N. 1284 ORDINANZA (Atto di promovimento) 11 gennaio 1994- 4 novembre 1996

                                N. 1284
  Ordinanza   emessa   l'11   gennaio   1994   (pervenuta  alla  Corte
 costituzionale il  4  novembre  1996)  dal  tribunale  amministrativo
 regionale  per  la  Puglia, sezione di Lecce, sul ricorso proposto da
 Blandamura Roberto contro la Commissione provinciale  per  la  tenuta
 del ruolo agenti e rappresentanti di commercio ed altra.
 Professioni - Agenti e rappresentanti di commercio - Condanna per uno
    dei  reati (previsti dall'art. 5, lett. c), della legge n. 207 del
    1985 (nella specie: emissione di assegni a  vuoto))  -  Automatica
    cancellazione   dal   ruolo   -   Mancata   previsione  di  previo
    procedimento disciplinare - Lesione del principio  di  eguaglianza
    in  relazione  ad  altre categorie di professionisti e rispetto ai
    pubblici dipendenti - Incidenza sui diritti al lavoro e di  difesa
    e  sui  principi della tutela del lavoro e di imparzialita' e buon
    andamento della p.a.  - Richiamo a numerose decisioni della  Corte
    in materia.
 (Legge 3 maggio 1985, n. 207, art. 7, n. 1).
 (Cost., artt. 3, 4, 24, 35 e 97).
(GU n.48 del 27-11-1996 )
                 IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE
   Ha  pronunciato  la  seguente  ordinanza  sul  ricorso n. 2088/1988
 proposto dal sig. Blandamura Roberto, rappresentato e  difeso,  anche
 disgiuntamente,  dall'avv.  Riccardo  Occhinegro  e  dall'avv.  Luigi
 Cecinato, ed elettivamente domiciliato in Taranto alla via Plinio  n.
 95 presso lo studio di quest'ultimo;
   contro  la commissione provinciale per la tenuta del ruolo agenti e
 rappresentanti di commercio  in  persona  del  legale  rappresentante
 pro-tempore;   la  Camera  di  commercio,  industria,  artigianato  e
 agricoltura  di  Taranto  in  persona  del  presidente   pro-tempore,
 rappresentata e difesa dall'avv. Piero Relleva e presso il suo studio
 elettivamente domiciliata in Taranto alla via Medaglie d'oro n. 119 e
 in Lecce alla via Braccio Martello n. 58;
   per  l'annullamento della delibera n. 32 del 13 luglio 1988 con cui
 la commissione provinciale  ha proceduto d'ufficio alla cancellazione
 dal ruolo degli agenti e rapprentanti del  sig.  Blandamura  Roberto,
 comunicata  con  nota  del  18  luglio 1988 con cui si procedeva alla
 cancellazione del  ricorrente  per  perdita  dei  requisiti  previsti
 dall'art.  5, punto c), della legge n. 204/1985;
   Visto il ricorso con i relativi allegati;
   Visto l'atto di costituzione in giudizio della Camera di commercio,
 industria, artigianato e agricoltura di Taranto;
   Visti gli atti di causa;
   Udito   nell'udienza  pubblica  dell'11  gennaio  1994  il  giudice
 relatore Giancarlo Luttazi; e uditi altresi' gli  avv.ti  Cecinato  e
 Relleva;
    Ritenuto in fatto e in diritto quanto segue.
                               F a t t o
   1.  -  Il ricorrente, agente di commercio, impugna la deliberazione
 della Commissione provinciale per la iscrizione e la tenuta del ruolo
 degli agenti e  rappresentanti  di  commercio  presso  la  Camera  di
 commercio, industria e artigianato di Taranto di cui al verbale n. 32
 del  13  luglio  1988,  che ne ha disposto la cancellazione dal ruolo
 degli agenti e rappresentanti di commercio per perdita dei  requisiti
 previsti  dall'art.  5,  punto  c)  della legge 3 maggio 1985, n. 204
 (emissione di assegni a vuoto).
   I motivi di ricorso sono cosi' rubricati:
     1) Violazione ed erronea applicazione della legge 3 maggio  1985,
 n.   204;   Eccesso   di   potere  per  illogicita',  erroneita'  dei
 presupposti,  difetto  di  motivazione,   manifesta   ingiustizia   e
 disparita' di trattamento.
     2)  Violazione  ed  erronea applicazione degli artt. 5 e 10 della
 legge n. 204/1985;  Eccesso  di  potere  per  illogicita',  manifesta
 ingiustizia, difetto di motivazione, disparita' di trattamento.
   L'amministrazione   si  e'  costituita,  resistendo  al  ricorso  e
 depositando memorie e documenti.
   Con ordinanza n. 1268/1988 e' stata respinta l'istanza cautelare.
   Con sentenza n. 195/1993 sono stati disposti incombenti istruttori.
   La causa e' passata in decisione all'udienza dell'11 gennaio 1994.
                             D i r i t t o
   1.  - Il ricorrente, agente di commercio, impugna con due motivi di
 ricorso il provvedimento  della  Camera  di  commercio,  industria  e
 artigianato  di Taranto che ne ha disposto la cancellazione dal ruolo
 degli agenti e rappresentanti di commercio per la perdita - a seguito
 di condanna per il reato di  emissione  di  assegni  a  vuoto  -  dei
 requisiti previsti dall'art. 5, lettera c) della legge 3 maggio 1985,
 n. 204, sulla disciplina dell'attivita' di agente e rappresentante di
 commercio.
   2.  -  Entrambi  i  mezzi di gravame, di seguito esaminati, sono da
 respingere. Il primo motivo, pero', investe l'applicazione  dell'art.
 7,  numero  1),  della  legge 3 maggio 1985, n. 204, e poiche' questa
 disposizi'one, rilevante per l'esito della causa, rivela una  portata
 che  il  Collegio ritiene sospetta d'incostituzionalita', s'impone la
 sospensione del giudizio e la  trasmissione  degli  atti  alla  Corte
 costituzionale,  cosi'  come  verra' evidenziato al capo 3 e seguenti
 della presente ordinanza.
   2.1  -    Il  ricorrente  afferma in primo luogo che non si sarebbe
 concretata la perdita del requisito di cui all'art. 5, punto c) della
 legge n. 204/1985.
   In particolare, egli contesta che il reato di emissione di  assegni
 a  vuoto  rientri fra quelli elencati nel ripetuto art. 5, lettera c)
 della legge n. 204/1985, posto che  il  legislatore,  riferendosi  ai
 delitti   contro   la   fede  pubblica,  avrebbe  sicuramente  inteso
 richiamare le sole disposizi'oni di cui al libro secondo, titolo VII,
 del codice penale. Ma l'assunto non puo' condividersi.
   L'art. 5, lettera c), legge n. 204/1985  prevede  per  l'iscrizione
 nel  ruolo,  tra  l'altro,  il requisito di non esser condannato "per
 delitti contro la  pubblica  ammistrazione,  l'amministrazione  della
 giustizia,  la  fede pubblica, l'economia pubblica, l'industria ed il
 commercio, ovvero per delitto di omicidio volontario, furto,  rapina,
 estorsione,  truffa, appropriazione indebita, ricettazione e per ogni
 altro delitto non colposo per il quale la legge commini la pena della
 reclusione non inferiore, nel minimo, a due anni e,  nel  massimo,  a
 cinque anni salvo che non sia intervenuta la riabilitazione".
   L'art.  7,  n.  1)  della  stessa  legge prevede che la commissione
 provinciale per la iscrizione e la tenuta del ruolo  degli  agenti  e
 rappresentanti  di commercio (istituita dal precedente art. 4) adotti
 il provvedimento di cancellazione  dal  ruolo,  tra  l'altro,  quando
 venga  a  mancare  "uno dei requisiti o delle condizioni previste dal
 precedente art. 5".
   Al riguardo deve condividersi la giurisprudenza prevalente (v.   da
 ultimo C.d.S., sez. VI, 7 novembre 1992, n. 850), secondo la quale il
 reato  di  emissione  di  assegni a vuoto (art. 116, r.d. 21 dicembre
 1933, n. 1736, ora abrogato dall'art.  12  della  legge  15  dicembre
 1990,  n.  386),  sia pure non rientrante nelle fattispecie criminose
 comprese nel titolo VII del libro secondo  del  codice  penale,  deve
 intendersi  ricompreso fra i "delitti contro la fede pubblica" di cui
 all'art. 5, lettera c) della legge n. 204/1985.
   Ed invero, come puo' anche evincersi  dalla  particolare  categoria
 dei destinatari dell'art. 5, lettera c), legge n. 204/1985, dalla sua
 connessa  ratio moralizzatrice e dalla stessa sua non particolarmente
 puntuale elencazione, e'  piu'  logico  e  conforme  al  sistema  che
 quest'ultima  consideri  il  bene  o l'interesse protetti dalle norme
 penali richiamate, piuttosto  che  l'aspetto  meramente  formalistico
 delle medesime previsioni penali.
   2.2  -  Col  secondo  mezzo  di  gravame il ricorrente afferma che,
 prevedendo l'art. 10 della citata legge  n. 204/1985 l'iscrizione  di
 diritto  nel ruolo di tutti quegli agenti di commercio che, alla data
 di entrata in vigore della legge medesima, risultassero iscritti  nei
 ruoli previsti dalla precedente legge 12 marzo 1968, n. 316 (la quale
 disciplinava  in precedenza la professione di agente e rappresentante
 di commercio, ed e' stata poi  sostituita  dalla  presente  legge  n.
 204/1985  ed  espressamente  abrogata  dall'art.  12 di quest'ultima,
 n.d.r.), i nuovi requisiti richiesti  dalla  legge  n.  204/1988  non
 potevano  imporsi  al ricorrente:  egli, in quanto gia' iscritto alla
 data di entrata in vigore della suddetta legge  n.  204/1985,  doveva
 essere   iscritto   di   diritto,  senza  alcuna  indagine  circa  la
 sussistenza dei requisiti soggettivi ed oggettivi.
    Nei confronti  del  ricorrente  -  prosegue  il  motivo  -  questa
 indagine  avrebbe dovuto effettuarsi solo dopo 5 anni dall'entrata in
 vigore della legge n. 204/1985,  poiche'  l'art.  5  di  quest'ultima
 prevede la revisione del ruolo ogni 5 anni. Ed in questo caso il sig.
 Blandamura avrebbe avuto il tempo per ottenere la riabilitazione.
   Questi assunti vanno respinti perche' attribuiscono agli artt.  5 e
 10, legge n. 204/1988 una portata di cui sono privi.
    L'art.  10,  con i successivi artt. 11 (che prevede emanande norme
 di attuazione) e 12 (che abroga la  precedente  legge  n.  316/1968),
 concreta la parte finale della legge n. 204/1988, e reca disposizioni
 finali e transitorie.
   L'art.  10  in  esame  riguarda  espressamente  la  fase  di  prima
 applicazione della nuova normativa, e conformemente alla sua funzione
 di  disposizione  transitoria,  non   intende   introdurre   -   come
 sostanzialmente ritenuto
  in  ricorso  -  un sorta d'intangibilita' degli agenti gia' iscritti
 nel precedente ordinamento,  ma  soltanto  prevedere,  tra  le  molte
 opzioni   astrattamente   possibili   (esame,   corso  professionale,
 revisione dei requisiti, ecc.) la  modalita'  piu'  semplice  per  la
 iscrizione  nel  ruolo  degli  agenti  e  rappresentanti di commercio
 istituito dal precedente art. 2:  l'iscrizione di diritto di tutti  i
 soggetti  gia'  iscritti  nei  ruoli,  transitorio  ed effettivo, del
 precedente ordinamento.
   Nessun  argomento  letterale  od  ermeneutico  autorizza  invece  a
 ritenere  che  il  presente  art.  10 abbia inteso derogare, a favore
 degli iscritti  nel  precedente  sistema,  alla  disciplina  generale
 (sopra  delineata  sub  2.1) posta dalla legge n. 204/1985 in tema di
 possesso dei requisiti per l'iscrizione, e di conseguenze in caso  di
 difetto di questi.
   3.  -  L'art.  7,  legge  n.  204/1985  consentiva  dunque, ed anzi
 imponeva  all'amministrazione  intimata   di   disporre   l'impugnata
 cancellazione  del ricorrente - in quanto condannato per emissione di
 assegni a  vuoto  -  dal  ruolo  degli  agenti  e  rappresentanti  di
 commercio.
   Il Collegio, pero', ritiene che la disposizione applicata contrasti
 con  le  norme  costituzionali;  sicche', stante la sua incidenza sul
 presente giudizio, la relativa questione dev'essere  sottoposta  alla
 Corte costituzionale.
   3.1  -  E'  noto  che  nel nostro ordinamento, per effetto di varie
 pronunce della Corte (v. la fondamentale    sentenza  n.  14  ottobre
 1988,  n.  971)  cui il legislatore si e' adeguato con l'art. 9 della
 legge 7 febbraio 1990, n. 19,  vige  oramai  il  principio,  ribadito
 anche  da  successive  pronunce  della  Corte (v. sentenze 18 gennaio
 1991, n. 16; 19 ottobre 1992,  n.  403;  19  aprile  1993,  n.  197),
 secondo  il  quale  le  sanzioni  discipinari  espulsive dei pubblici
 dipendenti (anche prescindendo dal nomen juris adottato, v. la citata
 sentenza n. 197/1993)  non  possono    conseguire  automaticamente  a
 condanne  penali  ma  debbono  invece essere precedute da un apposito
 procedimento disciplinare.
   Analogo principio e' stato individuato dalla Corte  per  le  libere
 professioni  (per  i notai v. la sentenza 2 febbraio 1990, n. 40, che
 ha dichiarato l'illegittimita' costituzionale dell'art.  142,  ultimo
 comma,  della  legge  16  febbraio  1913,  n.  89, nella parte in cui
 prevedeva la destituzione di diritto del notaio che avesse  riportato
 condanna  per  uno  dei reati previsti nell'art. 5, n. 3 della stessa
 legge; per i dottori commercialisti v. la sentenza 4 aprile 1990,  n.
 158,  che ha dichiarato l'illegittimita' costituzionale dell'art. 38,
 d.P.R.    27  ottobre  1953,  n.  1067  nella parte in cui prevede la
 radiazione di diritto dall'albo per effetto di condanna penale).
   Il principio - basato, oltre che sulla tutela del lavoro (artt.   4
 e   35   Cost.)  e  del  buon  andamento  amministrativo  (art.  97),
 soprattutto sui principi fondamentali di  ragionevolezza  chiaramente
 desumibili  dall'art. 3 della Costituzione, stante l'irragionevolezza
 di una sanzione non proporzionale all'addebito ma "automatica" -  non
 e'   invece   applicabile,   per   l'attuale  "diritto  vivente",  ai
 provvedimenti  espulsivi  ma  non  disciplinari,  che  conseguono  di
 diritto alla constatazione da parte della p.a. - nell'esercizio di un
 potere  di  vigilanza su di un rapporto autorizzatorio, concessorio o
 derivante  da  ammissione  -  di  un  requisito  soggettivo  per   la
 prosecuzione   di   quel   rapporto   (v.  la  sentenza  della  Corte
 costituzionale,  8  luglio  1992,  n.  326,  in  tema  di  automatica
 cancellazione  dall'albo  per  l'iscritto  al consiglio nazionale dei
 geometri dichiarato fallito; nonche' la sentenza della stessa Corte 1
 luglio  1993,  n.  297  in  materia  di   decadenza   automatica   di
 autorizzazione  all'esercizio  di  farmacia  per  effetto di condanna
 penale che comporti l'interdizione perpetua o temporanea dai pubblici
 uffici ovvero dalla professione).
   3.2 - Venendo alla presente controversia, il Collegio  ritiene  che
 l'art.  7,  n.  1)  della  legge n. 204/1985 -   laddove in combinato
 disposto col precedente l'art. 5, lettera c) impone la  cancellazione
 dal  ruolo  per  effetto  di  condanna  penale  - imponga in sostanza
 l'adozione di un provvedimento analogo alla destituzione  di  diritto
 senza prevedere anche un pregresso procedimento disciplinare, e violi
 pertanto  i  principi costituzionali individuati dalla Corte, nonche'
 il principio di uguaglianza e quello di  ragionevolezza  sotto  altro
 profilo.
   Si  e'  visto che l'art. 7, n. 1), legge n. 204/1985 prevede che la
 commissione provinciale adotti il provvedimento di cancellazione  dal
 ruolo  quando  venga  a mancare "uno dei requisiti o delle condizioni
 previste dal precedente art. 5".
   L'art. 5 (nel testo modificato dall'art. 2 della  legge  15  maggio
 1986,  n.  190)  recita  invece,  quanto  ai requisiti: "Per ottenere
 l'iscrizione nel ruolo il richiedente deve  essere  in  possesso  dei
 seguenti  requisiti:  a) essere cittadino italiano o cittadino di uno
 degli  Stati  membri  della  Comunita'  economica   europea,   ovvero
 straniero  residente  nel  territorio  della  Repubblica italiana; b)
 godere dell'esercizio dei diritti civili; c) non essere interdetto  o
 inabilitato,  fallito,  condannato,  per  delitti  contro la pubblica
 amministrazione, l'amministrazione della giustizia, la fede pubblica,
 l'economia pubblica, l'industria ed il commercio, ovvero per  delitto
 di   omicidio   volontario,   furto,   rapina,   estorsione,  truffa,
 appropriazione indebita, ricettazione e per ogni  altro  delitto  non
 colposo  per  il  quale la legge commini la pena della reclusione non
 inferiore, nel minimo, a due anni e, nel massimo, a cinque anni salvo
 che non sia intervenuta  la  riabilitazione;  d)  avere  assolto  gli
 impegni  derivanti  dalle  norme  relative  alla  scuola dell'obbligo
 vigenti al momento dell'eta' scolare dell'interessato, conseguendo il
 relativo titolo".
   Dall'esame del testo si rileva che mentre i requisiti di  cui  alle
 lettere  a), b), d) e alla prima parte della  lettera c) attengono al
 possesso di qualita' giuridiche ben  definite  (status  di  cittadino
 (italiano  o  comunitario),  di  straniero residente, di titolare dei
 diritti  civili,  di  titolare  di  piena  capacita'  giuridica  (non
 interdetto, non inabilitato, non fallito); di licenziato dalla scuola
 dell'obbligo) per converso il requisito previsto nella seconda  parte
 della  lettera  c) consiste nell'assenza di condanne per una lunga ed
 eterogenea serie di delitti, accomunati soltanto o dall'affinita' del
 bene  giuridico  offeso  (in  qualche  modo  attinente  all'attivita'
 propria  degli agenti e rappresentanti di commercio) o dalla gravita'
 di alcuni dei reati previsti.
   La cancellazione per difetto dei requisiti di cui alle lettere  a),
 b),  d)  e  alla  prima  parte  della  lettera  c) e' assimilabile ai
 provvedimenti meramente espulsivi di cui alle citate  sentenze  della
 Corte  costituzionale  n.  326/1992 e n. 297/1993 (v. supra sub 3.1).
 In entrambi i casi, infatti, l'espulsione consegue alla perdita di un
 preciso  requisito  soggettivo  per  la  prosecuzione  del  rapporto;
 perdita  che  concreta  per lo piu' una sopravvenuta (o preesistente)
 specifica deminutio di capacita' giuridica (fallimento, perdita della
 cittadinanza  o  del  godimento  dei  diritti  civili,  interdizione,
 inabilitazione, ecc.).
   Invece  la  cancellazione  per  una delle condanne penali di cui al
 ripetuto  art.  5,  lettera   c),      seconda   parte,   conseguendo
 automaticamente  alla  constatazione  giudiziale della commissione di
 uno qualsiasi dei molteplici illeciti  penali  previsti  in  apposita
 elencazione,   concreta   un   meccanismo   giuridico  di  automatica
 espulsione che risulta analogo a  quello  delle  soppresse  forme  di
 destituzione  di diritto dei pubblici dipendenti e dei notai, o della
 soppressa radiazione dei dottori commercialisti (v. supra sub 3.1).
   In quanto tale  anche  questa  specifica  forma  di  cancellazione,
 poiche'  prevista senza un previo procedimento (non puo' considerarsi
 procedimento  la  mera  previa  audizione  dell'interessato  prevista
 dall'art.  7,  quarto  comma,  legge  n. 204/1985), vi'ola i principi
 costituzionali, pure descritti sub 3.1,  piu'  volte  indicati  dalla
 Corte.
   La  stessa  cancellazione,  inoltre, si pone anche in contrasto col
 principio di ragionevolezza sotto  un  diverso  profilo,  poiche'  le
 condanne  cui,  ai sensi della disposizione gravata, consegue in ogni
 caso la cancellazione  presentano  caratteristiche  di  natura  e  di
 gravita'  estremamente  varie;  e  i  relativi delitti, in assenza di
 ulteriori specificazioni,  potrebbero  spaziare  da  illeciti  penali
 anche  lievi, come poteva risultare (prima dell'abrogazione dell'art.
 116,  r.d.    n.  1736/1933)  l'emissione  di  un  assegno  privo  di
 copertura,  a  reati  gravissimi  e  di  natura affatto diversa, come
 l'omicidio.
   La  medesima  cancellazione,  infine,  risulta  in  contrasto   col
 principio  di  uguaglianza,  stante  l'assenza  nell'ordinamento,  in
 virtu' dell'art.   9, legge n. 19/1990  e  delle  piu'  volte  citate
 sentenze  della  Corte costituzionale, di norme analoghe per analoghe
 situazioni.
   4. - In conclusione il Collegio  ravvisa  la  rilevanza  e  la  non
 manifesta infondatezza della questione di legittimita' costituzionale
 dell'art.  7, numero 1) della legge 3 maggio 1985, n. 207 nella parte
 in cui, in caso di condanna per uno dei reati previsti nel precedente
 art.    5,  lettera  c), prevede l'automatica cancellazione, senza un
 previo  procedimento  disciplinare,  dal   ruolo   degli   agenti   e
 rappresentanti di commercio.
   Ritiene  in  particolare  il  Collegio che la disposizione in esame
 concreti una violazione:
     del principio di  ragionevolezza  desumibile  dall'art.  3  della
 Costituzione,  anche  sotto  il  profilo  specificato al capo 3.2 che
 precede;
     del principio di uguaglianza di cui allo stesso art. 3;
     delle norme costituzionali a tutela del  lavoro  (artt.  4  e  35
 Cost.)  e  del  buon  andamento  della pubblica amministrazione (art.
 97);
     del diritto di difesa, da esercitare in apposito procedimento, di
 cui all'art. 24 della Costituzione.
   Va pertanto disposta - ai sensi degli artt. 134 della Costituzione;
 1 della legge costituzionale 9 febbraio 1948, n. 1; 23 della legge 11
 marzo 1953, n. 87  -  la  sospensione  del  presente  giudizio  e  la
 trasmissione   degli  atti  alla  Corte  costituzionale,  oltre  agli
 ulteriori adempimenti di legge meglio indicati in dispositivo.
                               P. Q. M.
   Il tribunale amministrativo regionale per  la  Puglia,  sezione  di
 Lecce,  visti  gli  artt.  134  della  Costituzione;  1  della  legge
 costituzionale 9 febbraio 1948, n. 1; 23 della legge 11  marzo  1953,
 n.  87;  1  delle  norme integrative per i giudizi davanti alla Corte
 costituzionale  di  cui  alla  deliberazione   della   stessa   Corte
 costituzionale  in  data  16  marzo  1956;  dichiara  rilevante e non
 manifestamente infondata - per violazione delle norme  costituzionali
 indicate  al  capo  4  della  presente  ordinanza  -  la questione di
 legittimita' costituzionale dell'art. 7,  numero  1)  della  legge  3
 maggio  1985,  n. 207 nella parte in cui, in caso di condanna per uno
 dei reati  previsti  nel  precedente  art.  5,  lettera  c),  prevede
 l'automatica    cancellazione,    senza    un   previo   procedimento
 disciplinare, dal ruolo degli agenti e rappresentanti di commercio;
   Sospende il presente giudizio;
   Ordina  la   immediata   trasmissione   degli   atti   alla   Corte
 costituzionale   con   la   prova   delle  avvenute  notificazioni  e
 comunicazioni di cui al punto che segue;
   Dispone che a cura  della  segreteria  del  tribunale  la  presente
 ordinanza  sia  notificata  alle  parti  in causa e al Presidente del
 Consiglio dei Ministri, e comunicata ai Presidenti delle  due  Camere
 del Parlamento.
   Cosi'  deciso in Lecce, presso la sede del tribunale amministrativo
 regionale, nella Camera di consiglio  dell'11 gennaio 1994.
                         Il presidente: Catoni
                                                  L'estensore: Luttazi
 96C1786