N. 919 ORDINANZA (Atto di promovimento) 17 aprile 1996

                                N. 919
  Ordinanza  emessa il 17 aprile 1996 dal giudice istruttore presso il
 tribunale di Cosenza nel procedimento civile vertente  tra  Madrigano
 Mario e il comune di Mendicino
 Espropriazione  per pubblica utilta' - Criterio per la determinazione
    delle indennita' espropriative per la realizzazione  di  opere  da
    parte  o per conto dello Stato o di altri enti pubblici (media tra
    il valore dei terreni ed il reddito dominicale rivalutato, con  la
    riduzione dell'importo cosi' determinato del quaranta per cento) -
    Estensione  di detto criterio di valutazione anche alla misura dei
    risarcimenti dovuti  in  conseguenza  di  illegittime  occupazioni
    acquisitive  -  Ingiustificata  deroga  al  principio  civilistico
    dell'integrale  risarcimento  del  danno  da   parte   dell'autore
    dell'illecito  -  Irrazionale e ingiustificata equiparazione delle
    espropriazioni regolari e delle ablazioni sine titulo -  Incidenza
    sui  principi di imparzialita' e buon andamento della p.a. e della
    responsabilita' dei pubblici  dipendenti  e  funzionari  per  atti
    illeciti o illegittimi.
 (Legge 28 dicembre 1995, n. 549, art. 1, sessantacinquesimo comma).
 (Cost., artt. 3, 28, 42 e 97).
(GU n.39 del 25-9-1996 )
                         IL GIUDICE ISTRUTTORE
   Ha  pronunciato  la  seguente  ordinanza sciogliendo la riserva che
 precede in relazione al procedimento civile n. 1268/1995.
                           Premesso in fatto
     che l'attore con atto di citazione del 18 luglio 1995,  assumendo
 che  il  comune convenuto aveva illegittimamente occupato un fondo di
 sua  proprieta'  per  la  realizzazione  di  un'opera  pubblica,   lo
 conveniva  in  giudizio  per  conseguire  il  risarcimento  del danno
 derivante dalla perdita della proprieta' medesima;
     che l'ente convenuto, costituendosi  in  giudizio,  chiedeva  che
 l'indennizzo  dovuto all'attore venisse determinato secondo i criteri
 stabiliti dall'art. 65 della  legge  28  dicembre  1995  n.  549  che
 estende  l'applicazione  dell'art.  5-bis del d.-l. 11 luglio 1992 n.
 333 (convertito con legge dell'8 agosto 1992 n. 359) a "tutti i  casi
 in cui non sono stati ancora determinati in via definitiva il prezzo,
 l'indennizzo  e/o  il risarcimento del danno, alla data di entrata in
 vigore della legge di conversione del presente decreto";
     che all'udienza del  12  aprile  1996  questo  giudice  sollevava
 d'ufficio  questione  di  costituzionalita'  della predetta norma per
 violazione degli artt. 42 terzo comma, 97 e 28 Cost.
                          Premesso in diritto
     che  l'istituto  dell'espropriazione  formale  e   quello   della
 occupazione appropriativa si fondano su presupposti diversi;
     che, in particolare, l'occupazione appropriativa si atteggia come
 una    fattispecie    unitaria,    comprensiva   dei   due   elementi
 dell'occupazione abusiva e  della  costruzione  dell'opera  pubblica,
 interamente   qualificata   dall'illecito   della   p.a.   (Cass.  n.
 1993/9826). L'apprensione illegittima del  suolo  del  privato  e  la
 realizzazione  su di esso di un'opera da parte della p.a. determinano
 un danno nella sfera giuridica del privato, il quale  non  puo'  piu'
 ottenere  la  restituzione  del  bene  illegittimamente  occupato per
 effetto della costruzione dell'opera pubblica, la  quale  attribuisce
 al  bene  originariamente  di proprieta' del privato natura pubblica,
 cui consegue necessariamente  l'effetto  dell'acquisto  dell'immobile
 alla  mano  pubblica.  A  fronte  del  danno subito per l'impossibile
 restituzione del bene, il privato puo' agire in via risarcitoria  per
 il conseguimento del valore del bene perduto.
   Il    punto    di    arrivo   dell'elaborazione   giurisprudenziale
 dell'istituto della occupazione appropriativa e' rappresentato  dalla
 decisione della Suprema Corte a sezioni unite del 25 novembre 1992 n.
 12546  che (concentrando nell'area della illiceita' tutto lo sviluppo
 dell'azione amministrativa, da cui sorge il diritto  del  privato  al
 risarcimento del danno) individua il punto saliente della fattispecie
 dell'occupazione    appropriativa    "nella   natura   illecita   del
 comportamento della  p.a.    che  occupi  illegittimamente  un  fondo
 privato e vi costruisca un'opera pubblica modificando radicalmente la
 struttura  del  bene  ed  impedendo al proprietario l'esercizio delle
 facolta' di godimento, con la precisazione che l'illiceita' di questo
 comportamento,  comprendente  entrambi  i  momenti  della fattispecie
 (ossia quello dell'occupazione e  quello  della  costruzione)  deriva
 dalla  violazione certamente consapevole delle norme che stabiliscono
 in quali casi e con quali procedimenti la proprieta' di  un  immobile
 privato  puo'  essere  autoritativamente  sacrificata per esigenze di
 pubblico interesse ex art. 42, terzo comma, Cost.".
   Al contrario, l'espropriazione formale e' un  istituto  di  diritto
 pubblico  in  base  al quale un soggetto viene privato, in tutto o in
 parte, di un bene  di  sua  proprieta'  per  una  causa  di  pubblico
 interesse    legalmente   dichiarata.   Esso   pertanto   rappresenta
 l'esplicazione di un potere  autoritativo  ablatorio  conferito  alla
 p.a.  dalla  legge  e  si  caratterizza  per  essere  espressione del
 principio  di  legalita',   di   procedimentalizzazione   dell'azione
 amministrativa,   della   tipicita'  degli  atti  amministrativi  nel
 rispetto della riserva di legge sancita in materia di  espropriazione
 (art. 42, terzo comma, Cost.).
   Tutto  cio' premesso, appare evidente la sostanziale differenza tra
 i due istituti quanto ai presupposti seppure entrambi  conseguano  lo
 stesso  risultato  espropriativo,  l'uno  (l'espropriazione  formale)
 costituisce   un'attivita'   lecita   ancorche'   dannosa,    l'altro
 (l'occupazione   appropriativa)  attivita'  dannosa  illecita,  l'una
 attivita' di imperio, l'altra attivita' materiale contra legem.
   Del resto, la Corte costituzionale gia' nella pronunzia 16 dicembre
 1993 n. 442 ha evidenziato testualmente, - rispondendo  alla  censura
 di illegittimita' mossa dalla corte di appello di Roma al primo comma
 dell'art. 5-bis, sotto il profilo della disparita' di trattamento tra
 proprietari   (art.  3  Cost.)  derivante  dalla  applicazione  della
 fattispecie dell'espropriazione  di  aree  edificabili  e  di  quella
 dell'accessione  invertita, poiche' la prima assicura al proprietario
 espropriato solo una parte del valore venale  del  suo  bene,  mentre
 l'altra  pur  mancando  un  legittimo  decreto di esproprio, assicura
 invece il risarcimento del danno in misura pari al valore venale  del
 bene -, che "le fattispecie a confronto sono assolutamente divaricate
 e  non  comparabili.  Nella  prima c'e' un procedimento espropriativo
 secundum  legem  (ossia  nel  rispetto  dei  presupposti  formali   e
 sostanziali   che   rappresentano   altrettante   garanzie   per   il
 proprietario espropriato) e quindi  vengono  in  rilievo  le  opzioni
 discrezionali  del  legislatore  in  ordine  al  criterio  di calcolo
 dell'indennita' di espropriazione;  la  seconda  ipotesi  si  colloca
 fuori  dai  canoni  di  legalita' (perche' e' la stessa realizzazione
 dell'opera  pubblica  sull'area  occupata,  ma  non  espropriata,  ad
 impedire   di  fatto  la  retrocessione  ed  a  comportare  l'effetto
 traslativo  della  proprieta'  del  suolo  per  accessione  all'opera
 stessa)  e  quindi  ben puo' operare il diverso principio secondo cui
 chi ha subi'to un danno per effetto  di  una  attivita'  illecita  ha
 diritto  ad  un  pieno  ristoro.  Per altro verso e' giustificato che
 l'ente espropriante, il quale non  faccia  ricorso  ad  un  legittimo
 procedimento  espropriativo per acquisire l'area edificabile, subisca
 conseguenze piu' gravose di quelle previste ove invece sia rispettoso
 dei presupposti formali e sostanziali prescritti dalla legge  perche'
 si determini l'effetto di ablazione dell'area".
   Nel  caso dell'espropriazione formale, l'art. 42 della Costituzione
 nella  parte  in  cui  assicura  a   conclusione   del   procedimento
 espropriativo svolto nei presupposti sostanziali e formali, il giusto
 indennizzo  al  privato,  conferisce  al  legislatore  il  potere  di
 determinare  in  via  discrezionale  la  misura  dell'indennita'   di
 espropriazione,  la  quale  per  costante  giurisprudenza della Corte
 costituzionale  se  per  un  verso  non   deve   essere   commisurata
 esattamente al valore venale del bene, d'altro canto, non puo' essere
 meramente  simbolica  od  irrisoria, ma deve essere congrua, seria ed
 adeguata.  E  cio'  perche'  l'integrale   ristoro   del   sacrificio
 negherebbe  ogni  incidenza sotto tale profilo agli scopi di pubblica
 utilita' che persegue il procedimento espropriativo; per altro verso,
 pero', l'interesse  del  privato  non  puo'  essere  chiamato  ad  un
 sacrificio  che  azzeri  del  tutto il suo diritto, atteso il rilievo
 costituzionale della proprieta' privata, riconosciuta  ancorche'  con
 il limite connaturale della realizzazione di una "funzione sociale".
   Se questa e' la ratio che sottende alla garanzia costituzionale del
 serio  ristoro  di una posizione soggettiva oramai degradata a fronte
 del potere autoritativo legittimamente esercitato, appare evidente la
 non riconducibilita' alla predetta norma del diritto al  risarcimento
 del   danno   spettante   al   privato   a   seguito  di  occupazione
 appropriativa, posto che in questa ipotesi la situazione  di  diritto
 soggettivo  perfetto  vantata  dal  privato  sul bene rimane integra,
 anche se, essendo oramai giuridicamente impossibile  la  restituzione
 del   bene   irreversibilmente  trasformato  per  effetto  dell'opera
 pubblica, si proietta  non  piu'  sul  bene  originario  ma  sul  suo
 equivalente   monetario,  significando  tutto  cio'  che  l'attivita'
 materiale illecita della p.a. non essendo espressione  di  un  potere
 autoritativo  lascia  sussistere  nella  sua  pienezza il diritto del
 privato al risarcimento integrale del danno subito.
   Per cui appare illegittimo ricomprendere sotto la stessa previsione
 normativa  (art.  42  Cost.)   fattispecie   completamente   diverse,
 equiparando   in   sostanza  comportamenti  leciti  ed  illeciti,  in
 dispregio  della  riserva  di  legge  prevista  dalla  stessa   norma
 costituzionale a garanzia del proprietario espropriato.
   Fondati   dubbi  di  illegittimita'  costituzionale  si  ravvisano,
 inoltre, in relazione alla violazione dell'art. 3  sotto  il  profilo
 del  principio di ragionevolezza per il rilievo che la determinazione
 dell'indennita' di cui all'art. 5-bis  cit.  presuppone  la  perfetta
 regolarita'  del  procedimento  espropriativo;  l'estensione  operata
 dall'art.  65  censurato,  della  norma   dettata   in   materia   di
 espropriazione   formale   alla   diversa   ipotesi   di  occupazione
 appropriativa non appare sorretta da alcun fondamento  logico,  posta
 la evidenziata sostanziale diversita' tra i due istituti.
   ln  definitiva  l'aver  ricondotto ad unita' normativa, quanto meno
 sotto il profilo delle conseguenze, l'attivita'  lecita  ed  illecita
 della p.a. in campo ablatorio, a fronte di situazioni sostanzialmente
 diverse   che   non   presentano   alcun  carattere  di  omogeneita',
 costituisce  violazione  dell'art.  3  della   Costituzione   perche'
 equipara due fattispecie differenziate, l'una essendo disciplinata da
 una  norma  costituzionale  che  attribuisce  alla  p.a.  la funzione
 ablatoria, l'altra invece che si concreta in una attivita'  materiale
 non  soltanto non prevista da alcuna norma, ma addirittura vietata ed
 espletata "in consapevole violazione delle norme che stabiliscono  in
 quali  casi  e  con  quale  procedimento la proprieta' di un immobile
 privato  puo'  essere  autoritativamente  sacrificata per esigenze di
 pubblico  interesse",  con  conseguenze  di  carattere  sanzionatorio
 (tanto  da  essere  ricondotta  dalla  giurisprudenza  nell'alveo del
 generale principio del neminem laedere).
   Altro profilo di illegittimita' costituzionale va  ravvisato  nella
 violazione   degli  artt.  97  e  28  della  Costituzione  in  quanto
 l'equiparazione sopra detta evidenzia che il  legislatore  ha  inteso
 premiare   l'inefficienza   della  amministrazione  privilegiando,  o
 comunque parificando sotto  il  profilo  della  legalita',  attivita'
 atipica ed attivita' tipizzata con conseguente vanificazione di tutte
 le  garanzie  che  all'istituto  del procedimento amministrativo sono
 sottese (in particolare la trasparenza, il diritto alla  informazione
 ed   alla   partecipazione   del   privato  al  procedimento  stesso,
 l'interesse legittimo alla legittimita'  dell'azione  amministrativa)
 in   contrasto   con   il   principio  del  buon  andamento  e  della
 imparzialita' della p.a.
   L'indicata questione  di  costituzionalita'  si  appalesa,  infine,
 rilevante,    attesa   la   diversa   determinazione   della   misura
 dell'indennizzo  spettante  al  privato  che  il   tribunale   dovra'
 effettuare   in   caso   di   pronuncia  di  infondatezza  ovvero  di
 accoglimento della questione costituzionale sollevata.
   Sussistono, pertanto, le  condizioni  per  sospendere  il  presente
 giudizio  in  attesa  della  pronuncia della Corte costituzionale cui
 vanno rimessi gli atti ai sensi dell'art. 23 legge n. 87 del 1953.
                                P. Q. M.
   Dichiara rilevante e non manifestamente infondata la  questione  di
 legittimita'  costituzionale  dell'art.  65  della  legge 28 dicembre
 1995,  n.  549  in  relazione  agli  artt.  3,  28,  42  e  97  della
 Costituzione  nella  parte  in cui estende l'applicabilita' dell'art.
 5-bis del d.-l.  11 luglio 1992, n. 333 convertito con  modificazione
 dalla  legge  8  agosto  1992,  n.  359  relativo alla determinazione
 dell'indennita' di espropriazione a tutti i casi di risarcimento  del
 danno;
   Sospende  il  presente  giudizio  fino  alla  decisione della Corte
 costituzionale;
   Dispone la trasmissione degli atti  alla  cancelleria  della  Corte
 costituzionale e ordina che la presente ordinanza sia notificata alle
 parti   e  alla  Presidenza  del  consiglio,  nonche'  comunicata  ai
 Presidenti del Senato e della Camera dei deputati.
     Cosi' deciso il 17 aprile 1996
                     Il giudice istruttore: Saullo
 96C1335