N. 375 SENTENZA 17 ottobre - 2 novembre 1996

 
 
 Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale.
 
 Corte dei conti - Sezione giurisdizionale per la regione siciliana  -
 Previsione   che  le  sezioni  riunite  della  Corte  decidano  sulle
 questioni  di  massima  a  richiesta  del  procuratore   generale   -
 Riferimento  alla  sentenza  della  Corte  n. 247/1995 - Utilizzo del
 sindacato  incindentale  del  giudizio  di  costituzionalita'   quale
 surrettizio  mezzo  di impugnazione per pervenire alla caducazione da
 parte del giudice rimettente di una decisione delle sezioni riunite -
 Riferimento alla giurisprudenza della Corte in materia (vedi sentenze
 nn. 314/1996, 247/1995, 313/1995,  428/1993,  376/1993,  140/1992)  -
 Inammissibilita' - Non fondatezza.
 
 (D.-L.  15  novembre  1993,  n. 453, art. 1, comma 7, convertito, con
 modificazioni, nella legge 14 gennaio 1994, n. 19; d.-l. 15  novembre
 1993, n. 453, art. 5, comma 3, lettera a)).
 
 (Cost., artt. 3, 24, 25, primo comma, 97 e 101, secondo comma).
(GU n.45 del 6-11-1996 )
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
 composta dai signori:
  Presidente: avv. Mauro FERRI;
  Giudici: prof. Luigi  MENGONI,  prof.  Enzo  CHELI,    dott.  Renato
 GRANATA,  prof.  Francesco  GUIZZI,  prof.  Cesare  MIRABELLI,   avv.
 Massimo VARI,
  dott.   Cesare   RUPERTO,  dott.  Riccardo  CHIEPPA,  prof.  Gustavo
 ZAGREBELSKY, prof. Valerio ONIDA,  prof. Carlo MEZZANOTTE;
 ha pronunciato la seguente
                                Sentenza
 nei giudizi di legittimita' costituzionale  degli  artt.  1,  settimo
 comma,  e  5, terzo comma, lettera a), del d.-l. 15 novembre 1993, n.
 453 (Disposizioni in materia di giurisdizione e controllo della Corte
 dei conti), convertito, con modificazioni,  nella  legge  14  gennaio
 1994,  n.  19, promossi con n. 2 ordinanze emesse il 23 febbraio 1996
 dal giudice designato della Corte dei conti, Sezione  giurisdizionale
 per la regione siciliana, nei giudizi di responsabilita' promossi dal
 procuratore  regionale nei confronti di Palillo Giovanni e di Gorgone
 Francesco Paolo ed altri, rispettivamente iscritte ai nn.  523 e  869
 del  registro  ordinanze  1996  e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale
 della Repubblica nn. 25 e 29, prima serie speciale, dell'anno 1996.
   Visti gli atti di costituzione del procuratore regionale presso  la
 Sezione  giurisdizionale  per  la  Regione  Siciliana della Corte dei
 conti;
   Udito nella camera di consiglio  del  2  ottobre  1996  il  giudice
 relatore Massimo Vari.
                           Ritenuto in fatto
   1.  -  Con  due ordinanze di identico contenuto - emesse in data 23
 febbraio 1996, nel  corso  di  procedimenti  cautelari  promossi  dal
 procuratore  regionale  presso la Sezione giurisdizionale della Corte
 dei conti per la regione siciliana nei confronti di Giovanni  Palillo
 e  di  Francesco Paolo Gorgone ed altri - il giudice designato per la
 conferma, modifica o revoca del decreto di sequestro conservativo  ha
 sollevato,  in  riferimento  agli  artt. 3, 24, 25, primo comma, 97 e
 101, secondo comma, della  Costituzione,  questione  di  legittimita'
 costituzionale  dell'art.    1,  settimo  comma, e dell'art. 5, terzo
 comma, lettera a), del d.-l.  15 novembre 1993, n. 453  (Disposizioni
 in  materia  di  giurisdizione  e  controllo  della Corte dei conti),
 convertito, con modificazioni, nella legge 14 gennaio 1994, n. 19.
   Rammenta, in punto di fatto, il rimettente, che, in precedenza,  il
 decreto  presidenziale  di  sequestro  aveva  indicato, quale giudice
 designato per  la  conferma,  modifica  o  revoca  dei  provvedimenti
 cautelari,  la  stessa  sezione giurisdizionale la quale, all'udienza
 per la comparizione delle  parti,  aveva  definito  il  procedimento,
 senza   accogliere   l'istanza   del  procuratore  regionale  che  ne
 richiedeva, invece, la sospensione, ai sensi dell'art. 295 cod. proc.
 civ., motivando con l'avvenuto deferimento alle sezioni  riunite,  ai
 sensi dell'art. 1, settimo comma, del menzionato decreto-legge, della
 questione  di  massima  relativa alla sede, monocratica o collegiale,
 competente per l'adozione dei provvedimenti conseguenti al  sequestro
 conservativo.
   Riferisce,  altresi',  l'ordinanza  che  le  sezioni  riunite,  con
 sentenza n. 24/QM pubblicata il 16 gennaio 1996, hanno  affermato  la
 competenza  del  giudice  singolo, ai sensi dell'art. 5, terzo comma,
 lettera a) del decreto-legge n. 453 del 1993,  travolgendo  gli  atti
 adottati  medio  tempore  dalla sezione giurisdizionale siciliana; in
 esecuzione della sentenza, il Presidente ha fissato l'udienza dinanzi
 al giudice singolo, designato per la conferma, modifica o revoca  del
 decreto   e   in  tale  giudizio  e'  stata  sollevata  questione  di
 legittimita' costituzionale.
   Secondo  il  rimettente,  da  detta  sentenza e' dato desumere "con
 certezza l'esistenza di un diritto vivente che, proprio facendo punto
 sulla disposizione contenuta nell'art. 1, settimo  comma,  del  d.-l.
 15  novembre 1993, n. 453, convertito, con modificazioni, nella legge
 14 gennaio 1994, n.  19,  e'  nel  senso  di  ammettere  la  generale
 potesta'  del  procuratore  generale della Corte dei conti - soggetto
 non solo estraneo all'apparato giudicante della Corte dei  conti,  ma
 posto    al   vertice   dell'ufficio   che   esercita   l'azione   di
 responsabilita' amministrativa e contabile - e non anche delle  altre
 parti  processuali,  di spostare ad altro giudice il potere-dovere di
 decidere sul punto  o  di  un  punto  di  diritto  rilevante  per  la
 definizione  del  giudizio  di  merito, con effetti vincolanti per il
 giudice naturale precostituito per legge, anticipandone (...) ogni  o
 la probabile manifestazione di volonta'".
   2.  -  Muovendo  da  siffatta  conclusione,  da  lui  peraltro  non
 condivisa, il giudice a quo ritiene di dover sollevare  questione  di
 legittimita'  costituzionale  dell'art.  1, settimo comma, del citato
 d.-l. n. 453 del 1993, anzitutto per contrasto con gli artt. 3  e  24
 della  Costituzione,  atteso  che il secondo dei menzionati articoli,
 "alla luce del principio  di  eguaglianza,  esclude  che  l'esercizio
 dell'azione   possa  essere  condizionato  da  ingiustificati  limiti
 soggettivi ed anzi garantisce  l'effettiva  eguaglianza  delle  parti
 processuali,  attraverso  il  divieto  di agevolazioni e di privilegi
 attribuiti senza ragionevole giustificazione alla parte  pubblica  in
 danno della controparte privata". Viceversa, come emerge dal "diritto
 vivente  sopra  richiamato" la parte privata non ha, al contrario del
 procuratore generale, alcuna possibilita' di deferire la questione di
 massima alle sezioni riunite,  ne'  l'accettazione  della  rimessione
 della  causa  ad  opera  del  procuratore  generale  richiede  un suo
 consenso esplicito; inoltre la sua presenza nel procedimento  davanti
 alle  sezioni riunite si riduce ad un fatto meramente formale, senza,
 per di piu', considerare che, attraverso la  richiesta  alle  sezioni
 riunite  di  risoluzione  delle  questioni di massima, il procuratore
 generale puo' perfino precostituire,  in  suo  favore,  la  decisione
 finale,  avendo  la  facolta'  di  riproporre  all'infinito anche una
 questione gia' risolta, in modo da ottenere una soluzione della causa
 collimante con le sue aspettative.
   3. - La medesima disposizione contrasterebbe, inoltre,  con  l'art.
 25,  primo comma, della Costituzione, verificandosi "una oggettiva ed
 ingiustificata sottrazione della competenza" al giudice naturale,  in
 quanto  "i presupposti della rimessione (sussistenza di una questione
 di massima) appaiono generici e assolutamente discrezionali",  e  "la
 rimessione  della  questione  di  massima alle sezioni riunite, ancor
 prima che intervenga qualsiasi decisione del giudice di primo  grado,
 incide  direttamente  sulla  valutazione  del  merito  della causa e,
 dunque,   attiene   all'effettivo   e   concreto   esercizio    della
 giurisdizione",  tanto  piu' quando una tale attivita' sia esercitata
 da una parte  processuale,  avuto  altresi'  riguardo  al  fatto  che
 l'ordinamento  non  ha  previsto  alcun  sindacato  dell'atto  e  del
 giudizio attributivi della competenza alle sezioni riunite.
   4. - Sotto il profilo del principio della indipendenza del  giudice
 e  della  sua  soggezione  solo  alla legge, sarebbe violato, infine,
 l'art. 101, secondo comma, della Costituzione, non essendo consentito
 introdurre vincoli che abbiano oggettivamente il  solo  o  principale
 effetto  di  ridurre  il  giudice  a  mero  esecutore della decisione
 assunta da altri, precludendo perfino  la  piu'  piccola  espressione
 della  sua  volonta' sulla decisione di questioni dalle quali dipende
 la soluzione della causa. E questo "soprattutto quando  la  soluzione
 dipenda  dall'attivita'  discrezionale di un soggetto che non solo e'
 partecipe dell'esercizio della funzione giurisdizionale, ma  e'  anzi
 parte  processuale". Un soggetto che, secondo il diritto vivente, "ha
 la possibilita' di  anticipare,  fin  dall'inizio  del  processo,  la
 decisione  dei  giudici di merito (di primo e secondo grado) su punti
 di diritto, non solo formali ma anche sostanziali, e  di  guidare  la
 causa  verso  una determinata soluzione, indipendentemente dalla loro
 volonta'". In particolare, il deferimento della questione di  massima
 da  parte  del  procuratore  generale  puo'  -  secondo l'ordinanza -
 rappresentare un mezzo per imporre ai giudici di merito l'uniformita'
 delle precedenti  pronunzie  delle  sezioni  riunite,  disattendendo,
 cosi',  il  principio secondo il quale il vincolo posto da precedenti
 decisioni giurisprudenziali non puo' comportare una  vera  e  propria
 esclusione del giudice di merito dal giudizio.
   5.  - Anche l'art. 5, terzo comma, lettera a), del d.-l. n. 453 del
 1993  forma  oggetto  di  censura,  cosi'  come  interpretato   dalla
 "assolutamente pacifica" giurisprudenza delle sezioni riunite, ovvero
 nel   senso   di   individuare   nel   giudice  singolo  il  soggetto
 appositamente incaricato dal Presidente della sezione giurisdizionale
 regionale di adottare l'ordinanza di cui al comma successivo.  Viene,
 percio', lamentato il contrasto con il principio di buon andamento di
 cui  all'art.  97 della Costituzione, che, secondo la giurisprudenza,
 si riferisce "anche alla  organizzazione  degli  uffici  giudiziari",
 osservando   che  "il  procedimento  di  sequestro  conservativo  nel
 giudizio  di  responsabilita'  amministrativa  e  contabile  presenta
 rilevanti   profili   di   irrazionalita'",   tali   da  pregiudicare
 l'efficienza dell'esercizio della funzione giurisdizionale.
   Infatti, la norma denunciata, cosi' come  interpretata  secondo  il
 diritto  vivente,  rimettendo  la verifica, in contraddittorio, della
 legittimita' del decreto presidenziale di sequestro  conservativo  ad
 un  giudice  singolo,  "che  di  regola  e' un magistrato diverso dal
 Presidente", non solo appare difforme  rispetto  "alla  ratio  insita
 nell'analoga  disciplina  recata  dalla  normativa  di  riforma della
 giustizia civile alla quale la disposizione in questione si  ispira",
 ma  fa si' che la verifica delle ragioni delle parti venga svolta "da
 un giudice con qualifica e funzioni inferiori a quelle del Presidente
 della sezione giurisdizionale che ha adottato il decreto  positivo  o
 negativo  di  sequestro, e non viceversa". Inoltre, detto pur essendo
 posto  al  vertice  della  sezione  giurisdizionale  regionale,   non
 potrebbe  mai  far  parte  del  collegio giudicante quando questo sia
 chiamato a pronunciarsi sul reclamo, in virtu' della incompatibilita'
 disposta dall'art. 669-terdecies, secondo  comma,  cod.  proc.  civ.,
 "con  la  conseguenza  che la sezione, proprio nella fase delicata ed
 importante  dell'impugnazione  dell'ordinanza  emessa   dal   giudice
 singolo,  e'  costretta a decidere senza l'apporto del suo componente
 piu' qualificato ed esperto".
   6. - In punto  di  rilevanza,  si  afferma  che  qualora  le  norme
 denunciate   venissero   dichiarate  incostituzionali  verrebbe  meno
 l'efficacia vincolante della sentenza delle sezioni riunite n.  24/QM
 del 16 gennaio 1996, e, con essa, non solo la competenza, ma anche la
 stessa potestas iudicandi del giudice singolo.
   7.  -  In entrambi i giudizi di fronte alla Corte costituzionale si
 e'  costituito   il   procuratore   regionale   presso   la   Sezione
 giurisdizionale  per  la  regione  siciliana  della  Corte dei conti,
 depositando due memorie, nelle  quali  si  chiede  che  le  questioni
 sollevate vengano dichiarate inammissibili o infondate.
                        Considerato in diritto
   1.  -    Poiche'  le  ordinanze  di  rimessione sollevano identiche
 questioni, i relativi giudizi possono essere  riuniti  e  decisi  con
 un'unica sentenza.
   2.  -  La  Corte  deve, anzitutto, pronunziarsi sull'ammissibilita'
 della costituzione in giudizio del procuratore regionale della  Corte
 dei conti.
   La   giurisprudenza  costituzionale  ha  gia'  avuto  occasione  di
 evidenziare la specificita' della posizione del  pubblico  ministero,
 soprattutto  allorche'  egli sia il titolare del potere d'impulso del
 processo, come, per l'appunto, nel caso  del  procuratore  regionale,
 che   esercita   l'azione   di   responsabilita'   e   agisce  sempre
 nell'interesse oggettivo  dell'ordinamento,  assumendo  il  ruolo  di
 "organo  di giustizia". In ragione di tale specificita', questa Corte
 (sentenza n. 1 del 1996; ordinanza n. 327 del 1995) ha escluso che la
 costituzione, nei giudizi incidentali di legittimita' costituzionale,
 del pubblico ministero dei giudizi a quibus possa reputarsi  prevista
 o  disciplinata  dalle  norme  generali  e dalle norme integrative di
 procedura dinanzi alla Corte costituzionale e, al  tempo  stesso,  di
 poter  ricorrere all'applicazione, in via analogica, della disciplina
 dettata per le parti.
   Sulla base di tali orientamenti,  dai  quali  non  v'e'  motivo  di
 discostarsi,  la costituzione del procuratore regionale va, pertanto,
 dichiarata inammissibile.
   3. - Nel merito, le ordinanze di rimessione pongono in  discussione
 la  disciplina  del  processo  innanzi  alla  Corte dei conti dopo le
 modifiche ad  esso  addotte  dal  d.-l.  15  novembre  1993,  n.  453
 (Disposizioni in materia di giurisdizione e controllo della Corte dei
 conti),  convertito,  con modificazioni, nella legge 14 gennaio 1994,
 n.  19,  dubitando,  anzitutto,  della  legittimita'   costituzionale
 dell'art.  1,  settimo  comma,  "nella  parte  in  cui prevede che le
 sezioni riunite della Corte dei conti  decidono  sulle  questioni  di
 massima a richiesta del procuratore generale".
    4. - Secondo il giudice rimettente sarebbero violati:
     gli  artt.  3  e  24  della Costituzione, per la disparita' tra i
 poteri del procuratore generale e quelli della parte privata, che non
 ha alcuna possibilita' di  deferire  la  questione  di  massima  alle
 sezioni riunite;
     l'art.   25,  primo  comma,  della  Costituzione,  in  quanto  la
 rimessione della questione di massima  alle  sezioni  riunite,  ancor
 prima  che  intervenga  una  qualsiasi decisione del giudice di primo
 grado, tanto piu' se esercitata  da  una  parte  processuale,  incide
 direttamente  sulla  valutazione  del merito della causa, comportando
 una oggettiva  ed  ingiustificata  sottrazione  della  competenza  al
 giudice naturale;
     l'art. 101, secondo comma, della Costituzione, in quanto la legge
 non  puo'  introdurre  vincoli  che abbiano soggettivamente il solo o
 principale effetto di ridurre  il  giudice  a  mero  esecutore  della
 decisione  assunta  da  altri;  e  questo  tanto  piu'  in  quanto il
 procuratore generale, attraverso il deferimento  della  questione  di
 massima,  ha  la  possibilita'  di  "anticipare,  fin dall'inizio del
 processo, la decisione dei giudici di  merito",  e  di  imporre  loro
 l'uniformita'  delle  precedenti  decisioni delle sezioni riunite, in
 contrasto con il principio di indipendenza  del  giudice,  mentre  il
 vincolo  posto  da  precedenti  decisioni  giurisprudenziali non puo'
 comportare una vera e propria esclusione del giudice  di  merito  dal
 giudizio.
   5.  - La questione e' da reputare inammissibile, per quanto attiene
 alla lamentata violazione degli artt. 3, 24, 25, primo comma, e,  per
 un   primo   profilo,  anche  dell'art.  101,  secondo  comma,  della
 Costituzione.  Per un secondo profilo, attinente sempre alla presunta
 violazione dell'art.  101,  secondo  comma,  della  Costituzione,  la
 stessa e' da ritenere, invece, infondata.
   Al  fine  di  chiarire il quadro di riferimento normativo nel quale
 essa si colloca, va rammentato che l'art.  4  della  legge  21  marzo
 1953,  n. 161, contemplava la facolta' per le sezioni giurisdizionali
 della Corte dei conti di deferire alle sezioni riunite i giudizi  per
 i  quali  il  punto  di  diritto sottoposto al loro esame avesse dato
 luogo a contrasti giurisprudenziali ed analoga facolta' era  prevista
 per  il  Presidente  della  Corte  dei conti in ordine ai giudizi che
 rendessero necessaria "la risoluzione  di  questioni  di  massima  di
 particolare importanza".
   Su  tale  disciplina  e'  venuta,  di  recente,  ad  innestarsi  la
 disposizione sospettata di incostituzionalita', secondo la quale  "le
 sezioni  riunite  della  Corte  dei  conti  decidono sui conflitti di
 competenza e  sulle  questioni  di  massima  deferite  dalle  sezioni
 giurisdizionali   centrali   o  regionali,  ovvero  a  richiesta  del
 procuratore generale".
   Il giudice rimettente,  a  seguito  della  sentenza  delle  sezioni
 riunite  che ha affermato che il giudice "designato" per la conferma,
 modifica  o  revoca  del  decreto  di  sequestro   conservativo,   va
 individuato,  ai sensi dell'art. 5, terzo comma, del d.-l. n. 453 del
 1993, nell'organo monocratico e non in quello  collegiale,  e'  stato
 investito,   dal  Presidente  della  sezione  giurisdizionale,  della
 competenza  in  ordine  agli  ulteriori  provvedimenti  relativi   al
 processo   cautelare.   Dubitando,   peraltro,   della   legittimita'
 costituzionale  della  norma  attributiva  al  procuratore   generale
 dellafacolta'   di  rimessione  dei  giudizi  alle  sezioni  riunite,
 erroneamente  suppone  che,  nel  caso  in  cui  venisse   dichiarata
 l'incostituzionalita'  della  disposizione denunciata, "verrebbe meno
 l'efficacia vincolante della sentenza n. 24 QM e, con essa, non  solo
 la competenza ma la stessa potestas iudicandi del giudice singolo".
   Non   si   avvede,  infatti,  che  la  questione  cosi'  sollevata,
 consistente nella pretesa di sindacare la conformita' a  Costituzione
 del  potere  conferito  dall'ordinamento  al  procuratore generale di
 adire le  sezioni  riunite,  si  risolve  in  realta'  nel  porre  in
 discussione  la legittima investitura di queste ultime in ordine alle
 materie previste dall'art.  1, settimo comma, del d.-l.  n.  453  del
 1993.  In  questi termini, non e' dubbio che la sede ove una siffatta
 questione potrebbe eventualmente  rilevare  e'  quella  del  giudizio
 innanzi  alle  sezioni  stesse, al momento della verifica da parte di
 queste ultime dei presupposti della propria competenza.
   Gia' questa Corte, in sue precedenti pronunzie, ha  affermato  che,
 per  potersi ravvisare il requisito della rilevanza in concreto della
 questione proposta, e' in ogni caso necessario che la norma impugnata
 sia applicabile nel giudizio a quo e non, invece, come nella  specie,
 in una fase processuale anteriore (sentenza n. 247 del 1995).
   A   riprova  di  cio'  sta  il  fatto  che  gli  atti  compiuti  in
 quest'ultima non sarebbero certamente resi inefficaci da un'eventuale
 pronunzia  di  incostituzionalita'  nei   termini   sollecitati   dal
 rimettente,  non  avendo esso alcun potere di far caducare o comunque
 modificare la pronunzia emessa dalle sezioni riunite della Corte  dei
 conti.
   Ne  consegue,  dunque,  che la cognizione del giudice a quo risulta
 delimitata dalla sentenza emessa dalle  sezioni  riunite,  senza  che
 egli  sia  legittimato  a  rilevare eventuali vizi di quest'ultima; a
 ritenere il contrario, si consentirebbe al medesimo di avvalersi  del
 giudizio  di  costituzionalita'  quale  strumento  per pervenire alla
 caducazione di una decisione cui non intende  adeguarsi,  utilizzando
 in  definitiva  il sindacato incidentale come un surrettizio mezzo di
 impugnazione.
   Per le esposte considerazioni, la questione e', quindi, da ritenere
 inammissibile per i profili attinenti alla pretesa  violazione  degli
 artt. 3, 24 e 25, primo comma, della Costituzione.
   6.  - Quanto, poi, all'art. 101, secondo comma, della Costituzione,
 la proposta censura si scinde in due profili:  l'uno,  inammissibile,
 per la parte in cui, attraverso doglianze apparentemente rivolte alla
 sentenza    delle    sezioni   riunite,   si   torna   a   denunciare
 l'illegittimita' dei poteri  del  procuratore  generale;  l'altro  da
 ritenere,  invece,  ammissibile,  ma  infondato,  la' dove il giudice
 rimettente pone in discussione la costituzionalita'  del  vincolo  in
 se'  che  deriva  dalla  pronunzia  delle  sezioni  riunite medesime,
 supponendo che essa sia tale da precludergli ogni ambito decisorio.
   Mentre, per il primo profilo, puo'  farsi  rinvio  a  quanto  sopra
 considerato  in ordine all'irrilevanza di questioni attinenti a norme
 applicabili nelle fasi processuali anteriori, per il secondo  aspetto
 e'  sufficiente  osservare che il deferimento alle sezioni riunite di
 una questione di  massima  -  preordinato  ad  esigenze  di  uniforme
 interpretazione   della   legge,   nell'ottica   dell'art.   3  della
 Costituzione e in funzione di un interesse  palesemente  trascendente
 quello del singolo caso - non da' luogo alla definizione del giudizio
 da  parte  delle  sezioni  stesse, che decidono soltanto in ordine al
 punto oggetto della questione medesima.
   Pertanto  -  pur  a  prescindere  da  ogni  questione   sull'esatta
 individuazione della disposizione che conferisce carattere vincolante
 alle  sentenze  delle  sezioni  riunite  - non puo' ritenersi violato
 l'art. 101, secondo comma, della Costituzione, in quanto la pronunzia
 del giudice rimane pur sempre sotto l'imperio della legge,  anche  se
 egli e' tenuto a formare il suo convincimento con riguardo a cio' che
 ha  deciso  altra sentenza emessa nella stessa causa (sentenza n. 234
 del 1976).
   7. - Le ordinanze  sollevano,  infine,  questione  di  legittimita'
 costituzionale  dell'art.  5,  terzo  comma, lettera a), del medesimo
 d.-l. n. 453 del  1993,  nella  parte  in  cui,  alla  stregua  degli
 orientamenti espressi dalle sezioni riunite, da considerare - secondo
 il  rimettente - come un vero e proprio "diritto vivente", stabilisce
 che il giudice designato per  la  conferma,  modifica  o  revoca  del
 provvedimento  di  sequestro  conservativo  sia  da  individuare  nel
 giudice singolo e non nella sezione giurisdizionale.
   Viene, in particolare, prospettata la violazione dell'art. 97 della
 Costituzione,   sotto   il   profilo   del   buon   andamento   della
 organizzazione degli uffici giudiziari, in quanto:
     il  procedimento  di  sequestro  conservativo,  nel  giudizio  di
 responsabilita'  amministrativa  e  contabile,  presenta  profili  di
 irrazionalita'    che    incidono   sull'esercizio   della   funzione
 giurisdizionale, pregiudicandone l'efficienza;
     l'attivita' di verifica in contraddittorio  delle  ragioni  delle
 parti  viene ad essere svolta da "un giudice con qualifica e funzioni
 inferiori a quelli del Presidente della sezione  giurisdizionale  che
 ha  adottato  il  decreto  positivo  o  negativo  di sequestro, e non
 viceversa"; il quale Presidente  sulla  base  della  incompatibilita'
 disposta  dall'art.    669-terdecies, secondo comma, cod. proc. civ.,
 neppure  puo'  fare  parte  del  collegio   giudicante   chiamato   a
 pronunciarsi sul reclamo.
   8. - La questione, sebbene ammissibile, e' da ritenere non fondata.
   Invero,  come  gia'  altre  volte  affermato  dalla Corte, non puo'
 negarsi al giudice la facolta' di sollevare questione di legittimita'
 costituzionale di norme di cui egli, a seguito di una sentenza emessa
 in una precedente fase, sia tenuto a fare applicazione (in tal  senso
 v.,  da  ultimo,  sentenze  n.  314  del 1996 e n. 247 del 1995). Non
 sussistono, dunque, ostacoli all'esame della questione, con la  quale
 viene  posta  in discussione proprio la norma che il giudice a quo, a
 seguito della sentenza delle sezioni riunite, e' tenuto ad applicare.
   Tuttavia, secondo quanto affermato dalla giurisprudenza  di  questa
 Corte,   il   principio   del  buon  andamento  e  dell'imparzialita'
 dell'amministrazione della giustizia  attiene  solo  alle  leggi  che
 definiscono   l'ordinamento   degli  uffici  giudiziari  ed  il  loro
 funzionamento sotto l'aspetto amministrativo, restando,  per  contro,
 estraneo  alla tematica dell'esercizio della funzione giurisdizionale
 (sentenze n. 313 del 1995; n. 428 del 1993; n. 376 del 1993;  n.  140
 del  1992).  Di  qui  l'inidoneita',  a  prescindere  da  ogni  altra
 considerazione, dell'invocato parametro a sorreggere  la  prospettata
 questione.
                           Per questi motivi
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
   Riuniti   i   giudizi,   dichiara  inammissibile  la  questione  di
 legittimita' costituzionale dell'art. 1, settimo comma, del d.-l.  15
 novembre  1993,  n.  453  (Disposizioni in materia di giurisdizione e
 controllo della Corte  dei  conti),  convertito,  con  modificazioni,
 nella  legge  14  gennaio 1994, n. 19, sollevata, in riferimento agli
 artt.  3,  24,  25,  primo  comma,  e  101,  secondo   comma,   della
 Costituzione,  dal  giudice  designato della Corte dei conti, Sezione
 giurisdizionale  per  la  Regione  siciliana,  con  le  ordinanze  in
 epigrafe;
   Dichiara  non  fondata  la questione di legittimita' costituzionale
 della medesima disposizione, sollevata, in riferimento all'art.  101,
 secondo comma, della Costituzione, con le ordinanze in epigrafe;
   Dichiara  non  fondata  la questione di legittimita' costituzionale
 dell'art. 5, terzo comma, lettera  a),  del  medesimo  decreto-legge,
 sollevata,  in  riferimento  all'art.  97  della Costituzione, con le
 ordinanze in epigrafe.
   Cosi' deciso  in  Roma,  nella  sede  della  Corte  costituzionale,
 Palazzo della Consulta, il 17 ottobre 1996.
                         Il Presidente: Ferri
                          Il redattore: Vari
                       Il cancelliere: Di Paola
   Depositata in cancelleria il 2 novembre 1996.
               Il direttore della cancelleria: Di Paola
 96C1732