N. 364 SENTENZA 17 - 30 ottobre 1996

 
 
 Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale.
 
 Elezioni - Elettorato passivo - Previsione della  non  candidabilita'
 di  coloro  i  quali hanno riportato condanna per delitto concernente
 "l'uso o il trasporto di armi, munizioni o  materiali  esplodenti"  -
 Riferimento  alla  sentenza  della  Corte  n. 141/1996 - Esigenza che
 eventuali   dubbi   interpretativi   siano    superati    ad    opera
 dell'elaborazione  giurisprudenziale  in materia (cfr. sentenze della
 Corte nn. 280/1992, 46/1969, 166/1972, 571/1989, 344/1993) - Auspicio
 che le cause di  ineleggibilita'  siano  tipizzate  dalla  legge  con
 maggiore precisione - Non fondatezza.
 
 (Legge  19  marzo  1990,  n.  55,  art.  15,  comma  1, lett. a) come
 modificato dall'art. 1 della legge 18 gennaio 1992, n. 16).
 
 (Cost., artt. 3 e 51).
(GU n.45 del 6-11-1996 )
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
 composta dai signori:
  Presidente: avv. Mauro FERRI;
  Giudici: prof. Luigi  MENGONI,  prof.  Enzo  CHELI,    dott.  Renato
 GRANATA,
  prof.  Giuliano  VASSALLI,    prof. Francesco GUIZZI,   prof. Cesare
 MIRABELLI,  prof. Fernando SANTOSUOSSO,   avv. Massimo VARI,    dott.
 Cesare RUPERTO,  dott. Riccardo CHIEPPA,  prof. Gustavo ZAGREBELSKY,
  prof. Valerio ONIDA,  prof. Carlo MEZZANOTTE;
  ha pronunciato la seguente
                                Sentenza
 nei  giudizi  di  legittimita'  costituzionale dell'art. 15, comma 1,
 lettera a), della legge 19 marzo 1990, n. 55 (Nuove disposizioni  per
 la  prevenzione  della  delinquenza  di tipo mafioso e di altre gravi
 forme di manifestazione di perico-losita' sociale),  come  modificato
 dall'art.  1  della legge 18 gennaio 1992, n. 16 (Norme in materia di
 elezioni e nomine presso le regioni e gli enti locali), promossi  con
 ordinanze emesse:
     1)  il  18  aprile  1995  dalla  Corte d'appello di Catanzaro sui
 ricorsi, riuniti, proposti da Parrotta Domenico contro il  Presidente
 del  Consiglio comunale di Pietrapaola ed altro e dalla Procura della
 Repubblica presso il Tribunale di Rossano contro Parrotta Domenico ed
 altri, iscritta al n. 395 del registro ordinanze  1995  e  pubblicata
 nella   Gazzetta  Ufficiale  della  Repubblica  n.  27,  prima  serie
 speciale, dell'anno 1995;
     2) il 27 giugno 1995  dalla  Corte  d'appello  di  Catanzaro  sul
 ricorso  proposto da Rocchetti Saverio contro il Prefetto di Cosenza,
 iscritta al n. 614 del registro ordinanze  1995  e  pubblicata  nella
 Gazzetta  Ufficiale  della  Repubblica  n.  42, prima serie speciale,
 dell'anno 1995;
   Visto l'atto di costituzione di Rocchetti Saverio, nonche' gli atti
 di intervento del Presidente del Consiglio dei Ministri;
   Udito nell'udienza pubblica del 14 maggio 1996 il giudice  relatore
 Francesco Guizzi;
   Uditi   l'avvocato   Luigi   Monterossi  per  Rocchetti  Saverio  e
 l'avvocato dello Stato Gaetano Zotta per il Presidente del  Consiglio
 dei Ministri.
                           Ritenuto in fatto
   1.1.  -  La  Corte  d'appello  di  Catanzaro, investita dei ricorsi
 proposti da Domenico Parrotta  e  dal  Procuratore  della  Repubblica
 presso  il  Tribunale  di Rossano avverso la sentenza pronunciata dal
 Tribunale  civile  di  Rossano  il  17  gennaio  1995,  nella   causa
 elettorale  fra  lo  stesso Parrotta, Giuseppe Vitale e il Presidente
 del Consiglio comunale di Pietrapaola, ha sollevato,  in  riferimento
 agli  artt.    3  e  51 della Costituzione, questione di legittimita'
 costituzionale dell'art. 15, comma 1,  lettera  a),  della  legge  19
 marzo  1990,  n.    55  (Nuove  disposizioni per la prevenzione della
 delinquenza di tipo mafioso e di altre gravi forme di  manifestazione
 di pericolosita' sociale), come modificato dall'art. 1 della legge 18
 gennaio  1992, n. 16 (Norme in materia di elezioni e nomine presso le
 regioni e gli enti  locali),  nella  parte  in  cui  prevede  la  non
 candidabilita' di coloro i quali hanno riportato condanna per delitto
 concernente  "l'uso  o  il  trasporto  di  armi,  munizioni o materie
 esplodenti".
   La Corte rimettente si  duole  dell'assoluta  genericita'  di  tale
 inciso,   suscettibile   di   diversa   interpretazione,   mentre  la
 giurisprudenza   costituzionale   richiede   che    le    cause    di
 ineleggibilita'  siano tipizzate dalla legge, con precisione, al fine
 di evitare situazioni di incertezza e contestazioni troppo frequenti.
 In questo caso, prosegue il Collegio, la formulazione  della  lettera
 a)  non  consente di individuare univocamente le fattispecie di reato
 per  le  quali  il  legislatore  ha  inteso   porre   la   causa   di
 ineleggibilita': l'espressione "uso di armi", infatti, non equivale a
 quella  di  porto  e detenzione, dal momento che usare l'arma e' cosa
 diversa dal detenerla o trasportarla.
   Volendo seguire un'interpretazione restrittiva della norma, sarebbe
 eleggibile  chi  abbia riportato condanna per il grave reato di porto
 abusivo di arma da guerra (art. 4 della  legge  2  ottobre  1967,  n.
 895,  come sostituito dalla legge 14 ottobre 1974, n. 497: la pena e'
 fino a dieci anni di  reclusione),  mentre  sarebbe  ineleggibile  il
 condannato  per  il piu' lieve delitto del semplice trasporto di armi
 (art. 18 della legge 18 aprile 1975, n. 110: la pena  e'  fino  a  un
 anno  di  reclusione). Secondo l'interpretazione estensiva, sarebbero
 invece accomunate ipotesi di ben diversa rilevanza: e, cosi', insieme
 con il condannato per gravi reati di  porto  e  detenzione  di  armi,
 munizioni,   esplosivi,  congegni  di  guerra,  sarebbe  ineleggibile
 l'incauto erede che non  abbia  provveduto  a  denunciare  nuovamente
 l'arma del suo dante causa.
   1.2.  -  E'  intervenuto  il Presidente del Consiglio dei Ministri,
 rappresentato e difeso dall'Avvocatura dello Stato,  concludendo  nel
 senso  della  infondatezza.  In  memoria, l'Avvocatura osserva che la
 nozione uso dell'arma, per quanto possa  sembrare  atecnica,  non  e'
 circoscritta  all'impiego  direttamente  finalizzato  all'offesa,  ma
 ricomprende, almeno, il porto  dell'arma  stessa.  A  tal  proposito,
 richiama l'art. 42 del testo unico delle leggi di pubblica sicurezza,
 secondo  cui  il  porto  dell'arma  e'  soggetto  alla  verifica  del
 dimostrato  bisogno;  e  menziona  l'art.  74  del   regolamento   di
 esecuzione,  ove  si  prevede  che  l'andare  armati  di  determinati
 soggetti e' disposto nell'interesse pubblico.  Il  portare  l'arma  o
 l'andare  armati  sono  attivita'  che  realizzano,  dunque,  un  uso
 giuridicamente significativo.  Ne' e' dubbio  che  costituisce  abuso
 anche  il porto dell'arma in una riunione pubblica (vietato dall'art.
 4 della legge n. 110 del 1975) o l'omessa custodia della stessa (art.
 20-bis di detta legge). Il porto dell'arma senza licenza, che pure e'
 autonomo reato, puo' inoltre essere valutato come abuso ai  fini  del
 divieto di detenzione di cui all'art. 39 del citato testo unico.
   L'Avvocatura   sottolinea,   infine,   come  il  legislatore  abbia
 utilizzato termini ampi che - evitando la  specifica  indicazione  di
 titoli  di  reato - sono idonei a ricomprenderli tutti, in un settore
 dove e' necessaria la massima trasparenza.
   2.1. - La Corte  d'appello  di  Catanzaro,  investita  del  ricorso
 proposto  da  Saverio  Rocchetti, avverso la sentenza pronunciata dal
 Tribunale civile di Paola il 21 febbraio 1995, nella causa elettorale
 tra il Prefetto di Cosenza e il Rocchetti, ha sollevato questione  di
 legittimita'  costituzionale della stessa disposizione, con argomenti
 identici a quelli della precedente ordinanza.
   2.2. - Anche in questo giudizio e' intervenuto  il  Presidente  del
 Consiglio  dei Ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura dello
 Stato, concludendo nel senso della non fondatezza.
   2.3. - Si e' costituito Saverio Rocchetti,  ricorrente  in  appello
 avverso  la  sentenza emessa il 21 febbraio 1995 dal Tribunale civile
 di Paola, sostenendo l'illegittimita' costituzionale  della  norma  e
 rilevando  come  non  sia possibile l'equiparazione o l'assimilazione
 del reato di porto illegale a quello di uso illegale di  armi  o  del
 trasporto illegale.
   In  memoria,  egli  insiste  sulla  fondatezza  della  questione di
 legittimita' costituzionale (e, comunque,  sulla  necessita'  di  un'
 interpretazione  adeguatrice  della  norma denunciata), sottolineando
 come il delitto di porto illegale di armi configuri  una  fattispecie
 criminosa   autonoma,  che  non  ha  alcun  rapporto  con  i  delitti
 ricompresi nell'art. 15, comma 1, lettera a), della citata  legge  n.
 55  del  1990;  mentre  il  trasporto illegale, regolato dall'art. 18
 della  legge  n.  110  del  1975,  e'  delitto  che  ben   s'inquadra
 nell'elenco  di  cui  alla lettera a), perche' rivela una particolare
 capacita' criminale del suo autore, costituendo l'ultimo  anello  del
 commercio  illegale  di  armi.  D'altra  parte, nella relazione della
 prima commissione del Senato  sul  disegno  di  legge  n.  3021,  poi
 divenuto  legge  n.  16  del  1992,  si  indicano  soltanto i delitti
 concernenti la fabbricazione,  l'importazione,  l'esportazione  e  il
 commercio  di  armi (e i reati connessi al traffico di stupefacenti e
 di armi) e non si fa menzione del porto e della detenzione,  si'  che
 si dovrebbero escludere dall'elenco di cui alla lettera a) i reati di
 porto illegale e di detenzione abusiva.
                         Considerato in diritto
   1.  -  E'  al  vaglio  di legittimita' costituzionale la questione,
 sollevata in riferimento  agli  artt.  3  e  51  della  Costituzione,
 dell'art.   15, comma 1, lettera a), della legge 19 marzo 1990, n. 55
 (Nuove disposizioni per la  prevenzione  della  delinquenza  di  tipo
 mafioso  e  di  altre  gravi forme di manifestazione di pericolosita'
 sociale), come modificato dall'art. 1 della legge 18 gennaio 1992, n.
 16 (Norme in materia di elezioni e nomine presso  le  regioni  e  gli
 enti  locali), nella parte in cui stabilisce la non candidabilita' di
 coloro i quali hanno riportato condanna per  un  delitto  concernente
 l'uso  o  il trasporto di armi, munizioni o materie esplodenti, sotto
 il  profilo  che   tale   disposizione   introduce   una   causa   di
 ineleggibilita'   priva  dei  necessari  requisiti  di  precisione  e
 determinatezza.
   Dopo la sentenza n. 141 del 1996 di questa Corte, la citata lettera
 a) vige solo nella parte in  cui  prevede  la  non  candidabilita'  a
 seguito di condanna irrevocabile, come e' avvenuto nei casi in esame.
 Il Parrotta (ordinanza n. 395/1995) e' stato infatti condannato - con
 sentenza  del  Tribunale  di  Rossano  del  2 dicembre 1987, divenuta
 irrevocabile il 2 gennaio 1988 - per il delitto di cui agli artt.  12
 e  14  della  legge  n. 497 del 1974 per aver illegalmente portato in
 luogo  pubblico  un  fucile  da  caccia;  il  Consiglio  comunale  di
 Pietrapaola  ha  quindi  revocato,  ai sensi del comma 4 dell'art. 15
 della legge n. 55 del 1990, novellato dalla legge n. 16 del 1992,  la
 convalida  dell'elezione,  e  contro  tale  delibera  il  Parrotta ha
 presentato ricorso ai sensi degli artt. 9-bis  e  82  del  d.P.R.  16
 maggio  1960,  n. 570, proponendo poi appello avverso la sentenza del
 Tribunale di Rossano del 17 gennaio  1995,  di  rigetto  del  ricorso
 stesso;  in tale giudizio e' stata sollevata la presente questione di
 legittimita' costituzionale.
   Analoga  la  vicenda  processuale  del  Rocchetti   (ordinanza   n.
 614/1995),  condannato  dal  Tribunale  di  Paola  con sentenza del 5
 novembre 1980, irrevocabile il 20 dicembre 1980, per  il  delitto  di
 cui  agli artt.  12 e 14 della legge n. 497 del 1974. Il Tribunale di
 Paola, investito del ricorso del prefetto di Cosenza ex art.  82  del
 d.P.R.  n.  570 del 1960, dichiarava l'ineleggibilita' del Rocchetti;
 quest'ultimo ricorreva innanzi alla Corte d'appello di Catanzaro, che
 ha sollevato, anche in questo procedimento, questione di legittimita'
 costituzionale dell'art. 15, comma 1, lettera a).
   I  due  giudizi  hanno a oggetto la medesima norma e vanno pertanto
 decisi con unica sentenza.
   2. - La questione sollevata da entrambi i Collegi non e' fondata.
   La lettera a)  citata,  nella  formulazione  che  risulta  dopo  la
 declaratoria  parziale  di  illegittimita' costituzionale di cui alla
 sentenza n.  141 del 1996, stabilisce la non candidabilita' di coloro
 i quali hanno  riportato  condanna,  passata  in  giudicato,  per  il
 delitto  previsto  dall'art. 416-bis del codice penale, per quello di
 associazione   finalizzata   al   traffico   illecito   di   sostanze
 stupefacenti  e  anche  per  i  delitti concernenti la fabbricazione,
 l'importazione, l'esportazione, la vendita o  cessione,  l'uso  o  il
 trasporto  di  armi,  munizioni  o  materie  esplodenti.  Secondo  il
 Collegio rimettente  l'ampia  formulazione  della  norma  ricomprende
 fattispecie  di ben diverso allarme sociale, consentendo oscillazioni
 giurisprudenziali inammissibili, perche' incidono sull'esercizio  del
 diritto di elettorato passivo.
   Non  vi  e'  dubbio  che  le cause di ineleggibilita' devono essere
 tipizzate dalla legge con sufficiente precisione, al fine di  evitare
 -  o  quanto meno limitare - le situazioni di incertezza. E invero la
 disposizione denunciata, nella parte finale concernente  l'uso  e  il
 trasporto  di  armi,  puo'  far sorgere qualche perplessita': si' che
 sarebbe stato consigliabile evitare il ricorso a formule  legislative
 descrittive  di  piu'  fattispecie, richiamando invece puntualmente i
 singoli  delitti,  in  modo  da  rendere  piu'  agevole   il   lavoro
 dell'interprete  e  degli operatori giudiziari, e da salvaguardare il
 bene essenziale della chiarezza normativa. Ma  tali  rilievi  non  si
 tramutano,  di  per  se',  in  vizi  di  legittimita' costituzionale:
 eventuali dubbi interpretativi
  potranno essere superati dall'elaborazione giurisprudenziale. Spetta
 infatti  al  giudice,  utilizzando  i  comuni   canoni   ermeneutici,
 precisare  le  formule  normative  prima  indicate,  dando  a esse un
 contorno piu' netto (cfr., sempre sulle cause di ineleggibilita',  la
 sentenza n.  280 del 1992), conformemente al principio costituzionale
 che  assume  a  regola l'eleggibilita', e configura l'ineleggibilita'
 quale  eccezione.    Le  norme  che  derogano  al   principio   della
 generalita'   del   diritto   elettorale   passivo  sono  di  stretta
 interpretazione  e  devono  contenersi  nei  limiti  di   quanto   e'
 necessario  a  soddisfare  le esigenze di pubblico interesse cui sono
 preordinate (v. la sentenza n. 46 del 1969, indi la sentenza  n.  166
 del  1972, fino alle sentenze nn. 571 del 1989, 344 del 1993, 141 del
 1996). Soccorrono, d'altronde, anche i lavori preparatori  nel  senso
 di un'interpretazione rigorosa della norma denunciata.
                           Per questi motivi
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
   Riuniti   i   giudizi,   dichiara   non  fondata  la  questione  di
 legittimita' costituzionale dell'art. 15, comma 1, lettera a),  della
 legge  19  marzo  1990,  n. 55 (Nuove disposizioni per la prevenzione
 della  delinquenza  di  tipo  mafioso  e  di  altre  gravi  forme  di
 manifestazione di pericolosita' sociale), come modificato dall'art. 1
 della  legge  18  gennaio 1992, n. 16 (Norme in materia di elezioni e
 nomine  presso  le  regioni  e  gli  enti  locali),   sollevata,   in
 riferimento  agli  artt.  3  e  51  della  Costituzione,  dalla Corte
 d'appello di Catanzaro, con le ordinanze in epigrafe.
   Cosi'  deciso  in  Roma,  nella  sede  della  Corte costituzionale,
 Palazzo della Consulta, il 17 ottobre 1996.
                         Il Presidente: Ferri
                         Il redattore: Guizzi
                       Il cancelliere: Di Paola
   Depositata in cancelleria il 30 ottobre 1996.
               Il direttore della cancelleria: Di Paola
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