N. 1233 ORDINANZA (Atto di promovimento) 23 gennaio - 14 ottobre 1996
N. 1233 Ordinanza emessa il 23 gennaio 1996 (pervenuta alla Corte costituzionale il 14 ottobre 1996) dal tribunale di Reggio Calabria nel procedimento civile vertente tra Bonaccorsi Maria ed altri e l'Ente Ferrovie dello Stato Espropriazione per pubblica utilita' - Criterio per la determinazione delle indennita' espropriative per la realizzazione di opere da parte o per conto dello Stato o di altri enti pubblici (media tra il valore dei terreni ed il reddito dominicale rivalutato, con la riduzione dell'importo cosi' determinato del quaranta per cento) - Estensione di detto criterio di valutazione anche alla misura dei risarcimenti dovuti in conseguenza di illegittime occupazioni acquisitive - Inguistificata deroga al principio civilistico dell'integrale risarcimento del danno da parte dell'autore dell'illecito - Irrazionale e ingiustificata equiparazione delle espropriazioni regolari e delle ablazioni sine titulo Incidenza sul diritto di proprieta'. (D.-L. 11 luglio 1992, n. 333, art. 5-bis, comma 6, convertito, con modificazioni, nella legge 8 agosto 1992, n. 359, sostituito dalla legge 28 dicembre 1995, n. 549, art. 1, comma 65). (Cost., artt. 3, comma primo, 42, secondo e terzo comma).(GU n.46 del 13-11-1996 )
IL TRIBUNALE Ha pronunciato la seguente ordinanza nella causa civile iscritta al n. 821 del ruolo generale degli affari contenziosi dell'anno 1991 vertente tra Bonaccorsi Maria, Belmusto Giovanna, Belmusto Antonio, elettivamente domiciliati in Reggio Calabria, via P. Foti n. 21, presso lo studio dell'avvocato Alberto Panuccio dal quale sono rappresentati e difesi giusta procura a margine dell'atto di citazione in riassunzione, attori, contro l'Ente Ferrovie dello Stato in persona del suo legale rappresentante pro-tempore, convenuto. Rilevato in fatto Con citazione notificata il 31 luglio 1974 all'azienda autonoma delle Ferrovie dello Stato in persona del Ministro dei trasporti, presso l'Avvocatura distrettuale di Catanzaro, il dr. Matteo Belmusto esponeva che il prefetto di Reggio Calabria, con decreto del 28 giugno 1972, n. 5045, div. 4, aveva disposto l'occupazione temporanea di un terreno di sua proprieta' riportato in catasto al foglio 4, p. 414; che originariamente la superficie prevista per l'occupazione era stata fissata in mq 3.200, successivamente estesa alla residua proprieta' dell'istante, su richiesta avanzata ai sensi dell'art. 23 legge 25 giugno 1865, n. 2359. Evidenziava il Belmusto che il decreto gli era stato notificato il 29 luglio 1972; che l'occupazione era stata gia' eseguita fin dal 13 marzo 1972 contestualmente con la redazione del verbale di consistenza; che l'Amministrazione, pur avendo eseguito e quasi portato a termine la costruzione non aveva portato a compimento il procedimento di espropriazione; che l'occupazione era ormai divenuta illegittima, ma la costruzione dell'opera pubblica ostava alla restituzione del bene. Tanto premesso l'istante chiedeva condannarsi l'Amministrazione convenuta al risarcimento del danno in suo favore. Con successivo atto di citazione del 28 novembre 1975 il Belmusto Matteo conveniva nuovamente innanzi allo stesso Tribunale la predetta Amministrazione ferroviaria, prendendo atto che nelle more, e precisamente il 24 settembre 1975, era stato emesso decreto di espropriazione con determinazione dell'indennita' ex art. 16 legge n. 865/1971, avverso la quale proponeva opposizione, e chiedendo il valore venale del terreno, per l'illegittimita' e nullita' del decreto ablatorio. In entrambe le cause si costituiva in giudizio l'Amministrazione convenuta, rappresentata dall'Avvocatura distrettuale dello Stato, che concludeva per il rigetto o la declaratoria d'improponibilita' della domanda. Sulle cause riunite con sentenza del 16 dicembre-13 marzo 1982 il tribunale di Catanzaro pronunciava la propria incompetenza per materia a conoscere delle predette domande, per le quali era competente la Corte d'appello di Catanzaro. La Corte d'appello, innanzi alla quale parte attrice aveva riassunto la causa, ritenendo di dover parimenti rilevare la propria incompetenza, con ordinanza del 4 novembre 1985 rimetteva gli atti alla Corte di cassazione ai sensi dell'art. 45 c.p.c. Con sentenza del 18 novembre 1986 la suprema Corte dichiarava la competenza del tribunale di Catanzaro in ordine alla domanda di risarcimento del danno, e della Corte d'appello per quella di opposizione alla stima. Nuovamente riassunte le cause innanzi agli uffici giudiziari indicati dalla Corte di cassazione, sopravveniva la legge 5 luglio 1989, n. 246, di conversione del decreto 8 maggio 1989, n. 166, istitutiva della Corte d'appello di Reggio Calabria: sulle tempestive eccezioni di parte convenuta la Corte d'appello di Catanzaro (con sentenza del 5 maggio-15 giugno 1990) ed il tribunale di Catanzaro (con sentenza del 20-28 dicembre 1990) dichiaravano la propria incompetenza per territorio, in favore degli uffici giudiziari di Reggio Calabria. Gli eredi del Matteo Belmusto, con citazione notificata 25 giugno 1991 all'Avvocatura distrettuale dello Stato, riassumevano innanzi al Tribunale di Reggio Calabria la controversia avente ad oggetto il risarcimento del danno, invocando la condanna dell'Amministrazione convenuta alla corresponsione del valore di mercato del bene occupato, e previa declaratoria d'illegittimita', nullita', inefficacia del decreto di espropriazione emesso dopo la scadenza del termine di occupazione. Non si costituiva in questa ulteriore fase l'Amministrazione convenuta, e la causa, acquisiti gli atti del processo riassunto, precisate le conclusioni di parte attrice, veniva posta in decisione all'udienza collegiale del 12 dicembre 1995. Rilevato in diritto Secondo l'ormai consolidata giurisprudenza della Corte di cassazione l'occupazione illegittima del suolo privato e la costruzione su di esso di un'opera da parte della pubblica amministrazione, determinano, per l'impossibilita' della restituzione al proprietario (cui segue l'effetto dell'acquisto dell'immobile alla mano pubblica) un danno nella sfera giuridica del privato la cui azione per il conseguimento del valore ha natura risarcitoria (cfr. Cass. S.U. 25 novembre 1992 n. 12546). Da tale ricostruzione del fenomeno della c.d. occupazione acquisitiva e dalla conseguenziale disciplina questo tribunale non ritiene di discostarsi nella decisione del caso de quo. In particolare, giova rilevare con specifico riferimento a quest'ultimo, che deve ritenersi certamente illegittima l'irreversibile destinazione del fondo ad opera pubblica proseguita oltre la scadenza del provvedimento autorizzativo dell'occupazione temporanea d'urgenza; non puo' neppure ritenersi tempestivamente ed efficacemente completata la procedura espropriativa per il consolidato l'orientamento della suprema Corte di cassazione secondo il quale l'illecito si perfeziona nel momento in cui scade il termine dell'occupazione temporanea senza che sia intervenuto il definitivo provvedimento espropriativo, che sarebbe, se emesso in epoca successiva a quel momento, inutiliter dato ed inidoneo a trasformare in legittima acquisizione in capo alla p.a. quell'acquisto ormai intervenuto a titolo originario e come conseguenza dell'illecito (cfr. Cass. Sez. Un. 10 giugno 1988 n. 3940, e successivamente Cass. Sez. I, 3 maggio 1991 n. 4848). Ritenuto pertanto: che nella controversia de qua dovrebbe farsi applicazione della norma di cui all'art. 1, comma 65, della legge 28 dicembre 1995, n. 549, entrata in vigore nelle more tra l'udienza di discussione e la presente decisione; che l'applicazione della norma predetta (e quindi, delle disposizioni di cui all'art. 5-bis del d.-l. 11 luglio 1992, n. 333, convertito, con modificazioni, dalla legge 8 agosto 1992, n. 359, del quale la stessa ha sostituito il comma 6) anche nei giudizi pendenti consegue all'espressa previsione contenuta nella norma della sua applicazione in tutti i casi in cui "non sono stati ancora determinati in via definitiva il prezzo, l'entita' dell'indennizzo e/o del risarcimento del danno ..."; che, appunto, nel caso di specie, trattasi di determinare giudizialmente l'entita' del risarcimento del danno spettante agli attori per l'occupazione illegittima di cui sopra; che, a seguito dell'entrata in vigore della norma di cui all'art. 1, comma 65, della legge n. 549/1995, il tribunale dovrebbe adottare per la liquidazione dei danni di cui gli attori hanno chiesto il risarcimento i criteri, gia' dettati per il calcolo dell'indennita' di espropriazione, di cui all'art. 5-bis del d.-l. n. 333/1992 succitato, piuttosto che quello, seguito in precedenza, del valore venale del bene; che e', quindi, rilevante la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 1, comma 65, della legge 28 dicembre 1995, n. 549, cosi' come sostitutivo del comma 6, dell'art. 5-bis del d.-l. 11 luglio 1992, n. 333, convertito, con modificazioni, dalla legge 8 agosto 1992, n. 359, che il Collegio ritiene di dover esaminare d'ufficio a norma dell'art. 23, comma terzo, della legge 11 marzo 1953, n. 87; Ritenuto altresi': che, secondo la ricostruzione della fattispecie dell'accessione invertita (o occupazione acquisitiva), l'acquisto in capo alla pubblica amministrazione "del nuovo bene risultante dalla trasformazione del precedente si configura ... come una conseguenza ulteriore, eziologicamente dipendente non dall'illecito ma dalla situazione di fatto - realizzazione dell'opera pubblica con conseguente non restituibilita' del suolo in essa incorporato - che trova il suo antecedente storico nella illecita occupazione e nella illecita destinazione del fondo alla costruzione dell'opera stessa" (Corte costituzionale 17-23 maggio 1995, n. 188), sicche' l'intera fattispecie viene attratta nell'ambito dell'illecito, nel quale la somma di denaro che la p.a. e' tenuta a pagare al privato in conseguenza della perdita da lui subita, "costituisce non gia' controvalore, ma reintegrazione patrimoniale a titolo risarcitorio, di cui il valore del bene non e' che un parametro di determinazione" (Corte cass. S.U. n. 12546/1992 cit.); che, pertanto, la fattispecie in esame e' assolutamente diversa da quella dell'espropriazione di aree edificabili (cfr. Corte costituzionale 16 dicembre 1993, n. 442), la quale presuppone, invece, che l'ente espropriante abbia seguito un procedimento legittimo, in esito al quale soltanto e' consentita la corresponsione al privato di un'indennita' che, seppure congrua, seria, adeguata, puo' non essere esattamente commisurata al valore venale del bene; che la diversita' tra le fattispecie e' resa evidente dalla circostanza che nel caso dell'espropriazione l'ordinamento non reagisce ad un danno, da risarcire, ma tende a garantire un giusto corrispettivo al soggetto che si e' visto sottrarre un proprio diritto per i motivi d'interesse generale sottesi all'espropriazione; che, viceversa, nell'ipotesi dell'occupazione acquisitiva vi e' l'esigenza di reagire ad un fatto che determina una lesione della sfera giuridica individuale, considerata sotto il profilo della lesione della proprieta', e che e' illecito perche' posto in "violazione - certamente consapevole - delle norme che stabiliscono in quali casi e con quali procedimenti la proprieta' di un immobile privato puo' essere autoritativamente sacrificata per esigenze di pubblico interesse, ai sensi dell'art. 42, terzo comma, Cost., nonche' delle norme che consentono la temporanea compressione della facolta' di godimento dei beni privati" (Corte cass. S.U. 26 febbraio 1983 n. 1464); pertanto, il risarcimento risponde in tale caso alla finalita' tradizionale di compensazione pecuniaria di danni patrimoniali e quindi la relativa liquidazione dovrebbe rispettare la regola dell'equivalenza tra danno cagionato e danno da risarcire; che la norma di cui all'art. 1, comma 65, della legge n. 549/1995, equiparando gli effetti economico-patrimoniali della perdita del bene per fatto illecito a quelli dell'espropriazione secundum legem, appare illegittima per violazione della norma di cui all'art. 3, primo comma, della Costituzione sia perche', in contrasto col principio di ragionevolezza, si vengono a trattare in modo uguale situazioni diverse, sia perche' il legislatore, attribuendo al rapporto la qualificazione giuridica propria dell'illecito, nel presupposto che esso corrisponda nella sua sostanza a quella (tanto e' vero che fa espresso riferimento al "risarcimento del danno" in aggiunta ed in alternativa all'indennizzo), finisce per assoggettare il rapporto cosi' qualificato ad una disciplina completamente diversa, quale e' quella dettata in materia di espropriazione di aree edificabili; con l'ulteriore ingiustificata sperequazione che identiche saranno le conseguenze per l'ente espropriante che faccia ricorso ad un legittimo procedimento espropriativo e quello che invece ponga in essere un'attivita' illecita; che anzi, a ben vedere, maggiori vantaggi appaiono derivare per la p.a. che abbia agito illegittimamente, perche' il conseguimento della proprieta' dell'immobile trasformato avviene senza il preventivo adempimento delle complesse procedure cui la legge sottopone l'espropriazione secundum legem, senza che da tale inosservanza scaturisca per l'acquirente l'obbligo di corrispondere un risarcimento maggiore dell'indennita' per l'espropriazione legittimamente operata; infine beneficiando di un termine prescrizionale assai piu' breve (quinquennale ex art. 2947 c.c., invece che decennale) da opporre al titolare del bene espropriato che reclami il pagamento di quanto dovutogli in conseguenza della perdita; che la questione di legittimita' costituzionale della norma in discorso nemmeno appare manifestamente infondata con riferimento alla norma di cui all'art. 42, comma terzo, della Costituzione, in quanto vanifica la limitazione, contenuta in tale norma, del potere di esproprio della p.a. ai soli casi previsti dalla legge: ed, invero, sebbene sia possibile la coesistenza nell'ordinamento di una pluralita' di modelli espropriativi, tuttavia perche' all'integrale ristoro del sacrificio subito dal privato per effetto dell'espropriazione possa sostituirsi l'indennizzo (cosi' come ormai univocamente inteso nel senso di congruo ristoro) e' necessario, per il disposto della norma costituzionale suddetta, che l'ipotesi ablativa sia legislativamente configurata in conformita' allo schema traslativo presupposto da tale norma; Ritenuto infine: che effettivamente non e' precluso al legislatore, nell'ambito della figura generale del risarcimento, derogare al principio della riparazione integrale del danno sofferto (di cui all'art. 1223 cod. civ., richiamato, per i fatti illeciti, dall'art. 2056 cod. civ.), disponendo per legge il limite massimo del risarcimento ovvero determinando legislativamente il quantum dovuto; che tuttavia la deroga al regime ordinario nella fattispecie che ci occupa appare di dubbia legittimita' costituzionale con riferimento alla norma di cui all'art. 3, comma primo, nonche' alla disciplina di cui all'art. 42, secondo e terzo comma, della Costituzione, dal momento che, prevedendo l'ordinamento un apposito procedimento nell'ambito del quale va operata la mediazione tra l'interesse generale sotteso all'espropriazione e l'interesse privato espresso dalla proprieta' privata, quando la p.a. si trova ad operare al di fuori di tale procedimento, mentre e' compatibile con la disciplina suddetta il mancato adempimento della pretesa restitutoria (in attuazione della funzione sociale della proprieta': cfr. Corte cost. 31 luglio 1990 n. 384), non trova alcuna ragionevole giustificazione la mancata integrale tutela risarcitoria: ed invero, in tale caso la completa ed adeguata valutazione degli interessi in gioco presuppone l'integrale risarcimento del danno subito dal privato, risolvendosi la diversa soluzione legislativa in un'ulteriore limitazione apportata alla proprieta' privata che si traduce - non essendo finalizzata ad assicurarne la funzione sociale (cfr. art. 42, comma secondo, Cost.) ed operando al di fuori di una procedura espropriativa (cfr. art. 42, comma terzo, Cost.) - in un'ingiustificata compressione del diritto; che tale irragionevolezza e' ancora piu' evidente ove si compari la posizione di chi subisce l'occupazione acquisitiva con quella del proprietario del suolo su cui venga costruito l'altrui edificio (art. 938 c.c.): a prescindere, infatti, dal quantum spettante a quest'ultimo - di sicuro non necessariamente estensibile a fattispecie simili -, e' pur vero che il fenomeno dell'accessione invertita, contemplato appunto dall'art. 938 c.c. e posto a fondamento della stessa occupazione acquisitiva, importa un integrale ristoro del pregiudizio economico sofferto dall'originario proprietario, e che tale ristoro e' invece escluso in radice - e per definizione - dalla norma della cui legittimita' costituzionale si dubita; Ritenuta pertanto la non manifesta infondatezza della questione di illegittimita' costituzionale dell'art. 1, comma 65, della legge 28 dicembre 1995, n. 549, cosi' come sostitutivo del comma 6 dell'art. 5-bis del d.-l. 11 luglio 1992, n. 333, convertito, con modificazioni, dalla legge 8 agosto 1992, n. 359, per contrasto con l'art. 3, primo comma, e con l'art. 42, secondo e terzo comma, della Costituzione;
P. Q. M. Visto l'art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87; Ritiene non manifestamente infondata la questione di illegittimita' costituzionale dell'art. 1, comma 65, della legge 28 dicembre 1995, n. 549, cosi' come sostitutivo del comma 6 dell'art. 5-bis del d.-l. 11 luglio 1992, n. 333, convertito, con modificazioni, dalla legge 8 agosto 1992, n. 359, per contrasto con l'art. 3, primo comma, e con l'art. 42, secondo e terzo comma, della Costituzione; Dispone la sospensione del presente giudizio e l'immediata trasmissione degli atti alla Corte costituzionale; Dispone che a cura della cancelleria la presente ordinanza venga notificata alle parti e al Presidente del Consiglio dei Ministri nonche' comunicata ai Presidenti delle due Camere del Parlamento. Reggio Calabria, addi' 23 gennaio 1996 Il presidente: Gerardis 96C1692