N. 22 RICORSO PER CONFLITTO DI ATTRIBUZIONE 9 agosto 1996

                                 N. 22
  Ricorso per conflitto di attribuzione depositato in cancelleria il 9
 agosto 1996 (della regione Lombardia)
 Sanita'  pubblica  - Provvedimenti del Ministro della sanita' con cui
    si  dichiarano  ufficialmente  indenni  da  tubercolosi  bovina  i
    territori   di  regioni  e  province  -  Condizioni  per  la  loro
    emanazione - Riferimento alla percentuale di  infezione  rilevante
    (1%) "a tutti gli allevamenti riscontrati infetti durante l'anno",
    anziche'  ai  soli allevamenti ancora esistenti nel momento in cui
    la percentuale viene fissata - Possibilita' che  una  regione  sia
    dichiarata ufficialmente indenne da tubercolosi solo qualora tutte
    le  sue  province godano di tale qualifica - Lamentato pregiudizio
    per la produzione lattiero-casearia e della carne da macello nella
    Lombardia e, di riflesso, per la  possibilita'  della  Regione  di
    adottare  i  provvedimenti  necessari per la ripresa del settore -
    Disparita' di trattamento tra regioni con presenza di  allevamenti
    infetti  diffusa  su  tutto  il  territorio  e regioni in cui tale
    presenza si concentra nell'ambito di una sola  provincia  -  Falsa
    applicazione delle norme stabilite in proposito, in attuazione dei
    dettati  comunitari,  nell'art.  9-bis,  legge  30 aprile 1976, n.
    397, introdotto dall'art. 5, comma 1, del d.P.R. 1 marzo 1992,  n.
    230  - Incidenza, altresi', sulle competenze delegate alle regioni
    in materia di  profilassi  igienico-sanitaria  degli  allevamenti,
    dall'art.    31,  del  d.P.R.  24  luglio 1977, n. 616, nella loro
    necesaria integrazione  con  quelle    proprie  delle  regioni  in
    materia  di  agricoltura  in  base  all'art.  66  stesso  d.P.R. -
    Richiamo a sentenze nn. 174  e 245 del 1996.
 (Decreto del Ministro della sanita' 15 dicembre 1995,  n.  592,  art.
    14, commi 2 e 3).
 (Cost.,  artt. 5, 11, 117 e 118; d.P.R. 24 luglio 1977, n. 616, artt.
    31 e 66).
(GU n.46 del 13-11-1996 )
   Ricorso per conflitto di attribuzione della regione  Lombardia,  in
 persona del presidente della giunta regionale e legale rappresentante
 pro-tempore,  on. dr. Roberto Formigoni, rappresentata e difesa, come
 da delega a margine del presente atto e in forza di deliberazione  di
 g.r.  di autorizzazione a stare in giudizio n. VI/16117 del 19 luglio
 1996, dagli avv. proff. Giuseppe Franco Ferrari e Massimo Luciani, ed
 elettivamente domiciliata presso lo  studio  del  secondo,  in  Roma,
 lungotevere  delle Navi n. 30, contro il Presidente del Consiglio dei
 Ministri a seguito e per l'effetto del  decreto  del  Ministro  della
 sanita',   di  concerto  con  il  Ministro  delle  risorse  agricole,
 alimentari  e  forestali  15  dicembre  1995,  n.  592,  "Regolamento
 concernente  il piano nazionale per la eradicazione della tubercolosi
 negli allevamenti bovini e  bufalini"  (Gazzetta  Ufficiale  n.  125,
 serie generale, 30 maggio 1996).
   1.  -  Ormai  da molti anni, conformemente ai principi fondamentali
 dell'ordinamento comunitario, prima la CEE ed  ora  l'Unione  europea
 perseguono   l'intento   di   eliminare   le   barriere  alla  libera
 movimentazione e commercializzazione degli animali da  allevamento  e
 da macello entro l'ambito comunitario.
   Il  raggiungimento  di  tale obiettivo presuppone peraltro, come e'
 ovvio (e come recenti, noti avvenimenti hanno confermato), l'adozione
 da parte degli Stati membri di  una  politica  comune  dei  controlli
 igienico-sanitari,  grazie  alla quale si possa creare un sistema (ed
 un livello) di protezione omogeneo su scala comunitaria, nell'intento
 dell'eradicazione delle patologie che possono affliggere il bestiame.
   Alle numerose direttive comunitarie in materia ha  dato  attuazione
 soprattutto  il  d.P.R.  1 marzo 1992, n. 230, che in larga misura ha
 previsto integrazioni  e  modificazione  della  previgente  legge  30
 aprile 1976, n. 397, recante "Norme sanitarie sugli scambi di animali
 tra  l'Italia  e  gli  altri  Stati  membri della Comunita' economica
 europea".  In particolare, per quanto qui interessa, si sono  dettate
 analitiche  previsioni  in  riferimento ai controlli da compiersi sui
 bovini a fini di prevenzione  e  controllo  della  tubercolosi.  Tali
 previsioni  ripetono quanto stabilito nelle direttive comunitarie e -
 come si vedra' - non si espongono a censura.
   Ai sensi dell'art. 33-bis, comma primo,  della  legge  n.  397  del
 1976,  introdotto  dall'art.  9,  comma primo, dello stesso d.P.R. n.
 230 del 1992, peraltro, il Ministro della sanita' e' facoltizzato  ad
 adottare  regolamenti  (ai  sensi dell'art. 17 della legge n. 400 del
 1988) "per estendere  al  territorio  nazionale  le  norme  sanitarie
 previste  negli allegati". Per quanto riguarda la tubercolosi bovina,
 il  Ministro  della  sanita'   ha   esercitato   il   potere,   cosi'
 conferitogli,  con  il  decreto  in  epigrafe.  Tale  decreto - nelle
 previsioni di cui all'art. 14 - risulta violativo  delle  prerogative
 costituzionali della ricorrente regione Lombardia, e conseguentemente
 illegittimo per i seguenti motivi di
                             D i r i t t o
   1. - Violazione e falsa applicazione dell'art. 9-bis, legge n.  397
 del  1976,  introdotto  dall'art.  5,  comma 1, del d.P.R. n. 230 del
 1992, in riferimento agli artt. 5, 11, 117 e 118 della Costituzione.
   L'art. 14 del decreto in epigrafe contiene disposizioni  in  ordine
 alla  procedura necessaria perche' il Ministro della sanita' dichiari
 "ufficialmente indenni da tubercolosi" province o regioni.
   Il  comma  primo  prevede  che  il  Ministro  della  sanita'  possa
 dichiarare  ufficialmente indenne da tubercolosi bovina il territorio
 delle singole province o di una o piu' regioni qualora il 99,8% degli
 allevamenti risulti ufficialmente indenne durante l'anno.
   Il  comma  secondo  dispone  che  la percentuale di infezione viene
 calcolata "sulla base di tutti gli  allevamenti  riscontrati  infetti
 durante l'anno".
   Il  comma  terzo,  infine,  dispone  che  "una  regione puo' essere
 dichiarata ufficialmente indenne da tubercolosi solo qualora tutte le
 sue province godano di tale qualifica".
   Quanto previsto dai commi secondo e terzo  appare  violativo  delle
 prerogative della ricorrente e quindi costituzionalmente illegittimo.
   1.1. - Evidente, anzitutto, e' l'irragionevolezza e la contrarieta'
 al  diritto  comunitario attuato in forza del d.P.R. n. 230 del 1992,
 della previsione di cui al comma secondo. E' chiaro, infatti, che  in
 presenza  di un continuo fenomeno di "assottigliamento" delle aziende
 di allevamento, la riferita modalita' di calcolo della percentuale di
 infezione e' penalizzante per l'intera regione. Che questa sia o meno
 "indenne", infatti, puo' logicamente dirsi se e quando la percentuale
 degli allevamenti infetti e' superiore all'1%, ma assumendo come base
 di calcolo la realta'  attuale  dell'allevamento,  non  gia'  il  suo
 passato.  La  percentuale,  pertanto,  dovrebbe  essere calcolata sul
 totale degli allevamenti esistenti a fine anno, non gia'  sul  totale
 accertato nel corso dell'intero anno, come fa invece - incongruamente
 -  il  decreto  impugnato.  Ne'  potrebbe  dirsi  che la modalita' di
 calcolo sia in  armonia  con  quanto  disposto  al  comma  primo  del
 medesimo   art.    14,  la  cui  formulazione  non  imponeva  affatto
 l'adozione dell'illegittima scelta oggettivatasi nel  comma  secondo.
 L'irragionevolezza   dell'incomprensibile   scelta   ministeriale  e'
 peraltro ancor meno giustificabile, in considerazione del  fatto  che
 detta  scelta  e'  stata  adottata  in  clamorosa  difformita'  dalle
 previsioni del diritto  comunitario,  per  come  attuato  nel  nostro
 ordinamento  in  forza del d.P.R. n. 230 del 1992. Si dispone infatti
 all'allegato A, capitolo 1, di tale decreto  presidenziale,  che  "la
 percentuale  degli allevamenti bovini infettati da tubercolosi" viene
 accertata "in occasione" di controlli  compiuti  -  a  seconda  delle
 circostanze,  determinate  dai  pregressi  livelli  di infezione - ad
 intervallo di uno,  di  due  o  di  tre  anni.  La  formula  di  tale
 previsione attuativa delle direttive comunitarie e' chiara e univoca:
 la  percentuale degli allevamenti infatti si calcola accertando, allo
 stesso tempo, il numero totale degli allevamenti e  il  numero  degli
 allevamenti  infetti, e conseguentemente determinando - uno tempore -
 la percentuale dei secondi in  rapporto  ai  primi.  E'  questa,  del
 resto,  l'unica  soluzione  logica:  che  senso avrebbe calcolare una
 percentuale ponendo a raffronto il  dato  attuale  degli  allevamenti
 infetti  e il dato passato degli allevamenti in attivita'? Quando mai
 una percentuale si calcola raffrontando la parte con il tutto in  due
 diversi  momenti  temporali,  diacronicamente  separati?  E  come mai
 potrebbe giustificarsi una simile assurdita', soprattutto in presenza
 di una realta' economico-sociale che, come  gia'  osservato,  conosce
 una  costante  sicura  contrazione  del  numero  degli allevamenti in
 attivita'? In realta',  la  scelta  comunitaria  era  ed  e'  l'unica
 logicamente  accettabile.  Averla abbandonata per adottare un diverso
 sistema e' del tutto illegittimo.
   1.2. - Quanto al comma terzo, si deve osservare quanto segue:
     a) nel d.P.R. n. 230 del 1992, attuativo del diritto comunitario,
 la base di riferimento per la dichiarazione di indennita' da malattie
 infettive  del bestiame e' la regione, restando la provincia una mera
 articolazione  amministrativa  della   stessa,   ovvero   la   "spia"
 dell'esistenza  dell'ente  regione.  E'  infatti alla regione, che fa
 riferimento l'allegato A, capitolo 1, lettera b), ed e'  sempre  alla
 regione  che  si  riferisce l'art. 9-bis, comma terzo, della legge n.
 397 del 1976, nel testo introdotto  dall'art.  5,  comma  primo,  del
 menzionato decreto presidenziale.  E' su scala regionale, invero, che
 i  controlli  debbono essere effettuati, ed e' su scala regionale che
 la dichiarazione di ufficiale immunita' dalla tubercolosi deve essere
 adottata. Il menzionato art. 9-bis, comma terzo, della legge  n.  397
 del 1976, appunto, prevede una speciale disciplina per quegli Stati o
 parti  di  Stati,  composte  da piu' regioni contigue, in cui (cioe':
 nelle quali regioni) almeno il 99,9% degli allevamenti di  bovini  e'
 stato  dichiarato  ufficialmente  indenne  da  tubercolosi. In nessun
 modo, invece, si fa menzione della provincia come base di riferimento
 per la determinazione del destino della regione.
   La provincia, invece, soccorre solo allo scopo di  identificare  il
 "concetto" di regione. Ai sensi dell'art. 2, comma primo, lettera n),
 legge  n.  397 del 1976 (cosi' come introdotto in forza dell'art.  1,
 comma secondo, del d.P.R. n. 230 del 1992),  si  definisce  "regione"
 una  "parte  del  territorio  di  superficie  minima  di  2.000 kmq e
 comprendente almeno una delle seguenti circoscrizioni amministrative:
 ... per  l'Italia:  provincia".  Come  si  vede,  e'  "regione"  solo
 quell'articolazione  territoriale che comprenda almeno una provincia,
 ma la provincia non possiede, di per se', alcuna rilevanza al fine di
 stabilire se una regione sia  o  meno  indenne  da  tubercolosi.  Se,
 dunque,  ha  senso  -  come  prevede  il  comma  primo  dell'art.  14
 dell'impugnato  decreto  -  dichiarare  ufficialmente   indenne   una
 provincia  di  una  regione  (cio' che, appunto, non e' escluso dalla
 normativa comunitaria),  non  ha  alcun  senso  legare  le  sorti  di
 un'intera regione a quelle di una singola provincia.
   Non  basta.  Come  si  evince  dalla  disposizione  ora  riportata,
 l'entita'  territoriale  di  riferimento  cui  la  dichiarazione   di
 immunita'  puo'  essere  negata  non  puo'  avere,  per  la normativa
 comunitaria  cui  nel  nostro  Paese  si  e'  data  attuazione,   una
 estensione  territoriale  inferiore  a  2.000  kmq.  L'estensione  di
 moltissime province italiane, pero', e' largamente inferiore  a  tale
 limite,  ed  in particolare in Lombardia sono di estensione minore di
 2.000 kmq le province di Varese (1.200  kmq),  Cremona  (1.770  kmq),
 Lodi  (780  kmq)  e Milano (1.980 kmq). Da una porzione di territorio
 (provincia) di estensione potenzialmente minore  di  quella  "minima"
 per  il  diritto  comunitario,  dunque, si fa derivare il trattamento
 dell'intera entita' territoriale di riferimento (regione).
   Considerare la provincia come entita' territoriale  cui  legare  le
 sorti di tutta una regione contrasta, dunque, con la lettera e con la
 sostanza  della  normativa comunitaria (oltre che con la logica delle
 attribuzioni  costituzionali  di  competenza,  come   si   dira'   al
 successivo punto 2).
   2.  -  Violazione degli artt. 31 e 66 del d.P.R. 24 luglio 1977, n.
 616, in riferimento agli artt. 5, 117 e 118 della Costituzione.
   La regione Lombardia si vede specificamente lesa  anche  per  altri
 profili  nelle  sue attribuzioni costituzionali dalle previsioni piu'
 sopra censurate.
   Si  deve  premettere  che le competenze regionali in materia, anche
 ove si considerassero meramente delegate, ai sensi del d.P.R. n.  616
 del 1977, dovrebbero pur sempre  ritenersi  defendibili  in  sede  di
 conflitto  di  attribuzioni.  Come,  infatti,  codesta  ecc.ma  Corte
 costituzionale ha recentemente ribadito (sentt. nn.  174  e  245  del
 1996,  ed  ivi  ulteriori  richiami),  se  e'  vero che le competenze
 delegate alle regioni non  possono,  in  via  di  principio,  formare
 oggetto   di   conflitto,   cio'  non  vale  nel  caso  in  cui  esse
 costituiscano "integrazione necessaria"  delle  competenze  regionali
 "proprie".  Tanto,  in  relazione  all'entita' e alla rilevanza delle
 attribuzioni  statali,  nonche'  al  modo  e   alle   finalita'   del
 conferimento delle competenze medesime.
   Nella    specie,   le   competenze   in   materia   di   profilassi
 igienico-sanitaria degli allevamenti sono necessariamente integrative
 di quelle conferite alla regione in materia  di  agricoltura,  atteso
 che  il  settore  che  se  ne  occupa  si colloca, per cosi' dire, "a
 cavaliere" fra l'agricoltura e la sanita'.  La  migliore  riprova  e'
 offerta  dallo stesso decreto in epigrafe, che dichiara espressamente
 d'essere preordinato "ai fini della tutela della  salute  pubblica  e
 della  protezione  degli  allevamenti ufficialmente indenni" (art. 1,
 comma secondo).
   Orbene,  disponendo  cosi'  come   dispone,   l'impugnato   decreto
 ministeriale  compromette  le  competenze  regionali  in  materia  di
 agricoltura e di sanita', impedendo alla  regione  di  esercitare  il
 governo  nel settore (cfr. in fattispecie in parte analoga, le sentt.
 nn. 520 e 534 del 1995).
   In  particolare,  e'  evidente  che  tanto  l'illogica   disciplina
 dell'accertamento   della  situazione  sanitaria  degli  allevamenti,
 quanto l'aggancio della dichiarazione  di  immunita'  da  tubercolosi
 alla  situazione  epidemiologica  delle  singole province, colpiscono
 profondamente il settore della produzione lattiero casearia  e  della
 carne  da  macello in Lombardia, impedendo alla regione di adottare i
 provvedimenti necessari per la ripresa e lo sviluppo del settore.
   L'incongruenza della previsione di cui al comma  secondo  dell'art.
 14  e'  stata  gia'  ampiamente  dimostrata  al  punto 1 del presente
 ricorso e non va qui ribadita. Quanto, invece,  all'assunzione  della
 provincia come entita' territoriale di riferimento, basta considerare
 quanto  segue.  Si  potrebbe  verificare,  anzitutto,  il caso di una
 regione che, a  situazione  epidemiologica  assolutamente  invariata,
 perda  la  dichiarazione  di  indennita'  per  il  solo  fatto  della
 modificazione di una circoscrizione provinciale o della creazione  di
 una nuova provincia, ove a seguito di tali variazioni territoriali la
 maggior  parte  degli  allevamenti infetti si trovi concentrata nella
 nuova (o nella "modificata")  provincia.  Il  che,  oltre  ad  essere
 illogico  (e  a  violare, anche, il diritto comunitario) vulnererebbe
 direttamente le attribuzioni regionali.
   In secondo luogo, vi sarebbe un'evidente disparita' di  trattamento
 fra  regioni che hanno una presenza di allevamenti infetti diffusa su
 tutto il territorio, e regioni nelle quali tale presenza si concentra
 nell'ambito  di  una  sola  provincia.  A   parita'   di   situazione
 epidemiologica,  la  prima  potrebbe  godere  della  dichiarazione di
 immunita' dalla tubercolosi, mentre la  seconda  si  vedrebbe  negare
 tale attestazione, indispensabile per il rilancio e lo sviluppo della
 produzione.
   Tale   serie   di   illegittimita'   ed   illogicita'   non   trova
 giustificazione in alcun interesse costituzionalmente  pregevole.  In
 particolare, l'esigenza di assicurare, in questa delicata materia, un
 adeguato rigore dei controlli non e' affatto coinvolta dall'impugnato
 decreto.  Che l'applicazione delle sue previsioni conduca a risultati
 piu'  o meno rigorosi, infatti, e' del tutto aleatorio e casuale. Se,
 ad esempio, l'attuale tendenza alla diminuizione degli allevamenti in
 attivita' si invertisse, e si assistesse dunque  ad  un  aumento  del
 numero  dei  produttori,  la  previsione  di  cui  al  comma  secondo
 assumerebbe tutt'altra valenza di quella  precedentemente  descritta.
 Quanto  alla previsione di cui al comma secondo, invece, e' del tutto
 evidente che il rigore e' maggiore o minore solo a seconda  del  dato
 estrinseco,  casuale  e accidentale della concentrazione o diffusione
 dell'infezione.
   In questo caso,  anzi,  si  finisce  per  premiare  le  regioni  il
 territorio   e'   piu'   diffusamente  percorso  dall'infezione,  con
 conseguente difficolta' di controllo e - specularmente - facilita' di
 contagio ben maggiori di quelle che si  riscontrano  in  regioni  con
 realta' infettive localizzate e concentrate.
   La   dimostrata  casualita'  degli  effetti  applicativi  dell'atto
 impugnato non e' altro che  la  conseguenza  della  sua  illogicita',
 determinata  dalla  non  comprensibile  scelta  di  discostarsi dalla
 normativa comunitaria, in violazione di tutti i menzionati  parametri
 costituzionali.
   3.   -  Quasi  superfluo,  infine,  e'  ricordare  che  la  mancata
 impugnazione del d.m. sanita' 27 agosto 1994, n.  651,  che  all'art.
 15,  commi secondo e terzo conteneva previsioni analoghe a quelle qui
 censurate, ma in materia di controllo e profilassi della  brucellosi,
 non  puo'  esplicare  alcun  effetto sull'ammissibilita' del presente
 ricorso. Come e' evidente, fra i due atti non vi  e'  coincidenza  di
 oggetto:   manca   dunque   qualsivoglia   nesso   di   implicanza  e
 presupposizione (sul quale cfr. da ultimo, sent. n. 243 del 1996), ed
 il secondo non puo' considerarsi meramente esecutivo o ripetitivo del
 primo (sul punto, da ultimo, sent. n.  250 del 1996).
                                P. Q. M.
   La ricorrente Lombardia chiede  che  codesta  ecc.ma  Corte  voglia
 dichiarare  che  non  spetta allo Stato, e per esso al Ministro della
 sanita',  di  concerto  con  il  Ministro  delle  risorse   agricole,
 alimentari  e  forestali,  adottare  decreti  per la disciplina della
 tubercolosi  bovina  e  in  particolare  dei  controlli  a  fini   di
 prevenzione e controllo della tubercolosi nelle forme contemplate dal
 d.m.  15 dicembre 1995, n. 592, e per l'effetto annullare il predetto
 decreto in riferimento in particolare all'art. 14,  commi  secondo  e
 terzo.
     Milano-Roma, 23 luglio 1996
    Avv. prof. Giuseppe Franco Ferrari - avv. prof. Massimo Luciani
 96C1317