazione dei limiti di eta' mediante accordi come  stabilito
    per  gli  specialisti ambulatoriali - Ingiustificata disparita' di
    trattamento dei medici di  base  (e  pediatri  di  libera  scelta)
    rispetto agli specialisti ambulatoriali - Incidenza sul diritto al
    lavoro e sul principio della tutela della salute.
 (Legge 28 dicembre 1995, n. 549, art. 2, quarto comma).
 (Cost., artt. 3, primo comma, 4, 32 e 33, quinto comma).
(GU n.39 del 25-9-1996 )
                              IL PRETORE
   Ha  emesso la seguente ordinanza nel giudizio promosso da Mezzacapo
 Nicola con l'avv. Di Stefano, Petrilli  Giuseppe  con  l'avv.  Perna,
 contro  l'Asl  Napoli  1,  distretti  46  e  47 in persona del legale
 rappresentante
  pro-tempore.
   Visti gli artt. 1 legge cost. 9 febbraio 1948, n. 1 e  23  e  segg.
 legge cost. 11 marzo 1953, n. 87.
   Il  ricorrente  Mezzacapo  Nicola,  medico  di medicina generale di
 libera scelta, ha promosso giudizio  cautelare  ex  art.  700  c.p.c.
 avverso il provvedimento della Asl di Napoli 14 marzo 1995 con cui, a
 norma  dell'art.  11, punto a), del d.P.R. n. 314/1990, gli era stata
 comunicata la cessazione del rapporto  convenzionale  per  compimento
 del settantesimo anno di eta'; con ordinanza del 3 maggio 1995 questo
 pretore  ha sospeso la deliberazione della Azienda sanitaria locale -
 distretto n. 47 di cessazione del rapporto  convenzionale  di  medico
 generico  -  relativa  al ricorrente per sopraggiunti limiti di eta',
 disapplicando la norma regolamentare dell'art. 11 d.P.R. cit.
   Analogo  ricorso  cautelare  ha  proposto  il  Petrilli  centro  il
 provvedimento  della  Asl  1,  distretto n. 47 del  12 luglio 1995 ed
 analoga ordinanza e' stata emessa in data 28 agosto 1995.
   L'Azienda  sanitaria  locale  pur  avendo  ricevuto  notifica   del
 ricorso, non si e' costituita in entrambi i procedimenti cautelari.
   Con  ricorsi  depositati il 1 giugno 1995 ed il 21 settembre 1995 i
 ricorrenti  hanno  iniziato  il  procedimento  di  merito  domandando
 l'accertamento  del  proprio  diritto a rimanere in servizio oltre il
 settantesimo anno di eta'.
   La convenuta e' rimasta contumace.
   Nelle more del giudizio e' pero' intervenuta la legge  28  dicembre
 1995,  n.  549,  che  all'art.  2,  quarto comma, ha stabilito che il
 rapporto tra le unita' sanitarie  locali  ed  i  medici  di  medicina
 generale  ed  i  pediatri  di  libera  scelta,  convenzionati  con il
 Servizio sanitarie nazionale ai sensi dell'art. 8 d.-l. n. 502/1992 e
 succ. mod. ed integrazioni, cessa al compimento del settantesimo anno
 di eta'.
   All'udienza del 10  giugno  1996  la  parte  attrice  Mezzacapo  ha
 sollevato  la  questione  di  costituzionalita'  dell'art.  2,  comma
 quarto, legge n. 549/1995 per contrasto con gli artt. 3, 4, 32, 33  e
 35 della Costituzione.
   Quindi  i  giudizi,  vertendo  su  identica  questione,  sono stati
 riuniti a norma dell'art. 151 disp. att. c.p.c.
   La questione di costituzionalita' della norma sopra indicata  (art.
 2,  comma  quarto,  della  legge  n. 1995/549), sollevata dalla parte
 attrice, e' rilevante per i giudizi,  in  quanto  la  presenza  della
 norma,  di  chiarissimo  tenore,    elimina  in radice il diritto dei
 ricorrenti a continuare il proprio rapporto con il servizio sanitario
 nazionale avendo essi compiuto il settantesimo anno di  eta',  mentre
 l'eventuale  declaratoria  di  incostituzionalita'  consentirebbe  la
 prosecuzione dell'attivita' professionale. In  proposito,  stante  la
 contumacia della Asl, non sono emerse altre possibili cause del venir
 meno  del  rapporto  convenzionale  o  altri  ostacoli  di fatto alla
 prosecuzione dello stesso, dopo le ordinanze ex art.  700  c.p.c.  di
 sospensione dei provvedimenti di cessazione del rapporto.
   La  questione,  ad  avviso  del  giudicante,  non e' manifestamente
 infondata in quanto la norma appare in contrasto con l'art. 3,  della
 Costituzione  in  relazione agli artt. 4, Cost. 32, Cost., 33, quinto
 comma, Cost.
   Prima di esaminare la  questione  di  costituzionalita',  e'  utile
 soffermarsi  un attimo sulle caratteristiche del servizio offerto dal
 medico di medicina generale e dai pediatri.
   Essi esercitano l'assistenza sanitaria con propri mezzi, nei propri
 studi professionali, non sono in alcun modo sussidiati dalle ASL  che
 si  limitano  ad  erogare  i  compensi e a fornire loro i timbri ed i
 ricettari;  discorso  diverso  va  fatto  per  i  medici  specialisti
 cenvenzionati   che   operano   invece  nell'ambito  delle  strutture
 sanitarie pubbliche ed erogano le proprie prestazioni avvalendosi dei
 mezzi e delle strutture del servizio sanitario pubblico.
   Occorre inoltre accennare alle norme in materia di rapporto  medici
 di   base-servizio   sanitario   nazionale,   tenendo   presente  che
 l'evoluzione legislativa in materia ha come tappe principali la legge
 n. 833/1978 e le recenti leggi 23 ottobre  1992,  n.  421,  d.-l.  30
 dicembre 1992, n. 502, e d.-l. 7 dicembre 1993, n. 517.
   In proposito si deve premettere che gia' nella legge istitutiva del
 Servizio  sanitario  nazionale,  legge  n.  833/1978, il rapporto dei
 medici di  base  e  dei  pediatri  era  concepito  come  un  rapporto
 libero-professionale,  cosi'  come  il  rapporto  medico-paziente era
 fondato sul diritto di libera scelta da parte  del  cittadino  utente
 del servizio (cfr. art. 19 legge n. 833/1978).
   La  legislazione  sanitaria,  coerentemente  con  la contrazione di
 compiti dello Stato sociale in materia sanitaria dovuto  ad  esigenze
 di   contenimento   della   spesa   pubblica  e  con  la  conseguente
 modificazione   dell'organizzazione   delle   USL,   ha    accentuato
 recentemente  sia  l'aspetto  libero-professionale  del  rapporto tra
 medico e servizio sanitario, sia il diritto di scelta dell'assistito,
 nel  momento  in  cui,  alla  esigenza  di  organizzare  un  servizio
 efficiente  si  e'  affiancata quella forse prevalente di contrazione
 della spesa sanitaria, che ha comportato  una  minore  erogazione  di
 servizi  sanitari  da  parte  del  sistema  pubblico  soprattutto nei
 confronti dei soggetti con fasce di reddito superiori a certi tetti.
   Il rapporto medico generale di base-servizio sanitario e' quindi un
 rapporto libero-professionale e quello tra il medico ed  il  paziente
 e' fondato sulla liberta' di scelta dell'assistito.
   Queste  caratteristiche  appaiono  senz'altro  piu'  accentuate nel
 nuovo sistema, laddove nell'ambito del sistema delineato dalla  legge
 n.  833/1978,  il  primo  appariva  piu'  sfumato  per la presenza di
 controlli da parte delle USL  a  mezzo  di  commissioni  paritetiche;
 controlli  oggi  affidati  agli  ordini  professionali. Quanto poi al
 principio  della  liberta'  di  scelta  esso  era  comunque  previsto
 dall'art.   19   legge   n.   833/1978  nei  limiti  oggettivi  della
 organizzazione del servizio sanitario.
   La legge 30 dicembre 1991, n. 412, la legge  23  ottobre  1992,  n.
 421  d.-l.  30  dicembre 1992, e d.-l. 7 dicembre 1993, n. 517, hanno
 inciso sulla regolamentazione dei rapporti convenzionali con i medici
 di medicina generale.
   L'art. 8 del d.lgs. 30 dicembre 1992, n.  502,  stabilisce  che  il
 rapporto  tra  i  medici di medicina generale ed i pediatri di libera
 scelta e' disciplinato da apposite convenzioni  di  durata  triennale
 conformi agli accordi collettivi nazionali che devono tener conto dei
 seguenti principi:
     a)  prevedere  che la scelta del medico e' liberamente effettuata
 dall'assistito, nel rispetto dei  limiti  massimi  di  assistiti  per
 medico, ha validita' annuale ed e' tacitamente rinnovata;
     b)  regolamentare la possibilita' di revoca della scelta da parte
 dell'assistito nel corso dell'anno nonche' la ricusazione  di  scelta
 da  parte del medico quando ricorrano eccezionali ed accertati motivi
 di incompatibilita';
     c) prevedere le modalita' per concordare livelli di spesa etc.;
     d) prevedere  che  l'accertato  pagamento  non  dovuto  da  parte
 dell'assistito determina il venir meno del rapporto con il S.S.N.;
     e) concordare unitamente alle organizzazioni sindacali, i compiti
 e le prestazioni da assicurare;
     f) definire la struttura del compenso spettante;
     g)  disciplinare  l'accesso  alle  funzioni di medico di medicina
 generale (cfr. art. 8 cit.);
     h) prevedere la  cessazione  degli  istituti  normativi  previsti
 dalla vigente convenzione riconducibili direttamente o indirettamente
 al rapporto di lavoro dipendente.
   L'art.  1-bis del decreto-legge cit. al comma terzo prevede che gli
 ordini ed i collegi professionali sono tenuti  a  valutare  sotto  il
 profilo  deontologico  i comportamenti degli iscritti all'albo che si
 siano resi inadempienti agli obblighi convenzionali.
   L'art.  48  della  legge  n. 1978/833 demandava invece agli accordi
 collettivi  nazionali  l'uniformita'  del  trattamento  economico   e
 normativo   del   personale   sanitarie   a  rapporto  convenzionale,
 disponendo la regolamentazione del rapporto convenzionato  attraverso
 gli accordi collettivi aventi durata triennale e stabiliva in tredici
 punti  gli  aspetti  del  rapporto  che  dovevano  essere  oggetto di
 disciplina degli accordi stessi.
   L'elencazione  delle  materie  devolute  agli  accordi   collettivi
 contenuta nell'art. 48 riguardava il rapporto convenzionale nella sua
 interezza  sia  nel  momento  iniziale  (punti  2,  3,  4)  che nello
 svolgimento: (punti 6, 7, 10) sia infine nella fase risolutiva  (cfr.
 punto 8).
   Invero,  gli  accordi  collettivi  dovevano,  a norma dell'art. 48,
 prevedere:
     le istituzioni e i criteri di formazione degli elenchi unici  dei
 medici   generici;  la  disciplina  delle  incompatibilita'  e  delle
 limitazioni al rapporto convenzionale;
     le forme di controllo sull'attivita'  dei  medici  convenzionati,
 nonche'  le  ipotesi di infrazione da parte dei medici degli obblighi
 derivanti dalla convenzione, le  conseguenti  sanzioni,  compresa  la
 risoluzione del rapporto;
     le modalita' per assicurare l'aggiornamento professionale;
     le  modalita' per assicurare la continuita' dell'assistenza anche
 in caso di assenza o impedimento del medico tenuto alla prestazione e
 cosi' via.
   Nell'ambito delle materie devolute agli accordi collettivi  non  vi
 era un limite di eta' massimo.
   Ma  il  d.P.R. n. 314/1990 da ultimo aveva ugualmente previsto tale
 limite di eta' a settanta anni e sulla legittimita' o  meno  di  tale
 previsione  si  era divisa la giurisprudenza di merito in quanto, una
 parte riteneva tale previsione giustificata dalle esigenze  oggettive
 di  organizzazione  di  un servizio efficiente che, tenendo conto del
 naturale  invecchiamento  dell'individuo  e  del  ridursi  della  sua
 capacita' lavorativa, preveniva possibili cause di inefficienza nella
 erogazione  del  servizio  (cfr.  tra le tante: pretura Roma 20 marzo
 1991 Mancini contro USL 1); la parte forse prevalente dei giudici  di
 merito  aveva ritenuto, invece, illegittima tale previsione e l'aveva
 disapplicata, sostenendo che  il  diritto  di  scelta  del  cittadino
 previsto  dall'art.    19  della  legge n. 833/1978 dovesse prevalere
 sulla norma dell'accordo collettivo relativa al  limite  di  settanta
 anni,  non  avendo  la legge statuito alcunche' riguardo al limite di
 eta' (cfr. in proposito tra la tante pretura Novara 10 dicembre  1990
 USL 54 Borgomanero c.  Sadler). Da ultimo la Cassazione nella recente
 sentenza n. 4746/1995 ha stabilito la conformita' dell'art. 11 d.P.R.
 n.  314/1990 all'art.  48 legge n. 833/1978 e su tale conformita' nel
 sistema previgente si deve concordare alla luce delle  considerazioni
 ora svolte.
   Ma  il  sistema  ora  e'  cambiato.  Pur  non abrogando la legge n.
 833/1978, le nuove norme hanno comunque inciso su  rilevanti  aspetti
 della materia.
   Ad avviso del giudicante se si pongono a paragone le due discipline
 (l'art.  48  legge n. 833/1978 e l'art. 8  d.-l. n. 502/1992) si deve
 convenire che vi sono delle modifiche sostanziali rispetto al  regime
 fissato  dalla legge istitutiva del sistema sanitarie nazionale legge
 n. 1978/833.
   La  sopravvenuta normativa di legge pone in primo piano la liberta'
 di scelta del medico da parte dell'assistito con il solo  limite  del
 massimale di assistiti.
   Su  tale  principio  va  spesa  qualche  precisazione,  ponendo  in
 evidenza  che  esso  deriva  direttamente  dalla    legge-delega.  La
 legge-delega  23  ottobre  1992,  n.  421,  prevede  al punto 1): "la
 introduzione di norme volte, nell'arco di un triennio, alla revisione
 ed al superamento dell'attuale regime delle convenzioni sulla base di
 criteri di integrazione con il servizio pubblico,  di  incentivazione
 al   contenimento   dei   consumi  sanitari,  di  valorizzazione  del
 volontariato, di acquisizione delle prestazioni, da soggetti  singoli
 o  consortili,  secondo  principi  di  qualita'  ed economicita', che
 consentano  forme  di  assistenza  differenziata  per  tipologie   di
 prestazioni, al fine di assicurare ai cittadini migliore assistenza e
 liberta' di scelta".
   La  liberta' di scelta del cittadino e' stata ribadita dalla stessa
 legge n. 549/1995 che  all'art.  2,  comma  settimo,  conferma  "agli
 assistiti  la  facolta'  di libera scelta delle strutture sanitarie e
 dei professionisti a norma degli artt. 8 e 14 del d.lgs. n.  502/1992
 e succ. mod. ed integrazioni".
   E' bene sottolineare che la liberta' di scelta del medico non viene
 piu'  concepita,  come  dall'art.  19  legge  n. 833/1978 "nei limiti
 oggettivi  della  organizzazione  dei  servizi  sanitari",  ma   come
 finalita'  stessa della legge, insieme a quella di garantire migliore
 assistenza  al  cittadino  che   viene   perseguita   attraverso   la
 incentivazione  al  contenimento  dei consumi sanitari, attraverso la
 valorizzazione del volontariato, l'acquisizione da parte di  soggetti
 singoli e consortili delle prestazioni etc. (ved. art. 1 legge-delega
 n. 421/1992).
   I principi fissati dal d.-l. n. 502/1992 cui devono uniformarsi gli
 accordi  collettivi  disciplinanti  le  convenzioni  con  i medici di
 medicina generale, riguardano in definitiva,  la  libera  scelta  del
 cittadino,   la   validita'  annuale  della  scelta  del  medico,  le
 possibilita' di  revoca  da  parte  dell'assistito  anche  nel  corso
 dell'anno  e  ricusazione  della  scelta  da  parte  del  medico,  le
 modalita' di accesso alle funzioni di  medico  di  medicina  generale
 (vedi art. 8, lett. g).
   La legge concepisce, ad avviso del giudicante, in termini del tutto
 diversi  il  rapporto  tra il servizio sanitario ed i cittadini e tra
 servizio   sanitario   e   medici;   essa   accentua   i    contenuti
 libero-professionali  del  rapporto con il medico di base, ponendo in
 evidenza sia la liberta' di scelta del cittadino senza  altro  limite
 che  quello  del  massimo  di assistiti, sia la revocabilita' in ogni
 tempo della scelta.
   La legge inoltre nel disciplinare i contenuti della  convenzione  e
 degli  accordi  su  cui  tali  convenzioni si baseranno e' molto piu'
 "leggera" rispetto alla previgente regolamentazione: non prevede,  ad
 esempio,  tra  i  principi guida della regolamentazione collettiva, i
 controlli  sull'attivita'  dei   medici   convenzionati,   le   forme
 dell'aggiornamento  professionale,  le  ipotesi  di  infrazione (cfr.
 invece punto 8, art.  48, legge n. 833/1978).  Alcune  materie,  come
 l'incompatibilita', hanno inoltre una nuova disciplina legale come si
 dira' tra breve.
   Nel  nuovo sistema quindi i controlli e le sanzioni sulla attivita'
 del medico convenzionato sono devoluti alla competenza degli ordini e
 consigli professionali e non a commissioni paritetiche di  disciplina
 (vedi   invece   art.   48,   punto   8).  Cio'  conferma  la  natura
 libero-professionale del rapporto; e' concepito inoltre un intervento
 delle organizzazioni di volontariato e  di  tutela  dei  diritti  per
 l'adeguamento  delle  strutture  e  delle  prestazioni sanitarie alle
 esigenze dei  cittadini  utenti  (art.  14  d.-l.  n.  502/1992  come
 modificato dall'art. 15 del d.-l.  n. 1993/517).
   Il  diritto  di  scelta  del medico da parte del cittadino era gia'
 garantito  anche  dall'art.  19  della  legge  n.  833/1978,  ma  era
 concepito,  come  si  e' detto, come diritto di scelta del medico nel
 limiti oggettivi dell'organizzazione dei  servizi  sanitari  i  quali
 "devono   mirare   a   garantire   la   regolarita'  e  l'adeguatezza
 dell'assistenza sanitaria" (cosi' art.  19  legge  n.  1978/833).  Le
 finalita'  di  interesse  generale della collettivita' a fruire di un
 servizio regolare ed  efficiente  potevano  quindi  giustificare,  ad
 avviso del giudicante, la previsione di limiti massimi di eta' per il
 medico  convenzionato,  nel  vecchio  regime,  sulla  base di criteri
 astratti di  efficienza;  nell'attuale  sistema  imperniato,  invece,
 sulla  libera  scelta  del  cittadino, nel quale e' disciplinato solo
 l'accesso alle convenzioni ed in cui le materie devolute agli accordi
 collettivi sono  molto  piu'  ridotte,  il  limite  di  eta'  per  la
 cessazione  del  rapporto  convenzionato  fissato dall'accordo 314/90
 appariva,  ad  avviso  del  giudicante,  del  tutto   ingiustificato,
 incoerente con l'accentuazione del carattere libero professionale del
 rapporto,  in  conflitto  con il principio di liberta' di scelta tout
 court adottato dalla  legge-delega  e  dal  d.-l.  n.  502/1992,  non
 conforme  all'obiettivo perseguito dalla legge alla personalizzazione
 ed umanizzazione dell'assistenza sanitaria (cosi'  testualmente  art.
 14 d.-l. n. 502/1992 come modificato dall'art. 15 d.-l. n. 1993/517).
   Come  gia'  si e' accennato il sistema legislativo attuale ha posto
 inoltre l'accento sulle situazioni di incompatibilita': la  legge  30
 dicembre  1991,  n.  412,  art.  4 comma settimo (richiamata dal nono
 comma dell'art. 8   d.-l. n. 502/1992  come  modificato  dall'art.  9
 d.-l. n. 1993/517), prevede il principio che con il S.S.N. puo' inter
 correre   un  unico  rapporto  di  lavoro  e  che  tale  rapporto  e'
 incompatibile con qualsiasi  altro  rapporto  di  lavoro  dipendente,
 pubblico   o   privato  e  con  altre  attivita';  le  situazioni  di
 incompatibilita' devono cessare entro un anno e cosi' via.
   Si e' ritenuto, pertanto, di dare molto maggior rilievo,  piu'  che
 ad   astratti   criteri  di  efficienza  del  servizio  sanitario,  a
 situazioni  concrete  di   incompatibilita'   influenti   sia   sulla
 efficienza  concreta  del servizio erogato dal sanitario che, piu' in
 generale, sul problema della equa distribuzione delle possibilita' di
 accesso al lavoro.
   In  tale  contesto  il  permanere  della  convenzione  con   medici
 ultrasettantenni,    liberamente   scelti   dal   cittadino,   incide
 marginalmente sul problema delle possibilita' di  accesso  al  lavoro
 dei  giovani; possibilita' che si e' inteso gia' garantire attraverso
 un rigido sistema di incompatibilita'.
   Quanto  poi  al  controllo  sulla  qualita'  ed   efficenza   della
 prestazione  offerta  dal  medico di base, il risultato e' ugualmente
 raggiunto attraverso la possibilita' di revoca  nel  corso  dell'anno
 dei  medici  di  base  da  parte  dei  cittadini  che  sono i diretti
 destinatari  delle  attivita'  del medico da essi liberamente scelto,
 con possibilita' di revoca  infrannuale;  ed  in  proposito  si  deve
 sottolineare  che,  secondo  il d.-l. n. 502/1992, la scelta da parte
 del cittadino ha validita' annuale: nel sistema precedente la  scelta
 del  medico era a tempo indeterminato, (cfr. accordo 314/1990) mentre
 nella nuova contrattazione, secondo i principi del decreto-legge cit.
 la scelta  dovra'  avere  validita'  annuale  e  questo  consente  un
 migliore  controllo  della  qualita'  delle  prestazioni  erogate:  i
 cittadini destinatari dell'attivita' del medico sono i piu' idonei  a
 garantire   una   concreta   realizzazione   della   efficenza  delle
 prestazioni, mentre   il servizio pubblico non  ha  piu'  neppure  un
 ruolo  di controllo che e' affidato interamente ai consigli ed ordini
 professionali.
   Questo il quadro normativo su cui e' venuta ad  incidere  la  legge
 finanziaria del 1995.
   La  norma  introdotta  dalla  legge  28  dicembre 1995, n. 549, nel
 prevedere  un  rigido  limite  legale  di  eta'  all'esercizio  delle
 attivita'  di  medico  di base, non previste nella legge n. 833/1978,
 appare  quindi  del  tutto  incoerente  con  il  precedente  sviluppo
 legislativo,  con  la  "deregulation"  in atto, con la evoluzione del
 sistema  verso  forme  sempre  piu'  flessibili   di   organizzazione
 sanitaria, e soprattutto con i principi sopraindicati vale a dire con
 il  carattere  libero-professionale dell'attivita' e con il principio
 di libera scelta del cittadino gia' posti dalla legge istitutiva  del
 servizio  sanitario  nazionale,  ma  come  si  e' visto modificati ed
 accentuati nel nuovo sistema.
   Questa  incoerenza  certamente  non  e'  di  per  se'   indice   di
 incostituzionalita'  della  legge  in  quanto  non vi e' un principio
 costituzionale di coerenza nella evoluzione del sistema legislativo e
 pur  nell'ambito  di  una  tendenza,  piu'  volte   affermata   nella
 legislazione,  e' possibile introdurre successive deroghe, modifiche,
 norme nuove  che  esprimano  tendenze  contrastanti  o  semplicemente
 diverse   rispetto   alle  precedenti,  secondo  scelte  di  politica
 legislativa non   sindacabili  neppure  dalla  Corte  costituzionale,
 sempre  che  pero' non si ravvisino lesioni a beni costituzionalmente
 protetti.
   Nel caso di specie, ad avviso del giudicante, la lesione di  alcuni
 principi costituzionali risulta evidente.
   Una    volta    qualificato    ed    identificato    un    rapporto
 libero-professionale in quello nascente tra la Asl ed  il  medico  di
 base,   non  sembra  possa  mettersi  in  dubbio  che  l'introduzione
 legislativa del limite di eta' crea una ingiustificata disparita'  di
 trattamento  con  altri  soggetti  esercenti  la  professione libera,
 violando  il  principio  di  uguaglianza   senza   alcuna   razionale
 giustificazione:  in generale non e' mai previsto un limite legale di
 eta' nei rapporti convenzionali di diritto privato, ne' tantomeno  e'
 previsto  un limite di eta' per l'esercizio di una libera professione
 intellettuale.
   Alla violazione dell'art. 3 della Costituzione si  aggiunge  quindi
 quella dell'art. 33, quinto comma, della  Costituzione, che pone come
 unico   limite   all'esercizio   della  professione,  il  superamento
 dell'esame di abilitazione.
   Il limite di eta' e' normalmente imposto dalla legge per i rapporti
 di  lavoro  dipendente  sia pubblico che  privato, ma in proposito si
 deve sottolineare come l'art. 16 del d.-l. n. 503/1992  ha  previsto,
 anche  in  questo  campo, la possibilita' dei dipendenti civili dello
 Stato e degli enti pubblici non economici di permanere  in  servizio,
 per  un  periodo  massimo di un biennio oltre i limiti di eta' per il
 collocamento a riposo per essi previsto;  analogamente  la  legge  24
 aprile  1993,  n. 125, ha esteso tale possibilita' ai magistrati, che
 possono rimanere in servizio fino a settantadue anni.
   Quindi da un lato vi e' la tendenza ad ampliare le possibilita'  di
 lavoro  negli  anziani,  anche  se  lavoratori dipendenti, dall'altra
 invece, si introducono rigide  preclusioni  in  tema  di  lavoro  del
 medico  di  base  che e' parte di una convenzione privatistica con il
 servizio sanitario nazionale, che  esercita  il  proprio  lavoro  con
 strutture  personali,  che e' stato liberamente scelto e non revocato
 dal cittadino utente del servizio.
   In definitiva si introduce una limitazione  nell'esercizio  di  una
 libera  professione,  sia  pure esercitata a mezzo di una convenzione
 con la struttura pubblica, che non esiste  per  nessun  altro  libero
 professionista, per nessun altro tipo di convenzione.
   In  proposito  si deve ricordare che la liberta' di esercizio delle
 libere professioni intellettuali, come del resto tutte le liberta'  o
 diritti  costituzionalmente garantiti, puo' esplicarsi entro l'ambito
 di tutela di  altre  liberta'  e  diritti,  secondo  il  criterio  di
 contemperamento  degli  interessi  piu'  volte  affermate dalla Corte
 costituzionale.
   In tale ambito assumono primaria  rilevanza  situazioni  soggettive
 riconducibili al valore della persona umana.
   E' quindi ovvio che la professione sanitaria trovi dei limiti nella
 esigenza  di  tutela del diritto alla salute dei cittadini utenti del
 servizio (art. 32 della Cost.).
   Ma se il limite  di  settanta  anni  si  spiega  razionalmente  con
 l'esigenza  di  tutelare la salute dei cittadini utenti del servizio,
 non si capisce allora perche' la legge non preveda il limite di  eta'
 per l'esercizio della professione di medico specialista ambulatoriale
 convenzionato.
   La  norma  considerata prevede infatti il limite di eta' solo per i
 medici di medicina generale e per i pediatri di libera scelta, mentre
 nessun  limite  legale  e'  previsto  per  i   medici   convenzionati
 specialisti,   i  quali,  come  e'  noto  hanno  un  rapporto  libero
 professionale con il servizio sanitario  nazionale  regolato  da  una
 convenzione secondo gli accordi del settore.
   E'  vero  che  non  vi  e'  una identita' di situazione di fatto in
 quanto i predetti medici, come si e' detto, pur non essendo  pubblici
 dipendenti,  esercitano la loro attivita' professionale non con mezzi
 propri, come  i  medici  di  base,  ma  all'interno  della  struttura
 sanitaria stessa.
   Ma   se   il   limite   di   settant'anni  deve  ritenersi  fissato
 nell'interesse  della  tutela  della  salute   dei   cittadini,   sul
 presupposto  che  il passare degli anni ed il naturale invecchiamento
 dell'individuo  lo  rendono  non  piu'  affidabile  sul  piano  della
 efficienza  professionale,  allora  non  si comprende perche' un tale
 limite non debba essere introdotto in via  generale  per  l'esercizio
 della  professione  di  medico  e di altre professioni intellettuali,
 esercitate a mezzo di convenzioni con enti pubblici,  ma  soprattutto
 non  si  vede  perche' la legge del 1995 lo abbia previsto solo per i
 medici di base (e pediatri di libera  scelta)  e  non  per  i  medici
 specialisti  ambulatoriali,  in  quanto  il  fatto  che  essi operino
 all'interno della struttura sanitaria con mezzi approntati dalle USL,
 non sembra essere un fattore di diversita' tale da consentire la  non
 previsione    di    limiti    legali   all'esercizio   dell'attivita'
 convenzionata, sulla base della ratio  sopra  individuata  di  tutela
 della  salute  pubblica  e  realizzazione  di  un  servizio sanitario
 efficiente.
   Anzi, se mai, potrebbe sostenersi il contrario, nel  senso  che  la
 finalita' di realizzare un servizio sanitario  efficente appare molto
 piu'  evidente  nel  caso in cui il servizio venga offerto dal medico
 specialista nell'ambito della stessa struttura  pubblica,  con  mezzi
 approntati  dalla  struttura  stessa  e  quindi  con  spese sostenute
 direttamente dal servizio sanitario,  rispetto  al  caso  del  medico
 generico  che opera nel proprio studio professionale con mezzi propri
 e  che  in  definitiva,  agisce  fuori  dell'orbita  delle  strutture
 pubbliche a diretto contatto esclusivo solo con l'assistito che lo ha
 scelto.
   Ne' potrebbe obiettarsi che i medici specialisti svolgono un numero
 di  ore  determinate,  e  quindi  sono  sottoposti ad un impegno piu'
 limitato, mentre il medico di base si  autorganizza  sulla  base  del
 numero  di  assistiti  e  non  ha  un  numero di ore prestabilito; e'
 evidente che, se il problema e'  quello  di  graduare  l'impegno  del
 medico  con  il passare degli anni, questa graduazione puo' ottenersi
 facilmente con la riduzione  del  numero  di  assistiti  (cosi'  come
 possono ridursi le ore del medico specialista).
   Se   invece  la  ratio  della  norma  e'  semplicemente  quella  di
 consentire  al  servizio  pubblico  di  servirsi  della   prestazione
 professionale  di  medici  piu' giovani, piu' aggiornati, non si vede
 perche' questa stessa esigenza non debba valere per  gli  specialisti
 ambulatoriali.
   E'  vero  che per essi il limite di settanta anni e' previsto dalla
 norma finale 8  del  d.P.R.  n.  316/1990,  cosi'  come  e'  previsto
 dall'art.  11 d.P.R. n. 314/1990 per i medici di medicina generale ed
 i  pediatri di libera scelta, ma, a norma dell'art. 2, comma settimo,
 della stessa legge n. 549/1995, il  termine  per  la  cessazione  dei
 rapporti  convenzionali in atto tra il servizio sanitario nazionale e
 la medicina specialistica, ambulatoriale, generale e' prorogato  fino
 al  30  giugno  1996.  Il  che  significa che nuove convenzioni per i
 medici specialisti ambulatoriali potranno prevedere diversi limiti di
 eta', mentre tale possibilita' e' preclusa per i medici di base per i
 quali  la  legge,  con  la  disposizione   della   cui   legittimita'
 costituzionale  si dubita, ha stabilito rigidamente il limite di eta'
 a  settanta  anni,  precludendo  quindi  agli  accordi  di   disporre
 diversamente.
   Ne consegue la irrazionalita' della limitazione introdotta solo per
 i  medici  di  medicina  generale ed i pediatri di libera scelta.  Si
 deve poi osservare che il limite  autoritativo  imposto  dalla  legge
 espone  altresi'  il  cittadino  utente,  il quale non ha revocato il
 medico di base settantenne perche' soddisfatto pienamente  delle  sue
 prestazioni,  ad  essere  privato di una assistenza resa, in ipotesi,
 per anni, con piena soddisfazione.
   Cio'  incide  sul rapporto fiduciario medico-assistito, con lesione
 del diritto all'assistenza medica e violazione  quindi  dell'art.  32
 della Costituzione e cioe' del diritto alla salute degli assistiti, i
 quali  si  vedono  privati del proprio medico di fiducia dopo anni di
 assistenza, sulla base di un criterio  che  non  appare  sorretto  da
 alcuna  razionale  giustificazione.  E cio' nell'attuale sistema che,
 almeno ad alcune fasce  di  cittadini,  non  offre  piu'  prestazioni
 sanitarie  se  non a pagamento, non puo' neppure giustificarsi con le
 esigenze di organizzazione del servizio sanitario.   La norma  citata
 appare  inoltre  in  contrasto con il dovere riconosciuto dall'art. 4
 della Costituzione a  tutti  i  cittadini  di  svolgere,  secondo  le
 proprie  possibilita' e la propria scelta un'attivita' o una funzione
 che contribuisca al progresso materiale e spirituale della  societa':
 orbene  privare il medico di base della possibilita' di lavoro per il
 solo  fatto  del  raggiungimento  di  un'eta'  significa  privare  un
 soggetto,  che  proprio  in  ragione della eta' non ha verosimilmente
 altre  possibilita'  di  lavoro  e  di  affermazione  della   propria
 personalita',  del  diritto-dovere  al  lavoro,  secondo  un criterio
 astratto  e  generale  di   efficienza   che   potrebbe   confliggere
 clamorosamente  con  le possibilita' e lo stato dell'individuo medico
 settantenne il  quale,  nonostante  l'eta',  ben  puo'  avere  quella
 efficienza   e   preparazione   che  lo  rendono  ancora  utile  alla
 collettivita'. E a riguardo  viene  di  nuovo  in  considerazione  la
 violazione  dell'art.  3 della Costituzione in quanto, da un lato, si
 priva  sostanzialmente  il  professionista  medico  di   base   della
 possibilita'  di lavorare, e dall'altro tale possibilita' permane per
 altri liberi professionisti convenzionati e per i medici  specialisti
 ambulatoriali,  per i quali la legge suindicata non ha previsto alcun
 limite di eta', rimettendo  quindi  la  previsione  di  un  eventuale
 limite    agli    accordi   e   alle   convenzioni   e   cioe'   alla
 autodeterminazione delle parti,  e  consentendo  cosi'  una  maggiore
 flessibilita'  nella  fissazione dei limiti di eta' che e' certamente
 piu' favorevole ai soggetti in questione.   Ne'  potrebbe  obiettarsi
 che  la legge, al pari di quanto avvenuto per la incompatibilita' con
 altri incarichi professionali, ha inteso avocare a se' e non lasciare
 quindi agli accordi  collettivi,  il  problema  del  limite  di  eta'
 perche',  mentre  nel caso della incompatibilita' con altri incarichi
 la ratio giustificatrice appare quella di ampliare le possibilita' di
 accesso al lavoro, evitando la concentrazione  di  incarichi  su  una
 sola  persona, riguardo al limite di eta', come si e' visto, tutte le
 possibili rationes (efficenza della persona,  esigenza  del  servizio
 pubblico  di  servirsi  di  medici piu' giovani e aggiornati) valgono
 ugualmente  per  i  medici  specialisti  convenzionati,   pur   nella
 diversita'  della  situazione  di fatto. Quindi se la legge ha inteso
 avocare  a  se'  la  determinazione  del   limite   di   eta',   tale
 determinazione  deve avvenire rispettando il principio di uguaglianza
 a parita' di situazioni di fatto.  Infine si deve considerare che  la
 limitazione  introdotta  solo  per  questi  medici  e  non  per altre
 categorie  simili  (medici  specialisti)  e  comunque  affini  (altri
 professionisti),  incide  sostanzialmente  nella loro possibilita' di
 lavoro: non potrebbe  infatti  sostenersi  ragionevolmente  che  essi
 possono   continuare   a   svolgere   la   libera   professione   non
 convenzionata, in quanto, e' evidente che i propri assistiti  clienti
 si  vedrebbero costretti a scegliere un nuovo medico convenzionato e,
 alla eta' di settanta anni e' piuttosto difficile  intraprendere  una
 nuova attivita' libero-professionale al di fuori della convenzione.
   Ne consegue che la norma contenuta nell'art. 2, comma quarto, legge
 n.  549/1995  deve  ritenersi  illegittima  in quanto introducendo il
 limite di eta' per i soli medici di medicina generale e  pediatri  di
 libera  scelta e non per gli altri medici convenzionati contrasta con
 il principio di uguaglianza (art. 3, primo comma,  Cost.)  e  con  le
 altre norme costituzionali sopra indicate.
   Ne consegue la rimessione degli atti alla Corte costituzionale e la
 sospensione del processo.
                                P. Q. M.
   Dichiara  rilevante  e non manifestamente infondata la questione di
 costituzionalita' dell'art. 2, comma quarto,  della legge 28 dicembre
 1995, n. 549, per contrasto con gli artt. 3, primo comma, 4, 32 e 33,
 quinto comma, della  Costituzione;
   Sospende il giudizio  in  corso  e  rimette  gli  atti  alla  Corte
 costituzionale,  disponendo  che a cura della cancelleria l'ordinanza
 sia notificata alle parti in causa, alla Presidenza del Consiglio del
 Ministri nonche'  comunicata  ai  Presidenti  delle  due  Camere  del
 Parlamento.
     Napoli, addi' 16 giugno 1996
                          Il pretore: Musella
 96C1307