N. 1232 ORDINANZA (Atto di promovimento) 10 giugno 1996

                                N. 1232
  Ordinanza  emessa  il 10 giugno  1996 dal magistrato di sorveglianza
 di Firenze nel procedimento di sorveglianza nei confronti di Gonnella
 Giacomo
 Ordinamento penitenziario - Affidamento in prova al servizio  sociale
    -  Esito  positivo  della  prova  - Effetti - Prevista estinzione,
    secondo l'interpretazione consolidata della Corte  di  cassazione,
    della  pena  detentiva  e  non anche di quella pecuniaria irrogata
    congiuntamente  -  Disparita'  di  trattamento  a  seconda   della
    condizione  economica  del  condannato,  sottoposto  nel  caso  di
    insolvenza  al  procedimento  per  la   conversione   della   pena
    pecuniaria - Incidenza sulla funzione rieducativa della pena.
 (Legge 26 luglio 1975, n. 354, art. 47, ultimo comma).
 (Cost., artt. 3 e 27, terzo comma).
(GU n.46 del 13-11-1996 )
                     IL MAGISTRATO DI SORVEGLIANZA
  A scioglimento della riserva formulata nella camera di consiglio del
 10  giugno 1996, nel procedimento instaurato per la conversione della
 pena pecuniaria inflitta a Gonnella Giacomo con la sentenza emessa in
 data 6 maggio 1992 dalla Corte d'appello di Firenze.
                           Premesso in fatto
     Che il nominato Gonnella venne ammesso all'affidamento  in  prova
 al  servizio  sociale  ai  sensi dell'art. 47 ord. pen. sulla residua
 pena detentiva inflitta con la sentenza di cui sopra, sentenza che lo
 aveva condannato alla pena di anni tre  e  mesi  otto  di  reclusione
 oltre a L. 35.000.000 di multa;
     che il tribunale di Firenze, in data 28 dicembre 1994, dichiarava
 estinta,  per  l'esito  positivo  della  suddetta misura alternativa,
 oltre alla pena detentiva, anche la pena  pecuniaria  della  condanna
 indicata,  interpretando  in senso ampio l'ultimo comma dell'art. 47,
 legge n. 354/1975 che recita "l'esito positivo della  prova  estingue
 la pena ed ogni altro effetto penale";
     che  in data 10 novembre 1995 la suprema Corte, riunita in camera
 di consiglio, decidendo sul ricorso generale proposto  dal  p.g.,  ha
 annullato  l'ordinanza del tribunale di sorveglianza per la parte che
 dichiarava estinta la pena  pecuniaria,  conformemente  all'indirizzo
 gia'  enunciato su tale questione dalla stessa suprema Corte, riunita
 a  sezioni  unite  (C.C.  27  settembre  1995,  Sessa),  per il quale
 l'effetto  estintivo  conseguente  al  buon  esito  del  periodo   di
 affidamento  in prova al servizio sociale enunciato dall'art. 47 u.c.
 l.  cit.,  si  applicava  alla  sola  pena  detentiva  non  dovendosi
 estendere anche alla pena pecuniaria;
     che  pertanto  era rimasta da eseguire nei confronti del Gonnella
 la multa di L. 35.000.000 per la quale, pagata una parte, il campione
 penale aveva  accertato  l'impossibilita'  di  esazione  della  somma
 residua  (L.  28.956.000)  a  seguito di infruttuoso pignoramento dei
 beni del debitore;
     che per tale multa insoluta il p.m. competente (Procura  generale
 di  Firenze)  aveva trasmesso gli atti all'Ufficio di sorveglianza di
 Firenze perche' procedesse alla conversione della pena pecuniaria  in
 liberta' controllata secondo quanto prevede l'art. 660 c.p.p.;
     che  in  tale procedimento il difensore del prevenuto ha ritenuto
 di sollevare questione di legittimita' costituzionale  per  contrasto
 dell'art.  47  u.c.  ord.  penitenziario laddove esclude l'estinzione
 della pena  pecuniaria  inflitta  come  effetto  dell'esito  positivo
 dell'affidamento sociale con il principio di ragionevolezza e con gli
 artt. 3 e 27 della Costituzione nei termini in cui a memoria in atti.
                          Osserva in diritto
   L'eccezione  di  costituzionalita'  prospettata  dalla parte appare
 sicuramente rilevante ai fini della prosecuzione del procedimento  in
 corso.   Ormai   le   sezioni  unite  della  S.U.  hanno  sancito  il
 consolidamento dell'interpretazione restrittiva, in senso sfavorevole
 al condannato, dell'art. 47 u.c. ord. pen. e la decisione della Corte
 di cassazione intervenuta nel caso di specie impone al magistrato  di
 sorveglianza, di instaurare, su impulso del p.m., il procedimento per
 la  conversione  ex art. 660 c.p.p. della multa residua non investita
 dalla declaratoria di estinzione al termine della misura alternativa.
 Siamo pertanto ben aldila' della situazione, per altri versi analoga,
 gia' sottoposta al giudizio di codesta Corte con questione dichiarata
 manifestamente inammissibile nell'ordinanza n. 410 del 21-28 novembre
 1994, poiche' qui si discute  non  piu'  della  eventualita'  di  una
 interpretazione  della  somma  fra  quelle possibili e nemmeno di una
 interpretazione consolidata in termini di "diritto vivente" ma di una
 esegesi della norma che fa stato in questo  particolare  procedimento
 rendendo   impraticabili   diverse  "interpretazioni  adeguatrici  al
 dettato costituzionale" della norma.
   L'eccezione  non  e'  neppure,  a  parere  di  questo   magistrato,
 manifestamente infondata.
   Corretta  e'  anzitutto  l'osservazione della difesa del condannato
 per  la  quale  l'interpretazione  vigente  della   norma   impugnata
 contrasta  col  principio  di  ragionevolezza  per  l'unicita'  della
 funzione dalla pena ancorche' inflitta in parte detentiva ed in parte
 pecuniaria:    essendo  unica  la  pena   nella   sua   funzione   e'
 irragionevole che l'ultimo comma dell'art. 47 ord. pen. preveda, come
 conseguenza   dell'esito   positivo  dell'affidamento  in  prova,  la
 estinzione  della  sola  parte  detentiva  della  pena  inflitta   in
 condanna.
   La  suddetta  misura  alternativa  viene infatti concessa (art. 47,
 secondo comma)  se  essa  e'  in  grado  di  contribuire,  attraverso
 l'osservanza  delle  prescrizioni  in cui si sostanzia la prova, alla
 rieducazione del reo e alla prevenzione  del  pericolo  che  commetta
 altri   reati,   quindi  persegue  il  fine  complessivo  della  pena
 genericamente intesa.  L'esito positivo dell'affidamento, comportando
 l'estinzione della pena, attesta che quel fine e' stato raggiunto.
   In presenza di tale risultato la permanenza della  pena  pecuniaria
 non  si  giustifica  piu' sotto il profilo dello scopo che la pena si
 prefigge ma residua quale dato unicamente afflittivo e, come  vedremo
 anche  in seguito, con significato rieducativo nullo nei confronti di
 un soggetto condannato che ha sperimentato con successo  il  percorso
 trattamentale  che  la legge sull'ordinamento penitenziario individua
 affinche'  l'esecuzione  della  pena  sia  occasione  di  riflessione
 critica  sul reato commesso e di recupero della persona alla societa'
 civile.
   Nel caso poi in cui lo stesso soggetto si trovi  impossibilitato  a
 pagare   la   pena   pecuniaria  a  causa  della  propria  insolvenza
 incolpevole, egli e' costretto ad  essere  sottoposto,  o  al  lavoro
 sostitutivo   -   che  limita  il  tempo  dedicato  alla  occupazione
 professionale  esercitata  svolgendosi  per  una  o   piu'   giornate
 lavorative settimanali con conseguente perdita economica - o, qualora
 non  sia in grado di scegliere il lavoro sostitutivo (per inciso tale
 misura risulta finora di improbabile  applicazione  per  la  assoluta
 inesistenza  attuale  dei  necessari  supporti organizzativi da parte
 degli enti, pubblici  o  di  interesse  pubblico,  individuati  dalla
 legge)  ad una misura come la liberta' controllata che comporta forti
 limiti della liberta' di  movimento  (oltre  alla  sospensione  dalla
 patente  ed al pesante controllo di polizia alla quale c'e' l'obbligo
 di  presentazione  giornaliero).  Tali  limiti  sono  in   grado   di
 condizionare  pesantemente  (nonostante la possibilita' di deroga che
 la legge permette  soltanto  per  "sopravvenuti  motivi  di  assoluta
 necessita'"  vedi art. 64, legge n. 689/1981) le attivita' lavorative
 svolte nonche' naturalmente la vita  di  relazione  e  nella  pratica
 risultano  normalmente  ben  piu'  afflittivi  delle prescrizioni del
 precedente affidamento al servizio sociale.  Infatti  sebbene  l'art.
 47,  comma  quinto, ord. pen. indichi fra le prescrizioni della prova
 anche limiti alla possibilita' di movimento in ambito territoriale il
 comma  sesto  prevede  solo  come   eventualita',   sempre   comunque
 derogabile  e  da  motivare, quella dell'obbligo di soggiornare in un
 determinato comune. Neppure previsti (anche se non esclusi)  sono  il
 controllo di polizia e il ritiro della patente.
   E'  evidente  la  diversita'  di  conseguenze  fra  chi, essendo in
 condizioni economiche tali da poter pagare la pena  pecuniaria,  puo'
 evitarne la conversione e chi, per una situazione oggettiva a lui non
 imputabile  (l'insolvenza)  vi deve sottostare subendo la limitazione
 anziche' del patrimonio, della liberta' personale. Tale situazione  a
 parere  di  chi  scrive contrasta sia col principio di uguaglianza di
 fronte alla  legge  (art.  3,  Cost.)  che  con  quello  per  cui  la
 responsabilita'  penale  e' personale (art. 27, comma primo, Cost.) e
 non oggettiva per cui neppure un aggravamento in  termini  afflittivi
 di tale responsabilita' puo' essere fatto derivare da fatto oggettivo
 incolpevole.
   Il  regime  della  liberta'  controllata,  per  chi si sente oramai
 recuperato al tessuto sociale ed ha assaporato il graduale riacquisto
 della propria  liberta'  personale  come  un  risultato  del  proprio
 impegno  appare tanto intollerabile che molti, risultati impossidenti
 ai  tentativi  di  esecuzione  forzata effettuati dal campione penale
 creditore, quando si trovano davanti al magistrato  di  sorveglianza,
 tentano  di  sobbarcarsi una rateizzazione che, a seconda della cifra
 dovuta (si pensi alle forti condanne pecuniarie inflitte per reati in
 materia di stupefacenti ed alla  circostanza  che,  ex  art.  133-ter
 c.p.p.  si  puo'  autorizzare  una rateazione massima di trenta rate)
 puo' essere molto pesante e difficile da rispettare per chi  possiede
 un  reddito  appena sufficiente a mantenere dignitosamente la propria
 famiglia con la conseguenza frequente che il mancato pagamento  anche
 di una sola rata comporta la ripresa della procedura di conversione.
   In  questo  quadro  potra' forse godere della massima espansione il
 principio  di  inderogabilita'  della  pena  ma   rimane   fortemente
 compromesso  il principio per il quale le pene devono necessariamente
 tendere alla rieducazione  del  condannato  (art.  27,  terzo  comma,
 Cost.):  risulta  infatti  ben  difficile  individuare  quale  sia il
 residuo significato rieducativo per chi  ha  creduto  di  dimostrare,
 concludendo   con   successo   la  prova  dell'affidamento,  di  aver
 realizzato il proprio recupero sociale ottenendo  comunque  lo  scopo
 che  la  pena  intendeva  perseguire,  dell'inflizione  di  ulteriori
 pesanti adempimenti  gravanti  sui  beni  sicuramente  riferibili  al
 condannato  e  facilmente comprimibili cioe' sul suo patrimonio, o in
 mancanza di quello, sulla sua liberta' personale.
   A quanto gia'  detto  si  vogliono  aggiungere  due  considerazioni
 ulteriori e finali.
   1.  -  L'obiezione  per  cui l'esecuzione della pena pecuniaria non
 deve necessariamente attendere il completamento di  quella  detentiva
 non  e'  efficace in caso di condannato a pena pecuniaria che risulti
 insolvente  in  quanto  la  misura   sostitutiva   conseguente   alla
 conversione potra' essere comunque applicata solo dopo il termine del
 periodo  di  prova dell'affidamento sociale non potendosi sovrapporre
 l'esecuzione delle due misure ambedue esplicative di parti diverse di
 pena.
   2. - All'obiezione per la quale puo'  non  apparire  equo  che  chi
 fruisce  con  indubbia  agevolazione,  della opportunita' di eseguire
 all'esterno la pena detentiva finisca per non dover pagare neppure la
 pena pecuniaria si  replica  che  l'affidamento  sociale  non  e'  un
 "grazioso   beneficio"   ma  la  concessione  al  condannato  di  una
 opportunita',  meritata  quando  i   dati   dell'osservazione   della
 personalita'  in  carcere o il comportamento osservato nel periodo di
 liberta' seguito alla  condanna  consentono  il  favorevole  giudizio
 prognostico  di  cui  all'art.    47,  secondo  comma.  La previsione
 legislativa di tale opportunita' costituisce la presa d'atto  che  la
 misura   alternativa   puo'  raggiungere  gli  stessi  effetti  della
 esecuzione della pena inflitta e che  l'esito  positivo  della  prova
 dimostra che quegli effetti si sono verificati.
   Se  dunque  la  finalita'  della  pena  e' stata raggiunta non c'e'
 violazione dei principi costituzionali di inderogabilita' della  pena
 e  di  uguaglianza  o  equita'  se  se ne trae la conclusione che non
 debbono essere richiesti ulteriori adempimenti al condannato.
                                P. Q. M.
   Visto l'art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87 dichiara rilevante
 e  non  manifestamente  infondata  la   questione   di   legittimita'
 costituzionale  dell'ultimo  comma dell'art. 47 della legge 26 luglio
 1975, n. 354 (ordinamento penitenziario) per contrasto col  principio
 di  ragionevolezza  nonche'  con gli artt. 3 e 27, comma terzo, della
 Costituzione italiana;
   Sospende il presente giudizio;
   Dispone la trasmissione degli atti alla Corte costituzionale;
   Ordina che la presente ordinanza sia notificata al  Presidente  del
 Consiglio   dei  Ministri  e  ai  Presidenti  della  due  Camere  del
 Parlamento;
   Manda alla cancelleria per quanto di competenza.
     Firenze, addi' 10 giugno 1996
          Il magistrato di sorveglianza: (firma illeggibile)
 96C1691