N. 1220 ORDINANZA (Atto di promovimento) 29 marzo - 7 ottobre 1996
N. 1220 Ordinanza emessa il 29 marzo 1996 (pervenuta alla Corte costituzionale il 7 ottobre 1996) dal Consiglio di Stato sul ricorso proposto da Bigoni Anna Maria contro la regione Emilia Romagna ed altri Impiego pubblico - Impiego negli enti locali - Divieto di assunzione negli uffici comunali, provinciali e dei consorzi di comuni e province delle persone condannate per determinati delitti (nella specie, delitti contro la fede pubblica) - Disparita' di trattamento rispetto alla disciplina relativa alla destituzione automatica dei pubblici dipendenti in seguito alla sentenza della Corte costituzionale n. 971/1988 - Incidenza sul diritto all'accesso ai pubblici impieghi. (R.-D. 3 marzo 1934, n. 383, art. 8, alinea 7). (Cost., artt. 3 e 51, primo comma).(GU n.45 del 6-11-1996 )
IL CONSIGLIO DI STATO Ha pronuciato la seguente ordinanza nel giudizio sull'appello proposto dalla signora Anna Maria Bigoni, residente in Lagosanto, difesa dagli avvocati Roberto Gilli e Giorgio Natoli e domiciliata presso il secondo in Roma, via Cicerone 28; appellante, contro la regione Emilia Romagna, non costituita in giudizio; e nei confronti del comune di Lagosanto, non costituito in giudizio; della signora Giovanna Bacilieri, residente in Voghera; per l'annullamento della sentenza 12 settembre 1992 n. 452, con la quale il tribunale amministrativo regionale per l'Emilia-Romagna, seconda sezione, ha respinto le domande di annullamento del provvediemtno 27 giugno 1989 n. 22422/1 del comitato regionale di controllo sugli atti degli enti locali della regione Emilia-Romagna, a sua volta recante annullamento della deliberazione della giunta comunale di Lagosanto 11 maggio 1989 n. 162, di nomina della ricorrente, quale vincitrice di concorso, nel posto di bibliotecaria del comune. F a t t o La signora Bigoni si classifico' prima nella graduatoria del concorso per un posto di assistente di biblioteca indetto dal comune di Lagosanto con deliberazione della giunta municipale 23 marzo 1987 n. 195. Avendo ella, nella domanda di partecipazione al concorso, dichiarato di non avere riportato condanne, mentre dal suo certificato del casellario giudiziale risultava iscritta una condanna alla pena della multa per emissione di assegni a vuoto, il comune soprassedette alla nomina e fece rapposto all'autorita' giudiziaria. Ne segui' una condanna della signora Bigoni alla pena di lire 100.000 di multa per il reato di false dichiarazioni su qualita' personali, previsto dall'articolo 496 del codice penale; dopo di che la giunta municipale, con deliberazione 11 maggio 1989 n. 162, procedette alla nomina (con decorrenza 1 giugno 1989), motivando che la sentenza della corte costituzionale 14 ottobre 1988 n. 971, con la quale erano state dichiarate costituzionalmente illegittime le disposizioni di legge che prevedevano la destituzione del pubblico impiegato per cio' solo che avesse riportato determinate condanne, aveva reso inapplicabile il divieto di assunzine di persone condannate per delitti contro la fede pubblica, sancito dall'art. 8 del regio decreto 3 marzo 1934 n. 383. L'atto di nomina fu annullato dal comitato regionale di controllo sugli atti degli enti locali della regione Emilia-Romagna, sezione di Ferrara, con atto 27 giugno 1989 n. 22422/2, sul rilievo che l'art. 8 del testo unico del 1934, a norma del quale la nomina era preclusa per i condannati per delitti contro la fede pubblica, era vigente e non poteva essere disapplicato in forza di dichiarazione di illegittimita' constituzionale di altre disposizioni di legge. Nel provvedimento si osservava altresi' che il posto messo a concorso non poteva essere coperto nel 1989. L'atto di annullamento fu impugnato davanti al tribunale amministrativo regionale per l'Emilia-Romagna, con distinti ricorsi notificati tra il 12 e il 16 agosto 1989, dal comune di Lagosanto e dalla signora Bigoni. A sostegno di ciascuno dei ricorsi fu dedotta la stessa tesi contenuta nella deliberazione di nomina, relativa al potere discrezionale dell'amministrazione comunale di procedere alla nomina di persone condannate per i reati elencati dall'art. 8 del testo unico del 1934; in subordine, i ricorrenti formularono eccezione di illegittimita' costituzionale della disposizione di legge ostativa alla nomina, per violazione degli artt. 3, 4, 35 e 97 della Costituzione. Il tribunale amministrativo regionale, con la sentenza indicata in epigrafe, ha riunito le due cause e ha dichiarato inammissibili i ricorsi, osservando che l'atto del comitato di controllo aveva annullato la deliberazione n. 162 del 1989, oltre che per il motivo concernente le condanne ostative alla nomina, anche per altro motivo, concernente l'impossibilita' di procedere a nomine nel 1989; e che tale secondo motivo di annullamento, autonomo rispetto al primo e di per se' solo idoneo a sorreggere la decisione di annullamento, non era stato fatto oggetto di censure. Appella la signora Bigoni, deducendo tre motivi, censurando la dichiarazione d'inammissibilita' del ricorso e riproponendo sia la questione dell'applicazione dell'articolo 8 del testo unico del 1934, sia l'eccezione di illegittimita' costituzionale della disposizione. La sezione, con decisione in data odierna, ha accolto in parte l'appello, ritenendo che il rilievo dell'organo di controllo, relativo al divieto di far decorrere la nomina dal 1989, non comportasse di per se' l'annullamento della nomina; e che la ricorrente abbia interesse a sentir annullare l'atto negativo di controllo, onde beneficiare della nomina, sia pure con decorrenza successiva al 1989. Con la stessa decisione e' stato pure ritenuta infondata la tesi dell'inapplicabilita' del divieto di assunzione sancito dall'articolo 8 del testo unico del 1934. D i r i t t o La ricorrente ripropone l'eccezione di illegittimita' dell'art. 8 del regio decreto 3 marzo 1934 n. 383, emanato in forza della legge 31 marzo 1932 n. 359 e contenente il testo unico della legge comunale e provinciale, nella parte (identificabile nell'alinea 7) in cui vieta di nominare agli uffici previsti dalla legge stessa, ossia agli ufficicomunali e provinciali e dei consorzi di comuni e province, tra l'altro coloro che siano stati condannati per determinati delitti; tra questi, i delitti contro la fede pubblica, nei quali vanno classificati entrambi i reati per i quali la ricorrente ha subi'to condanne. La disposizione, ora abrogata per effetto dell'art. 64 della legge 8 giugno 1990, n. 142, sull'ordinamento delle autonomie locali, e' pero' applicabile al caso in esame, essendo vigente al momento in cui la giunta municipale ebbe a deliberare la nomina. Sulla rilevanza della questione non v'e' altro da aggiungere, dal momento che, per quanto sopra esposto e dopo quanto stabilito con la decisione non definitiva in data odierna, essa costituisce l'elemento dirimente della controversia. Il collegio ritiene poi che l'eccezione non sia manifestamente infondata. Quel medesimo profilo di non ragionevolezza, in base al quale le disposizioni sulla destituzione "automatica" dei pubblici dipendenti sono state giudicate, nella sentenza della Corte costituzionale 14 ottobre 1988 n. 971, contrastanti con l'art. 3 della Costituzione, sembrano sussistere anche riguardo alla disposizione che vieta, con rigido automatismo e senza possibilita' di valutazione discrezionale del caso di specie, l'assunzione ai pubblici impieghi di persone condannate per determinati reati. La sostanza della questione e' che il titolo di reato, al quale soltanto si riferisce la disposizione in esame (come gia' quelle sulla destituzione), puo', nei singoli casi, classificare fatti, insignificanti dal punto di vista della pericolosita' sociale e della capacita' a delinquere, del tutto diversi dal tipo di fatti che la coscienza collettiva comunemente vi associa, e rispetto ai quali il divieto di assunzione nei pubblici uffici puo' costituire misura sproporzionata; per esempio, una condanna per rapina impropria potrebbe esser riferita ad un fatto che ha la sostanza di una lite per il possesso di un oggetto o di una somma di denaro; ovvero una condanna per "assegno a vuoto", ossia per i delitti contemplati dall'art. 116 del regio decreto 21 dicembre 1933 n. 1736 (prima che le fattispecie penalmente rilevanti fossero ridimensionate dalla legge 15 dicembre 1990 n. 386), puo' spaziare da fatti gravissimi, connessi con truffe o altri delitti contro la fede pubblica e il patrimonio, all'emissione di assegno senza data. Appunto per questo del resto, cioe' per adeguare la fattispecie penale al caso concreto, il legislatore gradua la pena edittale ed offre al giudice penale i mezzi per tener conto dei casi di speciale tenuita' del fatto. Di qui il dubbio che l'automatismo del divieto di assunzione, come gia' quello della destituzione, vi'oli il canone di ragiolevolezza; al quale va aggiunto il dubbio che, per la stessa ragione, la disposizione vi'oli l'articolo 51, primo comma, della Costituzione, relativo al diritto dei cittadini di accedere agli uffici pubblici.
P. Q. M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, sezione quinta, cosi' prevede: 1) ritenuta rilevante, e non manifestamente infondata, la questione di legittimita' costituzionale, con riferimento agli artt. 3, primo comma, e 51, primo comma, della Costituzione, dell'art. 8, alinea 7, del testo unico della legge comunale e provinciale approvato con regio decreto 3 marzo 1934 n. 383, ne rimette l'esame alla Corte costituzionale; 2) sospende il giudizio in corso; 3) ordina alla segreteria di notificare la presente decisione alle parti in causa e al Presidente del Consiglio dei Ministri e di comunicarla ai Presidenti delle due Camere del Parlamento; e di trasmettere poi gli atti alla Corte costituzionale. Cosi' deciso in Roma, il 29 marzo 1996 dal collegio costituito dai signori: Il presidente f.f.: Frascione Il consigliere estensore: Carboni 96C1665