N. 906 ORDINANZA (Atto di promovimento) 2 aprile 1996
N. 906 Ordinanza emessa il 2 aprile 1996 dal tribunale di Sant'Angelo dei Lombardi nel procedimento civile vertente tra Ceres Ernesta e il comune di Caposele Espropriazione per pubblica utilita' - Criterio per la determinazione delle indennita' espropriative per la realizzazione di opere da parte o per conto dello Stato o di altri enti pubblici (media tra il valore dei terreni ed il reddito dominicale rivalutato, con la riduzione dell'importo cosi' determinato del quaranta per cento) - Estensione di detto criterio di valutazione anche alla misura dei risarcimenti dovuti in conseguenza di illegittime occupazioni acquisitive - Ingiustificata deroga al principio civilistico dell'integrale risarcimento del danno da parte dell'autore dell'illecito - Irrazionale e ingiustificata equiparazione delle espropriazioni regolari e delle ablazioni sine titulo - Incidenza sui principi di imparzialita' e buon andamento della p.a. (Legge 28 dicembre 1995, n. 549, art. 1, sessantacinquesimo comma). (Cost., artt. 3, 42, terzo comma, e 97).(GU n.39 del 25-9-1996 )
IL TRIBUNALE Ha emesso la seguente ordinanza nella causa civile iscritta al n. 259 del ruolo generale contenzioso dell'anno 1994, passata in decisione all'udienza collegiale del 19 marzo 1996 a relazione del g.i. dott. Silvia Albano, avente ad oggetto. risarcimento danni, vertente tra Ceres Ernesta, nata il 23 marzo 1936 in Caposele, elettivamente domiciliata in S. Angelo dei Lombardi, via Sepe, presso lo studio dell'avv. Giuseppe Trimonti, che la rappresenta e difendono giusta mandato a margine dell'atto di citazione, attrice, e il comune di Caposele, in persona del sindaco pro-tempore, convenuto contumace. Svolgimento del processo Con atto di citazione notificato l'11 marzo 1994, Ceres Ernesta conveniva in giudizio il comune di Caposele, in persona del sindaco pro-tempore, esponendo: che era proprietaria di un suolo sito in c.da Piani di Caposele, in catasto al fl. 10, p.lle 212 e 267; che detto suolo era stato occupato dal comune convenuto, per una estensione di mq. 6.000, con decreto sindacale 20 febbraio 1987, ai fini della realizzazione del piano di zona "Piani", per la durata di anni cinque; che in data 30 agosto 1993, e cioe' a termini spirati, l'occupazione e' stata prorogata con decreto sindacale sino al 20 febbraio 1994; che, nonostante sia scaduto anche tale termine, il comune non ha proceduto a disporre l'esproprio; che il comune non ha corrisposto nemmeno l'indennita' di occupazione; che, stante l'illegittima occupazione e l'irreversibile trasformazione, era maturato il diritto al risarcimento dei danni e cioe' il prezzo di mercato del terreno al momento della sentenza, oltre rivalutazione ed interessi. Concludeva chiedendo la condanna, ritenuta abusiva l'occupazione di cui in premessa, al risarcimento delle voci di danno come innanzi indicate, al pagamento delle spese di lite, con sentenza provvisoriamente esecutiva. Il comune di Caposele rimaneva contumace e, disposta ed espletata consulenza tecnica d'ufficio, precisate le conclusioni, la causa veniva rimessa al collegio che, all'udienza del 19 marzo 1996, la riteneva in decisione. Motivi della decisione Rileva il tribunale che nelle more del presente giudizio, in virtu' della modifica apportata dall'art. 1, comma 65, della legge 28 dicembre 1995 n. 549 ("Misure di razionalizzazione della finanza pubblica" entrata in vigore dal 1 gennaio 1996 come previsto dall'art. 244), e' stata estesa l'applicazione del criterio legale di determinazione delle indennita' espropriative di cui all'art. 5-bis del d.-l. n. 333/1992 convertito con modificazioni nella legge n. 359/1992 anche alla misura dei risarcimenti dovuti in conseguenza di illegittime occupazioni acquisitive. Com'e' noto, l'art. 5-bis citato nel testo previgente disponeva, tra l'altro (comma n. 1) che, fino all'approvazione di "una organica disciplina per tutte le espropriazioni" preordinate alla realizzazione di opere di pubblica utilita', la misura delle indennita' espropriative sarebbe stata determinata con il criterio di cui all'art. 13/III della legge n. 2892 del 1895, sostituendo in ogni caso ai fitti coacervati dell'ultimo decennio il reddito dominicale rivalutato di cui all'art. 24 e segg. del testo unico 22 dicembre 1986 n. 917 (in pratica operando la media aritmetica tra il valore venale del suolo e la rendita catastale rivalutata degli ultimi dieci anni), riducendo poi l'importo ottenuto del 40% (salvi i casi di cessione volontaria e quelli equiparati, a seguito della sent. n. 283/1993 della Corte costituzionale). Il sesto comma dell'articolo citato escludeva dall'applicazione dei criteri indennitari sopra indicati solo i casi in cui l'indennita' fosse stata accettata dalle parti o fosse divenuta non impugnabile con sentenza passata in giudicato alla data di entrata in vigore della legge di conversione del decreto-legge n. 333/1992 (in pratica dall'8 agosto 1992). L'art. 1 comma 65 della legge n. 549/1995 ha sostituito integralmente tale ultimo comma, nei termini testuali seguenti: "Le disposizioni di cui al presente articolo si applicano in tutti i casi in cui non sono stati ancora determinati in via definitiva il prezzo, l'entita' dell'indennizzo e/o del risarcimento del danno, alla data di conversione del presente decreto". Che il risarcimento dei danni di cui al nuovo disposto normativo sia quello relativo alla perdita della proprieta', nei casi di "occupazione acquisitiva" o "accessione invertita" non e' seriamente contestabile, tenuto conto dell'abbinamento congiuntivo e disgiuntivo, nella previsione, all'indennita' di espropriazione e considerato che, nella materia de qua, il solo altro risarcimento ipotizzabile e' quello da occupazione temporanea illegittima, per la determinazione del quale e' del tutto inconcepibile il ricorso ai criteri determinativi sopra menzionati (in cui uno dei valori da mediare e' dato dal valore cd. "pieno" del suolo). Evidente e', dunque, l'intenzione del legislatore il quale, per palesi esigenze di contenimento della spesa pubblica, ha ritenuto di equiparare del tutto, sul piano patrimoniale, alle conseguenze derivanti dalle espropriazioni legittime, quelle derivanti da illegittime ablazioni "di fatto", poste in essere dalla p.a. o dai soggetti per conto della stessa operanti, facendo salve solo (come gia' avvenuto nel 1992) le determinazioni divenute inoppugnabili in sede amministrativa o per effetto di un giudicato. Prescindendo da ogni considerazione, non rilevante nella fattispecie, in ordine ai dubbi di applicabilita' intertemporale (nel periodo compreso tra l'8 agosto 1992 e il 1 gennaio 1996) dell'ultima disposizione, e' certo che nella vertenza in esame, essendo ancora, tra l'altro, controverso l'importo del risarcimento dovuto all'attrice in conseguenza della subita "occupazione acquisitiva" (la cui verificazione, peraltro, e' pacifica mancando il decreto di esproprio ed essendo avvenuta la trasformazione irreversibile del suolo), non si e' ancora formato un "giudicato" in ordine all'"entita'" di tale spettanza e, pertanto, occorre applicare necessariamente il jus superveniens alla principale delle questioni, di carattere sostanziale, dibattuta tra le parti. Da quanto sopra considerato discende la rilevanza ai fini del presente giudizio, come richiesto dall'art. 23, comma secondo, della legge 11 marzo 1953 n. 86, della questione di costituzionalita' dell'art. 1, comma 65, legge n. 549/1995. Tanto premesso, osserva il tribunale che tale questione si configura, in relazione agli artt. 3, 42 e 97 della Costituzione, non palesemente infondata. L'operata parificazione tra le conseguenze patrimoniali delle ablazioni lecite e di quelle illecite si risolve, infatti, in una irrazionale e non adeguatamente giustificata attenuazione, se non elusione, del principio di legalita' delle espropriazioni, poste a garanzia del diritto di proprieta' privata che, come ripetutamente affermato dalla giurisprudenza della S.C. e dalla Corte cost., puo' essere sacrificato previo indennizzo, in vista delle esigenze della collettivita' ed in considerazione della sua funzione sociale, ma nei casi previsti dalla legge e nel rispetto delle rigorose forme dei procedimenti amministrativi finalizzati alla espropriazione. I seri dubbi di legittimita' costituzionale, in relazione al principio di uguaglianza di cui all'art. 3 si pongono sotto un duplice profilo: 1) per l'ingiustificata discriminazione, rispetto ad altre categorie di soggetti passivi di atti illeciti, dei titolari dei diritti di proprieta' immobiliare illegittimamente acquisiti dalla p.a. o da chi, per essa, si sia avvalso dell'istituto dell'occupazione acquisitiva, in quanto nei confronti ed a discapito dei predetti la norma introdotta dall'art. 1, comma 65, legge n. 549/1995 introduce una vistosa deroga ad uno dei principi basilari dell'ordinamento civilistico, a termini del quale chi abbia, per effetto della violazione della fondamentale regola di convivenza sociale del neminem laedere, subito un danno, ossia una decurtazione del proprio patrimonio, ha diritto all'integrale ricostruzione dello stesso a carico dell'autore dell'illecito, soggetto pubblico o privato che sia (art. 2043 c.c.); 2) per l'irrazionale, ingiustificata e totale parificazione, agli effetti patrimoniali, delle conseguenze delle espropriazioni svoltesi nel rispetto delle regole ad esse preordinate e di quelle delle ablazioni "di fatto", verificatesi in conseguenza della mancata osservanza delle regole medesime. Tale parificazione non puo' trovare adeguata giustificazione nelle palesi esigenze di contenimento della spesa pubblica, che hanno indotto il legislatore ad introdurre la censurata disposizione, essendo altri i mezzi e le regole preordinate al corretto prelievo finanziario (v. art. 23 e 53 Cost.), e non anche il sostanziale avallo dell'illecito posto in essere dalla p.a., nel quale si risolve l'operata eliminazione di ogni conseguenza patrimoniale sfavorevole per la stessa, in dipendenza della mancata osservanza del procedimento espropriativo, con il conseguente venir meno della principale remora al compimento di atti illegittimi. Ne', considerando le due diverse situazioni, di ablazioni lecite ed illecite, dal punto di vista dei soggetti passivi, puo' ritenersene la sostanziale equivalenza. Se e' vero, infatti, che i sacrifici, in termini di diritti dominicali, sono materialmente analoghi, deve pero' osservarsi che non sono uguali le rispettive situazioni, considerate sotto diversi aspetti, tra i quali vanno particolarmente segnalati: a) la possibilita', solo ove il procedimento occupativo-espropriativo si svolga secondo le regole, di controllarne l'iter e, se del caso, di intervenire nel corso dello stesso, quali portatori di interessi legittimi correlati al compimento dei vari atti procedimentali, nelle competenti sedi amministrative e giurisdizionali; b) il regime della prescrizione estintiva, che e' piu' favorevole per detti soggetti, nelle ipotesi di legittima espropriazione, in quanto il diritto alle indennita' si estingue nel termine ordinario decennale di cui all'art. 2946 c.c., mentre nel caso di "accessione invertita" conseguente ad illegittima occupazione il termine prescrizionale applicabile al diritto al risarcimento del danno e' quello quinquennale di cui all'art. 2947 c.c. Conseguenziali alle suesposte considerazioni si pongono i forti dubbi di legittimita' in relazione all'art. 42/III Cost., considerato che l'operata parificazione agli effetti patrimoniali vanifica in tutto o in gran parte il principio di legalita' delle espropriazioni, posto a presidio della proprieta' privata, se e' vero che, anche nel caso "patologico" di violazione della legge, la p.a. puo' acquisire il diritto anzidetto contraendo nei confronti degli ex titolari dello stesso obbligazioni quantitativamente identiche a quelle, nella previgente disciplina piu' contenute, che avrebbe contratto nell'ipotesi "fisiologica" di osservanza della legge stessa. Ne' si puo' ritenere che il legislatore abbia inteso introdurre il nuovo istituto delle "espropriazioni di fatto", da porsi accanto alla procedura espropriativa rituale e legittima; invero l'espresso riferimento al risarcimento del danno, contenuto nella norma in questione, esclude chiaramente tale ipotesi, ed, anzi, si configura come una chiara conferma del carattere illecito dell'"occupazione acquisitiva". L'art. 1, comma 65, legge n. 549/1995 appare, altresi', in contrasto con il disposto dell'art. 97, comma primo, Cost., secondo cui i pubblici uffici sono organizzati secondo disposizioni di legge, in modo che siano assicurati il buon andamento e l'imparzialita' dell'amministrazione. Tale norma postula che la realizzazione dei compiti assegnati all'amministrazione non deve andare disgiunta dal rispetto della giustizia sostanziale, che s'impone sia nel confrontare gli interessi dei singoli con quelli dell'amministrazione, sia nel confrontare tra loro gli interessi dei vari soggetti estranei all'amministrazione inseriti nell'azione di questa. Ora, il detto art. 1, nel prevedere che enti pubblici debbono procedere al risarcimento dei danni applicando i criteri relativi alla determinazione dell'indennita' espropriativa, ha introdotto una regola dell'azione amministrativa che non garantisce, certo, il principio d'uguaglianza tra i "soggetti passivi" delle "espropriazioni di fatto", e i "soggetti passi" di qualunque altro illecito aquiliano posto in essere dalla p.a., tra i quali, come detto, emerge una chiara e non razionale diversita' di trattamento. Giova, a questo punto, precisare che il Collegio non ignora che l'istituto dell'occupazione acquisitiva ha recentemente superato indenne il vaglio di legittimita' da parte della Corte costituzionale (v. sent. n. 188 del 17/23 maggio 1995). Ma la questione oggi si pone in termini diversi rispetto a quelli a suo tempo rimessi a detta Corte (che pur ebbe a puntualizzare le piu' significative differenze, caratterizzate e giustificate, sul piano della legittimita' costituzionale, anche e soprattutto dalle diverse conseguenze patrimoniali delle due forme di ablazione), considerato che, all'epoca mancava un riconoscimento legislativo espresso, sia pure in forma indiretta, dell'occupazione acquisitiva e che le conseguenze patrimoniali dei due istituti erano nettamente diverse (ristoro parziale, in considerazione della funzione sociale della proprieta' e delle garanzie di legge, nel caso dell'indennizzo espropriativo, e reintegrazione piena della decurtazione patrimoniale subita dal soggetto passivo, nel caso di risarcimento da illegittima acquisizione). Il processo va, pertanto ed ai sensi dell'art. 23 legge 11 marzo 1953 n. 87, sospeso e gli atti rimessi, previ adempimenti di rito in dispositivo indicati, alla Corte costituzionale, per il giudizio di sua competenza, a termini degli artt. 134 e ss. Cost.
P. Q. M. Il tribunale dichiara rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 1, comma 65, legge n. 549/1995, nella parte in cui prevede che "le disposizioni di cui al presente articolo si applicano in tutti i casi in cui non sia stato determinato in via definitiva l'entita' del risarcimento del danno, alla data di conversione del presente decreto" in riferimento agli artt. 3, 42, comma terzo, e 97, comma primo della Costituzione; Dispone la sospensione del giudizio in corso e la trasmissione degli atti alla Corte costituzionale; Dispone che la presente ordinanza sia, a cura della cancelleria, notificata al pubblico ministero, alle parti ed alla Presidenza del Consiglio dei Ministri, nonche' comunicata ai Presidenti della Camera dei deputati e del Senato. Cosi' deciso in S. Angelo dei Lombardi il 2 aprile 1996. Il presidente: Chiarotti Il giudice estensore: Albano 96C1322