N. 957 ORDINANZA (Atto di promovimento) 21 giugno 1996
N. 957 Ordinanza emessa il 21 giugno 1996 dal tribunale di Milano nel procedimento penale a carico di Crusco Salvatore ed altri Reati contro la pubblica amministrazione - Abuso di ufficio - Fatto commesso al fine di procurare a se' o ad altri un ingiusto vantaggio patrimoniale o non patrimoniale o per arrecare ad altri un danno ingiusto - Asserita indeterminatezza della fattispecie incriminatrice, non superabile per effetto del previsto dolo specifico, per difetto di elementi oggettivamente verificabili - Conseguente possibilita' di inizio del procedimento penale senza previo accertamento della notitia criminis - Ipotizzata indebita ingerenza nella sfera della discrezionalita' della p.a. - Lesione del principio di legalita' e di quello del buon andamento della p.a. (C.P., art. 323). (Cost., artt. 25, secondo comma, e 97, primo comma).(GU n.40 del 2-10-1996 )
IL TRIBUNALE Decidendo sulla questione di legittimita' costituzionale dell'art. 323 c.p. perche' in contrasto con gli artt. 25, comma secondo, e 97, comma primo, della Costituzione sollevata dalla difesa di Magnaghi Felice, nel procedimento n. 1707/95 r.g. trib. a carico di Crusco Salvatore, Magnaghi Felice e Rosetti Marco, sentite le parti. O s s e r v a La questione e' rilevante e non manifestamente infondata e deve, pertanto, disporsi la sospensione del processo e la rimessione degli atti alla Corte costituzionale per la sua decisione. 1. - Difatti, quanto alla sua non manifesta infondatezza l'art. 25, comma secondo, della Costituzione pone il principio della necessaria tassativita' e sufficiente determinatezza della fattispecie incriminatrice penale, a salvaguardia dei cittadini da possibili abusi del potere giudiziario ed al fine di determinare i poteri interpretativi del giudice. Cio' premesso il legislatore, con la riforma di cui alla legge n. 86/90, che ha novellato il titolo II del libro II del codice penale, onde armonizzare il complesso della disciplina dei reati contro la pubblica amministrazione con il contenuto normativo dell'art. 25 della Costituzione (come risulta anche dai lavori preparatori della legge) ha inteso ovviare alle incertezze interpretative suscitate in dottrina e in giurisprudenza dalle fattispecie cosi abrogate e circoscrivere adeguatamente, attraverso una piu' compiuta tipizzazione legislativa, le fattispecie novellate onde impedire possibili sconfinamenti del potere giudiziario nell'esercizio della discrezionalita' amministrativa. Il testo novellato dell'art. 323 non sembra pero' soddisfare tali esigenze, considerato che le modalita' di tipizzazione della condotta ivi descritte non appaiono tali da prevenire i rischi di una sua applicazione elastica ed indeterminata. Com'e' noto, in forza di una consolidata giurisprudenza, costituisce abuso d'ufficio ogni condotta, si concreti essa in un atto amministrativo o in un'attivita' materiale, compiuta in violazione delle norme che regolano l'esercizio dell'attivita' pubblica: ogni utilizzazione, quindi, dei poteri d'ufficio che oggettivamente frustri o alteri la finalita' istituzionale che il soggetto pubblico e' tenuto a perseguire. Pertanto, l'abuso e' una figura che non riveste, di per se stessa, una connotazione oggettiva passibile di confutazione e di verificazione, essendo il risultato di un giudizio espresso in ordine ad un comportamento, anche solo in ragione del fine perseguito dal pubblico ufficiale; il termine "abuso" sottende un concetto generico ed insufficientemente determinato, che acquista rilevanza penale sotto il profilo soggettivo solamente attraverso il rinvio alle finalita' perseguite dall'agente; e che, quanto alla condotta materiale, trova necessaria determinazione attraverso il richiamo alla complessa congerie di norme disciplinatrici dell'attivita' amministrativa. Il giudice chiamato a valutare l'esistenza dell'abuso, ai fini dell'accertamento del reato, deve quindi procedere al sindacato sulla legittimita' dell'atto amministrativo o sulla liceita' del comportamento del pubblico ufficiale: e, laddove tale sindacato debba investire la discrezionalita' dell'attivita' della pubblica amministrazione, com'e' nei casi di illegittimita' "sostanziale" dell'atto e del vizio di eccesso di potere, la precisa individuazione della fattispecie incriminatrice risulta condizionata dagli elastici e talvolta evanescenti confini della legittimita' e liceita' dell'azione amministrativa; il che comporta evidentemente l'impossibilita' per il destinatario della norma di conoscere ex ante e con la necessaria tassativita' la condotta suscettibile di incriminazione. Tale insufficiente determinatezza dell'art. 323 c.p. appare poi confermata dai ruolo centrale ed "onnicomprensivo" della norma nel sistema dei reati contro la pubblica amministrazione: com'e' noto, in esito alla riforma del 1990 essa non ha piu' la funzione sussidiaria dell'originario abuso innominato d'ufficio, avendo sussunto le fattispecie del peculato per distrazione, dell'interesse privato in atti d'ufficio e dell'abuso innominato - prima sanzionati attraverso fattispecie autonome - cosi risultando ancora meno dotata di tassativita' rispetto il vecchio testo. Inoltre, questo giudice non ritiene che la fattispecie in esame si possa considerare sufficientemente determinata dal richiamo, ivi previsto, al dolo specifico dell'agente. Tale e', com'e' noto, l'argomento centrale della decisione ormai risalente con cui la Corte costituzionale, con la sentenza n. 7/65, ebbe a dichiarare non fondata la questione di legittimita' costituzionale della vecchia fattispecie di abuso innominato; a prescindere dal fatto che il principio di tassativita' impone una preventiva determinazione di tutti gli elementi costitutivi del reato, e non solo di quello soggettivo, e' di tutta evidenza che sovente la prova del dolo specifico viene tautologicamente tratta dalla mera illegittimita' dell'atto o del comportamento del pubblico ufficiale: cosi' divenendo un mero corollario degli elementi oggettivi della condotta. 2. - Parimenti, la questione di legittimita' costituzionale del'art. 323 c.p. appare non manifestamente infondata anche con riferimento all'art. 97, primo comma, della Costituzione: infatti, l'insufficiente determinatezza di tale norma rappresenta un possibile strumento di accesso del giudice penale all'esercizio della discrezionalita' amministrativa, con conseguente, potenziale pregiudizio del buon andamento e dell'imparzialita' dell'amministrazione; cio' in specie, laddove il giudice si ingerisca nell'attivita' animistrativa eccedendo i limiti strettamente necessari all'accertamento di condotte penalmente rilevanti (limiti che l'art. 323 c.p., appunto per il suo difetto di tassativita', non pone, con conseguente sovrapposizione e non determinazione dei confini della penale responsabilita' rispetto le altre forme di responsabilita' del pubblico funzionario: quella disciplinare, civile, erariale e, limitatamente ai dirigenti, anche di tipo dirigenziale). Bisogna infatti rilevare che l'indeterminatezza della norma consente un controllo diffuso sull'attivita' amministrativa da parte dell'autorita' giudiziaria, possibile anche prima dell'acquisizione di una notitia criminis: come nel caso frequente in cui la deviazione finalistica della condotta del pubblico ufficiale, senza la quale il comportamento appare neutro e quindi estraneo alla sfera di rilevanza penale, non sia evidente ne' abbia possibilita' di riscontro oggettivo immediato. In questo caso e' palese il rischio che l'intervento dell'autorita' giudiaria possa essere determinato anche solo dall'esigenza di verificare che una notitia criminis effettivamente esista in concreto, con dilatazione dell'area di interferenza fra il potere giudiziario e quello amministrativo e conseguente disturbo del sereno, imparziale e regolare svolgimento dell'attivita' istituzionale dei pubblici funzionari. 3. - Quanto, infine, alla rilevanza, la questione e' tale nel presente procedimento essendo contestato a tutti gli imputati il reato di cui all'art. 323, la cui configurabilita' deve essere oggetto di valutazione da parte di questo giudice.
P. Q. M. Visto l'art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87 dichiara rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 323 del c.p. in relazione agli artt. 25, comma secondo e 97, comma primo, della Costituzione; Sospende il presente procedimento; Dispone la trasmissione degli atti alla Corte costituzionale; Dispone che la presente ordinanza sia notificata, a cura della cancelleria al Presidente del Consiglio dei Ministri e comunicata al Presidente del Senato della Repubblica ed al Presidente della Camera dei deputati. Milano, addi' 21 giugno 1996 Il presidente: Gatto I giudici: Cernuto - Locurto 96C1376