N. 335 SENTENZA 30 settembre - 8 ottobre 1996
Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale. Sicurezza pubblica - Procedimento di prevenzione - Morte della persona interessata - Inizio o proseguimento del procedimento ai soli fini dell'applicazione dei provvedimenti patrimoniali di sequesto e confisca dei beni ritenuti frutti di attivita' illecite - Omessa previsione - Riferimento all'ordinanza della Corte n. 721/1988 che ha trattato analoga questione e alla sentenza n. 465/1993 - Esistenza di un nesso di presupposizione tra misure personali e patrimoniali - Rilevanza della pericolosita' personale soggettiva - Richiesta di sentenza additiva nel campo della politica criminale - Inammissibilita'. (Legge 31 maggio 1965, n. 575, art. 2-ter, settimo comma). (Cost., artt. 3, 42 e 112)(GU n.42 del 16-10-1996 )
LA CORTE COSTITUZIONALE composta dai signori: Presidente: avv. Mauro FERRI; Giudici: prof. Luigi MENGONI, prof. Enzo CHELI, dott. Renato GRANATA, prof. Giuliano VASSALLI, prof. Francesco GUIZZI, prof. Cesare MIRABELLI, prof. Fernando SANTOSUOSSO, avv. Massimo VARI, dott. Cesare RUPERTO, dott. Riccardo CHIEPPA, prof. Gustavo ZAGREBELSKY, prof. Valerio ONIDA, prof. Carlo MEZZANOTTE;
ha pronunciato la seguente Sentenza nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'art. 2-ter, settimo comma, della legge 31 maggio 1965, n. 575 (Disposizioni contro la mafia), promosso con ordinanza emessa il 6 luglio 1995 dal Tribunale di S. Maria Capua Vetere nel procedimento di prevenzione nei confronti di Migliore Luigi, iscritta al n. 637 del registro ordinanze 1995 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 42, prima serie speciale, dell'anno 1995; Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei Ministri; Udito nella camera di consiglio del 12 giugno 1996 il giudice relatore Gustavo Zagrebelsky; Ritenuto in fatto 1. - Nel corso di un giudizio per l'applicazione di misure di prevenzione personali e patrimoniali nei confronti di persona pericolosa, instaurato a norma della legge 31 maggio 1965, n. 575 (Disposizioni contro la mafia), il Tribunale di S. Maria Capua Vetere, con ordinanza del 6 luglio 1995, ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, 42 e 112 della Costituzione, questione di legittimita' costituzionale dell'art. 2-ter, settimo comma, della legge n. 575 del 1965 citata, nella parte in cui non prevede che, oltre che nei casi di assenza, o di residenza o dimora all'estero, anche nel caso di morte della persona proposta il procedimento di prevenzione possa essere iniziato o proseguito ai soli fini dell'applicazione dei provvedimenti patrimoniali di sequestro e confisca dei beni che si ritengono frutto di attivita' illecite o che ne costituiscono il reimpiego. 2. - Nell'ordinanza di rinvio si riferisce che nel giudizio a quo, dopo l'avvio del procedimento, in base alla richiesta del procuratore della Repubblica competente, il Tribunale - previo svolgimento di indagini ex art. 2-ter citato, primo comma - aveva disposto il sequestro di alcuni beni che risultavano nella effettiva disponibilita' del proposto, pur se formalmente intestati a terzi (familiari). In sede di esecuzione del provvedimento di sequestro, peraltro, si era accertato che l'interessato era nel frattempo deceduto, per morte violenta; il Tribunale procedente aveva quindi sospeso l'esecuzione del provvedimento cautelare patrimoniale. Di qui la proposizione della questione di costituzionalita', rilevante perche' pregiudiziale all'ulteriore iter del procedimento: solo nell'ipotesi di accoglimento, osserva il giudice rimettente, il procedimento di prevenzione potrebbe proseguire, con l'esecuzione del sequestro, e poi essere definito, con la confisca o con la restituzione dei beni; in caso contrario, allo stato della disciplina positiva, esso dovrebbe concludersi immediatamente. 3. - Il Tribunale rileva in primo luogo che la precedente pronuncia resa dalla Corte costituzionale su questione analoga (ordinanza n. 721 del 1988) era intervenuta su un tessuto normativo diverso da quello applicabile al caso (perche' precedente la stessa disposizione impugnata dell'art. 2-ter, settimo comma, introdotta solo con la legge 19 marzo 1990, n. 55). Il rimettente muove quindi dalla ricognizione della generale interdipendenza tra le misure personali e quelle patrimoniali, nel senso che queste presuppongono quelle; sia in base alla disciplina positiva che secondo la giurisprudenza, infatti, il sequestro puo' intervenire solo ell'ambito di un procedimento gia' avviato per l'applicazione della misura personale, e la confisca richiede l'applicazione di quest'ultima. Questa configurazione generale del sistema delle misure patrimoniali del resto confermata dalla stessa Corte costituzionale, che - nella sentenza n. 465 del 1993 - ha sostanzialmente affermato, anche se in una fattispecie particolare, l'esigenza che la misura personale preceda quella reale. Ma se indubbiamente esiste questo nesso in via di principio, esistono pure - osserva il Tribunale - significative eccezioni, in base alle quali prevista la possibilita' di applicare una misura preventiva patrimoniale senza doversi applicare ovvero eseguire una misura di carattere personale. Cosi' e', in primo luogo, proprio in base all'impugnato settimo comma dell'art. 2-ter della legge n. 575 del 1965, introdotto dall'art. 2 della legge n. 55 del 1990, che consente di instaurare o proseguire il procedimento, ai soli fini dell'applicazione della misura patrimoniale, nei confronti di chi risulti "assente, residente o dimorante all'estero", e dunque verso soggetti passibili di astratta irrogazione, ma non di concreta esecuzione, della misura preventiva. Cosi' e', analogamente, per il successivo ottavo comma dell'art. 2-ter, relativo al caso in cui la persona sia sottoposta ad una misura di sicurezza detentiva o alla liberta' vigilata e pertanto non possa essere soggetta all'applicazione della misura personale. Cosi' avviene, ancora, in base all'art. 14 della legge n. 55 del 1990, che consente l'adozione di provvedimenti cautelari e ablativi nei confronti degli indiziati di appartenenza alle associazioni dedite al traffico di stupefacenti, e che sembra permettere, ad avviso del Tribunale, di prescindere dall'esistenza di un provvedimento preventivo personale. Analoga scissione tra misura personale e misura patrimoniale, infine, e' contenuta negli artt. 3-quater e 3-quinquies della legge n. 575 del 1965, introdotti dal decreto-legge n. 306 del 1992, convertito dalla legge n. 356 del 1992, che consentono indagini e provvedimenti patrimoniali in relazione a beni che "agevolino" l'attivita' della persona nei cui riguardi sia proposta o applicata una misura preventiva personale; in questa ipotesi, le misure reali ricadono su beni di persone terze, senza il consueto collegamento in termini di disponibilita' del bene da parte del proposto. D'altra parte, osserva il rimettente, anche nei procedimenti c.d. atipici, regolati dai commi settimo ed ottavo dell'art. 2-ter impugnato, la mancata applicazione della misura personale non esclude il rilievo del presupposto generale dell'accertamento della pericolosita' soggettiva della persona, accertamento che viene effettuato pur sempre dal giudice, anche se incidenter tantum: cio' che il legislatore ha voluto evitare, in definitiva, e' che la pratica impossibilita' di applicare concretamente una misura di prevenzione personale a causa di vicende estranee al relativo procedimento, come appunto l'assenza o l'allontanamento all'estero del proposto, possa avere effetti paralizzanti sull'iter applicativo della misura patrimoniale, di cui permangono le condizioni legittimanti. Nel raffronto con l'anzidetta disciplina, pertanto, l'ordinanza di rinvio delinea un primo profilo di censura, riferito all'art. 3 della Costituzione: come nelle ipotesi richiamate, anche nel caso di morte della persona si verifica una identica situazione di interruzione del nesso fra la persona stessa e la misura patrimoniale che dovrebbe sottostare alla medesima regolamentazione, perche' anche in tale evenienza i beni suscettibili di confisca sono "connotati dal vizio genetico della illecita provenienza e ... non possono essere lasciati circolare sulla base del solo presupposto della impossibilita' di poterne ulteriormente godere per il proposto deceduto". La disciplina impugnata, viceversa, viene a creare ingiustificate disparita' di trattamento nell'ambito dei soggetti terzi, intestatari fittizi dei beni che sono in realta' disponibili dall'interessato: terzi, come nella specie, che si "avvantaggiano" della morte del proposto, rispetto a quelli intestatari dei beni del soggetto assente o all'estero, che rimangono esposti alla possibilita' di ablazione. Ulteriori disparita' sono poi ipotizzabili all'interno della stessa categoria dei terzi nell'ambito del medesimo procedimento, a seconda del momento in cui intervengono i provvedimenti patrimoniali preventivi rispetto al decesso del proposto; nonche' tra gli eredi di quest'ultimo, che acquistano la titolarita' dei beni se la morte interviene prima della confisca, mentre ne sono privati in caso contrario. Tutte le anzidette differenziazioni risultano, in sostanza, irragionevoli, alla luce della finalita' ultima delle misure preventive patrimoniali, volte a eliminare dalla circolazione economica i beni che siano provento diretto o indiretto di attivita' illegali. 4. - Alla notazione che precede si collega una seconda censura, riferita al parametro dell'art. 42 della Costituzione. La funzione sociale della proprieta' privata richiede, secondo la prospettazione del Tribunale, che la relativa tutela costituzionale venga meno quando si tratta di beni di provenienza illegale, anche quando questi beni pervengano nella disponibilita' di soggetti terzi, non interessati al procedimento di prevenzione. In altri termini, la garanzia della proprieta' in tanto varrebbe in quanto possa assolvere la propria funzione sociale che consiste nella sua capacita' di favorire e incrementare lo sviluppo di altri diritti costituzionalmente protetti. Ma se cio' non avviene, e se anzi si verifica la "mortificazione" di quella funzione, il diritto di proprieta' diviene antisociale e ne viene meno la ragione di tutela; una valutazione, questa, rispetto alla quale risulta ininfluente la circostanza della esistenza in vita dell'interessato, proprio perche' si tratta di una antisocialita' che segue il bene. E tra i beni e gli interessi, costituzionalmente rilevanti, da valutare nell'ambito della tutela della proprieta', vi sono le esigenze di garanzia dell'iniziativa privata, il cui libero ed equilibrato esercizio viene alterato da fattori estranei che ne inquinano le condizioni di funzionamento; vi sono, inoltre, i profili della solidarieta' sociale ed economica, che trovano concretizzazione attraverso lo svolgimento di attivita' lavorative legali, mentre le acquisizioni illecite, se non contrastate, incrementano i vincoli intimidatori e rendono "allettante" l'attivita' illegale finalizzata al profitto. 5. - Infine, il Tribunale individua un profilo di contrasto anche con l'art. 112 della Costituzione, ravvisando nella disciplina impugnata un ingiustificato impedimento all'"azione di prevenzione", che, pur distinta da quella penale in senso stretto, segue le regole di giurisdizionalizzazione proprie del processo penale; una vicenda come la morte del proposto non dovrebbe dunque avere alcuna efficacia interruttiva del procedimento, relativamente alle misure patrimoniali. 6. - E' intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei Ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato. L'Avvocatura deduce l'inammissibilita' o l'infondatezza della questione, sul rilievo dell'analogia della questione rispetto a quella gia' decisa con l'ordinanza n. 721 del 1988. Come allora, il giudice a quo mira oggi a una pronuncia additiva che estenda la confisca di prevenzione a ipotesi attualmente non previste; un intervento, questo, di carattere normativo in ambito sanzionatorio, o comunque limitativo di diritti, che, per costante giurisprudenza della Corte, travalica i limiti del sindacato di costituzionalita'. Il rilievo, conclude l'Avvocatura, e' risolutivo, e non valgono a superarlo le argomentazioni del remittente incentrate sulle limitate novita' introdotte dal legislatore con i commi settimo e ottavo dell'art. 2-ter impugnato. Considerato in diritto 1. - Il Tribunale di S. Maria Capua Vetere sottopone al controllo di costituzionalita' l'art. 2-ter, settimo comma, della legge 31 maggio 1965, n. 575 (Disposizioni contro la mafia), nella parte in cui non prevede che, oltre che nei casi di assenza, di residenza o dimora all'estero, anche nel caso di morte della persona interessata, il procedimento di prevenzione possa essere iniziato o proseguito ai soli fini dell'applicazione dei provvedimenti patrimoniali di sequestro e confisca dei beni che si ritengono essere frutto di attivita' illecite o costituirne il reimpiego. Tale mancata previsione, ad avviso del giudice rimettente, darebbe luogo a un'omissione incostituzionale, per violazione degli artt. 3, 42 e 112 della Costituzione: dell'art. 3, in quanto la norma impugnata, non consentendo l'applicazione delle misure patrimoniali di prevenzione quando il soggetto interessato sia defunto, introdurrebbe un'irragionevole disparita' di trattamento rispetto alle ipotesi di assenza, di residenza o dimora all'estero, nonche' rispetto ad altre ipotesi - che il rimettente individua in quelle previste dall'art. 2-ter, ottavo comma, e dagli artt. 3-quater e 3-quinquies della stessa legge n. 575 del 1965, nonche' dall'art. 14 della legge 19 marzo 1990, n. 55 - nelle quali l'irrogazione delle misure patrimoniali prescinde dalla previa irrogazione della misura personale di prevenzione; dell'art. 42 con riferimento in particolare alla "funzione sociale" della proprieta' in esso prevista, in quanto l'impossibilita' di sottoporre a sequestro e confisca i beni del sospettato che sia defunto consentirebbe il commercio di beni che il legislatore considera "antisociali", avendo una provenienza che si sospetta illecita; dell'art. 112, in quanto la denunciata omissione legislativa violerebbe l'obbligo di esercitare l'azione penale, obbligo sotto il quale ricadrebbe l'impulso nel procedimento di prevenzione. 2. - La questione, analoga a quella affrontata da questa Corte nell'ordinanza n. 721 del 1988, e' inammissibile, conformemente a quanto allora deciso. 2.1. - Nel vigente sistema della legislazione di prevenzione anti-mafia, come e' riconosciuto dal giudice rimettente, l'adozione di misure di ordine patrimoniale - il sequestro e la confisca - accede normalmente all'applicazione delle misure di ordine personale, secondo una scelta del legislatore che questa Corte ha ritenuto non priva di ragionevolezza (sentenza n. 465 del 1993). Il sequestro e' disposto con decreto motivato, anche d'ufficio, dal tribunale e riguarda i beni nella disponibilita' diretta o indiretta della persona nei cui confronti e' iniziato il procedimento per l'applicazione delle misure previste dall'art. 3 della legge 27 dicembre 1956, n. 1432 (Misure di prevenzione nei confronti delle persone pericolose per la sicurezza e per la pubblica moralita'), beni i quali risultino di valore sproporzionato al reddito dichiarato o all'attivita' economica svolta o che, sulla base di sufficienti indizi, si ha motivo di ritenere che siano frutto di attivita' illecite o che ne costituiscano il reimpiego (art. 2-ter, secondo comma, della legge n. 575 del 1965). La confisca riguarda i medesimi beni cosi' sottoposti a sequestro e, a meno che non ne sia dimostrata la legittima provenienza, e' disposta dal tribunale con l'applicazione della misura personale di prevenzione (art. 2-ter, terzo comma, legge n. 575 del 1965). Il sequestro segue cosi' all'apertura del procedimento di prevenzione; la confisca, a sua volta, segue al sequestro e presuppone l'adozione della misura di prevenzione personale. Entrambi i provvedimenti possono essere disposti anche in un secondo momento, purche' entro determinati limiti (prima della cessazione della misura personale di prevenzione, ovvero, la sola confisca, entro un anno, prorogabile di un altro anno, dalla data del sequestro: art. 2-ter, terzo e sesto comma, della legge n. 575 del 1965, coordinati come indicato nella sentenza n. 465 del 1993 di questa Corte). Dal sistema legislativo vigente risulta dunque, come principio, che le misure di ordine patrimoniale non hanno la loro ragion d'essere esclusivamente nei caratteri dei beni che colpiscono. Esse sono rivolte non a beni come tali, in conseguenza della loro sospetta provenienza illegittima, ma a beni che, oltre a cio', sono nella disponibilita' di persone socialmente pericolose, in quanto sospette di appartenere ad associazioni di tipo mafioso o ad altre alle prime equiparate (art. 2-ter, secondo e quarto comma, della legge n. 575 del 1965). La pericolosita' del bene, per cosi' dire, e' considerata dalla legge derivare dalla pericolosita' della persona che ne puo' disporre. A cio' e' da aggiungere, peraltro, una differenza tra il sequestro e la confisca, quanto alle conseguenze. Indipendentemente dai problemi di natura classificatoria, e' evidente che la confisca, pur inserendosi in un procedimento di prevenzione, presenta caratteri che vanno al di la' di quelli propri del sequestro, "misura" definita da questa Corte (sentenza n. 465 del 1993) di "ordine cautelare", inerente alla pericolosita' di un soggetto e destinata a venir meno cessando, con la pericolosita', le ragioni della cautela (si veda l'art. 2-ter, quarto comma, della legge n. 575 del 1965). La confisca, invece, comporta conseguenze ablatorie definitive (art. 2-nonies della legge n. 575 del 1965) e si distacca percio' dalla contingente premessa che giustifica tanto il sequestro quanto tutte le altre misure di carattere preventivo, valide "allo stato", cioe' subordinatamente al permanere - oltre che degli altri presupposti - della pericolosita' del soggetto. La ratio della confisca comprende ma eccede quella delle misure di prevenzione consistendo nel sottrarre definitivamente il bene al "circuito economico" di origine, per inserirlo in altro, esente dai condizionamenti criminali che caratterizzano il primo. Ed e' proprio su questa differenza che si basa quella recente giurisprudenza di legittimita' (Cass. S.U. penali, 17 luglio 1996, n. 18) che, in relazione alla confisca ma non al sequestro, ha affermato come "punto di diritto" la non-caducazione della misura gia' disposta per effetto del decesso del soggetto prima della definitivita' del relativo provvedimento, sempre che i presupposti di indimostrata legittima provenienza dei beni oggetto di confisca, da un lato, e di pericolosita' del soggetto, dall'altro, siano gia' stati definitivamente accertati. Cio' si spiega per l'appunto perche' la ratio della confisca, a differenza di quella delle misure di prevenzione in senso proprio, va al di la' dell'esigenza di prevenzione nei confronti di soggetti pericolosi determinati e sorregge dunque la misura anche oltre la permanenza in vita del soggetto pericoloso. 2.2. - E' vero peraltro che, eccezionalmente, l'anzidetto nesso di presupposizione tra le misure personali e quelle patrimoniali manca o e' attenuato. Cio' avviene, come ricordato nell'ordinanza del giudice rimettente, in alcune ipotesi inserite successivamente nel corpo della legge n. 575 del 1965. L'impugnato art. 2-ter, settimo comma, della legge n. 575, introdotto dall'art. 2 della legge 19 marzo 1990, n. 55 (Nuove disposizioni per la prevenzione della delinquenza di tipo mafioso e di altre gravi forme di manifestazione di pericolosita' sociale), consente di instaurare o proseguire il procedimento nei confronti di persona assente, residente o dimorante all'estero, alla quale "potrebbe applicarsi" la misura di prevenzione personale, "ai soli fini dell'applicazione dei provvedimenti" patrimoniali di sequestro e confisca. L'ottavo comma del medesimo articolo (introdotto anch'esso dall'art. 2 della legge 19 marzo 1990, n. 55) estende la medesima possibilita' nei confronti dei beni di persona gia' sottoposta a misura di sicurezza detentiva o a liberta' vigilata. Il nesso tra la misura personale e quella patrimoniale e' ulteriormente allentato negli artt. 3-quater e 3-quinquies della legge n. 575 del 1965 (introdotti dall'art. 24 del d.-l. 8 giugno 1962, n. 306, convertito in legge 7 agosto 1992, n. 356), i quali, per potenziare la difesa contro i fenomeni di ingresso nell'attivita' economica e di strumentalizzazione della stessa da parte della criminalita' di tipo mafioso, prevedono la possibilita' di sospensione temporanea dell'amministrazione dei beni e poi eventualmente la loro confisca anche in ipotesi in cui i beni sottoposti alla misura non siano nella disponibilita' di persone pericolose ma vengano impiegati per agevolarne l'attivita'. E, infine, nelle anzidette ipotesi di superamento del nesso tra misura personale e misura reale il giudice rimettente include - secondo una ricostruzione interpretativa, formulata dubitativamente - la previsione dell'art. 14 della legge n. 55 del 1990, che prevede l'applicazione delle "misure di prevenzione di carattere patrimoniale" relativamente a beni riferibili a soggetti "indiziati" di appartenere ad associazioni di tipo mafioso, alla camorra, ad organizzazioni equiparate a norma dell'art. 1 della legge n. 575 del 1965, o ad associazioni operanti nel traffico degli stupefacenti, ovvero riferibili a soggetti abitualmente dediti a traffici delittuosi o che vivono abitualmente con i proventi di attivita' delittuosa (art. 1, primo comma, nuneri 1 e 2, della legge n. 1423 del 1956), quando si ritenga che i proventi derivino da un'attivita' prevista dagli artt. 629, 630, 644, 648-bis, 648-ter del codice penale, o da attivita' di contrabbando. Da questo quadro risulta che, fermo restando come ipotesi normale il collegamento tra la misura patrimoniale e quella personale, in alcuni casi quest'ultima puo' mancare. Ma cio' non significa - contrariamente all'assunto del giudice rimettente, il quale trae spunto dalle norme richiamate per sostenere l'avvenuta rottura del nesso tra misure patrimoniali e quelle di prevenzione personale e quindi la novita' della presente questione rispetto a quella gia' decisa nel senso dell'inammissibilita' con la citata ordinanza n. 721 del 1988 - che il sequestro e la confisca si siano resi indipendenti dall'esistenza di individuate persone pericolose, a vantaggio delle quali i beni colpiti potrebbero, direttamente o indirettamente, essere impiegati. Nel caso dell'assenza e della residenza o della dimora all'estero, la pronuncia della misura patrimoniale presuppone comunque una valutazione di pericolosita' della persona, come si ricava dal sistema, e' affermato dalla giurisprudenza ed e' riconosciuto dallo stesso giudice rimettente. In altri casi, la misura di prevenzione personale e', per cosi' dire, resa superflua o assorbita da altre misure gia' in atto, come le misure di sicurezza, che presuppongono anch'esse una valutazione di pericolosita' della persona. In altri ancora, la pericolosita' viene dalla legge desunta dall'esistenza di indizi di situazioni personali, anche penalmente rilevanti, di particolare gravita'. E, infine, vi sono ipotesi in cui la rilevanza della pericolosita' soggettiva e' non abolita ma, per cosi' dire, spostata da chi ha la disponibilita' economica dei beni a chi dal loro impiego viene avvantaggiato nella propria attivita' criminosa. Da tutto cio' si trae conferma del fatto che, pur in presenza di un allargamento del campo di applicazione dello strumento di prevenzione nei confronti della criminalita' economica di matrice mafiosa o equiparata - allargamento che, in alcune limitate ipotesi, ha fatto venir meno la necessaria concorrenza tra il procedimento o il provvedimento di prevenzione personale e il provvedimento patrimoniale -, il legislatore e' rimasto comunque fermo nel richiedere, per l'emanazione dei provvedimenti di sequestro e di confisca, un collegamento tra la cautela patrimoniale e l'esistenza di soggetti individuati, da ritenere pericolosi alla stregua della legislazione dettata per contrastare la criminalita' mafiosa e quella a questa equiparata. 3.1. - In tale quadro, pur indubbiamente caratterizzato da una tendenza a rendere in taluni casi autonoma l'azione giudiziaria di prevenzione reale da quella di prevenzione personale, la pronuncia d'incostituzionalita' prospettata dal giudice rimettente, rivolta a integrare le previsioni dell'art. 2-ter, settimo comma, della legge n. 575 del 1965, aggiungendo il decesso della persona sospettata alle ragioni che gia' oggi consentono di separare le misure patrimoniali da quelle personali e quindi di disporre le prime in assenza delle altre, non rappresenterebbe una semplice razionalizzazione del sistema, rispetto alle linee che gia' oggi lo caratterizzano, operazione che possa essere condotta alla stregua dell'invocato art. 3 della Costituzione e del principio di razionalita' che da tale articolo deriva. Rappresenterebbe invece una vera e propria scelta innovativa di politica criminale - conforme a quella in effetti a suo tempo prospettata, ma senza esito, nella sede parlamentare, durante i lavori preparatori della legge n. 55 del 1990 (Camera dei deputati, X legislatura, II commissione, seduta del 20 settembre 1989) - che non solo presupporrebbe l'autonomia dei due tipi di provvedimenti ma travolgerebbe anche il principio, finora sempre tenuto fermo dal legislatore, che l'adottabilita' di misure patrimoniali consegue all'esistenza di un rapporto tra beni colpiti e soggetti pericolosi in grado di disporre di essi o di essere avvantaggiati dal loro impiego, soggetti ai quali quindi, secondo l'espressione della disposizione impugnata, "potrebbe applicarsi" la misura di prevenzione personale, cio' che, con ogni evidenza, alla persona defunta "non potrebbe". La pronuncia richiesta a questa Corte dal giudice rimettente non si collocherebbe dunque all'interno del sistema legislativo vigente al fine di razionalizzarne gli elementi costitutivi alla luce dell'art. 3 della Costituzione, ma rappresenterebbe un'innovazione conseguente a una scelta di politica criminale la quale, in quanto tale, non rientra nei poteri del giudice di costituzionalita' delle leggi. L'estraneita' al sistema legislativo vigente del risultato normativo cui mira il giudice rimettente rende dunque tuttora attuale la ragione di inammissibilita' fatta valere nell'ordinanza n. 721 del 1988 di questa Corte. L'affermazione, in essa contenuta, che "un intervento di produzione normativa" quale quello ipotizzato allora come ora, in particolare in materia sanzionatoria o, quanto meno, limitativa di diritti, compete esclusivamente al legislatore e, pertanto, esorbita dai poteri di questa Corte sta per l'appunto a significare che la politica criminale spetta alla legislazione, mentre al giudizio di costituzionalita' delle leggi spetta la garanzia degli inviolabili limiti che la Costituzione predetermina e il legislatore incontra, a salvaguardia dei diritti individuali. 3.2. - Le predette considerazioni sull'estraneita' ai poteri della Corte costituzionale della pronuncia a essa richiesta valgono anche rispetto agli altri profili della questione di costituzionalita' proposta.
Per questi motivi LA CORTE COSTITUZIONALE Dichiara l'inammissibilita' della questione di legittimita' costituzionale dell'art. 2-ter, settimo comma, della legge 31 maggio 1965, n. 575 (Disposizioni contro la mafia), sollevata, in riferimento agli artt. 3, 42 e 112 della Costituzione, dal Tribunale di S. Maria Capua Vetere, con l'ordinanza indicata in epigrafe. Cosi' deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 30 settembre 1996. Il Presidente: Ferri Il redattore: Zagrebelsky Il cancelliere: Di Paola Depositata in cancelleria l'8 ottobre 1996. Il direttore della cancelleria: Di Paola 96C1630