N. 387 SENTENZA 17 ottobre - 5 novembre 1996

 
 
 Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale.
 
 Elezioni - Procedimento dinanzi  ai  collegi  regionali  di  garanzie
 elettorali  - Accertamenti e contestazioni di competenza del collegio
 - Impugnativa delle decisioni dinanzi al collegio centrale -  Mancata
 previsione  della  partecipazione  di un soggetto pubblico dinanzi al
 collegio centrale - Mancata attribuzione al collegio regionale  o  ad
 un   suo  rappresentante  della  veste  di  autorita'  amministrativa
 partecipante al procedimento dinanzi al collegio  centrale  -  Natura
 amministrativa  dell'organo  rimettente  e pertanto non legittimato a
 sollevare questioni di costituzionalita' - Inammissibilita'.
 
 (Legge 10 dicembre 1993, n. 515, artt. 13, comma 3, 14, commi  1,  3,
 4, 5 e 15, comma 8).
 
 (Cost., artt. 24, 101 102).
(GU n.46 del 13-11-1996 )
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
 composta dai signori:
  Presidente: avv. Mauro FERRI;
  Giudici: prof. Luigi  MENGONI,  prof.  Enzo  CHELI,    dott.  Renato
 GRANATA,
  prof.  Giuliano  VASSALLI,    prof. Francesco GUIZZI,   prof. Cesare
 MIRABELLI,  prof. Fernando SANTOSUOSSO,   avv. Massimo VARI,    dott.
 Cesare RUPERTO,  dott. Riccardo CHIEPPA,  prof. Gustavo ZAGREBELSKY,
  prof. Valerio ONIDA,  prof. Carlo MEZZANOTTE;
 ha pronunciato la seguente
                                Sentenza
 nel  giudizio di legittimita' costituzionale degli articoli 13, comma
 3, 14, commi 1, 3, 4 e 5, e 15, comma  8,  della  legge  10  dicembre
 1993,  n.  515  (Disciplina  delle campagne elettorali per l'elezione
 alla Camera dei deputati e al Senato della Repubblica), promosso  con
 ordinanza  emessa il 13 maggio 1996 dal Collegio centrale di garanzia
 elettorale presso la Corte di  cassazione  sul  ricorso  proposto  da
 Campagna  Luigi,  iscritta  al  n.  684 del registro ordinanze 1996 e
 pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della  Repubblica  n.  29,  prima
 serie speciale, dell'anno 1996;
   Visto  l'atto  di  costituzione di Campagna Luigi nonche' l'atto di
 intervento del Presidente del Consiglio dei Ministri;
   Udito nell'udienza pubblica del 15 ottobre 1996 il giudice relatore
 Cesare Ruperto;
   Uditi l'avvocato Beniamino Caravita di Toritto per Campagna Luigi e
 l'avvocato dello Stato Gaetano Zotta per il Presidente del  Consiglio
 dei Ministri.
                           Ritenuto in fatto
   1. - Il Collegio centrale di garanzia elettorale presso la Corte di
 cassazione  -  nel  decidere sull'impugnativa di un provvedimento con
 cui il Collegio regionale presso  la  Corte  d'appello  di  Catanzaro
 aveva  inflitto  una  sanzione  amministrativa  ad  un candidato alle
 elezioni  regionali  per  il  mancato  deposito  della  dichiarazione
 concernente  le  spese sostenute durante la campagna elettorale - con
 ordinanza emessa il 13 maggio 1996 ha sollevato, in riferimento  agli
 artt.    24,  101 e 102 della Costituzione, questione di legittimita'
 costituzionale di alcuni articoli della legge 10  dicembre  1993,  n.
 515  (Disciplina delle campagne elettorali per l'elezione alla Camera
 dei deputati e al Senato della Repubblica), che detta  la  disciplina
 delle  campagne  per  le  elezioni delle due Camere, poi estesa dalla
 legge 23 febbraio 1995, n. 43,  anche  alle  elezioni  regionali.  Le
 specifiche disposizioni denunciate sono:
     a)  l'art.  13,  comma 3, l'art. 14, commi 1, 3 e 4, e l'art. 15,
 comma 8 -, in riferimento agli artt. 101 e 102 della Costituzione  -,
 nella  parte  in  cui  non  prevedono  che  agli  accertamenti e alle
 contestazioni  di  competenza  del  Collegio  regionale  di  garanzia
 provveda un soggetto pubblico distinto dal Collegio stesso;
     b)  l'art.  14,  comma  4,  -  in  riferimento  all'art. 24 della
 Costituzione, - nella parte in cui  non  prevede  la  facolta'  delle
 parti  di  essere  sentite  dinanzi al Collegio regionale di garanzia
 elettorale;
     c) l'art. 14, comma 5 in riferimento agli artt.  24,  101  e  102
 della Costituzione, nella parte in cui non contempla nel procedimento
 dinanzi al Collegio centrale di garanzia elettorale la partecipazione
 del  soggetto  pubblico  di  cui  sub a) o, nell'ipotesi di reiezione
 della questione di  cui  sub  a),  dello  stesso  Collegio  regionale
 configurato come autorita' amministrativa o di un suo rappresentante;
     d)  l'art.  14,  comma  5 in riferimento agli artt. 24, 101 e 102
 della Costituzione, nella parte in cui non prevede l'impugnazione, da
 parte del soggetto pubblico di  cui  sub  a)  o  dell'amministrazione
 legittimata,  delle  decisioni  del  Collegio  regionale  di garanzia
 elettorale favorevoli al candidato;
     infine, e) l'art. 14, comma 5 in riferimento  all'art.  24  della
 Costituzione,  nella  parte  in  cui  non  prevede  che il ricorrente
 dinanzi al Collegio di garanzia elettorale possa depositare  memorie,
 possa  chiedere  copia  degli  atti  del  procedimento  e possa esser
 sentito.
   Prima  di  formulare  dette  questioni,  il   Collegio   rimettente
 trascrive  il  contenuto  di  una  propria decisione in cui, "anche a
 prescindere  dalla  natura  propriamente  giurisdizionale",  si   era
 dichiarato   legittimato   a   proporre   questioni  di  legittimita'
 costituzionale. Sul punto esso argomenta  nel  senso:  a)  di  essere
 costituito  in  modo  che venga assicurata la sua indipendenza, b) di
 esercitare funzioni vo'lte all'applicazione obiettiva del diritto, c)
 di emettere pronunce definitive. Con riguardo a quest'ultimo aspetto,
 il  Collegio esclude che le proprie pronunce possano essere impugnate
 ed  afferma  che  le  stesse,  in  quanto  potenzialmente  idonee   a
 determinare  la  decadenza di un parlamentare "sia pure attraverso la
 mediazione della deliberazione della  Camera  di  appartenenza",  non
 possono  essere  qualificate  come  provvedimenti  amministrativi  di
 applicazione di una sanzione pecuniaria.
   2. - E' intervenuto  il  Presidente  del  Consiglio  dei  Ministri,
 rappresentato  dall'Avvocatura  dello  Stato,  che  ha  concluso  per
 l'inammissibilita'  ovvero  per   l'infondatezza   della   questione,
 riservando  compiute difese ad una successiva memoria, poi presentata
 nell'imminenza  dell'udienza,  in  cui  ha  contestato  anzitutto  il
 carattere   giurisdizionale   del   Collegio   rimettente.  A  parere
 dell'Avvocatura entrambi i Collegi, regionali e nazionale,  sarebbero
 strutturati  -  analogamente  al  Garante  per  la  radiodiffusione e
 l'editoria  -  come  organi  amministrativi,  deputati   a   svolgere
 accertamenti  sulle  spese  elettorali di candidati alle elezioni e a
 verificarne la regolarita', "imponendo  in  caso  contrario  sanzioni
 pecuniarie".  Nel  richiamare le previsioni legislative che ammettono
 anche esposti da parte di qualsiasi elettore, l'Avvocatura sottolinea
 come, in caso di mancata  contestazione  nei  termini  da  parte  del
 Collegio,  le dichiarazioni ed i rendiconti si considerano approvati,
 ma soprattutto come le decisioni adottate dal  Collegio  centrale  su
 ricorso  del  candidato  avverso  i  provvedimenti  sanzionatori  dei
 Collegi regionali siano prive del  caratteredella  definitivita',  in
 quanto  suscettibili  di  gravame  dinanzi  al  pretore attraverso il
 procedimento di opposizione di  cui  alla  legge  n.  689  del  1981;
 quest'ultimo  rappresenterebbe,  secondo la deducente Avvocatura, "la
 prima sede giurisdizionale di esame della vicenda". Le decisioni  dei
 Collegi    sarebbero   percio'   puramente   e   semplicemente   atti
 amministrativi, formatisi all'esito di un iter procedimentale che  si
 svolge nelle forme tipiche dell'attivita' amministrativa, dove non vi
 sarebbe  alcuna  esigenza  costituzionalmente  garantita ne' a che la
 contestazione provenga  da  un  organo  diverso  da  quello  che  poi
 applichera'  la  sanzione, ne' a che la parte interessata sia sentita
 oralmente, ne' infine a che vi sia un soggetto pubblico destinato  ad
 assumere  il  contraddittorio con il privato e a divenire titolare di
 un autonomo potere d'impugnazione.   In tale  quadro  la  particolare
 composizione   dei   Collegi   e  la  loro  terzieta'  risulterebbero
 giustificate dalla delicatezza degl'interessi in gioco.
   Nel  merito,  poi,  osserva  l'Avvocatura  che,   anche   a   voler
 considerare  come giurisdizionale l'attivita' dei Collegi, la mancata
 distinzione tra chi  promuove  l'azione  e  chi  deve  giudicare  non
 costituirebbe   violazione   del  principio  d'imparzialita'  di  cui
 all'art. 101 della Costituzione, stante la gia' rilevata garanzia  di
 terzieta'  dell'organo  (qualificato  come)  giudicante,  ne' sarebbe
 configurabile alcuna lesione dell'art. 24 della Costituzione, poiche'
 il previsto obbligo  di  contestazione  e  la  prevista  facolta'  di
 presentare  memorie  e  documenti  salvaguarderebbero  pienamente  il
 diritto di difesa, che  puo'  articolarsi  diversamente  in  funzione
 delle caratteristiche dei diversi procedimenti.
   3.  - Nel giudizio davanti a questa Corte si e' costituita la parte
 privata,  la  quale  ha  insistito  nella   prospettazione   di   cui
 all'ordinanza,   riservandosi  di  depositare  un'ulteriore  memoria,
 prodotta poi nell'imminenza dell'udienza. In essa la parte, dopo aver
 ricordato  la  composizione  dei  Collegi,  osserva  che  una recente
 affermazione   delle   Sezioni   unite   della    Cassazione    circa
 l'esperibilita'  dell'opposizione  pretorile avverso le decisioni del
 Collegio determinerebbe una "situazione non chiarita sul punto  della
 definitivita'",  ma  che,  in ogni caso, il difetto di tale requisito
 non  escluderebbe  la  legittimazione  del  rimettente  a   sollevare
 questioni   di   legittimita'   costituzionale,   proprio  in  quanto
 costituito presso la Corte  di  cassazione  e  dotato  di  specifiche
 caratteristiche di competenza.
   Nel  merito  la  parte  insiste  sulla  fondatezza delle questioni,
 rilevando in generale, "al  di  la'"  delle  stesse,  un  difetto  di
 razionalita'   dell'intera   struttura  organizzativa  e  procedurale
 disegnata dalla legge.
   In particolare essa osserva come  la  "degradazione"  del  Collegio
 centrale  ad  organo amministrativo introdurrebbe la "contraddizione"
 di una decisione emessa da un organo istituito presso la  Cassazione,
 le cui decisioni sarebbero impugnate davanti al Pretore, "per tornare
 infine in Cassazione".
   Secondo  la  parte il Collegio rimettente sarebbe poi difficilmente
 configurabile come sezione specializzata, per la mancanza di un nesso
 organico con il C.S.M. e di una relazione funzionale con il codice di
 rito (che sarebbe esclusa proprio dal richiamo alla legge n. 689  del
 1981). E il difetto di tali requisiti minimi concreterebbe appunto la
 denunciata violazione degli artt. 24, 102, secondo comma, e 108 della
 Costituzione.  Ma,  soprattutto, ove si concludesse - come in memoria
 si  conclude  -  nel  senso  di  non  riconoscere  al   Collegio   la
 qualificazione  di  sezione  specializzata,  si dovrebbe ritenerlo un
 giudice  speciale,  entrando  cosi'  in  collisione  con  il  dettato
 costituzionale che vieta l'istituzione di giudici speciali.
   Anche  il  canone  della  terzieta'  del giudice verrebbe ad essere
 contraddetto  dalla  composizione  dell'organo:  non   ricorrerebbero
 infatti  le  garanzie  necessarie  ad assicurare l'indipendenza degli
 estranei che  partecipano  all'amministrazione  della  giustizia  (in
 particolare   non   e'  prevista  l'interruzione  di  ogni  attivita'
 professionale), con  violazione  dell'art.  108  della  Costituzione.
 Inoltre   le  norme  denunciate  non  definirebbero  sufficientemente
 l'idoneita' di tali ultimi soggetti, cosi' pregiudicando l'art.  102,
 secondo comma, della Costituzione. Infine la loro stessa designazione
 -  non  prevista attraverso la nomina del C.S.M. - risulterebbe assai
 lontana dall'applicazione  dell'art.  106,  terzo  comma,  in  quanto
 rimessa alla scelta del Primo presidente della Suprema Corte.
                         Considerato in diritto
   1.  -  Il Collegio centrale di garanzia elettorale ha sollevato, in
 riferimento agli artt. 24, 101 e 102 della Costituzione, questione di
 legittimita' costituzionale degli artt. 13, comma 3, 14, commi 1,  3,
 4 e 5, e 15, comma 8, della legge 10 dicembre 1993, n. 515.  Le norme
 denunciate sarebbero lesive del principio d'imparzialita' del giudice
 la'  dove  non  prevedono  che,  nel  procedimento dinanzi ai Collegi
 regionali di garanzia  elettorale,  vi  sia  un  soggetto  terzo,  in
 posizione autonoma e distinta, il quale provveda agli accertamenti ed
 alle   contestazioni   di  competenza  del  Collegio  stesso  nonche'
 all'impugnativa delle decisioni di quest'ultimo dinanzi  al  Collegio
 centrale.   Analogalacuna   normativa   sarebbe   ravvisabile  -  con
 conseguente  violazione dell'art.  24 della Costituzione specialmente
 nell'art. 14, comma 5, della legge citata, nella  parte  in  cui  non
 configura  la  partecipazione  di  un  soggetto  pubblico  dinanzi al
 Collegio centrale, ovvero - nell'ipotesi in cui la Corte non  accolga
 tale  prospettazione - nella parte in cui la norma non attribuisce al
 medesimo Collegio regionale, o ad un suo rappresentante, la veste  di
 autorita'  amministrativa  in  grado  di  partecipare al procedimento
 dinanzi al Collegio centrale con  poteri  d'impulso  e  d'impugnativa
 delle  decisioni  favorevoli  ai candidati.   Un ulteriore profilo di
 contrasto con l'art. 24 della Costituzione viene poi individuato  nei
 commi  4  e  5 del gia' richiamato art. 14 la' dove, nei procedimenti
 che si svolgono rispettivamente dinanzi ai  Collegi  regionali  ed  a
 quello  centrale,  non  prevedono  la facolta' per le parti di essere
 sentite, ovvero di depositare memorie e chiedere copia degli atti.
   2. - Va preliminarmente  esaminata  l'eccezione  d'inammissibilita'
 proposta dall'Avvocatura dello Stato, secondo cui l'organo rimettente
 avrebbe  natura  amministrativa  e  non sarebbe percio' legittimato a
 sollevare questioni di costituzionalita' dinanzi a questa Corte.
   L'eccezione e' fondata.
   2.1. - Con la legge n. 515 del 1993 - che detta la disciplina delle
 campagne elettorali per la Camera ed il Senato,  poi  estesa  con  la
 legge  23  febbraio  1995,  n.  43,  anche alle elezioni dei Consigli
 regionali - il legislatore ha inteso soddisfare molteplici  esigenze,
 come  quelle di contemperare la divulgazione dei programmi elettorali
 con la garanzia di una effettiva parita' tra gruppi e  candidati,  di
 adeguare  la  propaganda alla logica maggioritaria del nuovo sistema,
 che implica il rischio di personalizzare la dialettica politica, e di
 rendere trasparenti i contributi,  le  spese  nonche'  le  situazioni
 patrimoniali  e  reddituali  relative  agli  eletti. Elementi, questi
 ultimi, gia' presenti nelle leggi 11  novembre  1981,  n.  659,  e  5
 luglio  1982,  n.  441,  ma  ora nuovamente disciplinati in un quadro
 organico,  che  si  propone  altresi'  di   ricondurre   il   sistema
 sanzionatorio   nell'a'mbito   dell'illecito   amministrativo   (cfr.
 sentenza n. 52 del 1996).
   La scelta di fondo su tale ultimo punto  e'  stata  quella  di  una
 globale   depenalizzazione   dei   reati  in  materia  di  propaganda
 elettorale.   Quale  corrispettivo  di  tale  opzione,  i  meccanismi
 finanziari  che  rendono  possibile  la  divulgazione delle idee e la
 formazione del consenso  sono  stati  presidiati  con  una  serie  di
 controlli  e  gravati  da  rigidi  moduli  procedimentali. Appunto in
 questa ottica si inserisce - insieme con le attribuzioni del  Garante
 per  la  radiodiffusione e l'editoria, e con le funzioni demandate al
 Collegio per il controllo sui consuntivi presso la Corte dei conti  -
 anche  l'istituzione  dei  Collegi  regionali  e centrale di garanzia
 elettorale, per la verifica della regolarita' delle  dichiarazioni  e
 dei rendiconti previsti a carico dei candidati eletti.
   Secondo   uno  schema  non  certo  inedito,  che  vede  in  materia
 elettorale la costituzione di organi amministrativi presso il giudice
 ordinario,  detti   Collegi   di   garanzia   operano   nell'a'mbito,
 rispettivamente,  delle  Corti d'appello e della Corte di cassazione.
 Ma tale collocazione  non  comporta  che  i  Collegi  medesimi  siano
 inseriti  nell'apparato  giudiziario, evidente risultando la carenza,
 sia sotto il profilo funzionale sia sotto quello strutturale,  di  un
 nesso  organico  di  compenetrazione  istituzionale  che  consenta di
 ritenere  che  essi  costituiscano sezioni specializzate degli uffici
 giudiziari presso cui sono istituiti.  Basti notare, con riguardo  al
 primo profilo, che non viene adottato, neppure in parte, il codice di
 rito    e,   sotto   il   secondo   profilo,   che   manca,   nonche'
 l'assoggettamento alla sorveglianza dei  capi  di  detti  uffici,  un
 qualunque  collegamento  col  Consiglio superiore della magistratura.
 Ne', d'altronde, e' stato prospettato, o e' prospettabile - stante il
 divieto in proposito sancito dalla  Costituzione  -  che  si  sia  in
 presenza di giudici speciali.
   2.2.  - Escluso dunque che il Collegio rimettente sia qualificabile
 come  giudice  in  senso  soggettivo,  il  riconoscimento  della  sua
 legittimazione    a    sollevare   questioni   di   costituzionalita'
 presupporrebbe  necessariamente  che  l'attivita'  applicativa  della
 legge,  da parte sua, fosse di tipo giurisdizionale, ed avesse quindi
 non  solo  l'attributo  dell'obiettivita',  ma  anche  quello   della
 definitivita',  nel  senso  dell'idoneita'  a  divenire irrimediabile
 attraverso  l'assunzione  di  un'efficacia  analoga  a   quella   del
 giudicato.  In  tal  caso,  infatti, ove quella legittimazione non si
 riconoscesse,  ne  conseguirebbe  la  sottrazione  della   denunciata
 normativa al controllo di costituzionalita'.
   Ebbene,   nella  specie,  l'attributo  della  definitivita'  e'  da
 ritenersi assente,  perche'  avverso  l'applicazione  delle  sanzioni
 amministrative pecuniarie di cui si discute nel procedimento a quo e'
 prevista  l'opposizione  davanti al pretore a' sensi degli artt. 22 e
 segg., inseriti nella sezione II del capo I della legge  24  novembre
 1981,  n.  689, cui fa espresso rinvio l'art. 15, primo comma5, della
 denunciata legge n.   515 del 1993,  come  hanno  ritenuto  anche  le
 Sezioni  unite  civili  della  Corte  di  cassazione  nel  dichiarare
 l'inammissibilita' del ricorso ex art. 111 della Costituzione avverso
 le decisioni del Consiglio centrale di garanzia.
   E' appunto codesto giudizio di opposizione,  che  si  conclude  con
 sentenza  ricorribile in cassazione, la sede nella quale deve trovare
 attuazione  il  principio  di  costituzionalita',  secondo   cui   il
 controllo  da  parte  di  questa Corte deve coprire nella misura piu'
 ampia  possibile  l'ordinamento  giuridico.  Laddove  il   meccanismo
 predisposto  per consentire detto controllo - dall'art. 1 della legge
 costituzionale 9 febbraio 1948, n. 1 e dall'art. 23  della  legge  11
 marzo  1953,  n.  87,  non  e'  attivabile nel corso del procedimento
 davanti al rimettente Collegio di garanzia,  proprio  perche'  questo
 non   ha   natura   giurisdizionale   -   ne'   soggettivamente   ne'
 oggettivamente - pur se costituito in modo da  assicurare  una  certa
 indipendenza  e  chiamato  ad  applicare in modo obiettivo una regola
 giuridica. La lamentata insufficienza di tale indipendenza e la  pure
 censurata carenza di contraddittorio stanno a indicare appunto che la
 legge   n.   515   del   1993   ha   inteso  soltanto  accentuare  le
 caratteristiche di terzieta' nella fase procedimentale del controllo,
 onde  bilanciare  la   scelta   di   non   attribuire   invece   alla
 giurisdizione,   ordinaria   o   amministrativa,   la  corrispondente
 attivita' di accertamento e sanzionatoria. Attivita' la quale,  nella
 specie,  si presenta infatti come tutta interna ad un procedimento di
 verificazione che si attiva di ufficio, si svolge attraverso un  mero
 riscontro dei presupposti e delle condizioni richieste dalla legge in
 vista  dell'eventuale  emanazione  di un provvedimento finale privo -
 come gia' detto - della definitivita', e che puo'  concludersi  anche
 col  silenzio,  cioe' con l'approvazione implicita prevista dall'art.
 14, comma 3, nel caso in cui "il Collegio non contesti la regolarita'
 entro centottanta giorni dalla ricezione" delle dichiarazioni  e  dei
 rendiconti.
   2.3.  -  In  contrario  avviso  non  puo'  condurre  il  rilievo  -
 valorizzato nell'ordinanza di rimessione e nella memoria della  parte
 privata  -  che  l'art.  15,  comma 7, della denunciata legge prevede
 anche  la  decadenza  dalla  carica  quale   effetto   dell'accertata
 violazione  delle  norme  da parte del candidato. E cio', sia perche'
 questa dev'essere stata dichiarata "in modo definitivo" (e tale  puo'
 considerarsi  solo  dopo  l'esaurimento  di ogni rimedio impugnatorio
 concesso dalla legge all'interessato contro la decisione del Collegio
 di garanzia), sia perche', comunque, la decadenza  consegue  in  modo
 diretto,  non  gia'  da  tale  pur definitiva decisione, bensi' dalla
 delibera della Camera di appartenenza, come dispone espressamente  il
 succitato settimo comma, in puntuale applicazione dell'art. 66 Cost.
                           Per questi motivi
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
   Dichiara  inammissibili le questioni di legittimita' costituzionale
 degli artt. 13, comma 3, 14, commi 1, 3, 4, 5 e 15,  comma  8,  della
 legge  10 dicembre 1993, n. 515 (Disciplina delle campagne elettorali
 per  l'elezione  alla  Camera  dei  deputati  e   al   Senato   della
 Repubblica), sollevate, in riferimento agli artt. 24, 101 e 102 della
 Costituzione,  dal  Collegio  centrale  di  garanzia  elettorale, con
 l'ordinanza di cui in epigrafe.
   Cosi' deciso  in  Roma,  nella  sede  della  Corte  costituzionale,
 Palazzo della Consulta, il 17 ottobre 1996.
                         Il Presidente: Ferri
                         Il redattore: Ruperto
                       Il cancelliere: Di Paola
   Depositata in cancelleria il 5 novembre 1996.
               Il direttore della cancelleria: Di Paola
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