N. 1201 ORDINANZA (Atto di promovimento) 16 maggio 1996
N. 1201 Ordinanza emessa il 16 maggio 1996 dal pretore di Brescia sul ricorso proposto da Menegardo Tersilla contro l'I.N.P.S. Previdenza e assistenza sociale - Pensioni I.N.P.S. - Rimborsi conseguenti alle sentenze della Corte costituzionale nn. 495/1993 e 240/1994 - Previsione del pagamento in sei annualita' e mediante emissione di titoli di Stato - Estinzione dei giudizi pendenti alla data di entrata in vigore della normativa impugnata - Incidenza sul principio della copertura finanziaria. Previdenza e assistenza sociale - Pensioni I.N.P.S. - Pensione di riversibilita' - Calcolo, per effetto della sentenza della Corte costituzionale n. 495/1993, in proporzione alla pensione diretta integrata al trattamento mimimo gia' liquidato o che l'assicurato ha diritto di percepire - Violazione del principio di copertura finanziaria. (D.-L. 28 marzo 1996, n. 166, art. 1; legge 24 dicembre 1993, n. 537, art. 11, comma 22). (Cost., art. 81, quarto comma).(GU n.45 del 6-11-1996 )
IL PRETORE Visti: il ricorso; l'art. 1 del d.-l. 28 marzo 1996, n. 166; l'art. 11, comma 22, legge 24 dicembre 1993, n. 537; la sentenza della Corte costituzionale n. 240 del 1994; l'art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87; l'art. 1 della legge costituzionale 9 febbraio 1948, n. 1; l'art. 1 della legge costituzionale 11 marzo 1953, n. 1; gli artt. 81 e 134 della Costituzione. Ha pronunciato, dandone integrale lettura, la seguente ordinanza di rimessione alla Corte costituzionale di questioni di legittimita' costituzionale, rilevata d'ufficio, nella causa r.g. n. 579/96, in materia di previdenza ed assistenza obbligatoria, promossa da Menegardo Tersilla, elettivamente domiciliata in Brescia presso l'avv. Vincenzo Bettinelli, il quale la rappresenta e difende in forza di procura a margine del ricorso, ricorrente, contro l'Istituto nazionale della previdenza sociale - I.N.P.S. - in persona del presidente pro-tempore convenuto. Nel presente giudizio la parte ricorrente, richiamata la sentenza n. 240/1994 della Corte costituzionale che ha dichiarato l'illegittimita' costituzionale dell'art. 11, comma 22, della legge n. 537 del 24 dicembre 1993 "nella pearte in cui - nel caso di concorso di due o piu' pensioni integrate o integrabili al trattamento minimo, delle quali una sola conserva il diritto all'integrazione ai sensi dell'art. 6, terzo comma, del d.-l. 12 settembre 1983, n. 463, convertito nella legge 11 novembre 1983, n. 638, non risultando superati al 30 settembre 1983 i limiti di reddito fissati nei commi precedenti - dispone la riconduzione dell'importo a calcolo dell'altra o delle altre pensioni non piu' integrabili, anziche' il mantenimento di esse nell'importo spettante alla data indicata, fino ad assorbimento negli aumenti della pensione-base derivanti dalla perequazione automatica", ha chiesto la "cristallizzazione" dal 1 ottobre 1983 della pensione di riversibilita' della quale e' titolare, con la conseguente condanna dell'INPS al pagamento della prestazione nella misura risultante dovuta, con gli arretrati, oltre gli interessi legali. Con il d.-l. 28 marzo 1996, n. 166 e' stato modificato il quadro normativo di riferimento e, poiche' l'art. 1 del decreto viola l'art. 81 della Costituzione, deve essere rilevata la relativa questione di legittimita' costituzionale. Nella previsione di una dichiarazione d'incostituzionalita' (come anche nell'ipotesi di una mancata conversione in legge) dell'art. 1 del decreto-legge n. 166/1996 deve essere altresi', quasi in rapporto di causa-effetto, sollevata la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 11, comma 22, della legge n. 537/1993, come "riscritto" nella sentenza n. 240 del 1994, per contrasto con l'art. 81 della Costituzione. Prima, pero', di entrare nel merito delle anticipate questioni, deve essere chiarito che la presente ordinanza e' resa obbligatoria dal fatto che il solo residuo atto, oltre quello qui posto in essere, di giurisdizione previsto dal comma 3 dell'art. 1 del decreto-legge n. 166/1996 impone di dichiarare d'ufficio l'estinzione di tutti i giudizi pendenti. L'art. 81 Costituzione ed il principio di "realismo economico". La legge fondamentale della Repubblica italiana contiene tutti i principi piu' alti di civilta' e tutela tutte le liberta'; le norme che li contemplano vengono ritenute le piu' importanti, ma si dimentica che, nella consapevolezza del necessario rispetto della realta' economica, quale limite e condizione essenziale per la possibile e sempre tendenziale attuazione concreta dei grandi ideali di giustizia, uguaglianza e liberta', la Costituzione pone un principio ancora superiore, presente proprio nell'art. 81: la compatibilita' delle concrete risorse economiche quale limite di realta' al "sogno" di perfezione, quale strumento di difesa della realizzibilita' dei grandi principi ideali etici e materiali, quale freno alla spesa illimitata di risorse future al fine di tutelare l'esistenza stessa della societa' organizzata, quale monito, infine, alla responsabilita' verso le future generazioni e alla piu' corretta distribuzione della ricchezza prodotta ed esistente per quelle presenti. Cosi', se si volesse proporre una diversa classificazione delle norme costituzionali, l'art. 81 dovrebbe essere definito "norma di realta'" in contrapposizione alle "norme di ideale" e dovrebbe in questa prospettiva essere collocato al vertice di una nuova graduatoria d'importanza, dovendosi riconoscere che, pur non affermando elevati principi "sacrali", si pone a garanzia della realizzabilita' (invero pur sempre tendenziale) delle "norme di ideale", statuendo l'obbligatorio rispetto dei limiti delle risorse disponibili, in modo tale da consentire al sistema economico dello Stato di sostenere il costo della continua evoluzione dei bisogni di civilta' nei confini del possibile, senza sperperare ricchezze future non ancora prodotte, cosi' da evitare il grande rischio (oggi sempre piu' drammaticamente concreto) di allontanare sempre piu' nel tempo e forse di precludere definitivamente l'attuazione delle "norme di ideale". In forza delle superiori premesse e' logico e conseguente desumere dall'art. 81 un forte principio costituzionale sinteticamente definibile principio di "realismo economico", che, benche' non scritto (come altri fondamentali: quello, immanente nell'art. 38, di "solidarieta'" e quello di "ragionevolezza", presente nell' art. 3, per citare i piu' noti), deve concorrere con gli altri principi e norme costituzionali per la completa e corretta valutazione della legittimita' della legge e degli atti aventi forza di legge. L'ineludibile riconoscimento dei valori costituzionali presenti nell'art. 81 deve determinare a carico del legislatore - ma anche del giudice delle leggi, quando le questioni portate al suo esame siano tali da lasciare spazio a decisioni, non necessariamente "addittive", che comportino una nuova spesa priva di copertura finanziaria - un particolare rispetto dell' art. 81 della Costituzione, quale norma di primaria e vitale importanza. A) Questione di legittimita' costituzionale dell'art. 1 del decreto-legge n. 166 del 1996 per violazione dell'art. 81 della Costituzione. Nell' art. 1 del d.-l. 28 marzo 1996, n. 166, sono dettate le norme dirette a risolvere il problema della copertura finanziaria per l'applicazione delle sentenze n. 495/1993 e n. 240/1994 della Corte costituzionale, ma le scelte del Governo non risultano conformi all'art. 81 Cost., in particolare per cio' che concerne i mezzi per far fronte al pagamento degi arretrati. Il primo comma dell'art. 1 del decreto-legge n. 166 del 1996 prevede il "ri'mborso" delle somme maturate alla data del 31 dicembre 1995 mediante sei annualita', ma il suo quarto comma (ove si tratta espressamente dei mezzi di copertura dell'"onere derivante dall'applicazione del presente articolo" omette totalmente di indicare la copertura finanziaria per gli anni 1999, 2000 e 2001: il dato e' certo e non opinabile, poiche' vengono contemplate solo le annualita' dal 1996 al 1988. La violazione dell'ultimo comma dell' art. 81 della Costituzione e', per quanto possa sembrar strano, scritta e riconosciuta nella stessa disposizione sopra citata, ove il Governo palesemente si fa carico di determinare la copertura solo per tre delle sei annualita' previste per il pagamento degli arretrati, lasciando cosi' scoperte le restanti, con conseguente incontrovertibile illegittimita' costituzionale dell'intero art. 1 del decreto-legge n. 166/1996, poiche', al fine del rispetto dell'art. 81, quarto comma, devono essere compiutamente precisate nella legge (anche nell'atto avente forza di legge del Governo che prevede nuove spese le risorse finanziarie per la copertura piena delle medesime spese e non puo' ritenersi soddisfatto tale obbligo, qualora, come nel caso qui sottosposto a critica, l'indicazione dei "mezzi per farvi fronte" non sia completa e precisa. Sin qui si e' in presenza della tipica violazione della norma espressa e palese dell' art. 81, ultimo comma, Costituzione, ma deve essere rilevato che l'art. 1 del decreto-legge n.166/1996 vulnera ancor piu' gravemente quel principio di "realismo economico", quale sopra elaborato, desumibile dall'art. 81. Infatti non sembra possibile ritenere che l'assegnazione di titoli di Stato costituisca corretto mezzo di copertura finanziaria degli oneri ai quali il decreto-legge vorrebbe dare esecuzione, poiche' altro non e' che nuovo indebitamento dello Stato e quindi non puo' essere considerato come nuova risorsa per finanziare il pagamento del debito: la sostituzione di un debito con un altro debito non e' copertura finanziaria di una spesa, ma solo operazione di scarsa trasparenza. Puo' anche essere sostenuto che la legge di bilancio non deve rispettare la parita' tra entrate e uscite e puo' essere accettata la tesi secondo la quale e' sufficiente la previsione dei mezzi di finanziamento per la copertura delle nuove spese, per cui vi sarebbe il rispetto dell'art. 81, ultimo comma, anche se la previsione si rivelasse erronea ed ottimistica, ma non si puo' accedere a soluzioni, come quella adottata dal Governo, nelle quali non vi sia neppure l'ombra dell'effettivita' teorica delle nuove risorse, limitandosi l'operazione a spostare la carenza di copertura finanziaria ad un'epoca futura, con una sostanziale rinnovazione del debito, senza estinzione dell'obbligazione reale, la quale resta, comunque, sempre a carico del debito pubblico, sempre priva di copertura finanziaria. Inoltre, a sommesso avviso di questo giudice, la stessa previsione del pagamento degli arretrati - o, quanto meno di tutti gli arretrati, senza una limitazione della decorrenza degli stessi, limitazione che potrebbe fissarsi, in via puramente esemplificativa, all'epoca delle sentenze n. 495/1993 e n. 240/1994 del giudice delle leggi, anche in considerazione del dettato dell'art. 136, primo comma, Costituzione e tenuto conto del fatto che, comunque, con il decreto-legge n. 166/1996 si e' creata negli interessati una forte e legittima aspettativa sull'assunzione da parte del Governo di un obbligo di pagamento degli arretrati - viola l'art. 81 della Costituzione nel principio di "realismo economico", essendo ben palese (e non da oggi) che il bilancio dello Stato non e' in grado di rendere totalmente effettivi i privilegi (assai discutibilmente) concessi dalla Corte costituzionale con le sentenze "legislative" delle quali trattasi: non e' questione di stabilire in astratto se sia legittimo lasciare immutata, o estendere, o ridurre l'area di applicazione di determinati benefici, ma assai piu' semplicemente (e, nel contempo, in obbedienza ai principi di uguaglianza, ragionevolezza e solidarieta' riconsiderati con etico rispetto delle future generazioni di accertare in concreto se esistano i mezzi economici (reali, si badi bene, e non virtuali e sperati, come quello attuato nel decreto-legge n. 166/1996 idoneo solo a determinare un nuovo aggravamento del deficit di bilancio, in danno dei nostri figli e nipoti, per conservare, ampliare o eliminare i medesimi benefici, operando poi di conseguenza. Esaurito l'esame della questione attinente l'art. 1 del decreto-legge n. 166 del 1996, si puo' passare alla discussione di quella attinente il precedente quadro normativo. B) Questione di legittimita' costituzionale dell'art. 11, comma 22, della legge n. 537/1993 come modificato dalla sentenza della Corte costituzionale n. 240/1994, per violazione dell'art. 81 Cost. Il giudice delle leggi con la sentenza n. 240 del 1994 ha dichiarato l'incostituzionalita', per contrasto con i principi di ragionevolezza (art. 3 della Costituzione) e di solidarieta' (art. 36 della Costituzione), dell'art. 11, comma 22, della legge n. 537 del 1993, nei termini gia' sopra testualmente riferiti. La norma in discorso, come modificata per effetto di tale intervento della Corte, determina per l'INPS una forte esposizione debitoria, priva di finanziamento (e' fatto notorio comprovato dall'art. 1, quarto comma, del decreto-legge n. 166 del 28 marzo 1996, per quanto si e' gia' detto); la causa di tutto cio' deve rinvenirsi nell'opinione (erronea) secondo la quale le sentenze di natura addittiva della Corte costituzionale avrebbero efficacia vincolante erga omnes ed ex tunc, opinione tuttora prevalente in dottrina e giurisprudenza. Nessun atto legislativo delle due Camere (unico possibile e costituzionalmente legittimo ai sensi dell'art. 136, secondo comma, Costituzione) e' sinora intervenuto per reperire la copertura finanziaria necessaria al fine di consentire all'INPS di provvedere, previa riliquidazione delle pensioni di riversibilita' secondo il dettato della sentenza n. 240/1994, al pagamento delle somme arretrate, con gli accessori di legge, derivanti da detta riliquidazione. E' piu' che evidente che il legislatore, a tutt'oggi (il decreto-legge n. 166 del 28 marzo 1996 ne e' riprova) non ha avuto la forza di dare attuazione in senso conforme alla Costituzione alla sentenza in discorso, emanando le norme di legge idonee ad acquisirne i principi nel diritto positivo (e il ragionamento vale identico anche con riferimento alla sentenza n. 495/1993), nonostante la vigenza dell'art. 2, settimo comma, della legge 11 marzo 1988, n. 67, che cosi' dispone: "Qualora nel corso di attuazione di leggi si verifichino scostamenti rispetto alle previsioni di spesa o di entrate, il Governo ne da' notizia tempestivamente al Parlamento con relazione del Ministro del tesoro e assume le conseguenti iniziative. La stessa procedura e' applicata in caso di sentenze definitive di organi giurisdizionali e della Corte costituzionale recanti interpretazioni della normativa vigente suscettibili di determinare maggiori oneri". Si potrebbero ricercare le responsabilita' politiche per la situazione creatasi, ma senza valenza giuridica, restando certo il fatto che nessun intervento rispettoso della Costituzione e' stato posto in essere per la copertura finanziaria dei maggiori oneri causati dalle sentenze della Corte, ne' totalmente, ne' parzialmente, non potendosi valutare in modo positivo il decreto-legge n. 166/1996, gia' sottoposto a critica. Dal riscontrato attuale dato di fatto storico dell'assenza di copertura finanziaria, a parere di questo pretore, non puo' che discendere obbligatoriamente l'affermazione dell'illegittimita' costituzionale dell'art. 11, comma 22, della legge n. 537/1993, come modificato dal giudice delle leggi, per violazione dell'ultimo comma dell'art. 81 Cost., a nulla rilevando sapere se tale violazione dipenda da semplice inerzia, o assenza di volonta' del legislatore, ovvero (ed e', purtroppo, quest'ultima l'ipotesi piu' veritiera, dalla realta' di una situazione critica delle finanze dello Stato, tale da aver reso, sino ad oggi, impossibile il reperimento delle risorse finanziare necessarie, senza determinare un ulteriore aggravamento nel desolante bilancio della nostra Repubblica. Unica conseguenza e soluzione possibile sembra essere quella di una pronuncia dichiarativa dell'illegittimita' costituzionale dell'art. 11, comma 22, legge n. 537 del 1993 nella formulazione creata dalla sentenza n. 240 del 1994, con conseguente cessazione dell'efficacia della medesima norma ai sensi dell'art. 136, primo comma, della Costituzione e ripristino della situazione normativa preesistente l'intervento del giudice delle leggi. Ne' puo', in contrario, sostenersi con giuridica fondatezza che le norme "virtuali" create dalle sentenze "leggi" della Corte costituzionale siano avulse dal sistema giuridico costituzionale, cosi' da non dover obbedire (anche) al dettato dell'art. 81 Cost., ovvero che siano "refrattarie" al controllo di legittimita' costituzionale, ovvero ancora che il legislatore debba dare esecuzione, sempre e comunque, alla volonta' della Corte e che abbia tempi illimitati per provvedere alla copertura finanziaria: se le sentenze di natura legislativa della Corte hanno davvero forza innovativa nel diritto positivo con obbligo di applicazione (ipotesi, deve ribadirsi, ancora, qui fortemente negata), tanto da fondersi, in modo simile a quanto avviene per le leggi di interpretazione autentica, con la norma dichiarata incostituzionale, determinandone un nuovo contenuto, ebbene, allora, queste norme "virtuali" devono essere totalmente conformi alla Costituzione e soggiacere al vaglio del giudizio di legittimita' costituzionale, come ogni norma di legge. Ancora una volta, deve evidenziarsi anche la violazione del principio di "realismo economico", come sopra teorizzato: la Corte costituzionale non ne ha tenuto conto nel creare la sua versione dell'art. 11, comma 22, della legge n. 537/1993, determinando nel sistema giuridico l'esistenza di un privilegio che, benche' giustificato dalla Corte con riferimento ai principi di ragionevolezza e di solidarieta' (peraltro, a sommesso avviso di questo giudice, erroneamente richiamati), in verita' si appalesa eccessivo, proprio perche' il sistema economico non e' in grado (e non lo era nel 1994) di soddisfare il costo del miglior trattamento, senza spendere risorse future. Si pone in discussione qui senza equivoci la realizzabilita' economica (quanto meno totale e generale), della tutela concessa dalla sentenza n. 240/1994 (nonche' dalla n. 495/1993) in assenza di versamenti contributivi che ne sorreggano interamente il costo ed in presenza di una situazione della finanza pubblica tale da non consentire piu' l'esistenza di privilegi che non si autofinanzino, non essendo ormai neppure concepibile un aumento della pressione fiscale per reperire le risorse necessarie per la soddisfazione di bisogni non essenziali - come reso evidente dallo stesso decreto-legge n. 166 del 1996 che evita ogni ricorso alla fiscalita' generale, scegliendo la, gia' criticata, soluzione dell'indebitamento ulteriore dello Stato, senza minimamente considerare che ogni aggravamento del debito pubblico determina ineluttabilmente la mortificazione (effetto "perverso", di certo non voluto, ma consequenziale, della troppo facile creazione di privilegi nel nome della solidarieta' in assenza conclamata di risorse economiche per pagarne il prezzo) delle speranze delle future generazioni, gravate dalle conseguenze degli sperperi delle precedenti. Sempre in tema e per chiarire doverosamente gli incisi critici rivolti alla sentenza n. 240/1994 e' bene ricordare una specifica contestazione gia' piu' volte rivolta da questo giudice remittente all'argomento fondamentale posto dalla Corte costituzionale a base della decisione: nessuna rilevanza costituzionale puo' attribuirsi alla sostenuta necessita' di un passaggio graduale della seconda pensione dal trattamento integrato al minimo a quello deteriore "a calcolo", poiche' nessuno dei pensionati che chiede la "cristallizzazione" (la problematica e' talmente nota che non occorre ulteriore precisazione) dal 1 ottobre 1983 ha mai goduto effettivamente alla data del 30 settembre 1983 di piu' di una pensione integrata al trattamento minimo e, dunque, mai ha visto ridurre la misura della seconda pensione, cosicche' mai ha potuto contare sulla prestazione che vorrebbe "cristallizzare" per le esigenze primarie di vita, a dimostrazione che il "passaggio graduale" e' una mera costruzione teorica, ora per allora, priva di storica concretezza. Sulla non manifesta infondatezza e sulla rilevanza in causa delle sopra esposte questioni di legittimita' costituzionale. Le questioni in discorso non sono manifestamente infondate e sono rilevanti: e' piu' che ovvio che la dichiarazione della illegittimita' costituzionale dell'art. 1 del decreto legge 28 marzo 1996, n. 166 avrebbe l'effetto di ripristinare la vigenza della normativa precedente, restituendo nel contempo a questa autorita' giudiziaria competente la funzione attribuitale dalla Costituzione di amministrare la giustizia secondo la legge costituzionalmente vigente, l'art. 11, comma 22, della legge n. 537 del 1993, con conseguente necessita' dell'esame di costituzionalita', nei (limitati) termini oggi proposti, della appena citata disposizione, come modificata dalla sentenza n. 240 del 1994, poiche' ai fini del decidere e' importante avere certezza in ordine alla vigenza o meno del comma 22 dell'art. 11 della legge n. 537/1993, come determinata (nell'erronea opinione prevalente) dalla sentenza n. 240/1994, e poiche' tale certezza puo' derivare, con valore assoluto solo (salvo ovviamente un sempre possibile intervento legislativo delle due Camere del Parlamento, anche eventualmente indirizzato da una sentenza "propositiva" del giudice delle leggi, sicuramente ammissibile) da una decisione della Corte costituzionale, risulta necessario investire la Corte delle questioni di costituzionalita' come sopra precisate, essendo, peraltro, piu' che palese per le argomentazioni che precedono, senza altro superfluo commento, anche la rilevanza nel presente giudizio della seconda poiche' l'eventuale dichiarazione d'illegittimita' costituzionale della versione dell'art. 11, comma 22 della legge n. 537/1993 creata dalla sentenza n. 240 del 1994, per violazione dell'art. 81 della Costituzione sarebbe, senza possibilita' di contrasto neppure negli eventuali gradi successivi del giudizio, motivo di rigetto della domanda proposta in causa.
P. Q. M. Solleva d'ufficio questione di legittimita' costituzionale: dell'art. 1 del d.-l. 28 marzo 1996, n. 166, per violazione dell'art. 81 della Costituzione; dell'art. 11, comma 22 della legge 24 dicembre 1993, n. 537, come modificato dalla sentenza n. 240/1994 della Corte costituzionale, per violazione dell'art. 81 Costituzione; Sospende il giudizio; Ordina la trasmissione degli atti alla Corte costituzionale, disponendo la notifica al Presidente del Consiglio dei Ministri, nonche' la comunicazione ai Presidenti delle due Camere del Parlamento. Manda alla cancelleria per l'esecuzione. Brescia, addi' 16 maggio 1996 Il pretore: Onni 96C1647