N. 27 RICORSO PER CONFLITTO DI ATTRIBUZIONE 9 ottobre 1996
N. 27 Ricorso per conflitto di attribuzioni depositato in cancelleria il 9 ottobre 1996 (della provincia autonoma di Trento) Ambiente (tutela dell') - Atto di indirizzo e coordinamento, con decreto del Presidente della Repubblica, per la definizione, in attuazione dell'art. 40, legge 22 febbraio 1994, n. 146, e in relazione alla direttiva 85/337 del Consiglio CEE, di condizioni, criteri e norme tecniche per i giudizi e le procedure di valutazione di impatto e compatibilita' ambientale previsti per la autorizzazione di determinati progetti di opere pubbliche e privati - Applicabilita' anche per la provincia di Trento, degli artt. 1, 4, 5, 6, 8 e 10, e degli allegati A, B, C e D del decreto governativo, contenenti disposizioni che, invece di limitarsi a vincolare la provincia al conseguimento di obiettivi e risultati (come richiesto, riguardo agli atti di indirizzo e coordinamento, dall'art. 2, comma 3, delle Norme di attuazione dello statuto speciale per il Trentino-Alto Adige emanate con d.P.R. 16 marzo 1992, n. 266, sui rapporti tra leggi statali e leggi regionali e provinciali) e ad indicare principi inderogabili (come richiesto, a sua volta, dall'art. 9, comma 3, della legge 9 marzo 1989, n. 86, riguardo alla legge comunitaria o altra legge dello Stato che dia attuazione a direttive comunitarie in materie di competenza regionale) pongono una disciplina dettagliata e in larga misura direttamente operativa, e regole sovrapponentisi ex novo alle normative regionali e provinciali - Conseguente invasione delle competenze spettanti in materia di valutazioni di impatto ambientale (nell'ambito delle piu' ampie competenze previste dallo Statuto speciale) alla provincia, e dalla provincia esaurientemente esercitate con la legge provinciale 29 agosto 1988, n. 28 e successivi regolamenti. (D.P.R. 12 aprile 1996). (Statuto Trentino-Alto Adige, artt. 8, nn. 3, 5, 6, 7, 9, 11, 13, 15, 16, 17, 18, 20, 21, 24, e 16; d.P.R. 16 marzo 1992, n. 266, art. 2, comma 3; legge 9 marzo 1989, n. 86, art. 9, comma 3).(GU n.48 del 27-11-1996 )
Ricorso per conflitto di attribuzioni della provincia autonoma di Trento, in persona del presidente della Giunta provinciale pro-tempore dott. Carlo Andreotti, autorizzato con deliberazione della Giunta provinciale n. 12317 del 27 settembre 1996 (all. 1), rappresentata e difesa - come da procura speciale del 1 ottobre 1996 (rep. n. 62445) rogata dal notaio dott. Pierluigi Mott del Collegio notarile di Trento e Rovereto (all. 2) - dagli avvocati Giandomenico Falcon di Padova e Luigi Manzi di Roma, con domicilio eletto in Roma presso lo studio dell'avv. Manzi, via Confalonieri, 5, contro il Presidente del Consiglio dei Ministri per la dichiarazione che non spetta allo Stato di emanare nei confronti della provincia autonoma di Trento il d.P.R. 12 aprile 1996, atto di indirizzo e coordinamento per l'attuazione dell'art. 40, comma 1, della legge 22 febbraio 1994, n. 146, concernente disposizioni in materia di valutazione di impatto ambientale, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 210, serie generale, del 7 settembre 1996 con particolare riferimento agli articoli: 1, escluso il comma 1; 4; 5; 6; 8; 10; allegati A, B, C, D; nonche' per il conseguente annullamento dello stesso decreto, con particolare riferimento alle specifiche disposizioni impugnate, per violazione: dell'art. 8, nn. 3), 5), 6), 7), 9), 11), 13), 14), 15), 16), 17), 18), 20), 21) e 24), dello statuto, in quanto assegnato alla provincia autonoma di Trento potesta' legislativa primaria in materia di Tutela e conservazione del patrimonio storico, artistico e popolare, Urbanistica e piani regolatori, Tutela del paesaggio, Usi civici, Artigianato, Porti lacuali, Opere di prevenzione e di pronto soccorso per calamita' pubbliche, Miniere, comprese le acque minerali e termali, cave e torbiere, Caccia e pesca, Alpicoltura e parchi per la protezione della flora e della fauna, Viabilita', acquedotti e lavori pubblici di interesse provinciale, comunicazioni e trasporti di interesse provinciale, Turismo e industria alberghiera, Agricoltura, foreste e Corpo forestale, patrimonio zootecnico ed ittico, istituti fitopatologici, consorzi agrari e stazioni agrarie sperimentali, servizi antigrandine, bonifica, Opere idrauliche; dell'art. 9, nn. 9) e 10) dello statuto, in quanto assegnano alla provincia autonoma di Trento potesta' legislativa concorrente in materia di Utilizzazione delle acque pubbliche, Igiene e sanita'; dell'art. 6 dello statuto; del sistema delle norme di attuazione ed in particolare dell'art. 3 del d.lgs. 16 marzo 1992, n. 266; dei principi costituzionali relativi all'esercizio della funzione di indirizzo e coordinamento; dell'art. 9 della legge 9 marzo 1989, n. 86, con particolare riferimento al comma 3; per i profili e nei modi di seguito illustrati. Fatto e diritto L'atto di indirizzo e coordinamento qui impugnato trae la sua origine dalla vicenda dell'attuazione al livello statale della direttiva comunitaria 85/337/CEE concernente la Valutazione dell'impatto ambientale di determinati progetti pubblici e privati. Piu' precisamente, la Commissione europea, mentre ha ritenuto sostanzialmente trasposto in Italia (dal sistema normativo fondato sull'art. 6 della legge 8 luglio 1986, n. 349, e sui decreti attuativi) l'obbligo di sottoporre a valutazione di impatto ambientale le opere di cui all'allegato I della direttiva stessa, ha al contrario ritenuto non avesse ricevuto adeguata attuazione il meccanismo previsto per le meno rilevanti opere di cui all'allegato II: per le quali l'art. 4, comma 2, della citata direttiva prevede formino oggetto di valutazione di impatto ambientale "quando gli Stati membri ritengono che le loro caratteristiche lo richiedono", potendo anche a tal fine - come dispone il comma 3 - "specificare alcuni tipi di progetti da sottoporre ad una valutazione d'impatto o fissare criteri e/o soglie limite per determinare quali dei progetti ... debbano formare oggetto di una valutazione". In effetti, nel parere motivato del 7 luglio 1993 la Commissione ha inteso le predette norme nel senso che gli Stati membri devono imporre "alle autorita' competenti l'obbligo di valutare se tali progetti "di cui all'all. II" per le loro caratteristiche, siano tali da avere un rilevante impatto ambientale e, in caso positivo, a sottoporre gli stessi a valutazione d'impatto prima della loro autorizzazione", senza poter "escludere implicitamente od esplicitamente l'obbligo di affettuare una valutazione d'impatto dei progetti elencati nell'allegato II". A seguito di tale parere e' stato introdotto nella legge 22 febbraio 1994, n. 146, l'art. 40, il quale - attivando la funzione di indirizzo e coordinamento prevista in generale dall'art. 9, comma 5, della legge 9 marzo 1989, n. 86, in relazione alle "esigenze di carattere unitario, anche in riferimento ... agli impegni derivanti dagli obblighi internazionali" - fa carico al Governo di definire "condizioni, criteri e norme tecniche per l'applicazione della procedura di impatto ambientale ai progetti" di cui al citato all. II della direttiva, con particolare riferimento "alla necessita' di individuare idonei criteri di esclusione o definire procedure semplificate per progetti di dimensioni ridotte o durata limitata, realizzati da artigiani o piccole imprese". Di tale art. 40 della legge 22 febbraio 1994, n. 146, il d.P.R. 12 aprile 1996 costituisce o dovrebbe costituire attuazione. Prima di esaminare il contenuto dell'atto di indirizzo e coordinamento qui impugnato sia consentito ricordare la situazione della provincia autonoma di Trento, sia in relazione alla disciplina della materia della valutazione di impatto ambientale in attuazione della normativa comunitaria, sia in relazione alla posizione di essa in relazione alla funzione di indirizzo e coordinamento. Quanto alla disciplina della valutazione di impatto ambientale, va in primo luogo osservato che nell'esercizio della propria potesta' legislativa primaria e concorrente - come in epigrafe indicata - essa ha il potere ed il dovere di dare diretta attuazione alle direttive comunitarie. Tale potere e dovere e sancito in generale per le regioni e le province autonome dai commi 1 e 2 della gia' ricordata legge n. 86 del 1989, ed e' ribadito per le istituzioni territoriali del Trentino-Alto Adige dal d.P.R. 19 novembre 1987, n. 526. In attuazione dei propri compiti, cosi' come ora definiti, la provincia autonoma di Trento ha dettato una disciplina completa ed articolata della valutazione di impatto ambientale con la legge provinciale 29 agosto 1988, n. 28 (mod. con le successive leggi nn. 3 e 33 del 1990, nonche' n. 21 del 1993), e con le norme regolamentari di cui ai d.P.G.P. 22 novembre 1989, n. 13-11/Leg., e 10 maggio 1995, n. 7-21/Leg., dando vita ad una sistema normativo attuativo della disciplina comunitaria, la cui piena legittimita' anche sotto questo profilo non e' mai stata posta in discussione. Quanto alla posizione della provincia autonoma di Trento in relazione alla funzione di indirizzo e coordinamento, e piu' in generale in relazione ai poteri statali di intervento, converra' ricordare che gia' la legge n. 86 del 1989, dopo aver autorizzato le regioni e le province autonome alla diretta implementazione delle direttive comunitarie, dispone che le stesse leggi statali di attuazione delle direttive in materia di competenza regionale indicano "quali disposizioni di principio non sono derogabili dalla legge regionale sopravvenuta e prevalgono sulle contrarie disposizioni eventualmente gia' emanate". Specificamente per le autonomie speciali, poi, la disposizione ora citata precisa che nelle materie di competenza esclusiva l'adeguamento alle leggi dello Stato avverra' "nei limiti della Costituzione e dei rispettivi statuti". Per la regione Trentino-Alto Adige e per le province autonome di Trento e di Bolzano e' poi stabilito dalle norme di attuazione poste con d.lgs. n. 266/1992 uno speciale sistema sia in relazione ai rapporti tra legislazione statale e legislazione locale sia in relazione agli atti statali di indirizzo e coordinamento. Sotto il primo profilo il rapporto e' fondato sul principio della non diretta applicazione e del necessario adeguamento, nei limiti in cui questo risulti costituzionalmente dovuto. Sotto il secondo profilo l'art. 3, comma 2, del ricordato decreto legislativo stabilisce che gli atti di indirizzo comunque "vincolano la Regione e le Province autonome solo al conseguimento degli obiettivi e risultati in essa stabiliti", il che comporta, come pare chiaro, che tali atti vadano concepiti in termini di posizione di obiettivi e risultati, e non come specifiche prescrizioni vincolanti. Sembra dunque evidente: che in nessun caso, neppure intervenendo con atto legislativo, lo Stato avrebbe potuto fissare direttamente regole sovrapponentisi ex novo alle normative regionali e provinciali, dovendo invece indicare i principi inderogabili ai sensi dell'art. 9, comma 3, legge n. 86/1989; che nei riguardi specifici della provincia autonoma di Trento il rapporto con la stessa legislazione si pone in termini di adeguamento e non di diretta operativita'; che a maggior ragione cio' vale nei confronti degli atti di indirizzo e coordinamento, di cui e' positivamente stabilito che vincolano solo al conseguimento degli obiettivi stabiliti, con esclusione di ogni diretta operativita'. L'atto statale di indirizzo avrebbe in sostanza dovuto limitarsi alla fissazione del principio-obiettivo della necessaria presa in considerazione, ai fini dell'eventuale valutazione di impatto ambientale, dei progetti di cui all'all. II della direttiva, lasciando poi alle Regioni di introdurre nella propria legislazione le modificazioni eventualmente necessarie, in caso di non preesistente adeguatezza. In ogni caso, secondo le ricordate norme di attuazione, tale e solo tale avrebbe potuto essere il valore dell'atto nei confronti della provincia autonoma di Trento. Venendo ora ad una prima presa in considerazione del contenuto dell'atto qui impugnato, e' agevole osservare che in esso la fissazione del predetto obiettivo e' stabilita all'art. 1, comma 1, mentre per tutto il rimanente e' in pratica posta una disciplina completa, dettagliata e in larghissima misura direttamente operativa, che lascia spazi di attuazione solo puntuali ed eventuali. Per vero, la provincia autonoma di Trento non avrebbe ragioni di dolersi di tale disciplina, se essa non le ponesse altro vincolo che quello dell'obiettivo posto dal cennato comma 1 dell'art. 1, senza per il resto dover trovare applicazione nel suo territorio. Ed in questa direzione potrebbe anche indurre la seconda frase del comma 1, nella quale si precisa che "le regioni a statuto speciale e le province autonome di Trento e Bolzano provvedono all'attuazione degli obiettivi del presente atto nel rispetto di quanto previsto dai rispettivi statuti e dalle relative norme di attuazione". Cio' tanto piu' che tale clausola non figurava nell'originaria bozza dell'atto, sottoposta al parere della provincia autonoma di Trento ai sensi dell'art. 3, comma 3, del d.lgs. n. 266/1992, e che il parere fu reso (con nota del 22 dicembre 1995, all. 3) in senso nettamente negativo, per ragioni sostanzialmente corrispondenti a quelle della presente impugnazione: sicche' si potrebbe pensare che l'introduzione di tale clausola, sulla base di tale parere, abbia avuto lo scopo di "limitare" secondo il sistema di rapporti sopra ricordato l'incidenza dell'atto sulle province autonome in generale sulle autonomie speciali. Tale possibile intento tuttavia risulta contraddetto dalla ricorrente presenza nel corpo della disciplina recata con il d.P.R. del 12 aprile 1996 di precisi e specifici riferimenti alle province autonome di Trento e di Bolzano, che radicalmente contraddicono l'ipotesi sopra formulata, e costringono a ritenere che - almeno quanto alle disposizioni che li contengono - la disciplina disposta con il seducente atto di indirizzo e coordinamento intenda applicarsi anche alla provincia ricorrente. Insomma, se realmente avesse voluto tener conto del motivato parere negativo reso dalla provincia, il Governo avrebbe dovuto non soltanto inserire una clausola generale di salvaguardia, ma anche e soprattutto eliminare i riferimenti ad essa nel corpo della normativa: il che non ha fatto, arrivando anzi ad aggiungerne - dopo il parere - alcuni che non esistevano nella bozza originaria (quali quello contenuto nell'art. 1, comma 7, quelli di cui all'art. 5, commi 4, 5 e 7, quello dell'art. 6, comma 2, quello dell'art. 8, comma 3, quello dell'art. 10, comma 3, ed altri). Non apparendo possibile intenderle come non rivolte anche alla ricorrente provincia, le impugnate disposizioni del d.P.R. 12 aprile 1996 risultano illegittime ed incostituzionali, in quanto in palese contraddizione con i principi giuridici concernenti i contenuti possibili e il vincolo esercitato dagli atti di indirizzo. Quanto ora esposto risulta pienamente confermato dall'esame analitico delle singole disposizioni impugnate. L'art. 1 al comma 2 dispone che "entro nove mesi ... le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano provvedono a disciplinare i contenuti e le procedure di valutazione di impatto ambientale, ovvero ad armonizzare le disposizioni vigenti con quelle contenute nel presente atto". In sostanza, l'atto di indirizzo viene a porre alla provincia autonoma di Trento un obbligo di adeguamento ad una precisa normativa statale, che e' del tutto estraneo al tipo di contenuto e vincolo stabilito per l'atto di indirizzo e coordinamento dell'art. 3, comma 2, del d.P.R. n. 266 del 1992. In realta' il presunto atto di indirizzo ha in realta' il contenuto e vorrebbe avere l'effetto tipico non dell'atto di indirizzo ma della legge quadro. Esso stesso qualifica il proprio contenuto come "disposizioni", alle quali dovrebbe essere adeguate dalle regioni e province autonome di Trento e di Bolzano le "disposizioni vigenti". E' doveroso sottolineare pero' che siffatti contenuti e siffatti effetti non sarebbere consentiti - quanto meno nei confronti della ricorrente provincia - neppure ad un atto legislativo. Da una parte, infatti, cosi' facendo si ignorebbe la disposizione della legge n. 86 del 1989 che, dopo aver autorizzato le regioni e le province autonome alla diretta implementazione delle direttive comunitarie, dispone che le stessi leggi statali di attuazione delle direttive in materia di competenza regionale indicano "quali disposizioni di principio non sono derogabili dalla legge regionale sopravvenuta e prevalgono sulle contrarie disposizioni eventualmente gia' emanate" (comma 3). In altre parole, allo stesso legislatore statale e' precluso di intervenire in modo indiscriminato, e gli e' fatto obbligo di intervenire indicando in modo specifico i principi vincolanti. Cio' per le regioni ordinarie e per la potesta' concorrente, dato che per le autonomie speciali nelle materie di potesta' primaria l'adeguamento avverra' "nei limiti della Costituzione e dei rispettivi statuti". Ancor meno poi siffatto vincolo generale alle disposizioni stabilite dallo Stato risulta compatibile con lo statuto di autonomie del Trentino-Alto Adige e con i particolari strumenti di tutela codificati nel d.lgs. n. 266 del 1992, quanto alle stesse relazioni tra legge statale e leggi locali. Per il rimanente l'art. 1 contiene una normativa che - dove non e' meramente ripetitiva dei vincoli gia' derivanti dalla normativa comunitaria (e gia' attuati nella provincia autonoma di Trento) - ma stabilisce regole e vincoli ed ulteriori, risulta palesemente illegittima per le regioni gia' indicate. Posto dunque che l'intera normativa dell'art. 1, quando non meramente ricognitiva della direttiva, e' illegittima, risulta in particolare illegittima la pretesa di assegnare alla provincia autonoma di Trento la presunta facolta', prevista dal comma 7, di "definire tipologie progettuali e/o aree predeterminate, sulla base degli elementi indicati dall'allegato D, un incremento o decremento delle soglie di cui all'allegato B nella misura massima del 30%". La minuscola facolta' ivi indicata, infatti, presuppone un contesto di vincolo alla minuta normativa statale del tutto estraneo al sistema dei rapporti tra Stato e provincia autonoma di Trento, quale sopra illustrato. L'art. 4, a prescindere dalla evidente ovvieta' di larghissima parte del suo contenuto (quale la necessita' che sia individuata l'autorita' competente in materia di valutazione di impatto ambientale|), risulta comunque illegittimo in quanto pretenda di far derivare dall'atto stesso un obbligo specifico e diretto. Considerazioni analoghe a quelle svolte per l'art. 1 valgono per l'art. 5. Questo contiene una minutissima disciplina della procedura a partire dalla domanda contenente il progetto dell'opera e le modalita' di presentazione (commi 1-3), i termini per l'amministrazione (commi 2 e 3), le modalita' operative dell'amministrazione (commi 2, 3 e 6), che non si vede a che titolo dovrebbe obbligare all'adeguamento. Semplicemente grottesco appare che - presupponendo l'efficacia vincolante di siffatta normativa - essa pretenda poi di attribuire, come gia' l'art. 1, comma 7, presunte "facolta'" alle regioni e alle province autonome di Trento e di Bolzano, quale la facolta' di stabilire la proroga dei termini, ma soltanto, si badi, "in casi di particolare rilevanza" e "sino ad un massimo di sessanta giorni", prevista dal comma 4. Ugualmente illegittimi sono i particolari doveri di disciplina specifica prevista dai commi 5 e 7, in quanto gia' non derivanti da altre fonti normative. L'art. 6 inserisce anche la provincia autonoma di Trento tra i destinatari della disciplina dello "studio di impatto ambientale", prevedendo al comma 2 che anch'essa debba individuare "tempi e modalita' di svolgimento della fase preliminare, assicurando che avvenga in contraddittorio con il committente o l'autorita' proponente". Anche in questo caso, e per le ragioni gia' indicate, al di la' della apparente ovvieta' del contenuto risulta illegittima l'intera normativa disposta dall'art. 6, in quanto si pretenda di derivare da essa un vincolo attuativo per la ricorrente provincia. Analogo discorso va fatto per l'art. 8, che menziona la provincia autonoma di Trento in tutti i suoi quattro comuni, includendola tra i destinatari della minuta disciplina contenuta in essi. Anche in questo caso assurda e' poi la "concessione" di particolari facolta' - quale la "facolta'" di individuare niente di meno che "ulteriori appropriate forme di pubblicita'", prevista dal comma 3 - o di particolari compiti quale il compito di promuovere "modalita' semplificate" per i progetti di ridotta dimensione o durata limitata. Considerazioni analoghe a quelle svolte per l'art. 5 valgono per l'art. 10, ove si pretende ugualmente di stabilire regole procedurali, termini, modalita' operative degli uffici (commi 1-4), e simili, ed ove ugualmente si pretende di assegnare alla provincia autonoma di Trento presunte "facolta'" (comma 3) e ulteriori specifici minutissimi compiti (comma 2, terzo periodo). Gli allegati A, B, C, D, vengono qui impugnati in quanto elementi di disciplina operanti nei confronti della ricorrente provincia attraverso i richiami contenuti negli articoli sopra indicati. Risulta dunque palese che l'atto impugnato non ha affatto, nei confronti della ricorrente provincia, i contenuti ammessi e consentiti per gli atti di indirizzo dall'art. 3, comma 2, del d.P.R. n. 266 del 1992, ma ha invece contenuti di normativa dettagliata e vincolante cui la provincia dovrebbe adeguarsi totalmente al di fuori dalle ipotesi costituzionali di doveroso adeguamento.
Tutto cio' premesso, la ricorrente provincia di Trento, come sopra rappresentanta e difesa chiede voglia l'eccellentissima Corte costituzionale dichiarare che non spetta allo Stato di emanare nei confronti della provincia autonoma di Trento il d.P.R. 12 aprile 1996, atto di indirizzo e coordinamento per l'attuazione dell'art. 40, comma 1, della legge 22 febbraio 1994, n. 146, concernente disposizioni in materia di valutazione di impatto ambientale, nonche' conseguentemente annullare in quanto rivolto alla provincia autonoma di Trento, lo stesso decreto, per violazione degli articoli e delle disposizioni costituzionali, statutarie ed attuative indicate in premessa, nei termini illutrati nel ricorso. Padova-Roma, addi' 3 ottobre 1996 Avv. prof. Giandomenico Falcon - avv. Luigi Manzi 96C1637