N. 971 ORDINANZA (Atto di promovimento) 1 aprile 1996
N. 971 Ordinanza emessa il 1 aprile 1996 dalla Corte di cassazione nel procedimento civile vertente tra l'I.N.P.S. e Re Gina Previdenza e assistenza sociale - Pensioni I.N.P.S. - Rimborsi conseguenti alle sentenze della Corte costituzionale nn. 495/1993 e 240/1994 - Previsione della estinzione dei giudizi pendenti nonche' della perdita di efficacia dei provvedimenti giudiziali non ancora passati in giudicato, alla data di entrata in vigore della normativa impugnata - Incidenza sul diritto di difesa e sulla garanzia previdenziale - Violazione delle attribuzioni del potere giurisdizionale - Abuso dello strumento del decreto-legge in assenza dei presupposti di necessita' ed urgenza. Previdenza e assistenza sociale - Pensioni I.N.P.S. - Rimborsi conseguenti alle sentenze della Corte costituzionale nn. 495/1993 e 240/1994 - Esclusione dal rimborso degli interessi e della rivalutazione monetaria - Contrasto con la giurisprudenza costituzionale circa la natura di componenti essenziali ed integranti del credito previdenziale di detti accessori (sentenza n. 156/1991) - Disparita' di trattamento di situazioni omogenee con incidenza sulla garanzia previdenziale. Previdenza e assistenza sociale - Pensioni I.N.P.S. - Rimborsi conseguenti alle sentenze della Corte costituzionale nn. 495/1993 e 240/1994 - Attuazione dei rimborsi delle somme maturate fino al 31 dicembre 1995, mediante assegnazione di titoli di Stato in sei annualita' - Violazione del principio di uguaglianza e della garanzia previdenziale. (D.-L. 28 marzo 1996, n. 166, art. 1). (Cost., artt. 3, 24 e 38).(GU n.40 del 2-10-1996 )
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE Ha pronunciato la seguente ordinanza sul ricorso proposto dall'Istituto nazionale della previdenza sociale - I.N.P.S., in persona del presidente legale rapp.te pro-tempore, con sede in Roma, ivi elett.te dom.to in via della Frezza n. 17 presso gli avv.ti Andrea Barbuto, Carlo De Angelis e Gabriella Pescosolido che lo rappresentano e difendono in virtu' di procura speciale in calce al ricorso, ricorrente, contro Re Gina, elett.te dom.ta in Roma al viale delle Milizie n. 38 presso l'avv. Giovanni Angelozzi che unitamente all'avv. Carlo Torti del Foro di Monza la rappresenta e difende in virtu' di procura speciale a margine del controricorso, controricorrente, per l'annullamento della sentenza del tribunale di Milano n. 3470 in data 21/31 marzo 1995 (r.g. 245/94). Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 1 aprile 1996 dal cons. dott. Battimiello; Udito l'avv. Carlo De Angelis; Udito il p.m. in persona del sost. proc. gen. dott. Carlo De Gregorio, che ha concluso per il rinvio della causa a nuovo ruolo e, in subordine, per l'estinzione del giudizio. Svolgimento del processo Il tribunale di Milano, decidendo sull'appello proposto dall'INPS, ha confermazo la sentenza di primo grado in ordine all'accertamento del diritto di Re Gina, titolare di due pensioni entrambe integrate al trattamento minimo alla data del 30 settembre 1983, a mantenere l'integrazione al minimo anche della seconda pensione non piu' integrabile per il periodo successivo, nell'importo "cristallizzato" alla data predetta fino ad assorbimento negli aumenti della pensione-base derivanti dalla perequazione automatica, interpretando in tal senso il disposto del settimo comma dell'art. 6 del decreto-legge n. 463/1983, convertito in legge n. 638/1983, e dando atto della sentenza della Corte costituzionale n. 240/1994 la quale - nel pronunciarsi sulla legittimita' costituzionale dell'art. 11, comma ventiduesimo, della legge 24 dicembre 1993 n. 537 che, quale norma di interpretazione autentica, escludeva retroattivamente dall'applicazione dell'art. 6 legge n. 638/1983 l'ipotesi di concorso di piu' pensioni - ha precisato che "quando il pensionato, pur con l'apporto di una seconda pensione risulta in possesso di un reddito complessivamente inferiore al limite legale, la regola della cristallizzazione della seconda pensione non piu' integrabile, s'impone a maggior ragione rispetto all'ipotesi di cui all'art. 6, settimo comma, del d.-l. n. 463/1983, di titolarita' di una sola pensione non piu' integrabile a causa del superamento del limite reddituale". Ricorre l'INPS con un unico motivo. Re Gina resiste con controricorso. Motivi della decisione 1. - Con l'unico motivo, denunciando violazione e falsa applicazione dell'art. 6, commi terzo, quarto, quinto, sesto e settimo d.-l. 12 settembre 1983 n. 463, convertito, con modificazioni, dalla legge 11 novembre 1983 n. 638, come interpretato autenticamente dall'art. 11, comma ventiduesimo, della legge n. 537 del 24 dicembre 1993, anche in relazione alla sentenza della Corte costituzionale n. 240 del 1994 (art. 360 n. 3 e 5 c.p.c., l'INPS sostiene che la sentenza costituzionale n. 240/1994 non reintroduce in ogni caso il diritto alla "cristallizzazione", perche' quando il pensionato, alla data del 30 settembre 1993, risulti percettore di un reddito complessivamente superiore al livello fissato dal piu' volte citato art. 6, primo e secondo comma, la garanzia della "cristallizzazione" della seconda (o ulteriore pensione non puo' valere. Per questo caso, l'altra o le altre pensioni spettano nell'importo a calcolo senza alcuna integrazione, come recita il citato art. 11. Ne' e' sufficiente che il requisito del reddito sussista solo alla data del 30 settembre 1983, dovendo permanere anche negli anni successivi, quale condizione del mantenimento della integrazione. Nella specie, il tribunale, pur avendo riconosciuto nel dispositivo della sua sentenza la "cristallizzazione" subordinatamente al rispetto del limite di reddito, ha tuttavia ritenuto nella motivazione che l'importo della integrazione al minimo deve essere cristallizzato fino a quando sara' riassorbito dalla rivalutazione automatica della pensione-base. 2. - In relazione alla questione che forma oggetto della presente controversia si e' notoriamente consolidato nell'ambito di questa Corte un orientamento secondo il quale, ai sensi del combinato disposto dell'art. 6 del d.-l. 12 settembre 1983 n. 463, convertito nella legge 11 novembre 1983 n. 638, e dell'art. 11, comma ventiduesimo, legge 24 dicembre 1993 n. 537, quest'ultimo nel testo risultante dalla sentenza della Corte costituzionale 10 giugno 1994, n. 240, il titolare di due o piu' pensioni, tutte integrate o integrabili al trattamento minimo alla data del 30 settembre 1983, al quale competa il diritto alla integrazione al minimo della pensione individuata ai sensi del comma terzo dell'art. 6 del d.-l. n. 463 del 1983, ha diritto al mantenimento delle ulteriori pensioni nell'importo cristallizzato al 30 settembre 1983, fino ad assorbimento negli aumenti della pensione-base derivanti dalla perequazione automatica, purche' non superi i limiti di reddito indicati nel primo comma dello stesso art. 6. Inoltre, a norma dell'art. 442 c.p.c., nel testo risultante dalla sentenza della Corte costituzionale n. 156 del 1991 (applicabile fino all'entrata in vigore della nuova disciplina prevista dall'art. 16, comma sesto, della legge 30 dicembre 1991 n. 412), sulle somme di denaro per crediti relativi a prestazioni previdenziali sono dovuti gli interessi nella misura legale ed il maggior danno eventualmente derivante dalla svalutazione monetaria; ed e' innegabile che tra tali prestazioni debba essere ricompresa quella pretesa dall'attuale ricorrente in quanto l'integrazione al minimo e' da qualificarsi come "istituto previdenziale fondato sul principio di solidarieta" (Corte cost. 10 giugno 1994 n. 240). 3. - Senonche', con il recente d.-l. 28 marzo 1996 n. 166 (pubblicato nella Gazzetta Ufficiale 29 marzo 1996 n. 75) si e' stabilito all'art. 1, per quanto qui interessa: a) che il rimborso delle somme, maturate fino al 31 dicembre 1995, sui trattamenti pensionistici erogati dagli enti previdenziali interessati, in conseguenza dell'applicazione delle sentenze della Corte costituzionale n. 495 del 1993 e n. 240 del 1994, e' effettuato mediante assegnazione agli aventi diritto di titoli di Stato aventi libera circolazione (comma primo); b) che tale rimborso avverra' in sei annualita', sulla base degli elenchi riepilogativi che gli enti provvederanno annualmente ad inviare al Ministero del tesoro (ivi); c) che il diritto al rimborso delle somme arretrate di cui al primo comma spetta ai soggetti interessati, nonche' ai loro superstiti aventi titolo alla pensione di reversibilita' alla data di entrata in vigore del decreto (comma secondo); d) che nella determinazione dell'importo maturato al 31 dicembre 1995 non concorrono gli interessi e la rivalutazione monetaria (ivi); e) e che i giudizi pendenti alla data di entrata in vigore del decreto-legge aventi ad oggetto le questioni di cui all'art. 1 sono dichiarati estinti d'ufficio con compensazione delle spese tra le parti, mentre restano privi di effetto i provvedimenti giudiziali non ancora definitivi (comma terzo). Poiche' la ricorrente, titolare di una pensione di reversibilita', e ricompresa, quindi, tra i destinatari del rimborso disciplinato dall'art. 1 e poiche' questo troverebbe, appunto, il suo fondamento nella sentenza della Corte costituzionale n. 240/1994, a norma di tale disposizione il presente giudizio dovrebbe dichiararsi estinto, con compensazione delle spese tra le parti e con i conseguenziali effetti, in favore dell'assicurata, disciplinati dai primi due commi della norma in oggetto. Il risultato che con tale disposizione il legislatore ha inteso conseguire suscita peraltro, sotto diversi aspetti, serie perplessita' in ordine alla sua legittimita' sotto il profilo costituzionale. 4.1. - Per individuare, alla stregua dell'art. 24 Cost., i limiti di costituzionalita' dell'intervento del legislatore nel processo quando di questo venga definito l'esito attraverso una norma che ne imponga l'estinzione, nella giurisprudenza della Corte costituzionale si e' fatto riferimento, in termini generali, al rapporto tra siffatto intervento ed il grado di realizzazione che alla pretesa azionata sia stato accordato per via legislativa. Si e' affermato cioe' che, allorche' la legge sopravvenuta abbia soddisfatto, anche se non integralmente, le ragioni fatte valere nei giudizi dei quali imponeva l'estinzione, sia da escludersi l'illegittimita' costituzionale di tale ultima previsione, in quanto il diritto di azione non puo' dirsi vulnerato ove l'ambito delle situazioni giuridiche di cui sono titolari gli interessati risulti comunque arricchito a seguito della normativa che da luogo all'estinzione dei giudizi (Corte cost. 10 dicembre 1981 n. 185; e, soprattutto, 31 marzo 1995 n. 103). Si e' ritenuto, viceversa, che allorche' lo ius superveniens si opponga alle richieste degli interessati ed alla interpretazione giurisprudenziale ad essi favorevole, stabilendo l'estinzione dei processi in corso, e si operi cosi' da parte del legislatore una sostanziale vanificazione della via giurisdizionale, intesa quale mezzo al fine dell'attuazione di un preesistente diritto, sia da ravvisarsi la violazione del diritto di agire, di cui all'art. 24 della Costituzione (Corte cost. 10 aprile 1987 n. 123; nonche' n. 103/1995 cit.) Nella specie, il decreto-legge n. 166 del 1996, nello stabilire l'estinzione ope legis dei giudizi in corso, ha - come detto - escluso anzitutto che sugli importi maturati sino al 31 dicembre 1995 possano essere computati gli interessi legali e la rivalutazione monetaria, dei quali i soggetti aventi diritto all'integrazione al minimo verrebbero ad essere, quindi, privati nonostante la consolidata interpretazione giurisprudenziale ad essi favorevole. Poiche' lo ius superveniens e' preordinato, in definitiva, non gia' ad arricchire la situazione patrimoniale degli interessati, bensi' a depauperarla attraverso l'esclusione degli "accessori" del credito da essi vantato, e' legittimo il dubbio di costituzionalita' della disposizione in esame, in relazione all'art. 24 Cost. 4.2. - Il dubbio investe anche il terzo comma dell'art. 1, nella parte in cui stabilisce che all'estinzione dei giudizi consegue la "compensazione delle spese tra le parti". Attraverso tale disposizione si sottrae, infatti, al giudice della pretesa sostanziale dedotta in giudizio un punto accessorio della controversia che, ad ogni modo, anche per i riflessi di ordine economico sull'entita' dell'incremento in concreto realizzato dal soggetto vittorioso, non puo' esserne distolto senza che ne resti vulnerato, ancora una volta, l'art. 24 Cost. (per riferimenti in tal senso, cfr. Cons. Stato, sez. VI, ord., 3 maggio 1994 n. 664). 5.1. - La disciplina prevista dall'art. 1 del d.-l. n. 166/96 per il rimborso delle somme in favore dei soggetti interessati realizza sotto un duplice aspetto una deroga al diritto comune delle obbligazioni. Per un verso, tale disposizione consente invero, al soggetto tenuto al rimborso, di estinguere il proprio debito in sei annualita', precludendo al creditore la possibilita' di esigere tempestivamente l'adempimento dell'obbligazione nella sua interezza (art. 1181 cc.). Per altro verso essa, prevedendo che il rimborso delle somme in questione sia effettuato mediante assegnazione agli aventi diritto di titoli di Stato aventi libera circolazione, legittima l'estinzione delle relative obbligazioni mediante una datio in solutum, a prescindere dal consenso dal creditore (art. 1197 c.c.). Ora, poiche' la predisposizione di questo particolare sistema di adempimento - inidoneo a realizzare un'immediata ed integrale ricostituzione del patrimonio del creditore e per di piu' dotato, in qualche misura, di un carattere aleatorio (in relazione alle oscillazioni che si verifichino nel mercato dei titoli di Stato) - ha per destinatari, in assenza di qualsiasi comprensibile e razionale giustificazione, le sole categorie di pensionati alle quali il decreto-legge n. 166/96 fa riferimento, non appare infondato il dubbio di costituzionalita' della relativa disposizione in relazione all'art. 3, comma primo, della Costituzione. Non sembra al Collegio che possa validamente invocarsi in senso contrario il precedente rappresentato dalla sentenza 30 luglio 1980 n. 141 del giudice delle leggi, che dichiaro' infondata, anche in relazione all'art. 3 Cost., la questione di costituzionalita' della normativa che aveva stabilito che gli aumenti derivanti dalle variazioni del costo della vita venissero corrisposti, per le fasce ivi individuate, tramite buoni del tesoro poliennali. Nel caso allora preso in considerazione dalla Corte costituzionale i soggetti "colpiti" dalla normativa cui si e' fatto cenno appartenevano, infatti, a categorie diverse (lavoratori dipendenti, titolari di trattamenti pensionistici, ecc.), tra le quali quel "sacrificio" veniva quindi in qualche modo ripartito; laddove nella fattispecie i destinatari del sistema di adempimento delineato dal d.-l. n. 166/96 coincidono con l'area piu' svantaggiata dei pensionati (siccome titolari del diritto all'integrazione al minimo), i quali dovrebbero in via esclusiva subire le conseguenze negative derivanti dalle pur innegabili difficolta' di bilancio della pubblica amministrazione. Ne' pare che, di fronte a tale piu' accentuata disparita' di trattamento, la "tendenza del Parlamento a battere le vie di sempre e a non muovere alla ricerca di "ricchezze novelle" meno agevolmente identificabili" gia' sottolineata dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 141/80, possa - come allora - trovare adeguata giustificazione nell'ambito della discrezionalita' politica riservato al legislatore. 5.2. - L'art. 3, comma primo, Cost. sembra, poi, subire un ulteriore vulnus dalla disposizione di cui all'art. 1 del d.-l. n. 166 del 1996 per la parte in cui esclude dal rimborso gli interessi legali e la rivalutazione monetaria in relazione agli importi maturati a tutto il 31 dicembre 1995. Una volta che gli interessi legali e la rivalutazione monetaria sono dovuti - come si e' in precedenza sottolineato - in relazione a ciascuna prestazione di natura previdenziale, appare in effetti lesivo del principio di uguaglianza sancirne l'esclusione nei confronti di talune categorie di crediti (cfr. al riguardo Corte cost. 6 dicembre 1988 n. 1060; e 15 marzo 1994 n. 85). Tanto piu' e' da ritenere, del resto, ingiustificata tale disparita' di trattamento ove si consideri che i destinatari del decreto-legge n. 166 del 1996 appartengono - come del pari si e' accennato - a fasce sociali tra le piu' svantaggiate, avendo l'integrazione al minimo la funzione di integrare la pensione quando dal calcolo in base ai contributi accreditati al lavoratore, ovvero al de cuius, risulti un importo inferiore ad un minimo ritenuto necessario, in mancanza di altri redditi di una certa consistenza, ad assicurargli mezzi adeguati alle esigenze di vita (cosi' Corte cost. n. 240 del 1994, citata sub n. 2). Ne' potrebbero nel caso in esame trovare ingresso - a giudizio del Collegio - le argomentazioni che, in altra fattispecie, hanno indotto il giudice delle leggi ad escludere la violazione dell'art. 3 Cost. in relazione ai rimborsi dovuti dall'INPS a titolo di sgravi contributivi per effetto della sentenza n. 261 del 191 della Corte costituzionale, rimborsi che il d.-l. 22 marzo 1993, n. 71, convertito in legge 20 maggio 1993, n. 151, aveva consentito che avvenissero in dieci annualita', senza oneri - per l'istituto - di rivalutazione monetaria ed interessi e senza la possibilita' di compensazione con i debiti dell'imprenditore nei confronti dell'INPS (sentenza 13 luglio 1995, n. 320). In quel caso, infatti, la Corte costituzionale ha osservato che il legislatore, nelle sue discrezionali scelte di politica economica, aveva emanato norme di favore per determinate imprese sgravandole dall'onere di corrispondere contributi sociali per incentivare la produzione e sviluppare l'occupazione; che le imprese escluse dal beneficio avevano realizzato, quindi, i loro programmi di produzione ripartendo costi e ricavi secondo l'impostazione dei rispettivi bilanci; e che la successiva estensione degli stessi benefici a queste imprese, conseguente alla sentenza n. 261 del 1991, si differenziava da quella situazione originaria poiche' il rimborso a distanza di' tempo dei contributi non conseguiva piu' le finalita' sociali che avevano giustificato lo sgravio (non essendo possibile "ora per allora" incentivare produzione e occupazione). Ed ha ritenuto, pertanto, che non vi fosse una disparita' di trattamento tra le imprese che avevano beneficiato pienamente degli sgravi e quelle destinatarie della legge da ultimo richiamata in quanto, in questa diversa prospettiva, ed anche in considerazione delle esigenze di reperimento delle necessarie risorse finanziarie, erano da considerare legittimi i limiti e le gradualita' introdotti in tali sopravvenute erogazioni. Da quanto precede emerge, quindi, che la particolare disciplina allora devoluta al giudizio della Corte costituzionale trovava la propria giustificazione, oltre che nella condizione finanziaria di crisi della pubblica amministrazione, nelle diverse finalita' assolte dall'istituto degli sgravi contributivi con riferimento ai suoi destinatari; laddove nel caso in esame non sembra ravvisabile, nell'ambito di quella parte della pensione rappresentata dall'integrazione al minimo, sottratta ai beneficiari, una distinzione della sua funzione - previdenziale - in rapporto alla diversa epoca della sua erogazione in loro favore. 6. - Il dubbio di costituzionalita' in ordine all'art. 1. del d.-l. n. 166 del 1996, per la parte presa in considerazione sub n. 5.2, si profila, infine, anche in relazione all'art. 38 Cost., quanto meno per il periodo anteriore alla entrata in vigore dell'art. 16, comma sesto, della legge n. 412 del 1991. Nella sentenza 12 aprile 1991 n. 156 e' stato affermato dalla Corte costituzionale che, per il tramite e nella misura dell'art. 38, comma secondo, Cost., si rende applicabile anche alle prestazioni previdenziali l'art. 36, comma primo, Cost. (di cui l'art. 429 c.p.c. e' un modo di attuazione), quale parametro delle esigenze di vita del lavoratore; e che la mancata previsione di una regola analoga per i crediti previdenziali costituisce violazione non solo dell'art. 3 Cost., ma anche dell'art. 38. Ora, poiche' l'integrazione al minimo rappresenta una componente non ancora liquidata dell'ordinaria pensione (Cass. sez. un. 21 giugno 1990 n. 6245; e Corte cost. n. 240/94 cit.), la previsione normativa circa la mancata corresponsione degli interessi legali e della rivalutazione monetaria sui crediti a questo titolo maturati a tutto il dicembre 1995 sembra porsi in contrasto con quel precetto costituzionale. 7. - Tenuto conto di tutte le considerazioni che precedono, stante la rilevanza - come risulta dalle argomentazioni svolte al punto 2 - delle questioni di legittimita' costituzionale delle disposizioni del decreto-legge n. 166 del 1996 sopra indicate, gli atti devono essere trasmessi alla Corte costituzionale e deve nel contempo disporsi che la cancelleria adempia alle notificazioni ed alle comunicazioni prescritte dall'art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87, come precisate in dispositivo.
P. Q. M. La Corte di cassazione, visto l'art. 23 della legge 11 marzo 1953 n. 87, dichiara di ufficio non manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 1 del d.-l. 28 marzo 1996, n. 166, in relazione agli artt. 3, comma primo, 24 e 38 della Costituzione; Dispone l'immediata trasmissione degli atti alla Corte costituzionale e la sospensione del giudizio in corso; Ordina che, a cura della cancelleria, la presente ordinanza sia notificata alle parti, al procuratore generale presso la Corte di cassazione ed al Presidente del Consiglio dei ministri e comunicata ai Presidenti delle due Camere del Parlamento. Cosi' deciso a Roma, il 1 aprile 1996 Il presidente: Rapone 96C1390