N. 389 ORDINANZA 17 ottobre - 5 novembre 1996

 
 
 Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale.
 
 Coniugi - Separazione giudiziale - Esito negativo  del  tentativo  di
 riconciliazione  operato dal presidente del Tribunale - Inibizione ai
 coniugi di essere assistiti dai rispettivi  difensori  -  Norma  gia'
 dichiarata  costituzionalmente illegittima con sentenza n. 151/1971 -
 Richiamo alla sentenza della  Corte  n.  201/1971  -  Erroneita'  dei
 presupposti   interpretativi   da  parte  del  giudice  rimettente  -
 Manifesta infondatezza.
 
 (C.P.C., artt. 707 e 708).
 
 (Cost., art. 24).
(GU n.46 del 13-11-1996 )
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
 composta dai signori:
  Presidente: avv. Mauro FERRI;
 Giudici:  prof.  Luigi  MENGONI,  prof.  Enzo  CHELI,    dott. Renato
 GRANATA, prof. Giuliano VASSALLI,   prof. Francesco  GUIZZI,    prof.
 Cesare  MIRABELLI,    prof. Fernando SANTOSUOSSO,  avv. Massimo VARI,
 dott.   Cesare RUPERTO,   dott.  Riccardo  CHIEPPA,    prof.  Gustavo
 ZAGREBELSKY, prof. Valerio ONIDA,  prof. Carlo MEZZANOTTE;
 ha pronunciato la seguente
                               Ordinanza
 nel giudizio di legittimita' costituzionale degli artt. 707 e 708 del
 codice di procedura civile, promosso con ordinanza emessa il 27 marzo
 1996  dal  Presidente  del Tribunale di Udine nel procedimento civile
 vertente tra Cosatto Maria Luisa e Di Chiara Rino, iscritta al n. 576
 del registro ordinanze 1996 e  pubblicata  nella  Gazzetta  Ufficiale
 della Repubblica n. 26, prima serie speciale, dell'anno 1996;
   Visto l'atto di costituzione di Cosatto Maria Luisa;
   Udito nell'udienza pubblica del 15 ottobre 1996 il giudice relatore
 Fernando Santosuosso;
   Udito l'avvocato Paola Rossi Appiotti per Cosatto Maria Luisa;
   Ritenuto  che, nel corso del procedimento di separazione giudiziale
 tra Cosatto Maria Luisa e Di Chiara Rino, il Presidente del Tribunale
 di Udine ha sollevato questione di legittimita' costituzionale  degli
 artt.  707  e  708  del  codice  di  procedura  civile in riferimento
 all'art.  24 della Costituzione;
     che il rimettente, dopo  aver  premesso  che  e'  prassi  diffusa
 nell'ambito  della  Corte  d'appello  di  Trieste,  seguita anche dal
 Tribunale di Udine, che il presidente  del  tribunale,  esperito  con
 esito  negativo il tentativo di riconciliazione, espleti un ulteriore
 tentativo  diretto  a  tramutare   la   separazione   giudiziale   in
 consensuale,   alla  presenza  dei  coniugi  ma  con  esclusione  dei
 difensori,  poi  ammessi  in  udienza  solo  prima  della   eventuale
 formalizzazione   a   verbale   dei   termini  dell'accordo,  qualora
 raggiunto;
     che, a parere del giudice a quo, tale  prassi,  pur  giustificata
 dalla  necessita'  di  limitare  la  litigiosita'  in  un  settore di
 particolare rilevanza sociale, puo' essere in contrasto con il  pieno
 esercizio  del diritto di difesa e con le disposizioni costituzionali
 volte ad assicurare la tutela del nucleo familiare;
     che   nel  giudizio  davanti  alla  Corte  costituzionale  si  e'
 costituita Maria Luisa Cosatto, chiedendo che la questione  sollevata
 venga dichiarata irrilevante o manifestamente infondata;
   Considerato  che le norme impugnate prevedono che i coniugi debbono
 comparire personalmente davanti al presidente senza  l'assistenza  di
 difensore,  che il presidente deve sentirli prima separatamente e poi
 congiuntamente, procurando di conciliarli, e che, in  caso  negativo,
 il  Presidente,  anche  d'ufficio,  da' con ordinanza i provvedimenti
 temporanei ed urgenti;
     che questa Corte, con la  sentenza  n.  151  del  1971,  ha  gia'
 dichiarato l'illegittimita' costituzionale delle norme ora impugnate,
 nella  parte  in  cui  ai  coniugi  comparsi personalmente davanti al
 presidente del tribunale, e in  caso  di  mancata  conciliazione,  e'
 inibito di essere assistiti dai rispettivi difensori;
     che  nella  richiamata  pronuncia  la Corte ha specificato che il
 diritto di farsi  assistere  dal  difensore  durante  lo  svolgimento
 dell'udienza  presidenziale  nel giudizio di separazione sorge per le
 parti successivamente al fallimento del tentativo  di  conciliazione,
 poiche'  solo  a quel punto "diventa attuale il contrasto, concreto o
 potenziale, tra i contendenti sulla base delle domande  avanzate  con
 il  ricorso  introduttivo o delle pretese direttamente prospettate al
 presidente del tribunale";
     che nella sentenza n. 201 del 1971 la Corte ha  chiarito  che  il
 divieto  di essere assistiti dai difensori nel corso della prima fase
 dell'udienza presidenziale non viola  il  principio  del  diritto  di
 difesa  di  cui all'art. 24 della Costituzione, avendo il legislatore
 voluto tutelare in modo preminente l'interesse, di  natura  pubblica,
 alla  pacifica continuazione della convivenza tra i coniugi, evitando
 il giudizio come strumento per risolvere i conflitti coniugali; ed al
 conseguimento di questi fini - osserva la citata sentenza n. 201  del
 1971  -  "mirano  i  coniugi  (personalmente)  ed  il  presidente del
 tribunale che non potra' non far  valere  il  prestigio  derivantegli
 dalla sua funzione";
     che,  per l'attuazione degli stessi interessi, nulla vieta che il
 presidente del tribunale possa anche esplorare - sia in presenza  che
 in  assenza  dei  difensori  -  la  potenziale  praticabilita' di una
 soluzione  non  contenziosa  di  detti  conflitti,   e   cio'   nello
 svolgimento  di  quelle  funzioni  lato  sensu  conciliative  che gli
 impongono di attivarsi per ridurre al minimo i traumi per i coniugi e
 per i figli; fermo restando che la difesa tecnico-professionale possa
 intervenire al momento di  stabilire  e  formalizzare  le  condizioni
 dell'eventuale accordo;
     che  sono  tuttora ravvisabili tanto la distinzione operata dalle
 sentenze nn. 151 e 201 del 1971 di questa Corte tra  la  prima  e  la
 seconda   fase   dell'udienza   presidenziale   nel  procedimento  di
 separazione personale, quanto la sostanziale  diversita'  tra  questo
 procedimento   e   quello   del  divorzio,  in  considerazione  della
 differenza  del  grado  di  rottura  dei  rapporti  coniugali  e  dei
 particolari  compiti affidati dalla legge al presidente del tribunale
 nel primo procedimento;
     che, conclusivamente, il giudice rimettente doveva, in assenza di
 un contrario diritto vivente  ed  in  armonia  con  i  principi  gia'
 affermati  da  questa Corte, interpretare le norme impugnate in senso
 conforme  a  Costituzione,  consentendo  l'assistenza  da  parte  dei
 difensori  durante  la  seconda  fase  dell'udienza  presidenziale e,
 tuttavia,  non  rinunciando  alla  funzione che gli e' propria, ossia
 quella di tentare ogni strada idonea al superamento della  crisi  del
 nucleo familiare;
     che  una  siffatta  interpretazione, in armonia con le richiamate
 sentenze, consente di escludere la sussistenza del lamentato vizio di
 illegittimita' costituzionale;
   Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11  marzo  1953,  n.
 87, e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi davanti
 alla Corte costituzionale.
                           Per questi motivi
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
   Dichiara  la manifesta infondatezza della questione di legittimita'
 costituzionale degli artt. 707 e 708 del codice di procedura  civile,
 sollevata,   in  riferimento  all'art.  24  della  Costituzione,  dal
 Presidente  del  Tribunale  di  Udine  con  l'ordinanza  indicata  in
 epigrafe.
   Cosi'  deciso  in  Roma,  nella  sede  della  Corte costituzionale,
 Palazzo della Consulta, il 17 ottobre 1996.
                         Il Presidente: Ferri
                       Il redattore: Santosuosso
                       Il cancelliere: Di Paola
   Depositata in cancelleria il 5 novembre 1996.
               Il direttore della cancelleria: Di Paola
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