N. 1146 ORDINANZA (Atto di promovimento) 20 febbraio - 17 settembre 1996
N. 1146 Ordinanza emessa il 20 febbraio 1996 (pervenuta alla Corte costituzionale il 17 settembre 1996) dalla corte d'appello di Milano, nei procedimenti civili riuniti vertenti tra C.I.M.E.P. ed altri e la cooperativa "La Felice" s.r.l. ed altri. Espropriazione per pubblica utilita' - Criterio per la determinazione delle indennita' espropriative per la realizzazione di opere da parte o per conto dello Stato o di altri enti pubblici (media tra il valore dei terreni ed il reddito dominicale rivalutato, con la riduzione dell'importo cosi' determinato del quaranta per cento) - Estensione di detto criterio di valutazione anche alla misura dei risarcimenti dovuti in conseguenza di illegittime occupazioni acquisitive - Ingiustificata deroga al principio civilistico dell'integrale risarcimento del danno da parte dell'autore dell'illecito - Irrazionale e ingiustificata equiparazione delle espropriazioni regolari e delle ablazioni sine titulo - Incidenza sul diritto di proprieta' e sui principi di imparzialita' e buon andamento della p.a. (Legge 28 dicembre 1995, n. 549, art. 1, comma 65). (Cost., artt. 3, primo comma, 42, terzo comma, e 97, primo comma).(GU n.43 del 23-10-1996 )
LA CORTE D'APPELLO Ha pronunciato la seguente ordinanza nelle cause riunite n. 1183/1993, 1599/1993 e 1288/1993 r.g., promosse dal Consorzio Internazionale Milanese per l'Edilizia Popolare (C.I.M.E.P.), in persona del presidente in carica, rappresentato e difeso dall'avv. Giuseppe Sampietro ed elettivamente domiciliato presso il predetto avvocato in Milano, via Carlo Poerio 37, come da procura in calce all'atto d'appello contro la Cooperativa edificatrice "La Felice" s.r.l., rappresentata e difesa dall'avv., Bruno Donde', presso il cui studio e' elettivamente domiciliata, come da procura a margine della comparsa di costituzione; e dal Ministero delle poste e telecomunicazioni, in persona del Ministro in carica, rappresentato e difeso dall'Avvocatura distrettuale dello Stato di Milano, presso i cui uffici e', per legge, domiciliato contro la Cooperativa edificatrice "La Felice" s.r.l., come sopra rappresentata, difesa ed elettivamente domiciliata e nei confronti del: 1) C.I.M.E.P. - Consorzio Internazionale Milanese Per L'Edilizia Popolare - come sopra rappresentato, difeso ed elettivamente domiciliato; 2) comune di Cinisello Balsamo, in persona del sindaco in carica, rappresentato e difeso dall'avv. Fortunato Pagano, presso il cui studio in Milano e' elettivamente domiciliato, come da procura in calce alla copia dell'atto d'appello; 3) ITALPOSTE -Edilizia di Interesse Pubblico S.P.A. (non costituita); Nonche' dalla Cooperativa edificatrice "La Felice" s.r.l., rappresentata e difesa dall'avv. Bruno Donde', presso il cui studio e' elettivamente domiciliata, come da procura a margine dell'atto d'appello contro il comune di Cinisello Balsamo, in persona del sindaco in carica, rappresentato e difeso dall'avv. Fortunato Pagano, presso il cui studio in Milano e' elettivamente domiciliato, come da procura in calce alla copia notificata dell'atto d'appello. Esaminati gli atti ed i documenti di causa; ritenuto che con decreto del 29 gennaio 1981 il sindaco del comune di Cinisello Balsamo ha disposto l'occupazione d'urgenza, a favore del C.I.M.E.P., di un'area di proprieta' della Cooperativa edificatrice "La Felice" s.r.l. e che l'occupazione ha avuto inizio il successivo 25 marzo; rilevato che con atto di citazione la predetta Cooperativa ha convenuto davanti al tribunale di Milano il menzionato comune, il C.I.M.E.P. ed il Ministero delle poste e telecomunicazioni (essendo stato assegnato alla ITALPOSTE S.P.A., in nome e per conto del Ministero il diritto di superficie relativamente a mq 6760 dell'area occupata); Ritenuto che l'attrice ha allegato l'irriversibile destinazione dell'area all'opera pubblica, la scadenza del termine dell'occupazione legittima e la mancata pronuncia del decreto d'espropriazione; Ritenuto che la Cooperativa "La Felice" ha chiesto la condanna dei convenuti (oltre al pagamento dell'indennita' di occupazione d'urgenza) al risarcimento del danno subito in conseguenza della perdita della proprieta' del terreno occupato, verificatosi per accessione invertita; Ritenuto che i convenuti si sono costituiti (ad eccezione del comune di Cinisello Balsamo, rimasto contumace), resistendo alle domande dell'attrice; Rilevato che e' intervenuta volontariamente la Italposte Edilizia di Interesse Pubblico S.p.a.; Rilevato che con sentenza n. 3646 del 19-26 marzo 1992 l'adito tribunale ha condannato in solido il C.I.M.E.P: ed il Ministero delle poste e telecomunicazioni a pagare alla Cooperativa "La Felice" s.r.l. la somma di L. 1.280.000.000, nonche' l'ulteriore somma di L. 64.000.000, oltre agli interessi del 10% annuo (compresa in tale percentuale la rivalutazione monetaria) ed oltre alle spese processuali poste a carico dei convenuti e dell' intervenuta; Ritenuto che la sopra menzionata sentenza e' stata appellata dal C.I.M.E.P., dal predetto ministero dalla Cooperativa "La Felice" e dal comune di Cinisello Balsamo; Considerato che la causa all'udienza collegiale odierna e' stata assegnata in decisione, si osserva: la legge 28 dicembre 1995 n. 549 (in vigore dal 1 gennaio 1996 ai sensi dell'art. 3, duecentoquarantaquattresimo comma), prevede all'art. 1, sessantacinquesimo comma, che "il sesto comma dell'art. 5-bis del d.-l. 11 luglio 1992 n. 333, convertito con modificazioni dalla legge 8 agosto 1992 n. 359, e' sostituito dal seguente: "''6. Le disposizioni di cui al presente articolo si applicano in tutti i casi in cui non sono stati ancora determinati in via definitiva il prezzo, l'entita' dell'indennizzo e/o del risarcimento del danno, alla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto''". Il procuratore e difensore del comune di Cinisello Balsamo assume che il criterio di commisurazione del danno al valore del bene, nel caso (di cui qui si tratta) di accessione invertita e' ormai superato, avendo l'art. 1, sessantacinquesimo comma, della citata legge esteso anche alla fattispecie in esame (liquidazione dei danni per occupazione acquistiva). Il difensore e procuratore della Cooperativa edificatrice "La Felice" s.r.l. fa, del pari, rilevare che l'art. 1, sessantacinquesimo comma, della legge 28 dicembre 1995 n. 549 ha esteso i criteri di valutazione dell'indennita' di esproprio anche alla liquidazione del danno da accessione invertita; sostiene tuttavia che la suddetta disposizione sarebbe da ritenere in contrasto con gli artt. 3, primo comma, 28, 42, terzo comma e 97, primo comma della Costituzione. Si deve rilevare che l'art. 5-bis evidenzia il riferimento all'indennita' di espropriazione conseguente al procedimento espropriativo portato a termine, in ogni sua fase, in conformita' a legge; invero, il primo comma concerne espressamente il calcolo dell'indennita' di esproprio e presuppone l'ablazione legittima della proprieta'; il secondo comma, disciplina la cessione volontaria che puo' avvenire in "ogni fase del procedimento espropriativo" e che lo conclude, consentendo al soggetto espropriato di evitare la decurtazione del 40 per cento dell'importo determinato ai sensi del primo comma; il terzo e il quarto comma riguardano le regole per la valutazione "della edificabilita' delle aree" e le norme applicabili (quelle di cui al titolo II della legge 22 ottobre 1971 n. 865, e successive modificazioni ed integrazioni) per la determinazione dell'indennita' di esproprio, e ove sia stata disposta ed attuata, dell'indennizzo per l'occupazione temporanea legittima, nel caso di procedimento avente per oggetto aree agricole e, comunque, non classificabili come edificabili, ai sensi del terzo comma. Il quinto comma fa riferimento al "regolamento da emanare ............ per la definizione dei criteri e requisiti per la individuazione dell'edificabilita' di fatto .............". Il sesto comma dell'art. 5-bis, testo previgente a quello introdotto con l'art. 1, sessantacinquesimo comma, legge n. 549 del 1995, faceva espresso riferimento all'indennita' di espropriazione, alla quale si riferisce anche il settimo comma. Non c'e' dubbio, quindi, che l'art. 5-bis detta i criteri per il computo dell'indennita' spettante al soggetto che abbia perso la proprieta' del fondo a seguito di procedimento amministrativo culminato nella pronuncia di un efficace decreto di esproprio o nella stipulazione di un contratto di diritto pubblico (nel caso di cessione volontaria) che in tale procedimento si inserisce e ne costituisce la fase conclusiva, con conseguente inapplicabilita' di tale articolo in tema di risarcimento del danno da illegittima occupazione acquisitiva (Cass. 4 maggio 1995 n. 4853). Come e' noto, l'occupazione appropriativa costituisce frutto di elaborazione giurisprudenziale secondo cui l'occupazione illegittima (cioe' senza valido titolo sin dall'inizio, oppure non seguita da decreto di esproprio nel periodo in cui si configura come legittima) e la irreversibile destinazione del fondo occupato alla realizzazione dell'opera pubblica producono, quanto all'acquisto del bene in capo alla pubblica amministrazione, gli stessi effetti giuridici di un decreto di esproprio; cio' vale a dire che l'accessione invertita concreta una fattispecie di espropriazione "sostanziale", termine quest'ultimo che sottolinea che la vicenda ablativa avviene con violazione delle norme di legge che fissano i casi e i modi per il sacrificio della proprieta' privata ai fini di interesse generale. Piu' compiutamente, quanto agli effetti complessivi dell'accessione invertita, occorre osservare che, come ritenuto pure dalla Corte suprema di cassazione (con giurisprudenza che ormai si puo' ritenere consolidata) l'azione del privato volta ad ottenere una somma di denaro corrispondente al valore del fondo perduto in seguito ad occupazione illegittima ed irreversibile trasformazione di esso in opera pubblica, soggiace al termine quinquennale di prescrizione stabilito dall'art. 2947, primo comma, c.c.; infatti l'acquisto originario della proprieta' in capo alla pubblica amministrazione e' effetto dell'impossibilita' di restituzione del bene, a sua volta dipendente dal comportamento illecito dell'amministrazione medesima, consistente nella realizzazione dell'opera pubblica con violazione delle norme che fissano i casi e i modi per il sacrificio della proprieta' privata ai fini di interesse generale e, pertanto, la suddetta azione inerisce non ad un credito di controvalore in rispondenza ad un lecito acquisto della proprieta' a titolo originario, ma a credito risarcitorio per fatto illecito (cfr. Cass. 4 maggio 1995 n. 4853; Cass. 4 maggio 1995 n. 4862; Cass. 2 ottobre 1993 n. 9826). Sia l'esame del precedente testo, sia l'esegesi dell'intero art. 5-bis conducono a ritenere che, con l'art. 1, sessantacinquesimo comma, della citata legge n. 549 del 1995, si e' inteso stabilire che per la liquidazione del danno da accessione invertita si applicano gli stessi criteri vigenti per la determinazione dell'indennita' di espropriazione. La questione di costituzionalita' del citato art. 1, sessantacinquesimo comma, legge n. 549 del 1995, in riferimento agli artt. 3, primo comma, 42, terzo comma e 97, primo comma della Costituzione, appare rilevante, ai fini della decisione e non manifestamente infondata. Si e' gia' osservato che la disposizione (art. 1, sessantacinquesimo comma, legge citata) della cui costituzionalita' si dubita,ha stabilito per la liquidazione del danno da accessione invertita si applicano i criteri dettati dall'art. 5-bis d.-l. 11 luglio 1992 n. 333 (convertito con modificazioni dalla legge 8 agosto 1992 n. 359) per la determinazione dell'indennita' di espropriazione. Sulla rilevanza della questione di costituzionalita' non possono sorgere dubbi; basta considerare, infatti, che prima dell'entrata in vigore dell'art. l, sessantacinquesimo comma, legge n. 549, la liquidazione del danno da cessione invertita andava effettuata per un ammontare corrispondente al valore di mercato del fondo alla data della perdita della proprieta' da parte del privato e del contemporaneo acquisto della proprieta' stessa a titolo originario, da parte della pubblica amministrazione, dipendente dal comportamento illecito (art. 2043 c.c.) dell'amministrazione medesima. Invece, secondo il disposto dell'art. 1, sessantacinquesimo comma, legge n. 549 del 1995 (in vigore dal 1 gennaio 1996) la liquidazione del danno, in questa causa, va effettuata in base ai criteri dettati dall'art. 5-bis legge n. 359 del 1992; in definitiva va liquidato un importo pari a circa un terzo del valore venale. Si osserva ora che la questione di costituzionalita' si appalesa tutt'altro che manifestamente infondata. Invero la Corte costituzionale con sentenza n. 442 del 2-16 dicembre 1993 (in Gazzetta Ufficiale del 22 dicembre 1993 prima serie speciale - n. 52), nel ritenere non fondata la censura mossa all'art. 5-bis per disparita' di trattamento (art. 3 della Costituzione) tra la fattispecie dell'espropriazione delle aree edificabili e quella dell'accessione invertita, ha rilevato che si trattava di fattispecie assolutamente divaricate e non comparabili, essendo caratterizzata la prima, dalla sussistenza di un procedimento secundum legem (ossia dal rispetto dei presupposti formali e sostanziali che rappresentano altrettante garanzie per il proprietario espropriato) "e, quindi, vengono in rilievo le opzioni (discrezionali) del legislatore in ordine al criterio di calcolo dell'indennita' di espropriazione; la seconda ipotesi (accessione invertita) si colloca fuori dai canoni della legalita' perche' e' la stessa realizzazione dell'opera pubblica sull'area occupata, ma non espropriata, ad impedire di fatto la retrocessione ed a comportare l'effetto traslativo della proprieta' del suolo per accessione all'opera stessa) "e, quindi, ben puo' operare il diverso principio secondo cui chi ha subito un danno per effetto di un'attivita' illecita ha diritto ad un pieno ristoro. Per altro verso e' giustificato che l'ente espropriante il quale non faccia ricorso ad un legittimo procedimento espropriativo per acquisire l'area edificabile, subisca conseguenze piu' gravose di quelle previste ove invece sia rispettoso dei presupposti formali e sostanziali prescritti dalla legge perche' si determini l'effetto di ablazione dell'area (cosi', sentenza citata, punto ''3-4....'')". Quanto sopra premesso, si puo' rilevare che il legislatore con la norma censurata ha equiparato, riguardo all'accessione invertita, "fattispecie assolutamente divaricate e non comparabili; infatti, prescrivendo che per la liquidazione del danno si applicano gli stessi principi vigenti per la determinazione dell'indennita' di espropriazione, ha stabilito che la pubblica amministrazione che pone in essere un comportamento lesivo di un diritto soggettivo e' obbligata a risarcire non gia' l'intero danno provocato al privato, ma a corrispondergli, a titolo risarcitorio, un importo pari a circa un terzo del pregiudizio subito. Orbene, come gia' osservato, nel caso di occupazione appropriativa (o accessione invertita), l'azione del privato inerisce non ad un credito di controvalore in rispondenza ad un lecito acquisto della proprieta' a titolo originario, ma ad un credito risarcitorio per fatto illecito aquiliano (art. 2043 c.c.). Ne consegue che la disparita' di trattamento e l'irrazionalita' della disposizione censurata (in riferimento all'art. 3, primo comma della Costituzione) e' desumibile innanzi tutto, sotto il profilo delle diverse conseguenze giuridiche del fatto illecito nel caso che responsabile del comportamento antigiuridico sia la p.a. e nel caso di responsabilita' aquiliana facente capo a soggetto diverso. In quest'ultima ipotesi l'autore del fatto illecito e' obbligato a risarcire al danneggiato l'intero pregiudizio subito, cioe' a ristorarlo di tutte le conseguenze pregiudizievoli (almeno di natura patrimoniale) derivanti dal fatto contra ius"; nella prima ipotesi, invece, la pubblica amministrazione, pur vertendosi sempre in tema di danno da illecito aquiliano, si avvale della norma (ingiustificata, in base al principio di uguaglianza), secondo cui l'obbligo risarcitorio e' limitato a circa un terzo del danno cagionato. Si deve rilevare anche che la disparita' di trattamento e l'irrazionalita' del citato art. 1, sessantacinquesimo comma, sembra configurarsi anche sotto un ulteriore profilo, cioe' quello che il legislatore prevede e disciplina in modo uguale fattispecie diseguali. Infatti, mentre nel caso di espropriazione secundum legem il privato assoggettato alla procedura ablativa viene privato della proprieta' del fondo nel rispetto dei principi formali e sostanziali ed a seguito di un procedimento che si conclude con la pronuncia di un decreto di esproprio, in conformita' a norme di legge la cui osservanza costituisce una garanzia di legalita', nel caso di accessione invertita (o espropriazione sostanziale) l'ablazione della proprieta' e' conseguenza di un comportamento illecito della pubblica amministrazione, fonte dell'obbligazione di risarcimento del danno. Tuttavia l'ente espropriante, sia che faccia ricorso ad un legittimo procedimento espropriativo, sia che non vi faccia ricorso ed acquisisca l'area in conseguenza di un fatto illecito, e' obbligato allo stesso modo; in entrambi i casi e' tenuto a corrispondere la stessa somma; inoltre, il proprietario espropriato non gia' a seguito di procedimento espropriativo conforme a legge, ma a seguito di illecito della p.a. (c.d. espropriazione sostanziale) non ha diritto al risarcimento dell'intero danno subito, ma, in definitiva, ad un'indennita' di espropriazione (pari a circa un terzo del valore del bene), cosi' come il proprietario ablato a conclusione di un procedimento promosso e concluso nel rispetto delle norme formali e sostanziali che lo disciplinano. L'art. l, sessantacinquesimo comma, della legge n. 549 del 1995 pone anche una non manifestamente infondata questione di costituzionalita' anche in riferimento all'art. 42, terzo comma della Costituzione, ai sensi del quale la proprieta' privata "puo' essere, nei casi previsti dalla legge, e salvo indennizzo, espropriata per motivi d'interesse generale". Orbene, non sembra dubbio che la riserva di legge si riferisca pure ai presupposti sostanziali, ai modi e alle forme previste dalle norme ordinarie vigenti che delineano un procedimento finalizzato all'ablazione della proprieta' privata e che si articola in diverse fasi e si conclude con il decreto di esproprio (oppure con la cessione volontaria che ne tiene luogo) e per effetto del quale si verifica il trasferimento della proprieta' del terreno in capo alla pubblica amministrazione e, piu' precisamente, all'ente espropriante. Quindi, il terzo comma dell'art. 42 della Costituzione, nel prevedere che la proprieta' privata puo' essere espropriata, nei casi stabiliti dalla legge, per motivi di interesse generale e salvo indennizzo, si riferisce all'espropriazione effettuata in base ad un procedimento conforme a legge ed idoneo a produrre l'effetto dell'esproprio. Infatti, la citata norma costituzionale fa salvo l'indennizzo, vale a dire l'indennita' di esproprio. Cio' significa che la norma presuppone ed esige che l'attivita' della p.a. si svolga nell'ambito ed attraverso una serie di atti connotati non solo da legittimita', ma anche da liceita' e dunque non lesivi del diritto di proprieta' del privato che, pur assoggettato al procedimento ablatrio ed affievolito, in presenza delle condizioni previste dalla legge, viene acquisito dall'espropriante solo a seguito del decreto di esproprio; "pronunciata l'espropriazione e trascritto il relativo provvedimento, tutti i diritti relativi agli immobili espropriati possono essere fatti valere esclusivamente sull'indennita'" (art. 14, legge 22 ottobre 1971 n. 865 e successive modificazioni, che riproduce il principio gia' dettato dall'art. 52, secondo comma, della legge 25 giugno 1865 n. 2359). L'art. 1, sessantacinquesimo comma,, legge n. 549 del 1995, nel prevedere che nel caso di accessione invertita, il privato ha diritto ad una somma corrispondente all'indennizzo previsto dall'art. 5-bis , legge n. 359 del 1992 (che presuppone l'ablazione della proprieta' secondo legge), in definitiva viene ad equiparare all'ablazione della proprieta' privata per effetto della pronuncia del decreto di espropriazione, la c.d. espropriazione sostanziale (o accessione invertita) che, per le caratteristiche contra ius che la connotano, non ha nulla a che vedere (fatta eccezione per l'ablazione della proprieta') con l'esproprio "salvo indennizzo", previsto dal citato terzo comma dell'art. 42 della Costituzione, sicche' la suddetta equiparazione sembra non conforme alla citata norma costituzionale. L'art. 1, sessantacinquesimo comma, legge n. 549 non sembra neppure conforme al precetto dettato dal l'art. 97, primo comma della Costituzione, ai sensi del quale i pubblici uffici sono organizzati secondo disposizioni di legge, in modo che siano assicurati il buon andamento e l'imparzialita' dell'amministrazione. Come e' stato osservato anche dalla dottrina, oltre ai principi della buona amministrazione e di imparzialita', un altro principio essenziale dell'azione amministrativa si desume dalle numerose riserve di legge enunciate nella Costituzione (artt. 13 e segg., art 24 e 113); esso e' il principio di legalita' del quale costituiscono alcune specificazioni gli articoli suddetti, l'art. 42, terzo comma e il primo comma dell'art. 97 citato. Si puo' aggiungere che il principio di legalita' non solo costituisce uno dei principi cardine dell'ordinamento costituzionale, ma, nel contesto dell'art. 97 ed in relazione alle finalita' da esso perseguite, tale principio assume una rilevanza peculiare. Invero il principio di imparzialita' dell'azione amministrativa (che costituisce negazione di quello dell'arbitrio) si ridurrebbe ad una enunciazione meramente teorica se non fosse ancorato al principio di legalita' (salve, ovviamente, nell'ambito consentito dalle leggi, le opzioni discrezionali della p.a.); inoltre nemmeno il principio di buon andamento dell'amministrazione potrebbe essere assicurato se esso non fosse improntato a criteri di legge ma a mere valutazioni soggettive. Considerato, dunque, che il principio di legalita' permea il precetto dettato dall'art. 97, primo comma, della Costituzione, non si puo' certo ritenere che la norma censurata si armonizzi con tale principio; piuttosto, l'art. 1, sessantacinquesimo comma,, legge n. 549 del 1995 puo' essere idoneo a stimolarne (in tema di espropriazione per pubblica utilita', per quel che qui interessa) la violazione. Infatti non si puo' non considerare che il piu' volte citato sessantacinquesimo comma, equipara il caso dell'accessione invertita e quello in cui la privazione della proprieta' costituisce l'effetto della pronuncia di un decreto di esproprio, con riguardo all'onere economico posto a carico dell'espropriante ed al correlativo diritto spettante al privato per la perdita della proprieta' dell'area. In entrambi i casi il proprietario, privato del suo diritto sul bene, ha diritto ad una somma corrispondente all'indennita' di espropriazione da calcolare secondo i criteri previsti dall'art. 5-bis della legge n. 359 del 1992. Tuttavia, come piu' volte sottolineato, si tratta di fattispecie assolutamente non comparabili perche', nell'ipotesi di procedimento espropriativo svoltosi nel rispetto dei presupposti formali e sostanziali (stabiliti anche a garanzia dell'espropriato) l'ablazione della proprieta' si verifica in conformita' a legge e per effetto del provvedimento di espropriazione, mentre, nel caso dell'accessione invertita, l'azione della pubblica amministrazione si pone fuori dai canoni di legalita' e comporta la lesione del diritto soggettivo del privato, fonte dell'obbligazione di risarcimento del danno. Predeterminata l'obbligazione risarcitoria nella corresponsione non gia' di una somma pari all'intero ammontare del danno subito dal privato, ma equivalente all'indennita' calcolata in base ai parametri dell'art. 5-bis (e pari ad un terzo circa del valore del bene), la norma sospettata di incostituzionalita', in definitiva, sembra idonea ad incrinare lo stesso principio di legalita'. Basta considerare i numerosi casi di accessione invertita che e' dato cogliere nell' esperienza giudiziaria per pervenire alla conclusione che con la disciplina introdotta dall'art. 1, sessantacinquesimo comma, legge n. 549 del 1995, non solo si sono equiparate fattispecie incomparabili, ma anche si e' posto un fondamento normativo che lascia prevedere una moltiplicazione di fattispecie caratterizzate dall'ablazione del diritto di proprieta' contra legem. Infatti, tenuto conto che l'obbligazione dell'amministrazione espropriante viene a coincidere, nel suo ammontare, sia quando la proprieta' del terreno venga acquisita a seguito di espropriazione conforme a legge, sia quando venga acquisita per effetto di occupazione appropriativa (o accessione invertita), il rispetto del principio di legalita', sotto il profilo suddetto, potrebbe apparire irrilevante.
P. Q. M. Visti gli artt. 1 della legge costituzionale 9 febbraio 1948, n. 1, e 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87, nonche' l'art. 1 della delibera 16 marzo 1956 (Gazzetta Ufficiale 24 marzo 1956, n. 71, ed. speciale); ritenuta la rilevanza e la non manifesta infondatezza della questione di legittimita' costituzionale dell'art. 1, sessantacinquesimo comma, della legge 28 dicembre 1995 n. 549, in riferimento agli artt. 3, primo comma, 42, terzo comma e 97, primo comma della Costituzione, ordina la trasmissione, con la prova delle notificazioni e comunicazioni di seguito indicate, degli atti alla Corte costituzionale per la risoluzione della questione stessa. Dispone la sospensione del giudizio. Ordina che, a cura della cancelleria, la presente ordinanza sia notificata ai procuratori delle parti e al Presidente del Consiglio dei Ministri e che della stessa sia data comunicazione ai Presidenti delle due Camere del Parlamento. Milano, addi' 20 febbraio 1996 Il presidente: Loi 96C1577