N. 335 SENTENZA 30 settembre - 8 ottobre 1996

 
 
 Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale.
 
 Sicurezza pubblica  -  Procedimento  di  prevenzione  -  Morte  della
 persona interessata - Inizio o proseguimento del procedimento ai soli
 fini  dell'applicazione  dei provvedimenti patrimoniali di sequesto e
 confisca dei beni ritenuti frutti  di  attivita'  illecite  -  Omessa
 previsione - Riferimento all'ordinanza della Corte n. 721/1988 che ha
 trattato analoga questione e alla sentenza n. 465/1993 - Esistenza di
 un  nesso  di  presupposizione  tra misure personali e patrimoniali -
 Rilevanza della pericolosita' personale  soggettiva  -  Richiesta  di
 sentenza    additiva   nel   campo   della   politica   criminale   -
 Inammissibilita'.
 
 (Legge 31 maggio 1965, n. 575, art. 2-ter, settimo comma).
 
 (Cost., artt. 3, 42 e 112)
(GU n.42 del 16-10-1996 )
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
 composta dai signori:
  Presidente: avv. Mauro FERRI;
  Giudici:  prof.  Luigi  MENGONI,  prof.  Enzo  CHELI,  dott.  Renato
 GRANATA,  prof.  Giuliano  VASSALLI,  prof.  Francesco  GUIZZI, prof.
 Cesare MIRABELLI, prof.  Fernando  SANTOSUOSSO,  avv.  Massimo  VARI,
 dott.   Cesare   RUPERTO,   dott.  Riccardo  CHIEPPA,  prof.  Gustavo
 ZAGREBELSKY, prof. Valerio ONIDA, prof. Carlo MEZZANOTTE;
 ha pronunciato la seguente
                                Sentenza
 nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'art. 2-ter,  settimo
 comma,  della  legge  31  maggio 1965, n. 575 (Disposizioni contro la
 mafia), promosso con ordinanza emessa il 6 luglio 1995 dal  Tribunale
 di  S.  Maria  Capua  Vetere  nel  procedimento  di  prevenzione  nei
 confronti  di  Migliore  Luigi,  iscritta  al  n.  637  del  registro
 ordinanze 1995 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica
 n. 42, prima serie speciale, dell'anno 1995;
   Visto  l'atto  di  intervento  del  Presidente  del  Consiglio  dei
 Ministri;
   Udito nella camera di consiglio  del  12  giugno  1996  il  giudice
 relatore Gustavo Zagrebelsky;
                           Ritenuto in fatto
   1.  -  Nel  corso  di  un  giudizio per l'applicazione di misure di
 prevenzione  personali  e  patrimoniali  nei  confronti  di   persona
 pericolosa,  instaurato  a  norma  della legge 31 maggio 1965, n. 575
 (Disposizioni contro la  mafia),  il  Tribunale  di  S.  Maria  Capua
 Vetere, con ordinanza del 6 luglio 1995, ha sollevato, in riferimento
 agli  artt. 3, 42 e 112 della Costituzione, questione di legittimita'
 costituzionale dell'art.  2-ter, settimo comma, della  legge  n.  575
 del  1965  citata,  nella parte in cui non prevede che, oltre che nei
 casi di assenza, o di residenza o dimora all'estero, anche  nel  caso
 di  morte della persona proposta il procedimento di prevenzione possa
 essere iniziato o  proseguito  ai  soli  fini  dell'applicazione  dei
 provvedimenti  patrimoniali  di  sequestro e confisca dei beni che si
 ritengono frutto di attivita' illecite  o  che  ne  costituiscono  il
 reimpiego.
   2.  - Nell'ordinanza di rinvio si riferisce che nel giudizio a quo,
 dopo l'avvio del procedimento, in base alla richiesta del procuratore
 della Repubblica competente, il Tribunale  -  previo  svolgimento  di
 indagini  ex  art.  2-ter  citato,  primo  comma  - aveva disposto il
 sequestro  di   alcuni   beni   che   risultavano   nella   effettiva
 disponibilita'  del  proposto,  pur  se formalmente intestati a terzi
 (familiari). In sede di esecuzione del  provvedimento  di  sequestro,
 peraltro,  si  era  accertato  che  l'interessato  era  nel frattempo
 deceduto, per morte violenta; il Tribunale  procedente  aveva  quindi
 sospeso l'esecuzione del provvedimento cautelare patrimoniale. Di qui
 la  proposizione  della  questione  di  costituzionalita',  rilevante
 perche'  pregiudiziale  all'ulteriore  iter  del  procedimento:  solo
 nell'ipotesi  di  accoglimento,  osserva  il  giudice  rimettente, il
 procedimento di prevenzione potrebbe proseguire, con l'esecuzione del
 sequestro,   e  poi  essere  definito,  con  la  confisca  o  con  la
 restituzione dei beni; in caso contrario, allo stato della disciplina
 positiva, esso dovrebbe concludersi immediatamente.
   3. - Il Tribunale rileva in primo luogo che la precedente pronuncia
 resa dalla Corte costituzionale su questione  analoga  (ordinanza  n.
 721  del  1988)  era  intervenuta  su un tessuto normativo diverso da
 quello applicabile al caso (perche' precedente la stessa disposizione
 impugnata dell'art. 2-ter, settimo  comma,  introdotta  solo  con  la
 legge 19 marzo 1990, n. 55).
   Il  rimettente  muove  quindi  dalla  ricognizione  della  generale
 interdipendenza tra le misure personali e  quelle  patrimoniali,  nel
 senso  che  queste  presuppongono quelle; sia in base alla disciplina
 positiva che secondo la giurisprudenza, infatti,  il  sequestro  puo'
 intervenire  solo  ell'ambito  di  un  procedimento  gia' avviato per
 l'applicazione  della  misura  personale,  e  la  confisca   richiede
 l'applicazione  di  quest'ultima.  Questa configurazione generale del
 sistema delle misure patrimoniali del resto confermata  dalla  stessa
 Corte  costituzionale,  che  -  nella  sentenza  n. 465 del 1993 - ha
 sostanzialmente affermato, anche se in una  fattispecie  particolare,
 l'esigenza che la misura personale preceda quella reale.
   Ma  se  indubbiamente  esiste  questo  nesso  in  via di principio,
 esistono pure - osserva il Tribunale -  significative  eccezioni,  in
 base  alle  quali  prevista  la  possibilita' di applicare una misura
 preventiva patrimoniale senza doversi applicare ovvero  eseguire  una
 misura di carattere personale.
   Cosi'  e',  in  primo  luogo, proprio in base all'impugnato settimo
 comma dell'art.  2-ter  della  legge  n.  575  del  1965,  introdotto
 dall'art.  2 della legge n. 55 del 1990, che consente di instaurare o
 proseguire  il  procedimento,  ai  soli  fini dell'applicazione della
 misura patrimoniale, nei confronti di chi risulti "assente, residente
 o  dimorante  all'estero",  e  dunque  verso  soggetti  passibili  di
 astratta  irrogazione,  ma  non  di concreta esecuzione, della misura
 preventiva. Cosi' e', analogamente, per il  successivo  ottavo  comma
 dell'art. 2-ter, relativo al caso in cui la persona sia sottoposta ad
 una misura di sicurezza detentiva o alla liberta' vigilata e pertanto
 non  possa  essere  soggetta all'applicazione della misura personale.
 Cosi' avviene, ancora, in base all'art. 14  della  legge  n.  55  del
 1990,  che  consente l'adozione di provvedimenti cautelari e ablativi
 nei confronti  degli  indiziati  di  appartenenza  alle  associazioni
 dedite  al  traffico  di  stupefacenti,  e  che sembra permettere, ad
 avviso  del  Tribunale,   di   prescindere   dall'esistenza   di   un
 provvedimento  preventivo  personale.  Analoga  scissione  tra misura
 personale e misura patrimoniale, infine,  e'  contenuta  negli  artt.
 3-quater  e  3-quinquies  della legge n. 575 del 1965, introdotti dal
 decreto-legge n. 306 del 1992, convertito  dalla  legge  n.  356  del
 1992,   che  consentono  indagini  e  provvedimenti  patrimoniali  in
 relazione a beni che "agevolino" l'attivita' della  persona  nei  cui
 riguardi sia proposta o applicata una misura preventiva personale; in
 questa  ipotesi,  le  misure reali ricadono su beni di persone terze,
 senza il consueto collegamento in termini di disponibilita' del  bene
 da parte del proposto.
   D'altra  parte,  osserva il rimettente, anche nei procedimenti c.d.
 atipici,  regolati  dai  commi  settimo  ed  ottavo  dell'art.  2-ter
 impugnato, la mancata applicazione della misura personale non esclude
 il   rilievo   del   presupposto   generale  dell'accertamento  della
 pericolosita'   soggettiva  della  persona,  accertamento  che  viene
 effettuato pur sempre dal giudice, anche se incidenter  tantum:  cio'
 che  il  legislatore  ha  voluto  evitare,  in  definitiva, e' che la
 pratica impossibilita'  di  applicare  concretamente  una  misura  di
 prevenzione  personale  a  causa  di  vicende  estranee  al  relativo
 procedimento, come appunto l'assenza  o  l'allontanamento  all'estero
 del  proposto, possa avere effetti paralizzanti sull'iter applicativo
 della  misura  patrimoniale,  di   cui   permangono   le   condizioni
 legittimanti.
   Nel  raffronto con l'anzidetta disciplina, pertanto, l'ordinanza di
 rinvio delinea un primo profilo di  censura,  riferito  all'art.    3
 della  Costituzione: come nelle ipotesi richiamate, anche nel caso di
 morte  della  persona  si  verifica  una   identica   situazione   di
 interruzione del nesso fra la persona stessa e la misura patrimoniale
 che dovrebbe sottostare alla medesima regolamentazione, perche' anche
 in tale evenienza i beni suscettibili di confisca sono "connotati dal
 vizio  genetico  della  illecita provenienza e ... non possono essere
 lasciati  circolare   sulla   base   del   solo   presupposto   della
 impossibilita'  di  poterne  ulteriormente  godere  per  il  proposto
 deceduto".
   La disciplina impugnata, viceversa, viene a  creare  ingiustificate
 disparita' di trattamento nell'ambito dei soggetti terzi, intestatari
 fittizi  dei  beni  che sono in realta' disponibili dall'interessato:
 terzi, come nella specie, che  si  "avvantaggiano"  della  morte  del
 proposto, rispetto a quelli intestatari dei beni del soggetto assente
 o all'estero, che rimangono esposti alla possibilita' di ablazione.
   Ulteriori disparita' sono poi ipotizzabili all'interno della stessa
 categoria  dei terzi nell'ambito del medesimo procedimento, a seconda
 del  momento  in  cui  intervengono  i   provvedimenti   patrimoniali
 preventivi rispetto al decesso del proposto; nonche' tra gli eredi di
 quest'ultimo,  che  acquistano  la  titolarita'  dei beni se la morte
 interviene prima della confisca,  mentre  ne  sono  privati  in  caso
 contrario.
   Tutte   le   anzidette  differenziazioni  risultano,  in  sostanza,
 irragionevoli,  alla  luce  della  finalita'  ultima   delle   misure
 preventive   patrimoniali,   volte  a  eliminare  dalla  circolazione
 economica i beni che siano provento diretto o indiretto di  attivita'
 illegali.
   4.  -  Alla  notazione  che precede si collega una seconda censura,
 riferita al parametro dell'art. 42 della Costituzione.
   La funzione sociale della proprieta' privata richiede,  secondo  la
 prospettazione  del  Tribunale, che la relativa tutela costituzionale
 venga meno quando si tratta di beni di  provenienza  illegale,  anche
 quando questi beni pervengano nella disponibilita' di soggetti terzi,
 non interessati al procedimento di prevenzione.
   In altri termini, la garanzia della proprieta' in tanto varrebbe in
 quanto possa assolvere la propria funzione sociale che consiste nella
 sua capacita' di favorire e incrementare lo sviluppo di altri diritti
 costituzionalmente  protetti.  Ma  se  cio' non avviene, e se anzi si
 verifica la  "mortificazione"  di  quella  funzione,  il  diritto  di
 proprieta'  diviene antisociale e ne viene meno la ragione di tutela;
 una valutazione, questa, rispetto alla quale risulta  ininfluente  la
 circostanza della esistenza in vita dell'interessato, proprio perche'
 si tratta di una antisocialita' che segue il bene. E tra i beni e gli
 interessi,  costituzionalmente  rilevanti,  da  valutare  nell'ambito
 della tutela della  proprieta',  vi  sono  le  esigenze  di  garanzia
 dell'iniziativa privata, il cui libero ed equilibrato esercizio viene
 alterato  da  fattori  estranei  che  ne  inquinano  le condizioni di
 funzionamento; vi sono, inoltre, i profili della solidarieta' sociale
 ed economica, che trovano concretizzazione attraverso lo  svolgimento
 di  attivita'  lavorative legali, mentre le acquisizioni illecite, se
 non  contrastate,  incrementano  i  vincoli  intimidatori  e  rendono
 "allettante" l'attivita' illegale finalizzata al profitto.
   5.  -  Infine, il Tribunale individua un profilo di contrasto anche
 con  l'art.  112  della  Costituzione,  ravvisando  nella  disciplina
 impugnata  un ingiustificato impedimento all'"azione di prevenzione",
 che, pur distinta da quella penale in senso stretto, segue le  regole
 di  giurisdizionalizzazione  proprie del processo penale; una vicenda
 come la morte del proposto non dovrebbe dunque avere alcuna efficacia
 interruttiva   del   procedimento,    relativamente    alle    misure
 patrimoniali.
   6.  -  E'  intervenuto  in giudizio il Presidente del Consiglio dei
 Ministri,  rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura  generale  dello
 Stato.
   L'Avvocatura   deduce  l'inammissibilita'  o  l'infondatezza  della
 questione, sul  rilievo  dell'analogia  della  questione  rispetto  a
 quella  gia'  decisa con l'ordinanza n. 721 del 1988. Come allora, il
 giudice a quo mira oggi a  una  pronuncia  additiva  che  estenda  la
 confisca  di  prevenzione  a  ipotesi  attualmente  non  previste; un
 intervento, questo, di carattere normativo in ambito sanzionatorio, o
 comunque limitativo di  diritti,  che,  per  costante  giurisprudenza
 della Corte, travalica i limiti del sindacato di costituzionalita'.
   Il  rilievo,  conclude l'Avvocatura, e' risolutivo, e non valgono a
 superarlo le argomentazioni del remittente incentrate sulle  limitate
 novita'  introdotte  dal  legislatore  con  i  commi settimo e ottavo
 dell'art.  2-ter impugnato.
                        Considerato in diritto
   1. - Il Tribunale di S. Maria Capua Vetere sottopone  al  controllo
 di  costituzionalita'  l'art.  2-ter,  settimo  comma, della legge 31
 maggio 1965, n. 575 (Disposizioni contro la mafia),  nella  parte  in
 cui  non  prevede  che, oltre che nei casi di assenza, di residenza o
 dimora all'estero, anche nel caso di morte della persona interessata,
 il procedimento di prevenzione possa essere iniziato o proseguito  ai
 soli   fini   dell'applicazione  dei  provvedimenti  patrimoniali  di
 sequestro e confisca dei beni  che  si  ritengono  essere  frutto  di
 attivita' illecite o costituirne il reimpiego.
   Tale  mancata previsione, ad avviso del giudice rimettente, darebbe
 luogo a un'omissione incostituzionale, per violazione degli artt.  3,
 42 e  112  della  Costituzione:  dell'art.  3,  in  quanto  la  norma
 impugnata,  non  consentendo l'applicazione delle misure patrimoniali
 di  prevenzione  quando  il   soggetto   interessato   sia   defunto,
 introdurrebbe  un'irragionevole  disparita'  di  trattamento rispetto
 alle ipotesi di assenza, di residenza o  dimora  all'estero,  nonche'
 rispetto  ad  altre  ipotesi  - che il rimettente individua in quelle
 previste dall'art. 2-ter, ottavo comma,  e  dagli  artt.  3-quater  e
 3-quinquies  della stessa legge n. 575 del 1965, nonche' dall'art. 14
 della legge 19 marzo 1990, n. 55 - nelle  quali  l'irrogazione  delle
 misure  patrimoniali  prescinde dalla previa irrogazione della misura
 personale di prevenzione; dell'art. 42 con riferimento in particolare
 alla "funzione sociale" della proprieta' in esso prevista, in  quanto
 l'impossibilita'  di  sottoporre  a  sequestro  e confisca i beni del
 sospettato che sia defunto consentirebbe il commercio di beni che  il
 legislatore  considera  "antisociali",  avendo una provenienza che si
 sospetta illecita; dell'art. 112, in quanto la  denunciata  omissione
 legislativa  violerebbe  l'obbligo  di  esercitare  l'azione  penale,
 obbligo sotto il  quale  ricadrebbe  l'impulso  nel  procedimento  di
 prevenzione.
   2.  -  La  questione,  analoga  a quella affrontata da questa Corte
 nell'ordinanza n. 721 del 1988,  e'  inammissibile,  conformemente  a
 quanto allora deciso.
   2.1.  -  Nel  vigente  sistema  della  legislazione  di prevenzione
 anti-mafia, come e' riconosciuto dal giudice  rimettente,  l'adozione
 di  misure  di  ordine  patrimoniale  -  il sequestro e la confisca -
 accede normalmente all'applicazione delle misure di ordine personale,
 secondo una scelta del legislatore che questa Corte ha  ritenuto  non
 priva di ragionevolezza (sentenza n. 465 del 1993).
   Il sequestro e' disposto con decreto motivato, anche d'ufficio, dal
 tribunale  e riguarda i beni nella disponibilita' diretta o indiretta
 della persona nei cui  confronti  e'  iniziato  il  procedimento  per
 l'applicazione  delle  misure  previste  dall'art.  3  della legge 27
 dicembre 1956, n.  1432 (Misure di prevenzione  nei  confronti  delle
 persone  pericolose  per  la  sicurezza e per la pubblica moralita'),
 beni i quali risultino di valore sproporzionato al reddito dichiarato
 o all'attivita' economica svolta o che,  sulla  base  di  sufficienti
 indizi,  si  ha  motivo  di  ritenere  che  siano frutto di attivita'
 illecite o che ne costituiscano il  reimpiego  (art.  2-ter,  secondo
 comma, della legge n. 575 del 1965).  La confisca riguarda i medesimi
 beni cosi' sottoposti a sequestro e, a meno che non ne sia dimostrata
 la   legittima   provenienza,   e'   disposta   dal   tribunale   con
 l'applicazione della misura personale  di  prevenzione  (art.  2-ter,
 terzo  comma,  legge  n.  575  del  1965).   Il sequestro segue cosi'
 all'apertura del procedimento di  prevenzione;  la  confisca,  a  sua
 volta,  segue  al  sequestro  e presuppone l'adozione della misura di
 prevenzione  personale.  Entrambi  i  provvedimenti  possono   essere
 disposti  anche  in  un  secondo  momento,  purche' entro determinati
 limiti (prima della cessazione della misura personale di prevenzione,
 ovvero, la sola confisca, entro un  anno,  prorogabile  di  un  altro
 anno,  dalla  data  del  sequestro:  art. 2-ter, terzo e sesto comma,
 della legge n. 575 del 1965, coordinati come indicato nella  sentenza
 n. 465 del 1993 di questa Corte).
   Dal sistema legislativo vigente risulta dunque, come principio, che
 le  misure  di  ordine patrimoniale non hanno la loro ragion d'essere
 esclusivamente nei caratteri  dei  beni  che  colpiscono.  Esse  sono
 rivolte  non  a  beni  come  tali, in conseguenza della loro sospetta
 provenienza illegittima, ma a beni che,  oltre  a  cio',  sono  nella
 disponibilita'  di persone socialmente pericolose, in quanto sospette
 di appartenere ad associazioni di tipo mafioso o ad altre alle  prime
 equiparate  (art.  2-ter,  secondo e quarto comma, della legge n. 575
 del 1965).  La pericolosita' del bene, per cosi' dire, e' considerata
 dalla legge derivare dalla pericolosita' della persona  che  ne  puo'
 disporre.
   A  cio' e' da aggiungere, peraltro, una differenza tra il sequestro
 e  la  confisca,  quanto  alle  conseguenze.  Indipendentemente   dai
 problemi  di natura classificatoria, e' evidente che la confisca, pur
 inserendosi in un procedimento di prevenzione, presenta caratteri che
 vanno al di la' di quelli propri del sequestro, "misura" definita  da
 questa  Corte  (sentenza  n.  465  del  1993)  di "ordine cautelare",
 inerente alla pericolosita' di un soggetto e destinata a  venir  meno
 cessando,  con  la  pericolosita',  le ragioni della cautela (si veda
 l'art. 2-ter,  quarto  comma,  della  legge  n.  575  del  1965).  La
 confisca,  invece,  comporta  conseguenze  ablatorie definitive (art.
 2-nonies della legge n. 575 del 1965) e  si  distacca  percio'  dalla
 contingente  premessa  che giustifica tanto il sequestro quanto tutte
 le altre misure di carattere preventivo, valide "allo  stato",  cioe'
 subordinatamente  al  permanere - oltre che degli altri presupposti -
 della pericolosita' del soggetto. La ratio della  confisca  comprende
 ma   eccede  quella  delle  misure  di  prevenzione  consistendo  nel
 sottrarre definitivamente il bene al "circuito economico" di origine,
 per inserirlo in altro,  esente  dai  condizionamenti  criminali  che
 caratterizzano il primo.
   Ed  e'  proprio  su  questa  differenza  che si basa quella recente
 giurisprudenza di legittimita' (Cass. S.U. penali, 17 luglio 1996, n.
 18) che, in relazione alla confisca ma non al sequestro, ha affermato
 come "punto di diritto" la non-caducazione della misura gia' disposta
 per effetto del decesso del soggetto prima  della  definitivita'  del
 relativo  provvedimento,  sempre  che  i  presupposti di indimostrata
 legittima provenienza dei beni oggetto di confisca, da un lato, e  di
 pericolosita'    del   soggetto,   dall'altro,   siano   gia'   stati
 definitivamente accertati. Cio' si spiega per  l'appunto  perche'  la
 ratio  della  confisca,  a  differenza  di  quella  delle  misure  di
 prevenzione  in  senso  proprio,  va  al  di  la'  dell'esigenza   di
 prevenzione  nei  confronti  di  soggetti  pericolosi  determinati  e
 sorregge dunque la misura anche  oltre  la  permanenza  in  vita  del
 soggetto pericoloso.
   2.2.  - E' vero peraltro che, eccezionalmente, l'anzidetto nesso di
 presupposizione tra le misure personali e quelle patrimoniali manca o
 e' attenuato.
   Cio' avviene, come ricordato nell'ordinanza del giudice rimettente,
 in alcune ipotesi inserite successivamente nel corpo della  legge  n.
 575  del  1965. L'impugnato art. 2-ter, settimo comma, della legge n.
 575, introdotto dall'art. 2 della legge 19 marzo 1990, n.  55  (Nuove
 disposizioni  per  la prevenzione della delinquenza di tipo mafioso e
 di altre gravi forme di  manifestazione  di  pericolosita'  sociale),
 consente  di instaurare o proseguire il procedimento nei confronti di
 persona  assente,  residente  o  dimorante  all'estero,  alla   quale
 "potrebbe  applicarsi"  la  misura di prevenzione personale, "ai soli
 fini dell'applicazione dei provvedimenti" patrimoniali di sequestro e
 confisca. L'ottavo comma del medesimo articolo (introdotto  anch'esso
 dall'art.  2  della  legge  19 marzo 1990, n. 55) estende la medesima
 possibilita' nei confronti dei beni  di  persona  gia'  sottoposta  a
 misura di sicurezza detentiva o a liberta' vigilata.
   Il   nesso  tra  la  misura  personale  e  quella  patrimoniale  e'
 ulteriormente allentato negli  artt.  3-quater  e  3-quinquies  della
 legge  n.  575  del  1965 (introdotti dall'art. 24 del d.-l. 8 giugno
 1962, n. 306, convertito in legge 7 agosto 1992, n.  356),  i  quali,
 per potenziare la difesa contro i fenomeni di ingresso nell'attivita'
 economica  e  di  strumentalizzazione  della  stessa  da  parte della
 criminalita'  di  tipo  mafioso,   prevedono   la   possibilita'   di
 sospensione   temporanea   dell'amministrazione   dei   beni   e  poi
 eventualmente la loro  confisca  anche  in  ipotesi  in  cui  i  beni
 sottoposti  alla  misura  non  siano  nella disponibilita' di persone
 pericolose ma vengano impiegati per agevolarne l'attivita'.
   E, infine, nelle anzidette ipotesi di  superamento  del  nesso  tra
 misura  personale  e  misura  reale  il  giudice rimettente include -
 secondo una ricostruzione interpretativa, formulata dubitativamente -
 la previsione dell'art. 14 della legge n. 55 del  1990,  che  prevede
 l'applicazione    delle   "misure   di   prevenzione   di   carattere
 patrimoniale" relativamente a beni riferibili a soggetti  "indiziati"
 di  appartenere  ad  associazioni  di  tipo mafioso, alla camorra, ad
 organizzazioni equiparate a norma dell'art. 1 della legge n. 575  del
 1965,  o  ad  associazioni  operanti nel traffico degli stupefacenti,
 ovvero  riferibili  a  soggetti  abitualmente   dediti   a   traffici
 delittuosi  o  che  vivono  abitualmente  con i proventi di attivita'
 delittuosa (art. 1, primo comma, nuneri 1 e 2, della  legge  n.  1423
 del  1956), quando si ritenga che i proventi derivino da un'attivita'
 prevista dagli artt. 629,  630,  644,  648-bis,  648-ter  del  codice
 penale, o da attivita' di contrabbando.
   Da  questo  quadro risulta che, fermo restando come ipotesi normale
 il collegamento tra la misura patrimoniale  e  quella  personale,  in
 alcuni  casi  quest'ultima  puo'  mancare.  Ma  cio'  non significa -
 contrariamente all'assunto del  giudice  rimettente,  il  quale  trae
 spunto  dalle  norme  richiamate per sostenere l'avvenuta rottura del
 nesso tra misure patrimoniali e quelle  di  prevenzione  personale  e
 quindi  la  novita'  della  presente questione rispetto a quella gia'
 decisa nel senso dell'inammissibilita' con la citata ordinanza n. 721
 del 1988 - che il sequestro e la confisca si siano resi  indipendenti
 dall'esistenza  di  individuate persone pericolose, a vantaggio delle
 quali i  beni  colpiti  potrebbero,  direttamente  o  indirettamente,
 essere impiegati.
   Nel  caso dell'assenza e della residenza o della dimora all'estero,
 la  pronuncia  della  misura  patrimoniale  presuppone  comunque  una
 valutazione  di  pericolosita'  della  persona,  come  si  ricava dal
 sistema, e' affermato dalla giurisprudenza ed e'  riconosciuto  dallo
 stesso  giudice rimettente.   In altri casi, la misura di prevenzione
 personale e', per cosi' dire, resa superflua  o  assorbita  da  altre
 misure  gia'  in atto, come le misure di sicurezza, che presuppongono
 anch'esse una valutazione di pericolosita' della  persona.  In  altri
 ancora,  la pericolosita' viene dalla legge desunta dall'esistenza di
 indizi  di  situazioni  personali,  anche  penalmente  rilevanti,  di
 particolare  gravita'. E, infine, vi sono ipotesi in cui la rilevanza
 della pericolosita' soggettiva e' non abolita  ma,  per  cosi'  dire,
 spostata  da  chi  ha  la disponibilita' economica dei beni a chi dal
 loro impiego viene avvantaggiato nella propria attivita' criminosa.
   Da tutto cio' si trae conferma del fatto che, pur in presenza di un
 allargamento del campo di applicazione dello strumento di prevenzione
 nei confronti della  criminalita'  economica  di  matrice  mafiosa  o
 equiparata  -  allargamento che, in alcune limitate ipotesi, ha fatto
 venir meno  la  necessaria  concorrenza  tra  il  procedimento  o  il
 provvedimento   di   prevenzione   personale   e   il   provvedimento
 patrimoniale  -,  il  legislatore  e'  rimasto  comunque  fermo   nel
 richiedere,  per  l'emanazione  dei  provvedimenti  di sequestro e di
 confisca, un collegamento tra la cautela patrimoniale  e  l'esistenza
 di  soggetti  individuati,  da ritenere pericolosi alla stregua della
 legislazione dettata per contrastare la criminalita' mafiosa e quella
 a questa equiparata.
   3.1. - In tale quadro,  pur  indubbiamente  caratterizzato  da  una
 tendenza  a  rendere  in taluni casi autonoma l'azione giudiziaria di
 prevenzione reale da quella di prevenzione  personale,  la  pronuncia
 d'incostituzionalita'  prospettata  dal giudice rimettente, rivolta a
 integrare le previsioni dell'art. 2-ter, settimo comma,  della  legge
 n. 575 del 1965, aggiungendo il decesso della persona sospettata alle
 ragioni  che  gia' oggi consentono di separare le misure patrimoniali
 da quelle personali e quindi di disporre le prime  in  assenza  delle
 altre,   non  rappresenterebbe  una  semplice  razionalizzazione  del
 sistema,  rispetto  alle  linee  che  gia'  oggi  lo  caratterizzano,
 operazione  che possa essere condotta alla stregua dell'invocato art.
 3 della Costituzione e del principio  di  razionalita'  che  da  tale
 articolo  deriva.  Rappresenterebbe  invece una vera e propria scelta
 innovativa di politica criminale - conforme a quella in effetti a suo
 tempo prospettata, ma senza esito, nella sede parlamentare, durante i
 lavori preparatori della legge n. 55 del 1990 (Camera dei deputati, X
 legislatura, II commissione, seduta del 20 settembre 1989) - che  non
 solo  presupporrebbe  l'autonomia  dei  due  tipi di provvedimenti ma
 travolgerebbe anche il principio,  finora  sempre  tenuto  fermo  dal
 legislatore,  che  l'adottabilita'  di  misure  patrimoniali consegue
 all'esistenza di un rapporto tra beni colpiti e  soggetti  pericolosi
 in  grado  di  disporre  di  essi  o di essere avvantaggiati dal loro
 impiego,  soggetti  ai  quali  quindi,  secondo  l'espressione  della
 disposizione   impugnata,   "potrebbe   applicarsi"   la   misura  di
 prevenzione personale, cio' che,  con  ogni  evidenza,  alla  persona
 defunta "non potrebbe".
   La pronuncia richiesta a questa Corte dal giudice rimettente non si
 collocherebbe  dunque  all'interno del sistema legislativo vigente al
 fine di razionalizzarne gli elementi costitutivi alla luce  dell'art.
 3  della Costituzione, ma rappresenterebbe un'innovazione conseguente
 a una scelta di politica criminale la  quale,  in  quanto  tale,  non
 rientra nei poteri del giudice di costituzionalita' delle leggi.
   L'estraneita'   al   sistema   legislativo  vigente  del  risultato
 normativo cui mira il giudice rimettente rende dunque tuttora attuale
 la ragione di inammissibilita' fatta valere nell'ordinanza n. 721 del
 1988 di questa Corte. L'affermazione,  in  essa  contenuta,  che  "un
 intervento  di  produzione  normativa" quale quello ipotizzato allora
 come ora, in particolare in materia  sanzionatoria  o,  quanto  meno,
 limitativa  di  diritti,  compete  esclusivamente  al  legislatore e,
 pertanto, esorbita dai poteri di questa Corte  sta  per  l'appunto  a
 significare  che  la  politica  criminale  spetta  alla legislazione,
 mentre  al  giudizio  di  costituzionalita'  delle  leggi  spetta  la
 garanzia  degli inviolabili limiti che la Costituzione predetermina e
 il legislatore incontra, a salvaguardia dei diritti individuali.
   3.2. - Le predette considerazioni sull'estraneita' ai poteri  della
 Corte  costituzionale  della pronuncia a essa richiesta valgono anche
 rispetto agli altri  profili  della  questione  di  costituzionalita'
 proposta.
                           Per questi motivi
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
   Dichiara   l'inammissibilita'   della   questione  di  legittimita'
 costituzionale dell'art. 2-ter, settimo comma, della legge 31  maggio
 1965,   n.   575   (Disposizioni  contro  la  mafia),  sollevata,  in
 riferimento agli artt.  3, 42 e 112 della Costituzione, dal Tribunale
 di S. Maria Capua Vetere, con l'ordinanza indicata in epigrafe.
   Cosi' deciso  in  Roma,  nella  sede  della  Corte  costituzionale,
 Palazzo della Consulta, il 30 settembre 1996.
                          Il Presidente: Ferri
                       Il redattore: Zagrebelsky
                        Il cancelliere: Di Paola
   Depositata in cancelleria l'8 ottobre 1996.
               Il direttore della cancelleria: Di Paola
 96C1630