N. 1289 ORDINANZA (Atto di promovimento) 30 aprile 1996

                                N. 1289
  Ordinanza  emessa  il  30  aprile 1996 dalla Corte di cassazione sul
 ricorso proposto da Bernocco Raffaella quale erede di Aniello Eugenia
 contro l'I.N.P.S.
 Previdenza e  assistenza  sociale  -  Pensioni  I.N.P.S.  -  Previsto
    pagamento  dei  rimborsi  conseguenti  alle  sentenze  della Corte
    costituzionale  nn.  495/1993  e  240/1994  in  sei  annualita'  e
    mediante  emissione  di  titoli  di Stato - Estinzione dei giudizi
    pendenti alla data di entrata in vigore della normativa  impugnata
    con  compensazione  delle spese tra le parti - Diritto al rimborso
    limitato  ai   superstiti   aventi   titolo   alla   pensione   di
    riversibilita'  alla  data  di  entrata  in vigore della normativa
    impugnata - Conseguente esclusione degli altri  successori  mortis
    causa  -  Violazione del principio di uguaglianza e del diritto di
    difesa.
 (D.-L. 28 marzo 1996, n. 166, art. 1, commi 2 e 3).
 (Cost., artt. 3 e 24).
(GU n.49 del 4-12-1996 )
                    LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
   Ha  pronunciato  la  seguente  ordinanza  sul  ricorso  proposto da
 Bernocco Raffaella, quale erede  di  Aniello  Eugenia,  elettivamente
 domiciliata  in  Roma,  via  Arno  n.  47, presso lo studio dell'avv.
 Franco Agostini che la rappresenta e difende per procura  speciale  a
 margine  del  ricorso  per  cassazione,  ricorrente,  contro Istituto
 Nazionale  della  Previdenza  Sociale  -  I.N.P.S.,  in  persona  del
 presidente  pro-tempore, elettivamente domiciliato in Roma, via della
 Frezza n. 17, presso gli avvocati Andrea Barbuto, Carlo De Angelis  e
 Gabriella  Pescosolido,  che  lo  rappresentano  e  difendono, giusta
 delega in atti, resistente  con  procura;  per  l'annullamento  della
 sentenza  del  Tribunale  di Trani n. 345 depositata il 6 maggio 1994
 r.g.n. 4976/1992;
   Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 30
 aprile 1996 dal consigliere relatore  dott. Vincenzo Castiglione;
   Udito il p.m. in persona del sostituto procuratore  generale  dott.
 Antonio  Martone,  che  ha formulato le seguenti conclusioni: "chiede
 che venga sollevata, perche' non manifestamente infondata,  questione
 di  legittimita' costituzionale, cosi' come eccepita dal ricorrente a
 condizione che in ogni caso risulti la titolarita' del  diritto  alla
 doppia  integrazione  in  capo al dante causa; ritiene manifestamente
 infondata la questione di legittimita'  costituzionale  in  relazione
 all'art. 136 della Costituzione del decreto-legge in questione, nella
 parte  in  cui  interviene  sugli effetti di una precedente decisione
 della Corte costituzionale".
                        Svolgimento del processo
   Con sentenza, resa il 14 aprile 1994 e depositata il 6 maggio 1994,
 il Tribunale di Trani, in accoglimento   dell'appello proposto  il  5
 ottobre  1992  dall'INPS,  riformava  la  pronunzia  con  la quale il
 pretore della stessa  sede aveva rigettato l'opposizione  avverso  il
 decreto ingiuntivo emesso, su istanza di Eugenia Aniello, titolare
  di  pensione  di  reversibilita'  con  decorrenza  antecedente  al 1
 ottobre 1983, nonche' di altro  trattamento    pensionistico  e,  per
 l'effetto, revocava il provvedimento monitorio, dopo avere preso atto
 della  (sopravvenuta)  legge  n. 537 del 1993, (contenente interventi
 correttivi di finanza pubblica), ed  in  particolare,  dell'art.  11,
 comma 22.
   Avverso tale sentenza, ha proposto ricorso per cassazione Raffaella
 Bernocco, quale erede di Eugenia Aniello, deducendo un solo motivo di
 censura.
   L'INPS  si  e'  costituito  in  giudizio  mediante  deposito  della
 procura.
                         Motivi della decisione
   Con l'unico motivo,  la  ricorrente  denuncia  violazione  e  falsa
 applicazione  del  settimo comma e degli  altri commi dell'art. 6 del
 d.-l. 12 settembre 1983 n. 463, convertito nella  legge  11  novembre
 1983, n. 638, nonche' dell'art. 11, comma 22, della legge 24 dicembre
 1993, n. 537, ai sensi della sentenza n. 240 del 10 giugno 1994 della
 Corte  costituzionale  e vizio di motivazione (art. 360, n. 3 e n. 5,
 cod. proc. civ.).
   Deduce la ricorrente che l'istituto  della  c.d.  cristallizzazione
 dell'importo  della  pensione  alla  data  di  cessazione del diritto
 all'integrazione al minimo di cui all'art. 6,  comma  settimo,  della
 legge  n.  638  del  1983,  e' riferito espressamente alle ipotesi di
 cessazione del diritto all'integrazione al minimo per superamento dei
 limiti di reddito e che questa regola non puo',  pertanto,  riferirsi
 all'ipotesi  di  seconda  pensione gia' integrata al minimo, che deve
 essere  corrisposta  a calcolo a decorrere dal 1 ottobre 1983. Questo
 perche' l'art. 11, comma 22, della legge n. 537 del 1993  (che  aveva
 interpretato autenticamente l'art. 6, commi 5, 6 e 7 d.-l. n. 463 del
 1983) e' stato dichiarato costituzionalmente illegittimo con sentenza
 n. 240 del 10 giugno 1994 della Corte costituzionale.
   La Corte rileva che: in relazione alla questione, che forma oggetto
 della  presente  controversia,  si e' consolidato - come e' noto - un
 orientamento della giurisprudenza di legittimita' secondo  il  quale,
 ai  sensi del   combinato disposto dell'art. 6 del d.-l. 12 settembre
 1983, n. 463, convertito nella legge 11  novembre  1983,  n.  638,  e
 dell'art.  11,  comma  22,  legge 24 dicembre 1993, n. 537, nel testo
 risultante a seguito della sentenza  n.  240  del  1994  della  Corte
 costituzionale, il titolare di due (o piu') pensioni, tutte integrate
 o  integrabili al trattamento minimo alla data del 30 settembre 1983,
 al quale competa il diritto all'integrazione  al  trattamento  minimo
 della  pensione  individuata  a norma del comma terzo dell'art. 6 del
 decreto-legge n. 463/1983 cit.,  ha  diritto  al  mantenimento  delle
 ulteriori  pensioni nell'importo cristallizzato al 30 settembre 1983,
 fino ad assorbimento negli  aumenti  della  pensione  base  derivanti
 dalla perequazione automatica, purche' non superi i limiti di reddito
 indicati nel primo comma dello stesso art. 6.
   Inoltre,   a  norma  dell'art.  442  cod.  proc.  civ.,  nel  testo
 risultante dalla sentenza della Corte costituzionale  n. 156 del 1991
 (applicabile  fino  all'entrata  in  vigore  della  nuova  disciplina
 contenuta nell'art.  16, comma 6,  della legge n. 412 del 30 dicembre
 1991),  sulle  somme per crediti relativi a prestazioni previdenziali
 sono dovuti gli interessi nella misura legale  ed  il  maggior  danno
 eventualmente   derivante   dalla  svalutazione  monetaria;    ed  e'
 innegabile che, in tali prestazioni, debba essere  ricompresa  quella
 pretesa dall'attuale ricorrente, posto
  che   l'integrazione  al  minimo  e'  qualificabile  come  "istituto
 previdenziale fondato sul principio di solidarieta'" (Corte cost.  10
 giugno 1994, n. 240).
   Con  il  d.-l.  28  marzo  1996,  n. 166 (pubblicato nella Gazzetta
 Ufficiale 29 marzo 1996, n. 75) si e', pero', stabilito,  all'art.  1
 per quanto qui interessa che:
     1)  il  rimborso  delle somme, maturate fino al 31 dicembre 1995,
 sui trattamenti  pensionistici  erogati    dagli  enti  previdenziali
 interessati, in conseguenza delle sentenze della Corte costituzionale
 n.   495  del  1993  e  n.  240  del  1994,  e'  effettuato  mediante
 assegnazione agli aventi diritto di titoli  di  Stato  aventi  libera
 circolazione  (primo comma);
     2)  tale  rimborso  avverra'  in sei annualita', sulla base degli
 elenchi riepilogativi  che  gli  enti  provvederanno  annualmente  ad
 inviare al Ministero del tesoro;
     3)  il  diritto al rimborso delle somme arretrate di cui al primo
 comma spetta ai soli interessati, nonche' ai loro  superstiti  aventi
 titolo alla pensione di reversibilita' alla data di entrata in vigore
 del  decreto (comma secondo), con la conseguenza che devono ritenersi
 esclusi da  quella  attribuzione  coloro  che  siano  subentrati  nel
 patrimonio dei creditori originari per successione mortis causa;
     4) nella determinazione dell'importo maturato al 31 dicembre 1995
 non concorrono gli interessi e la  rivalutazione monetaria;
     5)  la  verifica  annuale del requisito reddituale per il diritto
 all'integrazione del trattamento e' effettuata non solo in  relazione
 ai  redditi  riferiti  all'anno  1983,  ma  anche  con riferimento ai
 redditi degli anni successivi;
     6) i  giudizi  pendenti  alla  data  di  entrata  in  vigore  del
 decreto-legge  aventi  ad oggetto le questioni di cui all'art. 1 sono
 dichiarati estinti d'ufficio con compensazione  delle  spese  tra  le
 parti, mentre restano privi di effetto i provvedimenti giudiziali non
 ancora definitivi (comma terzo).
   La ricorrente, rivestendo la qualita' di erede, rimarrebbe, dunque,
 esclusa  dai rimborsi previsti dalla normativa in esame. Il risultato
 che, con tale disposizione, il  d.-l.  n.  166  del  1996  ha  inteso
 conseguire, suscita peraltro, come puntualmente dedotto dal difensore
 della  stessa  ricorrente  (il  quale non ha mancato di ricordare che
 l'art. 11, comma 22, legge n. 537/1993, che aveva previsto, nel  caso
 di concorso di due o piu' pensioni integrate al minimo, liquidate con
 decorrenza anteriore alla data di entrata in vigore del decreto-legge
 n.  463/1983,  l'esclusione - ferma restando l'integrazione su di una
 sola delle pensioni - della c.d. cristallizzazione per le  altre,  e'
 stato  dichiarato  illegittimo  dalla  sentenza n. 240 del 1994 della
 Corte costituzionale), dubbi in ordine alla sua legittimita' sotto il
 profilo costituzionale.
   Viene, in primo luogo,  in  considerazione,  ad  avviso  di  questa
 Corte, l'art. 3, comma primo, Cost.
   L'esclusione  degli  eredi  dei  titolari  di  pensioni integrabili
 dall'area dei destinatari  dei  benefici  previsti  dall'art.  1  del
 decreto-legge n. 166 del 1996 solleva - in relazione al citato art. 3
 della  Costituzione - un dubbio di costituzionalita' sotto un duplice
 profilo.
   Premesso che sussiste la rilevanza della questione di  legittimita'
 costituzionale, poiche', senza la preventiva decisione in ordine alla
 legittimita'   costituzionale   dell'art.   1  del  decreto-legge  n.
 166/1996, non sarebbe possibile esaminare e decidere la  controversia
 sottoposta al vaglio di questo Collegio (Cass. 1 aprile-2 maggio 1996
 -  Ord.  n.  382)  e  poiche',  nell'ordine logico delle questioni da
 affrontare, e'  da  ritenersi,  senz'altro,  prioritaria  quella  che
 concerne  la  titolarita'  del  diritto,  cioe'  di  un  requisito di
 carattere generale direttamente rilevabile, la cui mancanza  preclude
 ogni  ulteriore  accertamento circa il possesso degli altri requisiti
 da valutarsi, invece, caso per caso, in  base  ad  altra  (complessa)
 indagine  (Corte  cost.  n.  436  del  1988), la Corte osserva quanto
 segue.
   In primo luogo, essendo la successione mortis causa nei beni del de
 cuius istituto di carattere  generale  e  riguardando  essa  anche  i
 crediti  di  costui anteriori al decesso, la deroga operata dall'art.
 1 decreto-legge n. 166 del 1996 in danno degli eredi dei titolari  di
 pensioni   integrabili   (non   aventi   titolo   alla   pensione  di
 reversibilita') concretizza un'evidente  disparita'  di  trattamento,
 che  non  appare sorretta da alcuna ragione plausibile (v. Cass. ord.
 405/1996).
   Inoltre, il collegamento instaurato, dallo stesso decreto-legge  n.
 166/1996,  tra il diritto al rimborso delle somme maturate fino al 31
 dicembre 1995 e la sussistenza in vita del  soggetto  interessato  al
 momento  della  sua  entrata  in  vigore, a giudizio di questa Corte,
 introduce,  nella  disciplina  de  qua,  un  elemento   di   assoluta
 casualita'  (qual'e'  quello  dell'epoca  della morte dell'originario
 beneficiario),  che  da'  luogo  ad   un'ulteriore   ed   irrazionale
 disparita'   di   trattamento   con   riferimento  al  medesimo  bene
 patrimoniale. Il rimborso, infatti, non spetterebbe agli eredi ove il
 decesso del loro de cuius sia avvenuto - come nella fattispecie -  in
 epoca  anteriore  al  30  marzo 1996 (alla data, cioe', di entrata in
 vigore del decreto-legge n. 166 del 1996), e di esso  usufruirebbero,
 al   contrario,   coloro  per  i  quali  la  successione  si  apra  -
 eventualmente - in un momento posteriore a tale data. A questo punto,
 richiamata l'ordinanza di questa Corte  n.  382/1996,  un  dubbio  di
 costituzionalita', riguarda, altresi', il terzo comma dell'art. 1 del
 (piu'  volte  richiamato)  decreto-legge  di cui trattasi, secondo il
 quale - come precisato - i giudizi pendenti alla data di  entrata  in
 vigore  dello stesso decreto-legge, aventi ad oggetto le questioni di
 cui all'art. 1, sono dichiarati estinti d'ufficio  con  compensazione
 delle  spese  tra  le  parti,  mentre  restano  privi  di  effetto  i
 provvedimenti giudiziali non ancora definitivi.
   Per individuare, alla stregua  dell'art.  24  Cost.,  i  limiti  di
 costituzionalita' dell'intervento del legislatore nel processo quando
 ne  venga  definito  l'esito  attraverso  una norma che impone la sua
 estinzione, occorre avere riguardo alla  giurisprudenza  della  Corte
 costituzionale,  nella  quale  si  e'  fatto  riferimento, in termini
 generali, al rapporto tra tale tipo di  intervento  ed  il  grado  di
 realizzazione accordato, per via legislativa alla pretesa azionata.
   Ed   e'  stato,  conseguentemente,  affermato  che,  ove  la  legge
 sopravvenuta  abbia  soddisfatto,  anche  se  non  integralmente,  le
 ragioni   fatte   valere   nei   giudizi  dei  quali  imponeva,  poi,
 l'estinzione sia da  escludersi  l'illegittimita'  costituzionale  di
 tale  ultima previsione in quanto il diritto di azione non puo' dirsi
 vulnerato allorche' l'ambito delle situazioni giuridiche di cui  sono
 titolari  gli interessati risulti comunque arricchito a seguito della
 normativa che da' luogo all'estinzione dei giudizi  (Corte  cost.  10
 dicembre 1981, n. 185, e 31 marzo 1995, n. 103).
   Si  e'  ritenuto,  viceversa,  che,  quando  lo ius superveniens si
 opponga alle richieste  degli  interessati  ed  alla  interpretazione
 giurisprudenziale  ad  essi  favorevole  stabilendo  l'estinzione dei
 processi in corso, e si operi cosi'  da  parte  del  legislatore  una
 sostanziale  vanificazione della tutela giurisdizionale, intesa quale
 mezzo al fine dell'attuazione di  un  preesistente  diritto,  sia  da
 ravvisarsi  la  violazione  del  diritto di agire, di cui all'art. 24
 della Costituzione (Corte cost. 10 aprile 1987, n. 123,  e  31  marzo
 1995, n. 103, citata).
   Il  decreto-legge n. 166 del 1986, nello stabilire l'estinzione ope
 legis dei giudizi in corso, ha - come sopra  precisato - escluso  poi
 che,  sugli  importi  maturati fino al 31 dicembre 1995, spettanti ai
 soggetti  interessati  ed  ai  loro  superstiti  aventi  titolo  alla
 pensione di reversibilita', possano essere computati gli accessori di
 legge  (interessi  legali  e  rivalutazione monetaria), dei quali gli
 aventi diritto alla integrazione al  minimo  verrebbero,  quindi,  ad
 essere    privati,    nonostante   la   consolidata   interpretazione
 giurisprudenziale (costituente "diritto vivente") ad essi favorevole.
   Poiche' lo ius superveniens e' preordinato non gia'  ad  arricchire
 la  situazione  patrimoniale degli interessati, bensi' a depauperarla
 attraverso l'esclusione degli "accessori" del credito,  e'  legittimo
 il  dubbio  di  costituzionalita'  della  disposizione  in  esame, in
 relazione all'art. 24 della Costituzione.
   Dubbio  che assume consistenza ancora piu' evidente con riferimento
 ai soggetti estranei all'area dei beneficiari, quale individuata  dal
 decreto-legge  n.  166 del 1996 (da individuarsi in coloro che - come
 nella specie - agiscono in qualita' di eredi); poiche' a  costoro  e'
 negata  perfino  l'erogazione dei ratei medio tempore (eventualmente)
 maturati in loro favore, oltre che - ovviamente - degli accessori dei
 crediti da essi pretesi.
   Il dubbio di legittimita' costituzionale, infine, investe il  terzo
 comma   dell'art.   1   anche  nella  parte  in  cui  stabilisce  che
 all'estinzione dei giudizi consegue la "compensazione delle spese tra
 le parti".
   Con tale disposizione si sottrae, infatti, al giudice della pretesa
 sostanziale dedotta in giudizio, un  punto  accessorio  ma  rilevante
 della  controversia,  che,  anche  per i riflessi di ordine economico
 sull'entita' dell'incremento  in  concreto  realizzato  dal  soggetto
 vittorioso, non puo' essere pregiudicato, senza che resti vulnerato e
 compromesso, ancora una volta, l'art. 24 della Costituzione.
   Per  tutte  le  suesposte  considerazioni stante la rilevanza e non
 manifesta infondatezza della questione di legittimita' costituzionale
 delle disposizioni del d.-l. 28 marzo 1996, n. 166,  sopra  indicate,
 gli  atti  devono  essere trasmessi alla Corte costituzionale e deve,
 nel contempo, disporsi che, a cura della cancelleria, siano adempiute
 le notificazioni e le comunicazioni  prescritte  dall'art.  23  della
 legge 11 marzo 1953, n. 87, come precisato in dispositivo.
                                P. Q. M.
   La  Corte di cassazione, visto l'art. 23 della legge 11 marzo 1953,
 n.  87,  dichiara  rilevante  e  non  manifestamente    infondata  la
 questione  di  legittimita'  costituzionale dell'art. 1, commi 2 e 3,
 del decreto-legge n. 166 del 28 marzo    1996,  nella  parte  in  cui
 esclude  la  tutela  del  diritto  degli  eredi  del  pensionato, non
 titolari del diritto alla pensione di   reversibilita';  che  prevede
 che   i   giudizi  pendenti  alla  data  di  entrata  in  vigore  del
 decreto-legge, aventi ad oggetto  le questioni di cui all'art. 1 sono
 dichiarati estinti d'ufficio con compensazione  delle  spese  tra  le
 parti, in relazione  agli articoli 3 e 24 della Costituzione;
   Dispone    l'immediata   trasmissione   degli   atti   alla   Corte
 costituzionale e la sospensione del giudizio in corso;
   Ordina che, a cura della cancelleria,  la  presente  ordinanza  sia
 notificata  alle  parti,  al procuratore generale  presso la Corte di
 cassazione  ed  al  Presidente  del  Consiglio  dei  Ministri  e  sia
 comunicata ai Presidenti delle  due Camere del Parlamento.
     Cosi' deciso in Roma il 30 aprile 1996.
                       Il presidente: Buccarelli
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