N. 32 RICORSO PER LEGITTIMITA' COSTITUZIONALE 9 agosto 1996

                                 N. 32
  Ricorso  per  questione di legittimita' costituzionale depositato in
 cancelleria il 9 agosto 1996 (della regione Lombardia)
 Agricoltura - Regime comunitario  di  produzione  lattiera  -  "Quote
    latte"  -  Prevista pubblicazione, da parte dell'AIMA, entro il 31
    marzo 1996, di appositi bollettini di aggiornamento degli  elenchi
    dei  produttori  titolari  di  quota  e  dei  quantitativi ad essi
    spettanti nel periodo 1995-96 - Attribuzione  a  tali  bollettini,
    integralmente sostitutivi di quelli precedenti, della efficacia di
    accertamento  definitivo  delle posizioni individuali, con effetto
    vincolante anche nei confronti degli  acquirenti,  ai  fini  della
    trattenuta  e  del versamento supplementare eventualmente dovuto -
    Contestata retroattivita'  della  normativa,  che  impedisce  agli
    imprenditori  del  settore di adeguare la produzione alle quote ad
    essi assegnate, in  contrasto,  fra  l'altro,  con  i  criteri  di
    programmazione, per il futuro, delle campagne lattiere fissati dal
    regolamento  CEE n. 804/1968 - Inidoneita' del previsto parere, da
    rendersi  all'AIMA,  per  tramite  del  Ministro  per  le  risorse
    agricole,  alimentari  e  forestali, dal Comitato permanente delle
    politiche   agroalimentari   e   forestali,   ad   assicurare   la
    partecipazione  delle  regioni nel procedimento di riduzione delle
    quote individuali, nell'esercizio della loro  competenza  e  delle
    funzioni  da  tempo  ad esse trasferite in materia di agricoltura,
    con lesione, fra l'altro, del principio  di  leale  collaborazione
    tra  Stato  e  regioni  -  Violazione  del principio che impone il
    controllo e l'indirizzo della produzione privata a fini sociali  -
    Penalizzazione  delle regioni che, come la Lombardia, a differenza
    di altre, non hanno avviato piani di incremento  della  produzione
    lattiero-casearia  -  Reiterazione  di  norme  dei  non convertiti
    decreti-legge nn. 124  e  260  del  1996  -  Mancanza  totale  dei
    presupposti   costituzionali   della  decretazione  di  urgenza  -
    Richiamo a sentenze nn. 29/1995, 32/1960, 64 e 183 del 1987, 272 e
    302 del 1988, 87/1996, 520/1995 e all'ordinanza n. 165/1995.
 Agricoltura - Regime comunitario  di  produzione  lattiera  -  "Quote
    latte"  -  Possibilita',  per gli interessati, di agire avverso le
    determinazioni dei bollettini predisposti  dall'AIMA  riguardo  ai
    produttori  titolari  di quota e ai quantitativi ad essi spettanti
    nel  periodo  1995-96,   innanzi   all'autorita'   giurisdizionale
    competente,  previa,  pero', opposizione, con ricorso documentato,
    alla stessa AIMA, entro quindici giorni  dalla  pubblicazione  del
    bollettino,   ricorso   da   intendersi   peraltro   respinto,  in
    applicazione del silenzio-rigetto, in  mancanza  di  comunicazione
    entro  i  successivi  trenta  giorni,  della decisione dell'organo
    adito - Sospensione della facolta' dei produttori,  gia'  prevista
    dall'art.   2  del  decreto-legge  n.  274/1994  (convertito,  con
    modificazioni, in legge n. 46/1995) di autocertificare, in caso di
    contenzioso, le produzioni - Incertezze ed estrema  onerosita'  di
    tale  sistema di impugnazioni, non conciliabile, oltretutto, con i
    principi costituzionali del processo amministrativo - Reiterazione
    di norme dei non convertiti decreti-legge nn. 124 e 260 del 1996 -
    Mancanza  totale dei presupposti costituzionali della decretazione
    di urgenza.
 Agricoltura - Regime comunitario  di  produzione  lattiera  -  "Quote
    latte"  -  Criteri previsti per la compensazione fra le maggiori e
    minori quantita' di prodotto consegnate - Conferma  di  un  doppio
    livello  di  compensazione  in quanto quello da operarsi in ambito
    nazionale si affianca a quello gestito su base  provinciale  dalle
    Associazioni di produttori - Conseguente possibilita' che identici
    comportamenti  produttivi degli operatori e identici comportamenti
    amministrativi delle regioni (all'atto di approvazione di piani in
    aumento)  siano  trattati   diversamente   in   modo   casuale   -
    Penalizzazione  per  i  produttori lombardi - Lesione dei principi
    del diritto comunitario e della sfera di competenze legislative  e
    amministrative  regionali - Irragionevolezza aggravata per di piu'
    dalla retroattivita' della disciplina in quanto operante  per  una
    gia' conclusa campagna lattiera.
 Agricoltura  -  Regime  comunitario  di  produzione lattiera - "Quote
    latte" - Prevista adozione, da parte dell'AIMA, in attuazione  del
    regolamento   CEE  n.  3950/92,  di  un  programma  volontario  di
    abbandono totale o parziale della produzione  lattiera,  da  parte
    dei  singoli  produttori, previa corresponsione di un'indennita' -
    Riassegnazione delle quote cedute, con provvedimenti della  stessa
    AIMA,  ai  produttori che ne facciano richiesta, in base a criteri
    di priorita'  per  giovani  agricoltori,  produttori  con  azienda
    ubicata  in  zone  montane, ecc.   - Ulteriore aggravio della gia'
    esistente ingiustificata disparita' di trattamento tra  regioni  e
    singoli  produttori  -  Penalizzazione per i produttori lombardi -
    Incidenza   sulla   sfera   delle   competenze    legislative    e
    amministrative regionali.
 (D.-L. 8 luglio 1996, n. 353, artt. 2, commi 1, 2, 3 e 4; 3, commi 1,
    2, 3, 4 e 5).
 (Cost., artt. 3, 5, 11, 24, 41, 47, 77, 97, 113, 117 e 118).
(GU n.45 del 6-11-1996 )
   Ricorso   della   regione  Lombardia,  in  persona  del  Presidente
 pro-tempore della Giunta  regionale,  on.  dott.  Roberto  Formigoni,
 rappresentata  e  difesa, come da delega a margine del presente atto,
 ed in virtu' di deliberazione di G.R. n. VI/16865 del 26 luglio  1996
 di  autorizzazione  a  stare  in giudizio, dagli avv. proff. Giuseppe
 Franco Ferrari e Massimo Luciani, ed elettivamente domiciliata presso
 lo studio del secondo, in Roma, Lungotevere delle Navi n. 30,  contro
 il  Presidente  del  Consiglio  dei  Ministri per la dichiarazione di
 illegittimita' costituzionale  del  d.-l.  8  luglio  1996,  n.  353,
 pubblicato  in  Gazzetta  Ufficiale,  serie  generale,  n. 158 dell'8
 luglio  1996,  "Interventi  urgenti  nei  settori  agricoli  e  fermo
 biologico della pesca per il 1996" (All. 1), quanto all'art. 2, commi
 primo  e quattro, nella parte in cui si prescrive che i bollettini di
 aggiornamento degli elenchi dei produttori da  pubblicarsi  dall'AIMA
 entro  il  31  marzo  1996,  senza adeguata partecipazione regionale,
 costituiscono accertamento definitivo  delle  posizioni  individuali,
 sostituiscono ad ogni effetti i bollettini precedentemente pubblicati
 e  vincolano gli acquirenti ai fini della trattenuta e del versamento
 del prelievo supplementare; all'art.  2, comma secondo,  nella  parte
 in  cui  tale disposizione sospende fino al 31 marzo 1997 l'efficacia
 dell'art. 2-bis del d.-l. 23 dicembre 1994, n.  727,  convertito  con
 modificazioni  in  legge  24  febbraio 1995, n. 46; all'art. 2, comma
 terzo,  nella  parte in cui tale disposizione introduce un sistema di
 ricorsi estremamente oneroso per gli  operatori;  quanto  all'art.  3
 commi  primo,  secondo  e  terzo,  nella parte in cui i meccanismi di
 compensazione   ivi   previsti   penalizzano   irragionevolmente    e
 retroattivamente  la  regione ricorrente e quanto infine all'art.  3,
 commi quattro e cinque nella parte in  cui  il  programma  volontario
 della produzione e la correlata redistribuzione di quote aggravano la
 predetta penalizzazione.
   1.  - Il regime delle c.d. quote latte, finalizzato al contenimento
 della produzione, da anni eccedente nel  mercato  europeo,  e'  stato
 introdotto  in  Italia,  dopo  lungo  contenzioso  circa  l'effettiva
 entita' della produzione interna  e  la  irrogazione  delle  relative
 sanzioni comunitarie, dalla legge 26 novembre 1992, n. 468.
   Tale  testo  normativo,  dopo  avere  demandato,  all'art. 2, comma
 secondo, la redazione di elenchi dei produttori titolari di  quota  e
 la loro pubblicazione in appositi bollettini all'Azienda di Stato per
 gli  interventi  nel  mercato  agricolo  (AIMA),  all'art.  2,  comma
 secondo, limitatamente ai produttori di  associazioni  aderenti  alla
 UNALAT, dispone la articolazione della quota in due parti: l'una (A),
 commisurata  alla  produzione  di  latte commercializzata nel periodo
 1988-1989;  l'altra   (B)   rapportata   alla   maggiore   produzione
 commercializzata nel periodo 1991-1992.
   Poiche' peraltro il regolamento CEE del Consiglio n. 804/68, del 27
 giugno  1968,  contemplava  la periodica rideterminazione delle quote
 nazionali spettanti all'Italia, i  commi  6-8  dello  stesso  art.  2
 assegnavano  alle  regioni  il  compito  di  vigilare sulla effettiva
 produzione  dei  singoli  operatori  e  di  comunicare  all'AIMA  per
 l'aggiornamento  del  bollettino  le  eventuali  situazioni  di quota
 assegnata   superiore   a   quella   effettiva,   e    al    Ministro
 dell'agricoltura  e  foreste,  acquisito  il  parere della Conferenza
 permanente per i rapporti tra lo Stato e  le  regioni  e  sentite  le
 organizzazioni professionali maggiormente rappresentative, in caso di
 eccedenza  delle  quantita' attribuite ai produttori alla stregua dei
 commi 2 e  3  rispetto  alle  quote  nazionali  individuate  in  sede
 comunitaria,  di stabilire con proprio decreto i criteri generali per
 il  pieno  allineamento  con  le  quote  nazionali  nell'arco  di  un
 triennio.  Lo  stesso comma ottavo imponeva che, con riferimento alle
 riduzioni obbligatorie della quota B, si tenesse conto "dell'esigenza
 di mantenere  nelle  aree  di  montagna  e  svantaggiate  la  maggior
 quantita' di produzione lattiera".
   2.  -  Il  d.-l.  23  dicembre  1994,  n.  727,  poi convertito con
 modificazioni in legge 24 febbraio 1995, n.  46  ha  poi  operato  la
 riduzione  delle  quote  B  per  singolo produttore, con l'esclusione
 degli operatori delle stalle ubicate nelle zone montane di  cui  alla
 direttiva del Consiglio CEE 75/268 del 28 aprile 1975, da effettuarsi
 entro il 31 marzo 1995 con operativita' dalla campagna 1995-1996.
   La  legge  di  conversione  n.  46/1995 ha innovato il decreto come
 segue:
     a) ha previsto (art. 2, comma primo,  lett.  0.a))  la  riduzione
 della  quota  A  non in produzione, almeno qualora essa ecceda il 50%
 della quota A attribuita;
     b) dopo avere confermato la riduzione della quota B  (lett.  a)),
 ha  escluso (lett. b)) da entrambe le riduzioni i produttori non solo
 titolari di stalle ubicate in  zone  di  montagna,  ma  anche  quelli
 operanti  "nelle zone svantaggiate e ad esse equiparate nonche' nelle
 isole";
     c)  ha  consentito  (art.  2,  comma  2-bis) che i produttori che
 abbiano ottenuto, anteriormente all'entrata in vigore della legge  n.
 468/1992,  l'approvazione  di un piano di sviluppo o di miglioramento
 zootecnico da parte  della  Regione  e  che  lo  abbiano  realizzato,
 possano   chiedere   la  assegnazione  di  una  quota  corrispondente
 all'obiettivo  di  produzione  indicato  nel   piano   medesimo,   in
 sostituzione delle quote A e B.
   Piu' in generale il decreto-legge n. 727/1994 e la legge n. 46/l995
 hanno  soppresso la previa consultazione della Conferenza tra Stato e
 Regioni, rimettendo la istruttoria e la predisposizione del piano  di
 rientro esclusivamente all'istanza ministeriale.
   Inoltre,    la   normativa   ha   introdotto   un   meccanismo   di
 autocertificazione delle produzioni, in base al quale gli  acquirenti
 sono  autorizzati  a  considerare  i quantitativi autocertificati dai
 produttori.
   3. - La legge n. 46/1995 insieme con  il  decreto-legge  convertito
 veniva  impugnata  dalla  regione  Lombardia  con  ricorso  rubricato
 22/1995  (all.  2),  con   allegazione   di   numerosi   profili   di
 incostituzionalita'.   Codesta ecc.ma Corte, a seguito di discussione
 nella pubblica udienza del 23 novembre 1995, con decisione n. 520 del
 28 dicembre 1995 accoglieva il predetto ricorso, in  una  con  quello
 presentato  dalla  Regione del Veneto e rubricato con n.r.g. 23/1995,
 sotto il profilo della incostituzionalita' dell'art. 2, comma  primo,
 della legge, nella parte in cui non vi si contemplava il parere delle
 Regioni   interessate  nel  procedimento  di  riduzione  delle  quote
 individuali spettanti ai produttori di latte bovino.
   4. - Il Governo e' poi intervenuto nuovamente con  la  decretazione
 di  urgenza nel delicato settore de quo, adottando prima il d.-l.  15
 marzo 1996 n. 124 e poi, reiterando il primo, adottando il d.-l.   16
 maggio  1996  n.  260,  impugnati  con  ricorsi  n.r.g. 18 e 27/1996,
 pendenti avanti la ecc.ma Corte per la decisione,  e  infine  con  il
 decreto-legge impugnato con il presente ricorso. Esso, in specie:
     a)  demanda  all'AIMA,  entro  il  31  marzo  1996,  questa volta
 "Acquisito da parte del Ministro delle risorse agricole, alimentari e
 forestali  il  parere  del  Comitato   permanente   delle   politiche
 agroalimentari  e  forestali",  la  pubblicazione di un bollettino di
 aggiornamento degli elenchi dei produttori titolari di  quota  e  dei
 quantitativi  loro  spettanti  delle  quote  latte 1995-1996 (art. 2,
 comma primo);
     b) stabilisce che, ai fini della trattenuta e del versamento  del
 prelievo  supplementare per il 1995-1996, gli acquirenti siano tenuti
 all'osservanza  delle   risultanze   del   predetto   bollettino   di
 aggiornamento (art. 2, comma quattro);
     c) sospende sino al 31 marzo 1997 l'efficacia dell'art. 2-bis del
 decreto-legge  n.  727/1994  convertito con modificazioni in legge n.
 46/1995 (art. 2, comma secondo);
     d) detta disposizioni sulla  tutela  in  via  amministrativa  dei
 produttori  avverso  le  determinazioni  del  predetto  bollettino di
 aggiornamento (art. 2, comma terzo).
   5. - La disciplina di  cui  all'art.  2  della  legge  n.  46/1995,
 dichiarata   incostituzionale  dalla  Corte  nella  citata  decisione
 520/1995, e ora richiamata ex novo, in quanto l'art. 2, comma  primo,
 non   detta   nuove   e  diverse  modalita'  di  confezionamento  del
 bollettino,  pur  questa  volta  in  presenza  della previsione di un
 parere ex post del  Comitato  permanente  delle  politiche  agricole,
 alimentari  e  forestali.  Il  parere di tale Comitato, istituito nel
 seno della Conferenza  Stato-Regioni  ai  sensi  dell'art.  2,  comma
 sesto,  della  legge n. 491/1993, non appare sufficiente ad integrare
 l'intervento della Conferenza in sede consultiva, dalla Corte  a  suo
 tempo dichiarato indispensabile.
   A prescindere da tale vizio procedurale, la disciplina in questione
 e'  da  se'  sola  sufficiente,  almeno  in  termini  previsionali, a
 determinare il virtuale azzeramento della quota B  nelle  aziende  di
 pianura, e in specie in quelle della Regione ricorrente - ad un primo
 calcolo  la quota B subirebbe infatti un brutale taglio del 74% circa
 - e una rilevante diminuzione della quota A.
   In altre parole, il bollettino di cui all'art.  2,  commi  primo  e
 quarto,  del decreto-legge impugnato sostituisce quelli preveduti dal
 regime normativo precedente, introduce un  tardivo  parere  ex  post,
 fuori  termine e - come detto - insufficiente, del Comitato istituito
 nel seno della conferenza Stato-Regioni, e in piu' assume una  natura
 o  almeno  una  forza  particolare,  in  quanto  esso  ha  valore  di
 "accertamento definitivo" delle posizioni individuali dei  produttori
 (art.  2,  comma  primo:  v. supra, punto 4.a)) e del pari di vincolo
 esclusivo nei confronti degli acquirenti  (e  per  conseguenza  delle
 aspettative  patrimoniali  dei  produttori:  art.  2, comma quarto, e
 supra, punto 4.b)).
   Inoltre esso interviene a regolamentare con la  predetta  peculiare
 forza  i rapporti produttivi nel settore con efficacia retroattiva, a
 campagna  1995/1996  conclusa,  con  disastrosi  effetti  su   interi
 patrimoni  aziendali  e,  non  di  mero  riflesso, sulle attribuzioni
 regionali, dato che l'automatismo degli effetti comporta la  virtuale
 spoliazione  dei  poteri  regionali  di  indirizzo,  programmazione e
 controllo del settore lattiero-caseario.
   Nella sostanza della disciplina applicata, poi, va ribadito che  la
 Regione  ricorrente,  a  differenza  di  altre  Regioni,  non  ha mai
 approvato - come ci si riserva di documentare in vista della pubblica
 udienza - piani di sviluppo e miglioramento  comportanti  aumenti  di
 produzione  del  latte  e  dunque,  a far data dal 12 marzo 1985, non
 annovera operatori in grado di  avvalersi  della  sostituzione  delle
 quote  A e B con i piu' favorevoli obbiettivi dei piani di sviluppo e
 miglioramento.
   Per sovrammercato,  la  introduzione  in  via  di  urgenza  di  una
 disciplina  sfavorevole nella sostanza e con efficacia retroattiva si
 accompagna alla individuazione (art. 2, comma terzo  e  supra,  punto
 4.d)) di un regime di autotutela da ricorso estremamente penalizzante
 per gli operatori.
   Di  nuova  formulazione  e'  poi  l'art.  3,  i cui primi tre commi
 introducono irragionevoli e retroattivi meccanismi di  compensazione,
 estremamente penalizzanti degli interessi della Regione ricorrente.
   In  particolare,  il  comma  terzo,  prescrivendo,  limitamente  al
 periodo 1995-1996, il versamento del  prelievo  supplementare  dovuto
 "sulla base di appositi elenchi redatti dall'A.I.M.A. a seguito della
 compensazione  nazionale",  conferma  la  pluralita'  dei  livelli di
 compensazione:  il livello provinciale, gestito dalle  APL,  coesiste
 infatti con quello nazionale.
   La   conseguenza  e'  la  grave  riduzione  della  possibilita'  di
 procedere a compensazioni relative alla quota B per  quelle  Regioni,
 che,   come   la   ricorrente,   non  hanno  correttamente  adottato,
 successivamente all'entrata in vigore del Regolamento CEE 797/1985  e
 a  quello  successivo 2328/1991, alcun piano contenente previsioni di
 incremento della produzione lattiero-casearia, a tutto  vantaggio  di
 quelle  Regioni  che  si  sono  gia'  rese  responsabili  di illecito
 comunitario nella approvazione di piani in aumento.
   L'art. 3 contempla poi un programma volontario di abbandono  totale
 o  parziale  della  produzione lattiera, previa corresponsione di una
 indennita' (cfr. comma quarto), nonche' la successiva redistribuzione
 delle quote stesse ai produttori che ne facciano  richiesta,  secondo
 specifici criteri di priorita', la cui applicazione deve in ogni caso
 assicurare che almeno il 50 per cento dei quantitativi sia attribuito
 nella  regione o nella provincia autonoma di provenienza" (cfr. comma
 quinto).
   In specie, vengono individuate le seguenti categorie:
     a) giovani agricoltori di cui  all'art.  4,  comma  secondo,  del
 decreto ministeriale n. 762 del 27 dicembre 1994;
     b) produttori con azienda ubicata nelle zone montane, di cui alla
 direttiva n. 75/268/CEE del Consiglio del 28 aprile 1975;
     c)  produttori  a  cui  e'  stata  ridotta  la  quota  B ai sensi
 dell'art.   2 della legge n. 46 del  1995,  nei  limiti  della  quota
 ridotta.
   Con  il  risultato  di  aggravare  ulteriormente  la gia' esistente
 irragionevole disparita' di trattamento tra  Regioni  e  tra  singoli
 produttori.
   Le  disposizioni  di  cui in epigrafe sono dunque illegittime per i
 seguenti
                              M o t i v i
   1. - Occorre in limine rilevare che con il presente  ricorso  viene
 impugnato  un  decreto-legge, eppercio' un atto provvisorio con forza
 di legge ai sensi dell'art. 77 della Costituzione. Non e' dato,  allo
 stato,   divinare  il  futuro  delle  previsioni  normative  in  esso
 contenute:  non si puo' - cioe' - sapere se l'atto verra'  convertito
 in  legge,  se  in  mancanza  di conversione vi sara' sanatoria degli
 effetti  comunque  prodotti  medio  tempore,  oppure  se  il  decreto
 decadra' senza alcun ulteriore intervento.
   E'  dunque  necessario  sin d'ora richiedere che, nell'eventualita'
 della  sanatoria  del  decreto  non  convertito,  le   questioni   di
 costituzionalita'   sollevate   con   il   presente  ricorso  vengano
 trasferite, conformemente al principio fissato dalla  sent.  84/1996,
 sulla  legge  di  sanatoria.    Analogo  trasferimento  si  richiede,
 peraltro,  nell'eventualita'  che  il  decreto  venga   semplicemente
 reiterato.  Come  la  cit.  sent.  84 ha affermato, infatti, cio' che
 conta, nel giudizio di costituzionalita', sono  le  norme  impugnate,
 non gia' le disposizioni che le "veicolano".
   Come  prospetta  la  stessa  ordinanza  n.  130  del  1996,  ed ora
 confermano  implicitamente  la  successiva  ordinanza   n.   197   ed
 esplicitamente  la  sentenza n. 270, il principio posto alla base del
 trasferimento sulla legge di  sanatoria  deve  essere  alla  base,  a
 fortiori,  del  trasferimento  sull'eventuale  decreto  "reiterante",
 attesa l'indubbia  continuita'  di  contenuto  normativo  che  -  per
 definizione - lega l'atto reiterante all'atto reiterato. Cosi' stando
 le  cose,  anzi,  si  puo' rilevare come il decreto-legge in epigrafe
 venga  ora  impugnato  per  mero  tuziorismo  (atteso   che   sarebbe
 sufficiente  il  trasferimento  delle  questioni  gia'  sollevate  in
 riferimento ai decreto-legge 124/1996 e 260/1996 -  qui  reiterati  -
 per  definire  la  controversia  di  che  trattasi), e comunque nella
 misura in cui si ritenesse che le  innovazioni  alla  disciplina  dei
 precedenti decreti siano sostanziali.
   2. - Nel merito, si deve, in primo luogo, lamentare:
   2.1. - Violazione degli artt. 77, 117 e 118 della Costituzione.
   Nella  parte  che  qui interessa, l'impugnato decreto risulta privo
 dei requisiti essenziali della straordinarieta', necessita' e urgenza
 che, ai  sensi  dell'art.  77  della  Costituzione,  condizionano  la
 legittimita'  dell'adozione  di  decreti  legge da parte del Governo.
 Nessuna  delle  previsioni  del  decreto  in  materia  di  produzione
 lattiera, invero, appare - almeno legittimamente (v. quanto si dira',
 sul punto, al n. 3.1. del presente ricorso) finalizzata allo scopo di
 fronteggiare  situazioni  cosi'  chiaramente segnate dall'urgenza, da
 richiedere l'intervento di un atto adottato  ai  sensi  dell'art.  77
 della  Costituzione,  e non il ricorso al normale iter legislativo di
 cui agli artt. 70 e seguenti. Si tratta infatti di aggiustamenti (per
 giunta illegittimi) o di peggioramenti delle previsioni dettate dalla
 legge 26 novembre 1992, n. 468 e dalla legge 24 febbraio 1995 n.  46,
 dei quali non e' dato rinvenire, in alcun modo, l'urgenza.
   Il   Governo,   oltre   tutto,   ha   agito   in  modo  addirittura
 contraddittorio, stabilendo  la  sospensione  dell'efficacia  di  una
 parte  del  decreto-legge  23  dicembre  1991 n. 727 sino al 31 marzo
 1997. E' infatti veramente difficile comprendere quale sia  l'urgenza
 della  sospensione (per circa un anno|) dell'efficacia di un atto che
 esso pure dovrebbe essere urgente (tanto necessariamente urgente, che
 solo  nella  misura  in  cui  effettivamente  e'  tale   puo'   dirsi
 legittimo).  In  realta',  ci  troviamo  qui  di  fronte all'ennesimo
 episodio di illegittimo esercizio di un potere che la Costituzione ha
 concepito come eccezionale  ("straordinario"),  e  che  invece  viene
 sempre  piu'  frequentemente  impiegato come strumento "ordinario" di
 produzione normativa primaria.
   Mancano percio' del tutto  quei  presupposti  costituzionali  della
 decretazione   d'urgenza  la  cui  carenza  e',  dalla  piu'  recente
 giurisprudenza  costituzionale,  ritenuta  censurabile  (sentenza  n.
 29/1995),  specie  quando sia evidente e conclamata (sent. 165/1995),
 come nella specie e'.
   Va qui precisato che la Regione ricorrente non lamenta  la  pura  e
 semplice  violazione  dell'art. 77 della Costituzione, bensi' anche e
 soprattutto la lesione delle competenze costituzionali  che  ad  essa
 sono   riconosciute.   E'  infatti  anche  attraverso  la  violazione
 dell'art.    77  della  Costituzione,  da  parte  del   decreto-legge
 impugnato  che  tale  lesione  si  e'  consumata, poiche' il Governo,
 illegittimamente esercitando le facolta' di  cui  all'art.  77  della
 Costituzione,  ha  finito  -  come  appresso  si  dimostrera'  -  per
 sottrarre alla Regione il potere di regolare un settore  come  quello
 della  produzione  lattiera,  che  la  Costituzione,  in  una  con la
 normativa ordinaria di trasferimento delle funzioni,  sine  dubio  le
 affida   nell'ambito   della   materia   "agricoltura".      Di  qui,
 l'ammissibilita' della relativa censura (cfr. sentenze nn.   32/1960;
 64 e 183/1987; 272 e 302/1988; 87/1996).
   Va  infine  sottolineato  che  il  decreto  impugnato si occupa del
 profilo del rapporto  Stato-Regione  nel  procedimento  di  riduzione
 delle  quote individuali spettanti ai produttori di latte bovino solo
 per anteporre al comma primo dell'art. 2 l'espressione "acquisito  da
 parte  del Ministro delle risorse agricole, alimentari e forestali il
 parere del  Comitato  permanente  delle  politiche  agroalimentari  e
 forestali".
   Tale espressione non e' che una addizione meramente formale al dato
 del  precedente  art.  1  del decreto-legge n. 260/1996, per il resto
 immutato.
   Delle due l'una: o gli atti di cui all'art. 2, comma primo (e cioe'
 i bollettini) sono atti di indirizzo generale, e allora per  essi  e'
 necessario l'intervento della Conferenza Stato-Regioni nel suo plenum
 (e non gia' nella versione dimidiata del Comitato); ovvero, essi sono
 "provvedimenti  specifici"  (secondo  la  formula  della  sentenza n.
 520/1995),  e  allora  occorre  il  parere  delle   singole   Regioni
 interessate.
   In  entrambi i casi, dunque, lo strumento consultivo introdotto dal
 decreto-legge, oltre che tardivo, e' insufficiente ed illegittimo.
   Poiche' comunque nel frattempo il noto e temuto bollettino e' stato
 pubblicato, non si vede il senso della previsione in questione.
   2.2. - Va altresi' lamentata la violazione degli artt. 3,  11,  41,
 117 e 118 della Costituzione.
   In  estrema  sintesi,  il  provvedimento legislativo qui impugnato,
 nella parte che interessa, e' ispirato  alla  ratio  di  individuare,
 quale strumento attuativo delle contestate scelte di merito contenute
 nell'art. 2 della legge n. 46/1995, un bollettino assolutamente unico
 nel  suo  genere  e  munito  di  caratteri  del  tutto  speciali:  la
 retroattivita' rispetto alla campagna ormai conclusa (art.  2,  comma
 primo),  la  definitivita'  rispetto  ai  produttori  (ibidem) e agli
 acquirenti  (comma  quarto),   la   non   definitivita'   nel   senso
 amministrativo   del   termine  (per  impugnarlo  giurisdizionalmente
 occorre infatti avere previamente esperito il rimedio  amministrativo
 in  opposizione  avanti  l'AIMA: comma terzo), la non sostituibilita'
 con  strumenti  autocertificativi  precedentemente   introdotti   dal
 Governo  sempre  in  via  di urgenza (comma secondo), la capacita' di
 precludere persino le compensazioni dovute in  base  alla  disciplina
 comunitaria  se  l'operatore lo abbia attaccato con impugnazioni, per
 tutta la durata di tempo necessaria per definirle.
   Per  tutto  questo,  le  previsioni  del  decreto   impugnato   che
 riguardano la produzione latte appaiono complessivamente e nella loro
 integrita' costituzionalmente illegittime per i vizi sopra esposti.
   3.1. - Specificamente viziati da illegittimita' costituzionale, per
 violazione degli artt. 11, 47, 117 e 118 della Costituzione, sono poi
 i commi primo e quarto dell'art. 2 del decreto-legge n.  353/1996. Il
 comma  primo prescrive che l'AIMA deve pubblicare appositi bollettini
 "di aggiornamento" degli elenchi dei  produttori  titolari  di  quota
 nonche' delle quote di loro spettanza per il periodo 1995-1996 "entro
 il   31  marzo  1996".  Tali  bollettini  costituiscono  accertamento
 definitivo delle posizioni  individuali,  e  sostituiscono  "ad  ogni
 effetto" i bollettini che l'AIMA ha precedentemente pubblicato per il
 periodo di riferimento. A sua volta, il comma quattro dispone che gli
 acquirenti  del  latte  prodotto,  ai  fini  della  trattenuta  e del
 versamento   del   prelievo   supplementare,    devono    considerare
 esclusivamente  le quote individuali risultanti dai bollettini di cui
 al comma primo.
   Come si  evince  gia'  da  una  prima  lettura,  tali  disposizioni
 introducono  nel  nostro  ordinamento, ancorche' ad hoc e per la sola
 campagna 1995-1996, una categoria del tutto speciale di bollettini, i
 cui effetti sul settore lattiero-caseario e sul governo dello  stesso
 da  parte delle Regioni sono devastanti. I bollettini di cui trattasi
 sono infatti la sola fonte  di  individuazione  delle  posizioni  dei
 singoli  produttori  per  la  campagna 1995-1996, e posseggono valore
 definitivo,  nonche'  sostitutivo  di  qualunque   altra   precedente
 determinazione.
   Tali  bollettini,  pero', riguardano - illogicamente - una campagna
 che si e' gia' conclusa al momento in cui le  disposizioni  impugnate
 sono  divenute  operative.  Conseguentemente,  i loro effetti sono da
 considerarsi retroattivi. La campagna di  produzione  del  latte  non
 coincide  infatti  con l'anno solare, ma va dal 1 aprile al 31 marzo.
 Sin dall'inizio, dunque, sin dal primo  decreto  della  catena  della
 reiterazione,  i bollettini di cui all'art. 2, commi primo e quattro,
 erano concepiti come atti destinati a produrre effetti pro praeterito
 tempore (e cioe' per la campagna 1995-1996 ormai conclusa),  ed  anzi
 era  addirittura  (non  semplicemente prevedibile ma) scontato che la
 loro pubblicazione non avrebbe potuto  praticamente  intervenire  nel
 brevissimo spatium temporis intercorrente fra l'entrata in vigore del
 primo  decreto  impugnato  n.  124/1996 (17 marzo) e il successivo 31
 marzo, data di conclusione della campagna 1995-1996.
   A piu' forte ragione tale lagnanza vale avverso il decreto-legge n.
 353, entrato in vigore l'8 luglio.
   In realta', il nuovo  strumento  introdotto  dal  decreto  ("nuovo"
 perche',  nonostante  il nomen iuris di "bollettino", produce effetti
 assolutamente inediti) era dall'origine  -  appunto  -  destinato  ad
 operare   solo   per   il   passato,  senza  alcuna  possibilita'  di
 utilizzazione per il futuro.
   In questo modo si determina  una  pluralita'  di  violazioni  delle
 menzionate  previsioni  costituzionali.  Anzitutto, viene violato, in
 una con gli artt. 117  e  118  della  Costituzione  (che  definiscono
 l'ambito  di  attribuzioni delle Regioni) e con l'art. 41 (che impone
 il controllo e l'indirizzo della produzione privata a fini  sociali),
 l'art.  11  della  Costituzione,  atteso  che  la ricordata scansione
 temporale delle campagne di  produzione  del  latte  e'  fissata  dal
 Regolamento CEE n.  804/68. Disciplinare retroattivamente, a campagna
 da  tempo  conclusa,  le posizioni individuali dei singoli produttori
 significa  violare  la  lettera  e   lo   spirito   della   normativa
 comunitaria.  Questa,  infatti,  prevedendo una certa periodizzazione
 delle campagne di produzione  del  latte,  intende  far  si'  che  si
 realizzi   una  gestione  corretta  e  programmata  della  produzione
 lattiera  medesima,  che  deve  essere  calibrata  proprio  su  detta
 periodizzazione.  Sconvolgimenti  a  posteriori  della  disciplina di
 settore come quello determinato  dalle  disposizioni  impugnate  sono
 dunque   radicalmente   contrari   alla   normativa   comunitaria  (e
 conseguentemente all'ordine costituzionale dei rapporti fra  Stato  e
 Regioni, che quella normativa contribuisce a definire).
   E'  proprio  allo scopo di assicurare quella corretta e programmata
 gestione, del resto, che l'art. 4,  comma  secondo,  della  legge  n.
 468/1992  aveva  previsto  in  via  generale che i bollettini fossero
 pubblicati entro il 31 gennaio di ciascun  anno:  che  senso  avrebbe
 avuto  una  pubblicazione successiva alla conclusione della campagna,
 quando i produttori hanno gia' determinato i loro  obiettivi,  ovvero
 li   hanno   gia'  raggiunti?     Coerentemente,  invero,  la  stessa
 disposizione normativa prevedeva (e  prevede)  che  i  bollettini  da
 pubblicarsi  "entro  il  31 gennaio di ciascun anno" contenessero gli
 "elenchi  aggiornati  dei  produttori  titolari  di   quota   e   dei
 quantitativi  ad essi spettanti nel periodo avente inizio il 1 aprile
 successivo". Il bollettino aveva dunque (ed ha) la  (ovvia)  funzione
 di  determinare le quote spettanti per il futuro, non certo quella di
 riferirsi  a  quantitativi  relativi  al  passato.  Le   disposizioni
 impugnate   determinano   dunque  una  vera  e  propria  deroga  alla
 previsione  generale  della  legge  n.  468/1992,  ma  senza   alcuna
 giustificazione   razionale  e  in  spregio  della  stessa  normativa
 comunitaria.  Violati, parallelamente, sono, di  nuovo,  in  una  con
 l'art.  41  della Costituzione, gli artt. 117 e 118. Le Regioni, alle
 quali la stessa sentenza n. 520/1995 riconosce  un  ruolo  preminente
 nel   governo   del   settore   lattiero-caseario,   sono  totalmente
 spossessate delle  loro  attribuzioni  programmatorie  dagli  effetti
 retroattivi  dei  nuovi  bollettini,  che determinano conseguenze del
 tutto  incontrollabili  sia  per  i   produttori   che   per   l'Ente
 territoriale  preposto  -  come  detto  -  al governo del settore. Il
 paradosso di uno strumento concepito quale  mezzo  di  programmazione
 (il  bollettino)  che  si  trasfigura  in  mezzo  di registrazione di
 realta' pregresse (il nuovo  bollettino  creato  dai  commi  primo  e
 quattro  dell'art.   2) e' evidente. Ed e' un paradosso che determina
 una palese illegittimita' costituzionale, nella misura in cui da esso
 consegue la sottrazione alle Regioni di qualunque facolta' di governo
 e programmazione della produzione lattiera, che viene assunta come un
 dato, riferito al passato, e non come un  obettivo  proiettato  (come
 dovrebbe essere) nel futuro.  Cosi' stando le cose, si potrebbe anche
 osservare  che,  ove  all'impugna    to  decreto  fosse stata davvero
 sottesa   un'urgenza,   questa   non   avrebbe   potuto   che   stare
 nell'intenzione di determinare effetti retroattivi su di una campagna
 di produzione lattiera gia' da tempo conclusa:  proprio questa, e non
 altra,  e'  infatti  la  conseguenza  della  previsione normativa qui
 censurata. Cio', pero', in aperta  violazione  della  Costituzione  e
 delle   norme   interposte   che   ne  integrano  le  previsioni  (in
 particolare, del menzionato Regolamento CEE n. 804/68 e  della  legge
 n.  468/1992),  perche'  -  come  si  e'  rilevato  -  la  disciplina
 retroattiva  della  campagna  1995-1996  ha  leso   le   attribuzioni
 regionali e violato i precetti comunitari. Se urgenza davvero vi era,
 dunque,  era  un'urgenza  incostituzionale,  eppercio' non assumibile
 quale legittimo fondamento dell'uso  di  un  potere  di  decretazione
 d'urgenza. Tanto, ad ulteriore conferma delle censure gia' formulate,
 in  riferimento  agli  artt.  77,  117  e  118,  al punto n. 2.1. del
 presente ricorso.
   3.2. - Violazione degli artt. 3, 24 e 113  della  Costituzione,  in
 riferimento agli artt. 117 e 118 della Costituzione.
   L'art.  2,  comma  terzo,  del decreto-legge impugnato definisce un
 discutibile - sotto tutti i profili - regime di ricorsi.
   Le sue lacune e piu' ancora i suoi sviamenti di potere  legislativo
 sono  molteplici  e  gravissimi,  proprio  per  i  loro effetti sulle
 prerogative regionali.
   Si considerino infatti le seguenti anomalie:
     il  dies  a  quo  dei  ricorsi  amministrativi  in  oposizione da
 proporre all'AIMA e' incerto, non essendo chiaro se la  pubblicazione
 menzionata  nel  comma  terzo  dell'art.  2  sia  la  diffusione  del
 bollettino a cura della Regione (la conoscenza  degli  operatori  non
 puo' certo avere luogo nello stesso giorno) o la riproduzione di esso
 in Bollettino ufficiale della Regione;
     il  termine  assegnato  e'  brevissimo,  ben  piu'  di quanto non
 contempli la revisione dei rimedi amministrativi operata  con  d.P.R.
 n. 1199/l971;
     il  ricorso  giurisdizionale sembra essere possibile, sia in caso
 di silenzio-rigetto da parte dell'AIMA che  di  reiezione  esplicita,
 solo dopo la pronuncia sul ricorso amministrativo in opposizione, con
 il  risultato  che si tenta di operare una restrizione neppure troppo
 occulta della  tutela  giurisdizionale,  in  spregio  non  solo  alle
 disposizioni  costituzionali  citate  in  epigrafe,  ma  altresi'  ai
 principi della riforma del processo amministrativo operata con  legge
 n.   1024/1971.    E'  chiaro  trattarsi  di  misura  sostanzialmente
 ritorsiva a seguito delle massicce soccombenze giudiziali subite  sin
 qui  da  AIMA, EIMA e MIRAAF avanti i giudici amministrativi di primo
 grado come di appello, sia in sede cautelare che di merito. In  altri
 termini,    sembra   reintrodotto   il   superato   principio   della
 definitivita'    dell'atto    amministrativo    quale     presupposto
 dell'impugnazione giurisdizionale;
     la   sospensione  per  circa  un  anno  della  autocertificazione
 prevista dall'art.  2-bis  della  legge  n.  46/1995  (comma  secondo
 dell'art.  2)  esclude che la proposizione del ricorso in opposizione
 possa consentire pur provvisoriamente  la  percezione  da  parte  dei
 produttori   del   compenso  corrisposto  dagli  acquirenti  pur  con
 riferimento - si badi - alla  campagna  gia'  conclusa,  sicche'  chi
 vanta  crediti per consegne operate legittimamente in tempi in cui la
 disciplina retroattiva sfavorevole non  era  vigente  non  ha  alcuna
 speranza  di  riscuoterli,  nonostante  la  proposizione  del rimedio
 amministrativo;
     infine, poiche' gli accertamenti  da  effettuare  a  seguito  dei
 ricorsi  in  opposizione e dei ricorsi giurisdizionali amministrativi
 richiederanno tempi medio-lunghi, le compensazioni previste dall'art.
 3 dello stesso decreto impugnato non potranno essere  effettuate  nei
 tempi stabiliti dal comma secondo. Gli operatori si troveranno dunque
 nell'alternativa,  distruttiva  dei  loro  diritti  di difesa, di non
 impugnare per incassare le compensazioni, anche in presenza di errori
 o abusi, o di impugnare, correndo il  rischio  di  restare  privi  di
 incassi  per  mesi  o  per  anni, pur con riferimento a consegne gia'
 eseguite nella campagna conclusa.  Le gravi  disfunzioni  processuali
 sopra  sommariamente  descritte  non  potranno  non  trasformarsi  in
 elementi di ulteriore  lesivita'  per  le  Regioni  della  disciplina
 contestata; queste ultime, gia' private ancora una volta di qualunque
 potere  di  intervento,  pur  solo  consultivo, sui tagli da operare,
 dovranno cosi' subire anche l'onta della impossibilita'  virtuale  di
 governare sul piano programmatorio un comparto della politica agraria
 che  non  potra'  non  venire  percorso  da un contenzioso capillare,
 diffuso e squassante.
   4.1.  -  Violazione degli artt. 11, 5, 117 e 118 della Costituzione
 sotto il profilo della  contrarieta'  a  norme  comunitarie  e  della
 invasione  della  sfera  di  competenza  legislativa e amministrativa
 regionale.   Il  decreto  impugnato,  non  introducendo  alcun  nuovo
 criterio  per il riparto dei tagli alla sovrapproduzione nazionale di
 latte, non puo' non sottendere il richiamo alla disciplina  contenuta
 nell'art.    2 della legge n. 46/1995, pur calandola in uno strumento
 amministrativo (il "nuovo" bollettino) dotato - come si e' detto - di
 una forza  assolutamente  peculiare.  Ne  deriva  che  devono  essere
 riproposte  (come gia' si e' fatto in occasione dell'impugnazione del
 decerto-legge n. 124/1996 e del decreto-legge n. 260/1996) in  questa
 nuova  ottica  censure  a  suo  tempo formulate contro l'art. 2 della
 legge n. 46/1995, e ora  rilegittimate  e  dotate  di  nuovo  vigore,
 nonostante   la   decisione   520/1995,   anche   alla   luce   della
 retroattivita' contestata sub 2.
   La Regione ricorrente non ha adottato, dopo il 12 marzo 1995,  data
 di  entrata  in  vigore  del Regolamento CEE 797/1985, che insieme al
 successivo   2328/1991   disciplina   i   piani   disviluppo   e   di
 miglioramento,  alcun piano contenente previsioni di incremento della
 produzione lattiero-casearia. Tale correttezza di comportamento viene
 cosi' penalizzata, e al contrario l'illecito comunitario commesso  da
 altre Regioni viene premiato, anziche' sanzionato.
   Si violano cosi' l'art. 11 della Costituzione, e gli artt. 5, 117 e
 118,  sotto  il profilo della competenza legislativa e amministrativa
 regionale, a suo tempo correttamente esercitata  nel  rispetto  degli
 obblighi   comunitari  e  ora  penalizzata  sia  per  il  futuro  che
 retroattivamente  per  il  passato  dal  premio  accordato  ad  altre
 Regioni, gia' responsabili di illecito comunitario nella approvazione
 di  piani  in  aumento.  Si intende documentare specificamente che il
 Ministero dell'ricoltura  a  suo  tempo  richiamo'  espressamente  le
 Regioni,  e  in  specie  la  ricorrente,  al  rispetto del divieto di
 approvazione di  piani  in  aumento.  Sicche'  ora  il  comportamento
 dell'Esecutivo non si limita a tenere conto di uno stato di fatto, ma
 legalizza  con  un nuovo illecito comunitario un precedente illecito,
 dandogli dignita' di presupposto fattuale da cui trarre le mosse. Ne'
 l'aspettativa della Regione  ricorrente  e  dei  suoi  produttori  al
 rispetto della legalita' da parte di tutti i soggetti coinvolti nella
 disciplina   di   settore   puo'  venire  prospettata  come  generico
 affidamento travolgibile, per giunta in via di  urgenza  e  in  forma
 retroattiva.
   4.2.  -  Violazione  degli  artt.  3  e  41  della Costituzione, in
 riferimento  agli  artt.   5,   117   e   118   della   Costituzione.
 L'illegittimita'    costituzionale    prospettata   sub   4.1.   puo'
 configurarsi anche  come  violazione  degli  artt.  3  e  41  per  la
 discriminatoria  quanto ingiustificata penalizzazione degli operatori
 agricoli del settore lattiero-caseario della Regione ricorrente,  non
 fondata  su  alcun  ragionevole  parametro  classificatorio,  ed anzi
 imperniata su di un parametro  espressamente  vietato  e  configurato
 come  un  disvalore  dalla  normativa  comunitaria. La compressione o
 peggio la soppressione della attivita' produttiva pregiudica non solo
 gli stessi operatori  colpiti,  ma  anche,  e  non  di  riflesso,  la
 effettivita'  della  funzione legislativa e amministrativa regionale,
 vanificata nella sua sostanza.
   4.3.  -  Violazione  degli  artt.  5, 117 e 118 della Costituzione,
 anche con riferimento all'art.  2,  comma  settimo,  della  legge  n.
 468/1992.  Violazione del principio di leale collaborazione tra Stato
 e  Regioni.    Nella  decisione  520/1995, piu' volte citata, codesta
 ecc.ma Corte ha ritenuto non incostituzionale la  mancata  previsione
 nella legge n. 46/1995 del necessario coinvolgimento della Conferenza
 Stato-Regioni,   atteso   che  essa  va  coinvolta  soltanto  per  la
 determinazione  degli  indirizzi  generali  della   legislazione   da
 adottare.  La  Corte  ha pero' dichiarato incostituzionale la mancata
 previsione "di qualsivoglia partecipazione regionale al  procedimento
 di   riduzione  delle  quote  individuali",  anche  alla  luce  della
 precedente  diretta  preposizione  delle  Regioni  stesse,  ad  opera
 dell'art.  2,  comma secondo, della legge n. 468/1992, alla procedura
 di riduzione. In altre parole, la Corte ha ritenuto che  la  presenza
 regionale    dovesse   essere   garantita   non   tanto   "a   monte"
 dell'intervento legislativo, giacche' la consultazione e'  prescritta
 solo sui lineamenti generali e non sui singoli testi di legge, quanto
 piuttosto   -  e  imprescindibilmente  -  "a  valle"  dell'intervento
 legislativo, una volta che  debba  darglisi  attuazione  mediante  la
 adozione  del  bollettino che poi le regioni sono tenute a divulgare.
 Orbene, la statuizione della  Corte  ha  bensi'  avuto  l'effetto  di
 introdurre additivamente nell'art. 2 della legge n. 46/1995 il parere
 regionale  non  originariamente inclusovi dal legislatore statale, Ma
 tale inserimento valeva per il procedimento ordinario  di  produzione
 del  bollettino. Nel caso di specie, invece, il decreto n. 124/1996 e
 poi il decreto n. 260 ed oggi il  decreto-legge  n.  353/1996,  hanno
 previsto  la adozione di un bollettino unico nel suo genere, dotato -
 come si e' detto - di una forza speciale (essendo  conclusivo  per  i
 produttori   e   definitivo   per   gli   acquirenti)  e  addirittura
 assoggettato ad una tutela rafforzata contro impugnative dei soggetti
 da esso pregiudicati.  Come gia' rilevato, rispetto a tale specie  di
 bollettino,  ridisciplina    to  nel procedimento, nella forza, negli
 effetti, nella tutela,  il  legislatore  governativo  avrebbe  dunque
 dovuto  prevedere, secondo il facilmente comprensibile precetto della
 Corte, l'intervento partecipativo regionale  in  vista  dell'adozione
 del  bollettino,  cioe'  appunto  a  valle  del decreto-legge, ma per
 effetto delle previsioni da contenersi in esso, in vista del  riparto
 dei tagli da praticare.
   Viceversa,  il  legislatore,  ricadendo  nel  suo  comportamento di
 sempre, non ha previsto alcun individualizzato  intervento  regionale
 in  tale  fase. Gia' in riferimento ai decreti-legge n. 124/1996 e n.
 260/1996, precedentemente impugnati, a  tale  titolo  non  valeva  la
 seduta  del Comitato permanente per le politiche agricole, alimentari
 e forestali del 15 febbraio 1995, in cui il Ministro ha semplicemente
 preannunciato il ricorso ad un nuovo decreto-legge, il cui testo  era
 predisposto  in versione diversa da quella poi emanata, senza fornire
 alcuna indicazione sulle operazioni da porre concretamente in essere.
 Con  cio'  il  Ministro  non  solo  non  ha  adempiuto  all'onere  di
 informazione   della  Conferenza  Stato-Regioni  circa  i  lineamenti
 generali della politica legislativa, ma comunque non  ha  soddisfatto
 le prescrizioni della Corte quanto al procedimento di riduzione.
   Il che e' fattualmente confermato dalla avvenuta predisposizione di
 un  bollettino,  durante  la  elaborazione del quale le Regione, e in
 specie la ricorrente e le altre interessate dai tagli, non sono state
 consultate ad alcun titolo.    Ne'  -  si  ribadisce  -  tale  parere
 indivuale  avrebbe  potuto  essere surrogato da sedi di consultazione
 collegiale quali il  Comitato  permanente  (v.  a  tal  proposito  il
 verbale  della  seduta del 25 gennaio 1995 dal quale si evince che il
 parere e' stato  reso,  con  l'astensione  oltretutto  dell'Assessore
 della  Regione  Lombardia,  piu'  con riferimento al decreto-legge da
 adottarsi (ancorche' poi adottato in ben diversa stesura), che non ai
 criteri per la riduzione delle quote. In riferimento al decreto-legge
 n. 260/1996, il Governo non ha  proceduto  neppure  all'adozione  del
 menzionato  -  e censurato - procedimento.  Ora, nel decreto-legge n.
 353/l996, la previsione la cui assenza era a suo tempo lamentata  nei
 primi ricorsi avverso il decreto-legge n. 124/l996 e il decreto-legge
 n.  260/1996,  e'  comparsa, tardivamente quanto inefficacemente, nel
 decreto-legge ora impugnato. Tardivamente, perche' il termine per  il
 bollettino  e'  scaduto  ed  esso, pur in ritardo ulteriore, e' stato
 effettivamente pubblicato, senza che il  parere  prescritto  ora  per
 allora  sia  stato  esperito; inefficacemente perche' non si vede che
 effetto la previsione possa produrre,  data  la  tardivita'  di  essa
 rispetto  al  bollettino.  Salvo  che  il legislatore governativo non
 abbia l'ingenuita' (o la cattiva coscienza) di ritenere che il parere
 possa essere espresso ora per allora in funzione di sanatoria, che  a
 livello  di procedimenti costituzionalmente disciplinati non dovrebbe
 essere ammissibile.
   5. - Violazione degli  artt.  3,  97,  11,  41,  117  e  118  della
 Costituzione.    Quanto  all'art.  3,  il  decreto-legge  n. 353/1996
 contempla, al terzo comma, limitatamente alla stagione 1995-1996 gia'
 conclusa, il versamento del prelievo supplementare dovuto, sulla base
 di elenchi redatti dall'AIMA a seguito della compensazione nazionale.
 Si conferma cioe' un doppio livello di  compensazione,  in  quanto  a
 quello  sulla  base  provinciale  gestito  dalle  APL  si affianca, o
 piuttosto si sovrappone, quello nazionale.   In tal  modo,  i  guasti
 prodotti dalle quote e dai loro meccanismi attuativi, a seguito della
 legge n. 46/1995, vengono aggravati.  I produttori lombardi, infatti,
 gia'  penalizzati  dal  legislatore  nazionale  per  le  modalita' di
 riparto  dei  tagli  della   produzione   giudicate   proceduralmente
 scorrette  da  codesta  ecc.ma  Corte  nella sentenza n. 520/1995, si
 ritroveranno in una condizione di molto minore (se  non  inesistente)
 probabilita', rispetto a quelli di altre Regioni avvantaggiate o meno
 penalizzate,  di operare una pur limitata compensazione relativa alla
 quota B (ridotta a seguito della legge n. 46/1995),  a  vantaggio  di
 altre  Regioni  in  cui,  pur  avendo i relativi produttori superato,
 spesso di gran lunga, la  somma  delle  quote  A  e  B  senza  subire
 peraltro  alcuna  riduzione  per  effetto  della  legge n. 46/1995, i
 margini di compensazione sono molto piu' elevati.  Col risultato  che
 la  irragionevole disparita' di trattamento tra Regioni e tra singoli
 produttori si aggrava: la casuale appartenenza alla  associazione  di
 una  zona produttiva ha effetti sulla compensazione, a prescindere da
 ogni ragionevole correlazione con  l'effettiva  differenza,  su  base
 individuale  e/o  regionale,  tra  quota assegnata in base alle norme
 comunitarie e eccedenza prodotta. Con il che, identici  comportamenti
 produttivi  degli  operatori  e  comportamenti  amministrativi  delle
 Regioni (all'atto  della  approvazione  di  piani  in  aumento)  sono
 trattati diversamente in modo casuale o addirittura penalizzante.  Di
 qui,  oltre  che  la  violazione  degli  artt. 3 e 97, la lesione dei
 principi   del  diritto  comunitario  e  della  sfera  di  competenze
 legislative e amministrative regionali.
   Si aggiunga che, anche sotto questo profilo, la  retroattivita'  di
 una  disciplina  che  interviene  ad  anno di riferimento concluso ha
 effetti abnormi e aggrava la gia' patente irragionevolezza.    L'art.
 3, comma quinto, sempre nella stessa ottica e incorrendo nelle stesse
 illegittimita',  introduce  infine  una  redistribuzione  di quote, a
 titolo oneroso, secondo priorita' penalizzanti per la Lombardia e per
 i suoi produttori. Con il risultato dell'ulteriore aggravamento degli
 squilibri descritti.
                                P. Q. M.
   Si chiede che la ecc.ma Corte voglia, in accoglimento del  presente
 ricorso, dichiarare l'illegittimita' costituzionale del decreto-legge
 8  luglio  1996,  n.  353, "Interventi urgenti nei settori agricoli e
 fermo biologico della pesca per  il  1996",  con  riguardo  ai  commi
 primo, secondo, terzo e quarto dell'art. 2 e ai commi primo, secondo,
 terzo, quarto e quinto dell'art. 3.
     Milano-Roma, addi' 29 luglio 1996
    Avv. prof. Giuseppe Franco Ferrari - Avv. prof. Massimo Luciani
 96C1318