N. 1045 ORDINANZA (Atto di promovimento) 15 maggio 1996

                                N. 1045
  Ordinanza emessa il 15  maggio  1996  dal  pretore  di  Brescia  sul
 ricorso proposto da Bonacina Teresa contro l'I.N.P.S.
 Previdenza  e  assistenza  sociale  -  Pensioni  I.N.P.S.  - Rimborsi
    conseguenti alle sentenze della Corte costituzionale nn.  495/1993
    e 240/1994 - Previsione del pagamento in sei annualita' e mediante
    emissione  di  titoli  di  Stato - Estinzione dei giudizi pendenti
    alla data  di  entrata  in  vigore  della  normativa  impugnata  -
    Incidenza sul principio della copertura finanziaria.
 Previdenza  e  assistenza  sociale  - Pensioni I.N.P.S. - Pensione di
    riversibilita' - Calcolo, per effetto della sentenza  della  Corte
    costituzionale  n.  495/1993, in proporzione alla pensione diretta
    integrata al trattamento minimo gia' liquidato o che  l'assicurato
    ha  diritto  di  percepire - Violazione del principio di copertura
    finanziaria.
 (D.-L. 28 marzo 1966, n. 166 (recte: 28 marzo 1996), art. 1; legge 21
    luglio 1965, n. 903, art. 22).
 (Cost., art. 81, quarto comma).
(GU n.42 del 16-10-1996 )
                              IL PRETORE
   Visti:
     gli atti difensivi delle parti;
     l'art. 1 del d.-l. 28 marzo 1996, n. 166;
     l'art. 22 della legge 21 luglio 1965, n. 903;
     la sentenza della Corte costituzionale n. 485 del 1993;
     l'art. 11, comma 22, legge 24 dicembre 1993, n. 537;
     la sentenza della Corte costituzionale n. 240 del 1994;
     l'art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87;
     l'art. 1 della legge costituzionale 9 febbraio 1948, n. 1;
     l'art. 1 della legge costituzionale 11 marzo 1953, n. 1;
     gli artt. 81 e 134 della Costituzione;
   Ha pronunciato, dandone integrale lettura, la seguente ordinanza di
 rimessione alla Corte costituzionale  di  questioni  di  legittimita'
 costituzionale,  rilevate  d'ufficio, nella causa r.g. n. 5749/95, in
 materia di previdenza  ed    assistenza  obbligatoria,  promossa  da:
 Bonacina  Teresa,  elettivamente domiciliata in Brescia presso l'avv.
 Michele Salvo, il quale la rappresenta e difende in forza di  procura
 a  margine  del  ricorso,  ricorrente,  contro  l'I.N.P.S. - Istituto
 nazionale  della  previdenza  sociale,  in  persona  del   presidente
 pro-tempore,  rappresentato  e difeso dai dott. procc. Oreste Manzi e
 Alfonso Faienza, procuratori per mandati alle liti a rogito del dott.
 Lupo, notaio in Roma, con domicilio eletto  nel  proprio  ufficio  di
 avvocatura in Brescia, via Cefalonia n. 49, convenuto.
   Nel  presente  giudizio la parte ricorrente, richiamata la sentenza
 n.  495/1993   della   Corte   costituzionale   che   ha   dichiarato
 l'illegittimita'  costituzionale  dell'art. 22 della legge n. 903 del
 1965  "nella  parte  in  cui  non  prevede   che   la   pensione   di
 riversibilita'  sia  calcolata  in  proporzione alla pensione diretta
 integrata al trattamento minimo gia' liquidata al  pensionato  o  che
 l'assicurato avrebbe avuto il diritto di percepire", chiede di vedere
 riconosciuto  il  proprio  diritto  alla  riliquidazione, nei termini
 stabiliti dalla Corte, della pensione di riversibilita'  della  quale
 e'  titolare,  con la conseguente condanna dell'I.N.P.S. al pagamento
 della prestazione nella misura risultante dovuta, con gli  arretrati,
 oltre rivalutazione monetaria ed interessi legali.
   Con il d.-l. 28 marzo 1996, n. 166, in vigore dal 30 marzo 1996, e'
 stato modificato il quadro normativo di riferimento e, poiche' l'art.
 1  del  decreto  risulta non conforme all'art. 81 della Costituzione,
 deve essere rilevata d'ufficio la relativa questione di  legittimita'
 costituzionale.
   Nella  previsione  di una dichiarazione d'incostituzionalita' (come
 anche nell'ipotesi di una mancata conversione in legge dell'art.    1
 del  decreto-legge  n.  166/1996 deve essere altresi', in rapporto di
 causa-effetto, sollevata la questione di legittimita'  costituzionale
 dell'art. 22 della legge n. 903/1965, come "riscritto" nella sentenza
 n. 495 del 1993, per contrasto con l'art. 81 della Costituzione.
   Prima,  pero',  di  entrare  nel merito delle anticipate questioni,
 deve essere chiarito che la presente ordinanza (come  le  altre  gia'
 emesse  e da emettere in ogni processo avente il medesimo oggetto) e'
 solo una versione ridotta delle due precedenti pronunciate in data  1
 aprile  1996,  nelle  cause  promosse da Rossi Giacomina e Manfredini
 Antonia   contro   l'I.N.P.S.,   ed   e'   necessariamente    imposta
 dall'impossibilita'  di  operare dei rinvii "tecnici" in attesa della
 decisione della Corte costituzionale  sulle  due  citate  rimessioni,
 visto che il solo residuo atto - oltre quello qui doverosamente posto
 in  essere  - di giurisdizione previsto dall'art. 1, terzo comma, del
 decreto-legge n. 166/1996 impone di dichiarare d'ufficio l'estinzione
 di tutti i giudizi pendenti.
  L'art. 81 della Costituzione ed il principio di "realismo economico"
   La legge fondamentale della Repubblica italiana  contiene  tutti  i
 principi  piu'  alti di civilta' e tutela tutte le liberta'; le norme
 che li  contemplano  vengono  ritenute  le  piu'  importanti,  ma  si
 dimentica  che,  nella  consapevolezza  del necessario rispetto della
 realta'  economica,  quale  limite  e  strumento  essenziale  per  la
 possibile  e sempre tendenziale attuazione concreta dei grandi ideali
 di  giustizia,  uguaglianza  e  liberta',  la  Costituzione  pone  un
 principio ancora superiore, presente nell'art. 81 della Costituzione:
 la  compatibilita'  delle concrete risorse economiche quale limite di
 realta' al "sogno" di perfezione, quale  strumento  di  difesa  della
 realizzabilita'  dei  grandi principi ideali etici e materiali, quale
 freno alla spesa illimitata di risorse future  al  fine  di  tutelare
 l'esistenza  stessa  della  societa' organizzata, quale monito etico,
 infine, alla responsabilita' verso le future generazioni e alla  piu'
 corretta distribuzione della ricchezza per quelle presenti.
   Cosi',  se  si  volesse  proporre una diversa classificazione delle
 norme costituzionali, l'art. 81 dovrebbe essere  definito  "norma  di
 realta'"  in  contrapposizione  alle  "norme di ideale" e dovrebbe in
 questa  prospettiva  essere  collocato  al  vertice  di   una   nuova
 graduatoria   d'importanza,   dovendosi   riconoscere  che,  pur  non
 affermando elevati principi  "sacrali",  si  pone  a  garanzia  della
 realizzabilita'  (invero  pur  sempre  tendenziale)  delle  "norme di
 ideale", statuendo l'obbligatorio rispetto dei limiti  delle  risorse
 disponibili,  in  modo  tale da consentire al sistema economico dello
 Stato di sostenere il costo della continua evoluzione dei bisogni  di
 civilta' nei confini del possibile, senza sperperare ricchezze future
 non  ancora prodotte, cosi' da evitare il grande rischio (oggi sempre
 piu' drammaticamente concreto) di allontanare sempre piu' nel tempo e
 forse da precludere  definitivamente  l'attuazione  delle  "norme  di
 ideale" della Costituzione.
   In  forza delle superiori premesse e' logico e conseguente desumere
 dall'art.  81  un  forte  principio   costituzionale   sinteticamente
 definibile  principio  di  "realismo economico", che, pur non scritto
 (come  altri  fondamentali:  quello,  immanente  nell'art.   38,   di
 "solidarieta'"  e  quello  di "ragionevolezza", presente nell'art. 3,
 per citare i piu' noti), deve concorrere con  gli  altri  principi  e
 norme  costituzionali per una corretta valutazione della legittimita'
 della legge e degli atti aventi forza di legge.
   L'ineludibile riconoscimento  dei  valori  costituzionali  presenti
 nell'art. 81 deve determinare a carico del legislatore - ma anche del
 giudice  delle  leggi, quando le questioni portate al suo esame siano
 tali da lasciare spazio a decisioni, non necessariamente "addittive",
 che  comportino  una  nuova spesa priva di copertura finanziaria - un
 particolare rispetto dell'art. 81 della Costituzione, quale norma  di
 primaria e vitale importanza.
    La normativa sopravvenuta art. 1 del d.-l. 28 marzo 1996, n. 166
   Come  si  e'  gia' detto, il Governo ha emanato il decreto-legge n.
 166 del 28 marzo 1996 - entrato in vigore il giorno 30  dello  stesso
 mese  e,  dunque,  applicabile  alla presente controversia - ove sono
 dettate, nell'art. 1, una serie di disposizioni dirette  a  risolvere
 in  via definitiva, sia l'annoso problema della copertura finanziaria
 necessaria per il pagamento del "rimborso" (non si puo' non notare la
 forte atecnicita' del  termine)  delle  somme  maturate  fino  al  31
 dicembre   1995   in  favore  degli  aventi  diritto  in  conseguenza
 dell'applicazione  delle  sentenze  della  Corte  costituzionale   n.
 495/1993   e  n.  240/1994,  sia  l'ancora  piu'  antico  contenzioso
 giurisdizionale legato all'accertamento del diritto al calcolo  delle
 pensioni  di  riversibilita'  nella  misura  del  60% del trattamento
 minimo effettivamente goduto dal pensionato deceduto  o  che  sarebbe
 spettato   all'assicurato,  nonche'  alla  "cristallizzazione"  delle
 pensioni a decorrere dal 1 ottobre 1983 nella misura  erogata  al  30
 settembre  1983,  sui  quali sono intervenute le due citate decisioni
 del giudice delle leggi.
   La realta' del decreto-legge pero'  non  e'  minimamente  idonea  a
 raggiungere  gli  scopi sperati, poiche' da luogo a numerosi dubbi di
 legittimita'   costituzionale,   tutti   traducibili   in   questioni
 rilevabili (e gia' rilevate, come si e' detto prima) d'ufficio.
   Tra  le  tante  - senza che a cio' possa attribuirsi significato di
 ripensamento sulla fondatezza delle altre - qui  ne  viene  sollevata
 una  sola,  soprattutto  al  fine  di  ridurre  il  costo complessivo
 dell'intera  "operazione"  che,   come   si   e'   detto,   coinvolge
 singolarmente tutti i giudizi pendenti aventi il  medesimo oggetto, a
 causa  della  previsione  di  cui  al  terzo  comma  dell'art.  1 del
 decreto-legge n. 166/1996.
        Questione di legittimita' costituzionale dell'art. 1 del
                             decreto-legge
 n. 166 del 1996 per violazione  dell'art.  81,  quarto  comma,  della
 Costituzione
   Il  primo  comma  dell'art.  1  del  decreto-legge  n. 166 del 1996
 prevede in applicazione delle sentenze  n.  495/1993  e  n.  240/1994
 della  Corte  costituzionale  il "rimborso" delle somme maturate alla
 data del 31 dicembre 1995 mediante sei annualita', ma il  suo  quarto
 comma  (ove si individuano i mezzi di copertura dell'"onere derivante
 dall'applicazione  del  presente  articolo")  omette  totalmente   di
 indicare  la copertura finanziaria per gli anni 1999, 2000 e 2001: il
 dato e' certo e non opinabile, poiche' vengono  contemplate  solo  le
 annualita' dal 1996 al 1998.
   La violazione dell'ultimo comma dell'art. 81 della Costituzione e',
 per  quanto possa sembrar strano, scritta e riconosciuta nella stessa
 disposizione sopra citata, ove il Governo palesemente si fa carico di
 determinare la copertura solo per tre delle sei  annualita'  previste
 per  il  pagamento  degli  arretrati,  lasciando  cosi'  scoperte  le
 restanti,   con    conseguente    incontrovertibile    illegittimita'
 costituzionale  dell'intero  art.  1  del  decreto-legge n. 166/1996,
 poiche', al fine del rispetto  dell'art.  81,  quarto  comma,  devono
 essere   totalmente   individuate  e  precisate  nella  legge  (anche
 nell'atto avente forza di legge del Governo) che prevede nuove  spese
 le  risorse finanziarie per la copertura piena delle medesime spese e
 non puo' ritenersi soddisfatto tale obbligo, qualora, come  nel  caso
 qui sottosposto a critica, l'indicazione dei "mezzi per farvi fronte"
 non sia completa e precisa.
   Sin  qui  si  e'  in  presenza della tipica violazione del disposto
 espresso dell'art. 81, ultimo  comma,  della  Costituzione,  ma  deve
 essere  rilevato  che  l'art. 1 del decreto-legge n. 166/1996 vulnera
 ancor  piu'  gravemente  il  principio   di   "realismo   economico",
 desumibile dall'art. 81, quale sopra individuato e precisato.
   Infatti  non sembra possibile ritenere che l'assegnazione di titoli
 di Stato costituisca corretto mezzo di  copertura  finanziaria  degli
 oneri  ai  quali  il  decreto-legge vorrebbe dare esecuzione, poiche'
 altro non e' che nuovo indebitamento dello Stato e  quindi  non  puo'
 essere considerato come nuova risorsa per finanziare il pagamento del
 debito:  la  sostituzione  di  un  debito  con un altro debito non e'
 copertura finanziaria di una spesa, ma solo operazione poco limpida.
   Se dovesse passare indenne all'esame del giudice  delle  leggi  una
 siffatta  artificiosa  e  solo apparente copertura delle nuove spese,
 allora dovremmo  riconoscere  che  l'art.  81,  ultimo  comma,  della
 Costituzione   e'   norma   inutile,   o,  peggio,  abrogata  con  il
 decreto-legge che qui si critica.
   Puo' anche essere sostenuto che  la  legge  di  bilancio  non  deve
 rispettare la parita' tra entrate e uscite e puo' essere accettata la
 tesi  secondo  la  quale  e'  sufficiente  la previsione dei mezzi di
 finanziamento per la copertura delle nuove spese, per cui vi  sarebbe
 il  rispetto  dell'art.  81,  ultimo comma, anche se la previsione si
 rivelasse  erronea  ed  ottimistica,  ma  non  si  puo'  accedere   a
 soluzioni,  come  quella adottata dal Governo, nelle quali non vi sia
 neppure  l'ombra  dell'effettivita'  teorica  delle  nuove   risorse,
 limitandosi   l'operazione   a   spostare  la  carenza  di  copertura
 finanziaria ad un'epoca futura, con una sostanziale rinnovazione  del
 debito,  senza  estinzione  dell'obbligazione  reale, la quale resta,
 comunque, sempre a  carico  del  debito  pubblico,  sempre  priva  di
 copertura finanziaria.
   Esaurito   l'esame   della   questione   attinente   l'art.  1  del
 decreto-legge n. 166 del 1996, si puo' passare  alla  discussione  di
 quella attinente la precedente normativa.
   Questione di legittimita' costituzionale dell'art. 22 della legge
 21  luglio  1965,  n.  903, come modificato dalla sentenza n. 495 del
 1993 della Corte costituzionale, per violazione  dell'art.  81  della
 Costituzione
   Il  giudice  delle  leggi  con  la  sentenza  n.  495  del  1993 ha
 dichiarato l'incostituzionalita', per contrasto  con  i  principi  di
 ragionevolezza e di uguaglianza di cui all'art. 3 della Costituzione,
 dell'art.    22  della  legge n. 903 del 1965 "nella parte in cui non
 prevede  che  la  pensione  di  riversibilita'   sia   calcolata   in
 proporzione  alla  pensione  diretta  integrata al trattamento minimo
 gia' liquidata al pensionato o  che  l'assicurato  avrebbe  avuto  il
 diritto di percepire".
   La  norma  in  discorso,  come  modificata per effetto del suddetto
 intervento della Consulta, determina per l'INPS una forte esposizione
 debitoria,  priva  di  finanziamento  (e'  fatto  notorio  comprovato
 dall'art.    1,  quarto  comma, del decreto-legge n. 166 del 28 marzo
 1996,  per  quanto  si  e'  gia'  detto); la causa di tutto cio' deve
 rinvenirsi nell'opinione (erronea) secondo la quale  le  sentenze  di
 natura  addittiva  della  Corte  costituzionale  avrebbero  efficacia
 vincolante erga omnes ed ex  tunc,  opinione  tuttora  prevalente  in
 dottrina e nella giurisprudenza di merito e di legittimita'.
   Nessun  atto  legislativo  delle  due  Camere  (unico  possibile  e
 costituzionalmente legittimo ai sensi dell'art. 136,  secondo  comma,
 della  Costituzione)  e' sinora intervenuto per reperire la copertura
 finanziaria necessaria al fine di consentire all'INPS di  provvedere,
 previa  riliquidazione  delle  pensioni  di riversibilita' secondo il
 dettato  della  sentenza  n.  495/1993,  al  pagamento  delle   somme
 arretrate,   con   gli   accessori   di  legge,  derivanti  da  detta
 riliquidazione.
   E'  piu'  che  evidente  che  il  legislatore,  a   tutt'oggi   (il
 decreto-legge n. 166 del 28 marzo 1996 ne e' riprova) non ha avuto la
 forza  di  dare  attuazione  in senso conforme alla Costituzione alla
 sentenza in discorso, emanando le norme di legge idonee ad acquisirne
 i principi nel diritto positivo  (e  il  ragionamento  vale  identico
 anche  con  riferimento  alla  sentenza  n.  240/1994), nonostante la
 vigenza dell'art. 2, settimo comma, della legge 11 marzo 1988, n. 67,
 che cosi' dispone: "Qualora nel  corso  di  attuazione  di  leggi  si
 verifichino  scostamenti  rispetto  alle  previsioni  di  spesa  o di
 entrate, il Governo ne da' notizia tempestivamente al Parlamento  con
 relazione del Ministro del tesoro e assume le conseguenti iniziative.
 La  stessa  procedura  e' applicata in caso di sentenze definitive di
 organi  giurisdizionali  e   della   Corte   costituzionale   recanti
 interpretazioni  della  normativa vigente suscettibili di determinare
 maggiori oneri".
   Potrebbe essere affermata la responsabilita' politica  dei  Governi
 (e'  chiaro,  per  non  aver  obbedito  al  disposto  sopra riportato
 testualmente dell'art. 2, comma 7, della legge n. 67 del 1988) che si
 sono succeduti dalla data di pubblicazione della sentenza n. 495/1993
 ad oggi, ma senza valenza giuridica,  restando  certo  il  fatto  che
 nessun  intervento  rispettoso  della  Costituzione e' stato posto in
 essere  per  la  copertura  finanziaria  dei  maggiori   oneri,   ne'
 totalmente, ne' parzialmente, non potendosi valutare in modo positivo
 il decreto-legge n. 166/1996, gia' sottoposto a critica.
   Dal  riscontrato  attuale  dato  di  fatto  storico dell'assenza di
 copertura finanziaria, a parere  di  questo  pretore,  non  puo'  che
 discendere   obbligatoriamente   l'affermazione   dell'illegittimita'
 costituzionale dell'art. 22 della legge n. 903/1965, come  modificato
 dal  giudice  delle leggi, per violazione dell'ultimo comma dell'art.
 81 della Costituzione, a nulla rilevando sapere  se  tale  violazione
 dipenda  da  semplice inerzia, o assenza di volonta' del legislatore,
 ovvero (ed e', purtroppo,  questa  l'ipotesi  piu'  veritiera)  dalla
 realta'  di una situazione critica delle finanze dello Stato, tale da
 aver reso, sino ad oggi, impossibile  il  reperimento  delle  risorse
 finanziare  necessarie,  senza  determinare un ulteriore aggravamento
 nel desolante bilancio della nostra Repubblica.
   Unica conseguenza e soluzione possibile sembra essere quella di una
 pronuncia dichiarativa dell'illegittimita'  costituzionale  dell'art.
 22  della legge n. 903 del 1965 nella nuova formulazione creata dalla
 sentenza n. 495 del 1993, con conseguente  cessazione  dell'efficacia
 della  medesima  norma  ai  sensi  dell'art.  136, primo comma, della
 Costituzione e ripristino  della  situazione  normativa  preesistente
 l'intervento del giudice delle leggi.
   Ne'  puo', in contrario, sostenersi con giuridica fondatezza che le
 norme  "virtuali"  create  dalle   sentenze   "leggi"   della   Corte
 costituzionale  siano  avulse  dal  sistema giuridico costituzionale,
 cosi' da non dover obbedire (anche) al dettato dell'art.  81,  ultimo
 comma,   della   Costituzione,  ovvero  che  siano  "refrattarie"  al
 controllo  di  legittimita'  costituzionale,  ovvero  ancora  che  il
 legislatore  debba  dare esecuzione, sempre e comunque, alla volonta'
 della  Corte  e  che  abbia  tempi  illimitati  per  provvedere  alla
 copertura  finanziaria:  se  le  sentenze di natura legislativa della
 Corte hanno davvero forza innovativa nel diritto positivo con obbligo
 di applicazione  (ipotesi,  deve  ribadirsi  ancora,  qui  fortemente
 negata),  tanto  da  fondersi, in modo simile a quanto avviene per le
 leggi  di  interpretazione  autentica,  con   la   norma   dichiarata
 incostituzionale,  determinandone un nuovo contenuto, ebbene, allora,
 queste  norme  "virtuali"  devono  essere  totalmente  conformi  alla
 Costituzione  e  soggiacere  al  vaglio  del giudizio di legittimita'
 costituzionale, come ogni norma di legge.
   Ancora  una  volta,  deve  evidenziarsi  anche  la  violazione  del
 principio  di  "realismo  economico", come sopra teorizzato: la Corte
 costituzionale non ne ha tenuto conto  nel  creare  la  sua  versione
 dell'art.  22  della  legge  n.  903/1965,  determinando  nel sistema
 giuridico l'esistenza di  un  privilegio  che,  benche'  fondato  sui
 principi  di  ragionevolezza ed uguaglianza, si appalesa eccessivo (e
 in  qualche  misura  anche  superfluo)  proprio  perche'  il  sistema
 economico  non  e'  in grado (e non lo era nel 1993) di soddisfare il
 costo del miglior trattamento, senza spendere risorse future.
   Si pone  in  discussione  qui  senza  equivoci  la  realizzabilita'
 economica  della  tutela concessa dalla sentenza n. 495/1993 (nonche'
 dalla n.   240/1994) in assenza di  versamenti  contributivi  che  ne
 sorreggano  interamente  il  costo  ed  in presenza di una situazione
 della finanza pubblica tale da non  consentire  piu'  l'esistenza  di
 privilegi  che  non  si  autofinanzino,  non  essendo  ormai  neppure
 concepibile un  aumento  della  pressione  fiscale  per  reperire  le
 risorse  necessarie  per la soddisfazione di bisogni non essenziali -
 come reso evidente dallo stesso decreto-legge n.  166  del  1996  che
 evita  ogni  ricorso  alla  fiscalita'  generale, scegliendo la, gia'
 criticata, soluzione dell'indebitamento ulteriore dello Stato,  senza
 minimamente  considerare  che  ogni  aggravamento del debito pubblico
 determina ineluttabilmente la  mortificazione  delle  speranze  delle
 future  generazioni,  gravate  dalle conseguenze degli sperperi delle
 precedenti, compresa quella presente.
  Sulla non manifesta infondatezza e sulla rilevanza  in  causa  delle
 sopra esposte questioni di legittimita' costituzionale
   Le  questioni  in discorso non sono manifestamente infondate e sono
 tutte rilevanti,  poiche'  il  presente  giudizio  non  puo'  "essere
 definito indipendentemente" dalla loro risoluzione: e' piu' che ovvio
 che  la dichiarazione della illegittimita' costituzionale dell'art. 1
 del decreto-legge n. 166/1996 avrebbe l'effetto  di  ripristinare  la
 vigenza della normativa precedente, restituendo nel contempo a questa
 autorita'  giudiziaria  competente  la  funzione  attribuitale  dalla
 Costituzione   di   amministrare   la   giustizia  secondo  la  legge
 costituzionalmente vigente, l'art. 22 della legge n.  903  del  1965,
 con  conseguente  necessita'  dell'esame  di  costituzionalita',  nei
 (limitati) termini oggi proposti, della appena  citata  disposizione,
 come  modificata  dalla sentenza n. 495 del 1993, poiche' ai fini del
 decidere e' importante avere certezza in ordine alla vigenza  o  meno
 dell'art. 22 della legge n.  903/1965, come determinata (nell'erronea
 opinione  prevalente)  dalla  sentenza  n.  495/1993,  e poiche' tale
 certezza puo' derivare, con valore assoluto solo (salvo ovviamente un
 sempre  possibile  intervento  legislativo  delle  due   Camere   del
 Parlamento)  da  una  decisione  della  Corte costituzionale, risulta
 necessario investire  il  giudice  delle  leggi  della  questione  di
 costituzionalita' come sopra precisata, essendone, peraltro, piu' che
 palese  per  le  argomentazioni  che precedono, senza altro superfluo
 commento,  anche  la  rilevanza  nel   presente   giudizio,   poiche'
 l'eventuale   dichiarazione   d'illegittimita'   costituzionale   per
 violazione dell'art. 81  sarebbe,  senza  possibilita'  di  contrasto
 neppure  negli  eventuali  gradi  successivi  del giudizio, motivo di
 rigetto della domanda proposta in causa.
                                P. Q. M.
   Solleva d'ufficio questione di legittimita' costituzionale:
    dell'art. 1 del decreto-legge n.  166  del  1966,  per  violazione
 dell'art. 81 della Costituzione;
    dell'art.  22  della legge 21 luglio 1965, n. 903, come modificato
 dalla sentenza n. 495/1993 della Corte costituzionale, per violazione
 dell'art. 81 della Costituzione;
   Sospende il giudizio;
   Ordina  la  trasmissione  degli  atti  alla  Corte  costituzionale,
 disponendo  la  notifica  al  Presidente  del Consiglio dei Ministri,
 oltre  alla  comunicazione  ai  Presidenti  delle  due   Camere   del
 Parlamento;
   Manda alla cancelleria per l'esecuzione.
     Brescia, addi' 15 maggio 1996
                           Il pretore: Onni
 96C1476