N. 1224 ORDINANZA (Atto di promovimento) 21 maggio 1996
N. 1224 Ordinanza emessa il 21 maggio 1996 dal giudice per l'udienza preliminare presso il tribunale di Palermo nel procedimento penale a carico di Voluti Alessandro ed altri Processo penale - Udienza preliminare - G.i.p. che si sia pronunciato su una richiesta di una misura cautelare personale nei confronti degli imputati - Incompatibilita' dello stesso giudice a partecipare a detta udienza - Omessa previsione - Violazione dei principi di eguaglianza dei cittadini davanti alla legge, di imparzialita' del giudice - Pretermissione dei principi della legge di delega in relazione alla divisione dei poteri tra organi giudicanti e requirenti nonche' del principio di terzieta' del giudice - Richiamo ai principi espressi dalle sentenze nn. 432/1995, 131 e 155 del 1996. (C.P.P. 1988, art. 34, n. 2). (Cost., artt. 3, 25, 76 e 77).(GU n.45 del 6-11-1996 )
IL GIUDICE PER L'UDIENZA PRELIMINARE Ha emesso la seguente ordinanza di promovimento del giudizio di incostituzionalita', ex officio, dell'art. 34, secondo comma c.p.p. Con ordinanza n. 5026/1993 g.i.p. del 12 marzo 1994, questo giudice, in accogliento della richiesta formulata dal p.m. presso la procura della Repubblica di questo, tribunale, disponeva l'applicazione della misura cautelare della custodia in carcere nei confronti di Voluti Alessandro e' la misura cautelare della custodia domiciliare nei confronti di Castiglia Giuliano, Chinetti Barone Silvia e Ciriminna Saverio, tutti indagati per i reati di cui agli artt. 323, 110 c.p.; 353 c.p. ed il solo Voluti, anche, per il reato di cui agli artt. 56 e 610 c.p. Avverso detta misura proponevano ricorso dinnanzi al tribunale - sezione per il riesame - tutti gli indagati: il tribunale adito, con ordinanza del 18 aprile 1994, in accoglimento del ricorso annullava la predetta ordinanza per insussistenza dei gravi indizi di colpevolezza a carico degli indagati, ordinandone l'immediata liberazione. Avverso tale statuizione proponeva ricorso per Cassazione il p.m. per violazione di legge. La S.C., con propria sentenza dell'8 luglio 1994, annullava, con rinvio al tribunale per un nuovo esame, la decisione impugnata dal p.m. Il tribunale per il riesame, con successiva ordinanza del 10 novembre 1994, annullava nuovamente l'ordinanza cautelare emessa dal g.i.p. e della quale si e' succintamente riferito, ma per ragioni diverse da quelle poste a sostegno della precedente decisione adottata da altra sezione del tribunale; in altri termini, riconosceva - diversamente dal primo giudice di riesame - la sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza a carico di tutti gli indagati, escludendo pero', in capo agli stessi, la sussistenza delle esigenze cautelari che giustificassero l'adozione della misura restrittiva nei loro riguardi. All'esito delle indagini preliminari, il p.m. formulava richiesta di rinvio a giudizio nei confronti degli imputati sopra menzionati. All'odierna udienza preliminare, previa costituzione di parte civile ad opera di alcuni tra i soggetti danneggiati dal reato, le parti formulavano le rispettive conclusioni di merito (richiesta di rinvio a giudizio da parte del p.m. e della parte civile ed emissione di sentenza di non luogo a procedere da parte dei difensori di tutti gli indagati). In esito a dette richieste, questo giudice ritiene di sollevare - ex officio - questione di legittimita' costituzionale dell'art. 34, comma secondo, c.p.p., nella parte in cui non prevede l'incompatibilita' tra il giudice per le indagini preliminari che si sia pronunciato su una richiesta di applicazione di misure cautelari formulata dal p.m. e lo stesso giudice, chiamato a celebrare l'udienza preliminare. Il problema, gia' affrontato e risolto, per la verita' il piu' delle volte in termini negativi da altri giudici investiti di questioni identiche (contra g.u.p. tribunale Roma - ordinanza di rimessione degli atti alla Corte costituzionale del 18 maggio 1995 sia pure con riferimento ad un provvedimento ex art. 409 c.p.p. adottato dal g.i.p. nella fase delle indagini preliminari), si ripresenta ancor piu' attuale e fondato alla luce delle recentissime sentenze nn. 131/1996 e 155/1996 emesse dalla Corte costituzionale: in entrambe dette decisioni che riprendono e rafforzano le argomentazioni contenute nella sentenza n. 432/1995, e' stata posta in risalto l'incompatibilita' tra il giudice che ha applicato la misura cautelare e quello stesso giudice che, in qualsiasi modo e sotto altra veste o funzione, sia stato chiamato a pronunciarsi sul merito della vicenda processuale sottoposta al suo esame. L'incompatibilita' assume, ovviamente, un rilievo maggiore per il g.i.p. che, pronunciandosi in tema di liberta' individuale, torni poi, sotto la veste di g.u.p., ad esaminare il merito della vicenda, essendo evidente il possibile conflitto originato dalle diverse funzioni con le quali e' stata esaminata la vicenda. Senza voler immorare sulle argomentazioni attraverso le quali la Corte costituzionale e' pervenuta a formulare il giudizio di illegittimita' costituzionale dell'art. 34, secondo comma, c.p.p., pare opportuno sottolineare che nelle citate decisioni si e' particolarmente insistito sulla "imparzialita'" del giudice come principio cardine del nuovo processo penale, non mancando di rilevare come detto principio possa essere violato tutte le volte che ricorrono evenienze del genere. Ed ancora, prosegue la Corte, l'incompatibilita' poggia sulla esigenza di vincere la c.d. "forza della prevenzione" che sovente impedisce al giudice di rivedere criticamente precedenti decisioni e che appare certamente configurarsi la' dove il giudice, chiamato ad effettuare valutazioni di merito sul piano della consistenza degli indizi in vista della emissione di una misura cautelare, torni poi ad occuparsi dello stesso caso sempre sotto un profilo di merito ma con una funzione ben diversa. Ed infine, secondo le prospettazioni della Corte, questa valutazione sul piano della consistenza indiziaria appare ancor piu' penetrante (e sostanzialmente equiparabile ad una vera e propria decisione di merito) alla luce della modifica normativa dell'istituto della custodia cautelare introdotta dalla legge n. 332/1995, il quale esige un giudizio probabilistico in ordine alla colpevolezza assai piu' penetrante rispetto al passato e tale da superare la distinzione tra valutazioni di tipo indiziario (rilevanti in sede di applicazione di una misura cautelare) e giudizio sul merito dell'accusa (vds. sent. nn. 432/1995 e 131/1996). Ma quel che piu' interessa nella vicenda in esame e' l'affermazione della Corte secondo la quale qualsiasi decisione di merito vada ricompresa nella locuzione "giudizio" contenuta nell'art. 34, secondo comma, c.p.p., senza che vi sia estranea nemmeno la sentenza di applicazione della pena su richiesta che definisce, si', il giudizio ma che e' di contenuto improprio (in quanto non viene considerata sentenza di condanna, fondata su una valutazione della responsabilita' penale). Ora, se e' vero che l'udienza preliminare, tra i suoi possibili esiti, puo' annoverare l'emissione di una sentenza di non luogo a procedere (se all'istituto della udienza preliminare deve attribuirsi, come pare, un significato concreto e non la veste di un rito puramente figurativo), non puo' negarsi che anche in tale ipotesi si puo' versare in una situazione di incompatibilita' analoga a quelle altre sottoposte all'esame della Corte e da questa ritenuta sussistente. Non si ignora che, secondo i principi piu' volte affermati dalla Corte costituzionale (vds. sentenze nn. 401/1991, 124/1992 e 432/1995) e condivisi da parte di altri g.u.p. investiti di questioni analoghe (vds. ordinanza g.u.p. tribunale Napoli e ordinanza g.u.p. tribunale Roma del 4 ottobre 1994) l'udienza preliminare implica non tanto un giudizio di merito sui fatti oggetto del procedimento, quanto una valutazione in ordine alle condizioni legittimanti il rinvio a giudizio degli imputati, a nulla valendo, in contrario, il fatto che l'udienza preliminare potrebbe concludersi con una sentenza di non luogo a procedere ex art. 425 c.p.p., che non basta a trasformare l'udienza medesima in un giudizio anticipato sulla responsabilita'; ne' si ignora che la sentenza ex art. 425 c.p.p. e' una decisione pur essa impropria, soggetta come e' a revoca e che secondo un'autorevole opinione acquista i connotati di una c.d. "decisione processuale". Ne', infine, si ignora che la Corte costituzionale, in tutte le sue precedenti decisioni abbia circoscritto l'incompatibilita' a parametri rigorosamente definiti (precisando che l'udienza preliminare non conduce ad una decisione di merito e che e' indispensabile una valutazione "non formale, ma contenutistica" in ordine alla sussistenza degli elementi che giustificano l'assoggettamento dell'imputato al giudizio di merito). Ma, a ben vedere e facendo tesoro delle ricordate pronunce nn. 131 e 155 del 1996, nonche' della sentenza n. 432/1995, la Corte ha inteso fissare il principio generale che qualsiasi pronuncia che implichi un giudizio puo' determinare eventuali incompatibilita'. Ora appare incontrovertibile che tale principio coinvolga qualsiasi decisione che implichi una valutazione, fondata sulle risultanze acquisite agli atti del procedimento, di carattere contenutistico (nel senso, cioe', di un giudizio di merito) nel cui ambito rientra certamente la sentenza ex art. 425 c.p.p. che, dell'udienza preliminare, rappresenta uno dei possibili sbocchi. Si tratta, come e' noto, di una pronuncia che esclude la sussistenza di qualsiasi responsabilita' in capo all'imputato e che - seppure soggetta a revoca - e' anch'essa assoggettata ai normali rimedi previsti per tutte le sentenze (e', in particolare, ricorribile per Cassazione). Si potrebbe obiettare che trattandosi di una valutazione residuale che abbraccia solo un giudizio di non responsabilita' penale, l'incompatibilita' non si configurerebbe perche', anzi, una decisione del genere implica il superamento di quella barriera costituita dalla "forza della prevenzione" che si pone come un grave limite alla imparzialita' e terzieta' del giudice. Ma eventuali cause di incompatibilita' per la violazione di uno di detti principi vanno risolte a monte e prevenute proprio per evitare che esse possano in qualche modo insorgere e far apparire il giudice in una posizione non neutra ed ancorata a precedenti valutazioni dallo stesso espresse. Ritiene allora questo giudice che l'udienza preliminare abbia progressivamente assunto i connotati di giudizio di merito, anche sulla spinta delle esigenze deflattive poste alla base del processo penale attuale (cosi', ord. g.u.p. Roma del 18 maggio 1995 citata), tanto che l'imputato si attende da parte del giudice chiamato ad esaminare la fondatezza, o meno, della richiesta di rinvio a giudizio, un esame scrupoloso ed approfondito di tutti gli atti (che se carente, svuoterebbe di contenuto l'istituto): d'altra parte non e' chi non veda la profonda analogia tra una sentenza ex art. 425 c.p.p. ed una sentenza di assoluzione pronunciata a seguito di richiesta di rito abbreviato, quando entrambe si fondino su un esame degli atti senza che nulla debba o possa aggiungersi nella successiva fase dibattimentale. Peraltro, se e' vero che in molti casi l'udienza preliminare e' destinata a risolversi in una pronuncia c.d. "interlocutoria" di rinvio a giudizio, e' innegabile che la sentenza ex art. 425 c.p.p. costituisca oggi ben piu' di una ipotesi residuale, specie alla luce delle modifiche apportate con la legge 8 aprile 1993 n. 105, che sopprimendo l'inciso "evidente" contenuto nel vecchio testo ha aumentato il potere decisorio del g.u.p. finendo con il conferire alla decisione un significato non piu' processuale, quanto di merito pieno, cui e' correlato il potere-dovere per il giudice di svolgere il controllo di responsabilita' dell'imputato secondo gli stessi parametri di valutazione del giudice del dibattimento (cosi, App. Napoli 8 marzo 1995). La progressiva espansione dell'udienza preliminare sino ad una sostanziale coincidenza con l'udienza dibattimentale (vds. in proposito le innovazioni legislative in tema di sospensione dei termini di custodia cautelare applicate anche per l'udienza preliminare), induce questo giudice a rivedere il proprio convicimento che, in occasione di analoga questione sottoposta al suo esame su impulso di parte (eccezione di illegittimita' sollevata dalla difesa), lo aveva indotto a ritenere manifestamente infondata la questione (proc. penale contro Giammarinaro Giuseppe), anche in considerazione di una parallela e progressiva espansione del concetto di giudizio che, implicando una valutazione contenutistica degli atti, deve inevitabilmente ricomprendere l'udienza preliminare, in relazione al possibile esito di una sentenza di non luogo a procedere. L'incompatibilita' di cui sopra si risolve nella violazione, ad avviso dell'ufficio remittente, delle regole costituzionali dettate dagli artt. 3, 25, 76 e 77: in particolare, l'art. 3 sembra incrinato dalla denunciata e non prevista incompatibilita' che, inevitabilmente, si riflette negativamente sulla uguaglianza dei cittadini dinnanzi alla legge; del pari, l'art. 25 Cost. appare posto in discussione potendosi ravvisare una violazione del principio costituzionale della imparzialita', in quanto l'imputato e' chiamato a rispondere davanti ad un giudice che ha gia' espresso una valutazione fortemente significativa e che si e' quindi privato della sua qualita' di giudice naturale, precostituito per legge e per casi generali. Ed anche gli arrt. 76 e 77 Cost. risultano pretermessi, posto che la mancata previsione della incompatibilita' di cui all'art. 34, secondo comma c.p.p., incide sulla divisione dei poteri tra organo giudicante ed organo requirente e, di riflesso, sulla terzieta' del giudice che appare visibilmente compromessa per l'identita' fisica del giudice che si pronuncia su una misura coercitiva, rispetto al giudice chiamato a pronunciarsi in sede di udienza preliminare.
P. Q. M. Visti gli artt. 23, primo e secondo comma, della legge 11 marzo 1953 n. 67 e 134 della Costituzione solleva, di ufficio, questione di legittimita' costituzionale dell'art. 34, comma secondo, c.p.p., e per violazione degli artt. 3, 25, 76 e 77 della Costituzione, nella parte in cui non prevede la incompatibilita' tra il giudice che ha emesso una misura cautelare ed il giudice che sia chiamato a partecipare alla successiva udienza preliminare nei confronti dello stesso imputato; Vorra', conseguentemente, codesta ecc.ma Corte dichiarare l'illegittimita' costituzionale dell'art. 34, secondo comma, c.p.p. nella parte in cui non prevede detta incompatibilita'; Sospende il giudizio in corso; Manda alla cancelleria per gli adempimenti di rito e per la notifica della presente ordinanza alle parti ed al pubblico ministero, nonche' per la comunicazione della stessa alla Presidenza del Consiglio ed alla Presidenza delle Camere. Palermo, addi' 21 maggio 1996 Il giudice: Grillo 96C1683