N. 971 ORDINANZA (Atto di promovimento) 1 aprile 1996

                                N. 971
  Ordinanza emessa il 1 aprile 1996  dalla  Corte  di  cassazione  nel
 procedimento civile vertente tra l'I.N.P.S. e Re Gina
 Previdenza  e  assistenza  sociale  -  Pensioni  I.N.P.S.  - Rimborsi
    conseguenti alle sentenze della Corte costituzionale nn.  495/1993
    e  240/1994  -  Previsione  della  estinzione dei giudizi pendenti
    nonche' della perdita di efficacia  dei  provvedimenti  giudiziali
    non  ancora  passati  in giudicato, alla data di entrata in vigore
    della normativa impugnata - Incidenza  sul  diritto  di  difesa  e
    sulla  garanzia  previdenziale - Violazione delle attribuzioni del
    potere giurisdizionale - Abuso dello strumento  del  decreto-legge
    in assenza dei presupposti di necessita' ed urgenza.
 Previdenza  e  assistenza  sociale  -  Pensioni  I.N.P.S.  - Rimborsi
    conseguenti alle sentenze della Corte costituzionale nn.  495/1993
    e  240/1994  -  Esclusione  dal  rimborso  degli interessi e della
    rivalutazione  monetaria  -  Contrasto   con   la   giurisprudenza
    costituzionale   circa  la  natura  di  componenti  essenziali  ed
    integranti del credito previdenziale di detti accessori  (sentenza
    n.  156/1991)  -  Disparita' di trattamento di situazioni omogenee
    con incidenza sulla garanzia previdenziale.
 Previdenza e  assistenza  sociale  -  Pensioni  I.N.P.S.  -  Rimborsi
    conseguenti  alle sentenze della Corte costituzionale nn. 495/1993
    e 240/1994 - Attuazione dei rimborsi delle somme maturate fino  al
    31  dicembre 1995, mediante assegnazione di titoli di Stato in sei
    annualita' - Violazione  del  principio  di  uguaglianza  e  della
    garanzia previdenziale.
 (D.-L. 28 marzo 1996, n. 166, art. 1).
 (Cost., artt. 3, 24 e 38).
(GU n.40 del 2-10-1996 )
                    LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
   Ha   pronunciato   la   seguente  ordinanza  sul  ricorso  proposto
 dall'Istituto nazionale  della  previdenza  sociale  -  I.N.P.S.,  in
 persona  del presidente legale rapp.te pro-tempore, con sede in Roma,
 ivi elett.te dom.to in via della  Frezza  n.  17  presso  gli  avv.ti
 Andrea  Barbuto,  Carlo  De  Angelis  e  Gabriella Pescosolido che lo
 rappresentano e difendono in virtu' di procura speciale in  calce  al
 ricorso, ricorrente, contro Re Gina, elett.te dom.ta in Roma al viale
 delle  Milizie  n. 38 presso l'avv. Giovanni Angelozzi che unitamente
 all'avv. Carlo Torti del Foro di Monza la rappresenta  e  difende  in
 virtu'   di   procura   speciale   a   margine   del   controricorso,
 controricorrente, per l'annullamento della sentenza del tribunale  di
 Milano n. 3470 in data 21/31 marzo 1995 (r.g. 245/94).
   Udita  la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 1
 aprile 1996 dal cons. dott. Battimiello;
   Udito l'avv. Carlo De Angelis;
   Udito il p.m. in persona  del  sost.  proc.  gen.  dott.  Carlo  De
 Gregorio,  che ha concluso per il rinvio della causa a nuovo ruolo e,
 in subordine, per l'estinzione del giudizio.
                        Svolgimento del processo
   Il tribunale di Milano, decidendo sull'appello proposto  dall'INPS,
 ha  confermazo  la sentenza di primo grado in ordine all'accertamento
 del diritto di Re Gina, titolare di due pensioni  entrambe  integrate
 al  trattamento  minimo  alla data del 30 settembre 1983, a mantenere
 l'integrazione al  minimo  anche  della  seconda  pensione  non  piu'
 integrabile  per il periodo successivo, nell'importo "cristallizzato"
 alla  data  predetta  fino  ad  assorbimento  negli   aumenti   della
 pensione-base  derivanti dalla perequazione automatica, interpretando
 in  tal  senso  il  disposto  del  settimo  comma  dell'art.  6   del
 decreto-legge  n.  463/1983, convertito in legge n. 638/1983, e dando
 atto della sentenza della Corte costituzionale n. 240/1994 la quale -
 nel pronunciarsi  sulla  legittimita'  costituzionale  dell'art.  11,
 comma  ventiduesimo,  della legge 24 dicembre 1993 n.  537 che, quale
 norma  di  interpretazione  autentica,   escludeva   retroattivamente
 dall'applicazione dell'art. 6 legge n. 638/1983 l'ipotesi di concorso
 di  piu'  pensioni  - ha precisato che "quando il pensionato, pur con
 l'apporto di una seconda pensione risulta in possesso di  un  reddito
 complessivamente   inferiore   al  limite  legale,  la  regola  della
 cristallizzazione  della  seconda  pensione  non  piu'   integrabile,
 s'impone  a  maggior  ragione rispetto all'ipotesi di cui all'art. 6,
 settimo comma, del d.-l.   n. 463/1983, di titolarita'  di  una  sola
 pensione  non  piu'  integrabile  a  causa del superamento del limite
 reddituale".
   Ricorre  l'INPS  con  un  unico  motivo.  Re   Gina   resiste   con
 controricorso.
                         Motivi della decisione
   1.   -   Con   l'unico   motivo,  denunciando  violazione  e  falsa
 applicazione dell'art.  6,  commi  terzo,  quarto,  quinto,  sesto  e
 settimo   d.-l.   12   settembre   1983   n.   463,  convertito,  con
 modificazioni, dalla legge 11 novembre 1983 n. 638, come interpretato
 autenticamente dall'art.  11, comma ventiduesimo, della legge n.  537
 del  24  dicembre  1993, anche in relazione alla sentenza della Corte
 costituzionale n. 240 del 1994 (art. 360 n.  3  e  5  c.p.c.,  l'INPS
 sostiene  che  la sentenza costituzionale n. 240/1994 non reintroduce
 in ogni caso il diritto alla "cristallizzazione", perche'  quando  il
 pensionato, alla data del 30 settembre 1993, risulti percettore di un
 reddito  complessivamente superiore al livello fissato dal piu' volte
 citato  art.  6,  primo  e   secondo   comma,   la   garanzia   della
 "cristallizzazione"  della  seconda  (o  ulteriore  pensione non puo'
 valere. Per  questo  caso,  l'altra  o  le  altre  pensioni  spettano
 nell'importo  a  calcolo  senza  alcuna  integrazione, come recita il
 citato art. 11. Ne' e'  sufficiente  che  il  requisito  del  reddito
 sussista  solo  alla  data  del  30 settembre 1983, dovendo permanere
 anche negli anni successivi, quale condizione del mantenimento  della
 integrazione. Nella specie, il tribunale, pur avendo riconosciuto nel
 dispositivo     della    sua    sentenza    la    "cristallizzazione"
 subordinatamente al rispetto  del  limite  di  reddito,  ha  tuttavia
 ritenuto nella motivazione che l'importo della integrazione al minimo
 deve  essere  cristallizzato  fino  a  quando sara' riassorbito dalla
 rivalutazione automatica della pensione-base.
   2. - In relazione alla questione che forma oggetto  della  presente
 controversia  si  e'  notoriamente  consolidato nell'ambito di questa
 Corte un orientamento  secondo  il  quale,  ai  sensi  del  combinato
 disposto  dell'art.  6 del d.-l. 12 settembre 1983 n. 463, convertito
 nella  legge  11  novembre  1983  n.  638,  e  dell'art.  11,   comma
 ventiduesimo,  legge  24 dicembre 1993 n. 537, quest'ultimo nel testo
 risultante dalla sentenza della Corte costituzionale 10 giugno  1994,
 n.  240,  il  titolare  di  due  o  piu'  pensioni, tutte integrate o
 integrabili al trattamento minimo alla data del 30 settembre 1983, al
 quale competa il diritto alla integrazione al minimo  della  pensione
 individuata ai sensi del comma terzo dell'art. 6 del d.-l. n. 463 del
 1983,   ha   diritto   al   mantenimento   delle  ulteriori  pensioni
 nell'importo  cristallizzato  al   30   settembre   1983,   fino   ad
 assorbimento   negli  aumenti  della  pensione-base  derivanti  dalla
 perequazione automatica, purche'  non  superi  i  limiti  di  reddito
 indicati nel primo comma dello stesso art. 6.
   Inoltre,  a  norma dell'art. 442 c.p.c., nel testo risultante dalla
 sentenza della Corte costituzionale n. 156 del 1991 (applicabile fino
 all'entrata in vigore della nuova disciplina prevista dall'art.   16,
 comma  sesto,  della  legge  30 dicembre 1991 n. 412), sulle somme di
 denaro per crediti relativi a prestazioni previdenziali  sono  dovuti
 gli  interessi  nella misura legale ed il maggior danno eventualmente
 derivante dalla svalutazione monetaria; ed e' innegabile che tra tali
 prestazioni  debba  essere  ricompresa  quella  pretesa  dall'attuale
 ricorrente in quanto l'integrazione al minimo e' da qualificarsi come
 "istituto  previdenziale fondato sul principio di solidarieta" (Corte
 cost. 10 giugno 1994 n. 240).
   3. -  Senonche',  con  il  recente  d.-l.  28  marzo  1996  n.  166
 (pubblicato  nella  Gazzetta  Ufficiale  29  marzo  1996 n. 75) si e'
 stabilito all'art.  1, per quanto qui interessa:
     a) che il rimborso delle somme,  maturate  fino  al  31  dicembre
 1995,  sui trattamenti pensionistici erogati dagli enti previdenziali
 interessati, in conseguenza dell'applicazione  delle  sentenze  della
 Corte costituzionale n. 495 del 1993 e n. 240 del 1994, e' effettuato
 mediante  assegnazione  agli aventi diritto di titoli di Stato aventi
 libera circolazione (comma primo);
     b) che tale rimborso avverra' in sei annualita', sulla base degli
 elenchi  riepilogativi  che  gli  enti  provvederanno  annualmente ad
 inviare al Ministero del tesoro (ivi);
     c) che il diritto al rimborso delle somme  arretrate  di  cui  al
 primo   comma   spetta  ai  soggetti  interessati,  nonche'  ai  loro
 superstiti aventi titolo alla pensione di reversibilita' alla data di
 entrata in vigore del decreto (comma secondo);
     d) che nella determinazione dell'importo maturato al 31  dicembre
 1995 non concorrono gli interessi e la rivalutazione monetaria (ivi);
     e)  e  che  i giudizi pendenti alla data di entrata in vigore del
 decreto-legge aventi ad oggetto le questioni di cui all'art.  1  sono
 dichiarati  estinti  d'ufficio  con  compensazione delle spese tra le
 parti, mentre restano privi di effetto i provvedimenti giudiziali non
 ancora definitivi (comma terzo).
   Poiche' la ricorrente, titolare di una pensione di  reversibilita',
 e  ricompresa,  quindi,  tra  i destinatari del rimborso disciplinato
 dall'art. 1 e poiche' questo troverebbe, appunto, il  suo  fondamento
 nella  sentenza  della  Corte  costituzionale n. 240/1994, a norma di
 tale disposizione il presente giudizio dovrebbe dichiararsi  estinto,
 con  compensazione  delle  spese  tra le parti e con i conseguenziali
 effetti, in favore dell'assicurata, disciplinati dai primi due  commi
 della norma in oggetto.
   Il  risultato  che  con  tale disposizione il legislatore ha inteso
 conseguire   suscita   peraltro,   sotto   diversi   aspetti,   serie
 perplessita'  in  ordine  alla  sua  legittimita'  sotto  il  profilo
 costituzionale.
   4.1. - Per individuare, alla stregua dell'art. 24 Cost.,  i  limiti
 di  costituzionalita'  dell'intervento  del  legislatore nel processo
 quando di questo venga definito l'esito attraverso una norma  che  ne
 imponga l'estinzione, nella giurisprudenza della Corte costituzionale
 si  e'  fatto  riferimento,  in  termini  generali,  al  rapporto tra
 siffatto intervento ed il grado di  realizzazione  che  alla  pretesa
 azionata sia stato accordato per via legislativa.
   Si  e'  affermato  cioe' che, allorche' la legge sopravvenuta abbia
 soddisfatto, anche se non integralmente, le ragioni fatte valere  nei
 giudizi   dei   quali   imponeva   l'estinzione,  sia  da  escludersi
 l'illegittimita' costituzionale di tale ultima previsione, in  quanto
 il  diritto  di  azione  non  puo' dirsi vulnerato ove l'ambito delle
 situazioni giuridiche di cui sono titolari  gli  interessati  risulti
 comunque   arricchito   a   seguito  della  normativa  che  da  luogo
 all'estinzione dei giudizi (Corte cost. 10 dicembre 1981 n.  185;  e,
 soprattutto, 31 marzo 1995 n. 103).
   Si  e'  ritenuto,  viceversa,  che allorche' lo ius superveniens si
 opponga alle richieste  degli  interessati  ed  alla  interpretazione
 giurisprudenziale  ad  essi  favorevole,  stabilendo l'estinzione dei
 processi in corso, e si operi cosi'  da  parte  del  legislatore  una
 sostanziale  vanificazione  della  via  giurisdizionale, intesa quale
 mezzo al fine dell'attuazione di  un  preesistente  diritto,  sia  da
 ravvisarsi  la  violazione  del  diritto di agire, di cui all'art. 24
 della Costituzione (Corte cost. 10 aprile 1987  n.  123;  nonche'  n.
 103/1995 cit.)
   Nella  specie,  il  decreto-legge  n. 166 del 1996, nello stabilire
 l'estinzione ope legis dei giudizi  in  corso,  ha  -  come  detto  -
 escluso anzitutto che sugli importi maturati sino al 31 dicembre 1995
 possano  essere  computati  gli  interessi  legali e la rivalutazione
 monetaria,  dei  quali  i soggetti aventi diritto all'integrazione al
 minimo  verrebbero  ad  essere,   quindi,   privati   nonostante   la
 consolidata interpretazione giurisprudenziale ad essi favorevole.
   Poiche' lo ius superveniens e' preordinato, in definitiva, non gia'
 ad  arricchire la situazione patrimoniale degli interessati, bensi' a
 depauperarla attraverso l'esclusione degli "accessori" del credito da
 essi vantato, e'  legittimo  il  dubbio  di  costituzionalita'  della
 disposizione in esame, in relazione all'art. 24 Cost.
   4.2.  -  Il  dubbio investe anche il terzo comma dell'art. 1, nella
 parte in cui stabilisce che all'estinzione dei  giudizi  consegue  la
 "compensazione delle spese tra le parti".
   Attraverso  tale disposizione si sottrae, infatti, al giudice della
 pretesa sostanziale dedotta in giudizio  un  punto  accessorio  della
 controversia  che,  ad  ogni  modo,  anche  per  i riflessi di ordine
 economico sull'entita' dell'incremento  in  concreto  realizzato  dal
 soggetto  vittorioso,  non  puo'  esserne distolto senza che ne resti
 vulnerato, ancora una volta, l'art. 24 Cost. (per riferimenti in  tal
 senso, cfr. Cons. Stato, sez. VI, ord., 3 maggio 1994 n. 664).
   5.1.  -  La disciplina prevista dall'art. 1 del d.-l. n. 166/96 per
 il rimborso delle somme in favore dei soggetti  interessati  realizza
 sotto   un  duplice  aspetto  una  deroga  al  diritto  comune  delle
 obbligazioni.
   Per un verso, tale disposizione consente invero, al soggetto tenuto
 al rimborso, di estinguere  il  proprio  debito  in  sei  annualita',
 precludendo  al  creditore la possibilita' di esigere tempestivamente
 l'adempimento dell'obbligazione nella sua interezza (art. 1181  cc.).
 Per  altro  verso  essa,  prevedendo  che  il rimborso delle somme in
 questione sia effettuato mediante assegnazione agli aventi diritto di
 titoli di Stato aventi libera  circolazione,  legittima  l'estinzione
 delle   relative  obbligazioni  mediante  una  datio  in  solutum,  a
 prescindere dal consenso dal creditore (art. 1197 c.c.).
   Ora, poiche' la predisposizione di questo  particolare  sistema  di
 adempimento   -  inidoneo  a  realizzare  un'immediata  ed  integrale
 ricostituzione del patrimonio del creditore e per di piu' dotato,  in
 qualche   misura,  di  un  carattere  aleatorio  (in  relazione  alle
 oscillazioni che si verifichino nel mercato dei titoli di Stato) - ha
 per destinatari, in assenza di qualsiasi  comprensibile  e  razionale
 giustificazione,  le  sole  categorie  di  pensionati  alle  quali il
 decreto-legge n. 166/96  fa  riferimento,  non  appare  infondato  il
 dubbio  di costituzionalita' della relativa disposizione in relazione
 all'art. 3, comma primo, della Costituzione.
   Non sembra al Collegio che possa  validamente  invocarsi  in  senso
 contrario  il  precedente rappresentato dalla sentenza 30 luglio 1980
 n. 141 del giudice delle leggi, che  dichiaro'  infondata,  anche  in
 relazione  all'art.  3 Cost., la questione di costituzionalita' della
 normativa  che  aveva  stabilito  che  gli  aumenti  derivanti  dalle
 variazioni  del  costo della vita venissero corrisposti, per le fasce
 ivi individuate, tramite buoni del tesoro poliennali.
   Nel caso allora preso in considerazione dalla Corte  costituzionale
 i   soggetti   "colpiti"  dalla  normativa  cui  si  e'  fatto  cenno
 appartenevano, infatti, a categorie diverse  (lavoratori  dipendenti,
 titolari  di  trattamenti  pensionistici,  ecc.),  tra  le quali quel
 "sacrificio" veniva quindi in qualche modo ripartito;  laddove  nella
 fattispecie  i  destinatari  del sistema di adempimento delineato dal
 d.-l.  n.  166/96  coincidono  con  l'area  piu'   svantaggiata   dei
 pensionati (siccome titolari del diritto all'integrazione al minimo),
 i  quali  dovrebbero  in via esclusiva subire le conseguenze negative
 derivanti dalle pur innegabili difficolta' di bilancio della pubblica
 amministrazione. Ne' pare che,  di  fronte  a  tale  piu'  accentuata
 disparita'  di  trattamento, la "tendenza del Parlamento a battere le
 vie di sempre e a non muovere alla  ricerca  di  "ricchezze  novelle"
 meno   agevolmente  identificabili"  gia'  sottolineata  dalla  Corte
 costituzionale nella sentenza  n.  141/80,  possa  -  come  allora  -
 trovare  adeguata  giustificazione nell'ambito della discrezionalita'
 politica riservato al legislatore.
   5.2. -  L'art.  3,  comma  primo,  Cost.  sembra,  poi,  subire  un
 ulteriore  vulnus  dalla  disposizione di cui all'art. 1 del d.-l. n.
 166 del 1996 per la parte in cui esclude dal rimborso  gli  interessi
 legali  e  la  rivalutazione  monetaria  in  relazione  agli  importi
 maturati a tutto il 31 dicembre 1995.
   Una volta che gli interessi legali  e  la  rivalutazione  monetaria
 sono  dovuti - come si e' in precedenza sottolineato - in relazione a
 ciascuna prestazione  di  natura  previdenziale,  appare  in  effetti
 lesivo   del  principio  di  uguaglianza  sancirne  l'esclusione  nei
 confronti di talune categorie di  crediti  (cfr.  al  riguardo  Corte
 cost.  6 dicembre 1988 n. 1060; e 15 marzo 1994 n. 85). Tanto piu' e'
 da ritenere, del resto, ingiustificata tale disparita' di trattamento
 ove si consideri che i destinatari del decreto-legge n. 166 del  1996
 appartengono - come del pari si e' accennato - a fasce sociali tra le
 piu'  svantaggiate,  avendo  l'integrazione  al minimo la funzione di
 integrare la pensione  quando  dal  calcolo  in  base  ai  contributi
 accreditati  al  lavoratore,  ovvero  al de cuius, risulti un importo
 inferiore ad un minimo ritenuto  necessario,  in  mancanza  di  altri
 redditi di una certa consistenza, ad assicurargli mezzi adeguati alle
 esigenze  di  vita  (cosi' Corte cost. n. 240 del 1994, citata sub n.
 2).
   Ne' potrebbero nel caso in esame trovare ingresso - a giudizio  del
 Collegio - le argomentazioni che, in altra fattispecie, hanno indotto
 il  giudice delle leggi ad escludere la violazione dell'art.  3 Cost.
 in  relazione  ai  rimborsi  dovuti  dall'INPS  a  titolo  di  sgravi
 contributivi  per  effetto  della sentenza n. 261 del 191 della Corte
 costituzionale,  rimborsi  che  il  d.-l.  22  marzo  1993,  n.   71,
 convertito  in  legge  20  maggio  1993, n. 151, aveva consentito che
 avvenissero in dieci annualita', senza oneri - per  l'istituto  -  di
 rivalutazione  monetaria  ed  interessi  e  senza  la possibilita' di
 compensazione con i debiti dell'imprenditore nei confronti  dell'INPS
 (sentenza 13 luglio 1995, n. 320).
   In  quel caso, infatti, la Corte costituzionale ha osservato che il
 legislatore, nelle sue discrezionali scelte  di  politica  economica,
 aveva  emanato  norme  di  favore per determinate imprese sgravandole
 dall'onere di corrispondere contributi  sociali  per  incentivare  la
 produzione  e  sviluppare  l'occupazione;  che le imprese escluse dal
 beneficio avevano realizzato, quindi, i loro programmi di  produzione
 ripartendo  costi  e  ricavi  secondo  l'impostazione  dei rispettivi
 bilanci; e che la  successiva  estensione  degli  stessi  benefici  a
 queste  imprese,  conseguente  alla  sentenza  n.  261  del  1991, si
 differenziava da quella situazione originaria poiche' il  rimborso  a
 distanza  di'  tempo  dei contributi non conseguiva piu' le finalita'
 sociali che avevano giustificato lo sgravio  (non  essendo  possibile
 "ora  per  allora"  incentivare  produzione  e  occupazione).  Ed  ha
 ritenuto, pertanto, che non vi fosse una  disparita'  di  trattamento
 tra  le  imprese  che  avevano  beneficiato pienamente degli sgravi e
 quelle destinatarie della legge da ultimo richiamata  in  quanto,  in
 questa diversa prospettiva, ed anche in considerazione delle esigenze
 di   reperimento  delle  necessarie  risorse  finanziarie,  erano  da
 considerare legittimi i limiti e le gradualita'  introdotti  in  tali
 sopravvenute erogazioni.
   Da  quanto  precede  emerge,  quindi, che la particolare disciplina
 allora devoluta al giudizio della  Corte  costituzionale  trovava  la
 propria  giustificazione,  oltre  che nella condizione finanziaria di
 crisi della pubblica amministrazione, nelle diverse finalita' assolte
 dall'istituto degli  sgravi  contributivi  con  riferimento  ai  suoi
 destinatari;  laddove  nel  caso  in  esame  non  sembra ravvisabile,
 nell'ambito   di   quella   parte   della   pensione    rappresentata
 dall'integrazione   al   minimo,   sottratta   ai   beneficiari,  una
 distinzione della sua funzione - previdenziale  -  in  rapporto  alla
 diversa epoca della sua erogazione in loro favore.
   6. - Il dubbio di costituzionalita' in ordine all'art. 1. del d.-l.
 n.  166 del 1996, per la parte presa in considerazione sub n. 5.2, si
 profila, infine, anche in relazione all'art. 38  Cost.,  quanto  meno
 per  il  periodo anteriore alla entrata in vigore dell'art. 16, comma
 sesto, della legge n. 412 del 1991.
   Nella sentenza 12 aprile 1991 n. 156 e' stato affermato dalla Corte
 costituzionale che, per il tramite e nella misura dell'art. 38, comma
 secondo,  Cost.,  si  rende  applicabile   anche   alle   prestazioni
 previdenziali l'art. 36, comma primo, Cost. (di cui l'art. 429 c.p.c.
 e' un modo di attuazione), quale parametro delle esigenze di vita del
 lavoratore;  e  che la mancata previsione di una regola analoga per i
 crediti previdenziali costituisce violazione  non  solo  dell'art.  3
 Cost., ma anche dell'art.  38.
   Ora,  poiche'  l'integrazione  al minimo rappresenta una componente
 non ancora liquidata  dell'ordinaria  pensione  (Cass.  sez.  un.  21
 giugno  1990  n.  6245;  e Corte cost. n. 240/94 cit.), la previsione
 normativa circa la mancata corresponsione degli  interessi  legali  e
 della  rivalutazione monetaria sui crediti a questo titolo maturati a
 tutto il dicembre 1995 sembra porsi in contrasto  con  quel  precetto
 costituzionale.
   7.  - Tenuto conto di tutte le considerazioni che precedono, stante
 la rilevanza - come risulta dalle argomentazioni svolte al punto 2  -
 delle questioni di legittimita' costituzionale delle disposizioni del
 decreto-legge  n. 166 del 1996 sopra indicate, gli atti devono essere
 trasmessi alla Corte costituzionale e deve nel contempo disporsi  che
 la  cancelleria  adempia  alle  notificazioni  ed  alle comunicazioni
 prescritte dall'art. 23 della  legge  11  marzo  1953,  n.  87,  come
 precisate in dispositivo.
                                P. Q. M.
   La  Corte  di cassazione, visto l'art. 23 della legge 11 marzo 1953
 n. 87, dichiara di ufficio non manifestamente infondata la  questione
 di  legittimita'  costituzionale dell'art. 1 del d.-l. 28 marzo 1996,
 n. 166, in relazione agli  artt.  3,  comma  primo,  24  e  38  della
 Costituzione;
   Dispone    l'immediata   trasmissione   degli   atti   alla   Corte
 costituzionale e la sospensione del giudizio in corso;
   Ordina che, a cura della cancelleria,  la  presente  ordinanza  sia
 notificata  alle  parti,  al  procuratore generale presso la Corte di
 cassazione ed al Presidente del Consiglio dei ministri  e  comunicata
 ai Presidenti delle due Camere del Parlamento.
   Cosi' deciso a Roma, il 1 aprile 1996
                         Il presidente: Rapone
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