N. 1294 ORDINANZA (Atto di promovimento) 10 ottobre 1996
N. 1294 Ordinanza emessa il 10 ottobre 1996 dal pretore di Massa sul ricorso proposto da Tavarini Stefania contro il Ministero della sanita' Salute (tutela della) - Trattamenti sanitari - Vaccinazione antipoliomielitica - Danni riportati dal vaccinato - Indennizzo - Esclusione per menomazioni permanenti dell'integrita' fisica dei soggetti sottoposti a vaccinazione antipoliomielitica non obbligatoria dopo l'entrata in vigore della legge n. 695/1959 - Violazione del principio di uguaglianza e della garanzia previdenziale - Riferimento alla sentenza della Corte costituzionale n. 118/1996. (Legge 25 febbraio 1992, n. 210, art. 1). (Cost., artt. 3, primo comma, 2 e 38).(GU n.49 del 4-12-1996 )
IL PRETORE All'esito della discussione, ha pronunciato la seguente ordinanza nella causa n. 642/1995 promossa da Tavarini Stefania contro il Ministero della sanita'. F a t t o Stefania Tavarini ha convenuto il Ministero della sanita' davanti a questo pretore, in funzione di giudice del lavoro, allegando di aver contratto la poliomielite in conseguenza della vaccinazione antipolio praticatale con metodo Sabin il 21 marzo 1964 ed il 20 aprile 1964, quando la ricorrente (nata il 19 agosto 1963) aveva circa sette mesi. La patologia le aveva causato rilevanti postumi permanenti, che diverse operazioni chirurgiche non avevano neppure attenuato, ed in ragione dei quali era stata riconosciuta invalida civile al 70%. Proposta, il 6 giugno 1994, domanda di riconoscimento dell'indennizzo di cui all'art. 1 della legge 26 febbraio 1992, n. 210, la sua istanza era stata respinta dal Ministero della sanita', in quanto la norma sopra richiamata era applicabile, secondo l'Amministrazione competente, unicamente ai soggetti che avessero contratto la patologia a seguito di vaccinazione obbligatoria, quale non era ancora, nel 1964, la vaccinazione antipolio (imposta solo con la legge 4 febbraio 1966, n. 51, intitolata appunto "obbligatorieta' della vaccinazione antipoliomielitica"). Di qui il presente giudizio, nel quale la Tavarini ha chiesto la corresponsione dell'indennizzo previsto dalla legge, calcolato, in tesi, secondo i criteri propri della valutazione del danno alla persona, in ipotesi, secondo le modalita' descritte dalla legge n. 210/1992, ma con decorrenza dalla data del fatto dannoso, in ipotesi gradata, secondo i criteri della legge n. 210 e con decorrenza dalla data della domanda amministrativa. A sostegno della propria domanda l'attrice ha dedotto, in primo luogo, la "sostanziale obbligatorieta'" della vaccinazione de qua gia' all'epoca dei fatti di causa, in ragione della previsione dell'art. 3 della legge 30 luglio 1959, n. 695 ("provvedimenti per rendere integrale la vaccinazione antipoliomelitica"), come interpretato dalle Autorita' sanitarie competenti. La disposizione prevedeva invero che per l'ammissione "agli asilo nido, alle sale di custodia, ai brefotrofi, agli asili infantili, alle scuole materne, alle scuole elementari, ai collegi, alle colonie climatiche ed a qualsiasi altra collettivita' di bambini, da quattro mesi a sei anni" fosse richiesta all'atto dell'iscrizione o della ammissione la presentazione dell'attestato di avvenuta vaccinazione antipolio, rilasciato dall'ufficio sanitario di ogni comune, peraltro consentendo comunque l'ammissione qualora fosse presentato un certificato medico attestante "le ragioni di salute per le quali il bambino non era in grado di subire la vaccinazione, oppure una dichiarazione, sottoscritta dall'esercente la patria potesta' o la tutela, di non voler sottoporre il bambino alla vaccinazione". Alle disposizioni di legge la direzione generale servizi igiene pubblica e ospedali del Ministero della sanita' aveva dato attuazione emanando una serie di circolari nelle quali si invitavano i sindaci, quali autorita' sanitarie locali, a diffondere la pratica della vaccinazione, inviando (su modelli standard approntati dallo stesso Ministero, e prodotti in causa) alle famiglie con bambini di eta' compresa tra i tre mesi e l'anno (epoca nella quale la vaccinazione doveva essere preferibilmente eseguita) comunicazione della natura del vaccino e dei suoi effetti, omettendo tuttavia di avvertire della possibilita' legislativamente prevista di rifiutare il trattamento vaccinale. Una tale capillare azione di propaganda, secondo la prospettazione della difesa attrice, avrebbe indotto la generalita' dei cittadini a sottoporre i propri figli alla vaccinazione, cosi' attuandosi la ripetizione costante ed uniforme di un comportamento da parte di una collettivita'. Peraltro il mancato avvertimento in ordine alla possibilita' di rifiutare il trattamento, avrebbe ingenerato nei cittadini la convinzione della giuridica obbligatorieta' di quel comportamento costantemente ed uniformente tenuto, determinando cosi il sorgere di una consuetudine normativa praeter legem, che avrebbe reso la vaccinazione obbligatoria gia' prima della legge 4 febbraio 1966, n. 51, sopra richiamata. Ne deriverebbe la possibilita' di interpretare estensivamente la disposizione dell'art. 1, comma 1, della legge n. 210/1992, cosi' accogliendosi la domanda di indennizzo. Diversamente letta, comunque, secondo la difesa attrice, la norma sarebbe confliggente con gli artt. 3 e 32 della Costituzione, in quanto differenzierebbe irragionevolmente i soggetti vaccinati in forza della legge n. 52/1966, da quelli sottoposti prima ad un trattamento sanitario, che per quanto non ancora imposto da una legge (ne' in ipotesi richiesto da un'ordinanza dell'autorita' competente), sarebbe stato non di meno obbligatorio in ragione della consuetudine normativa di cui si e' detto, cosi' ingiustificatamente comprimendo il diritto alla salute di questi ultimi. In via di ipotesi la difesa attrice ha poi argomentato che, anche non ritenendo la vaccinazione antipolio obbligatoria all'epoca in cui essa fu praticata alla Tavarini, l'art. 1 della legge n. 210/1992 escludendo dall'indennizzo i soggetti come lei vaccinati prima dell'entrata in vigore della legge n. 51/1966, sarebbe comunque costituzionalmente illegittimo, in quanto riserverebbe diverso trattamento a fattispecie del tutto assimilabili, riconoscendo il diritto a quella prestazione (al secondo ed al terzo comma della disposizione) a coloro che abbiano contratto il virus HIV o subito danni irreversibili da epatite, a seguito di emotrasfusione. In ordine al quantum della prestazione pretesa la ricorrente ha infine allegato l'irragionevolezza del criterio legale di determinazione dell'indennizzo, concludendo per la rimessione degli atti alla Corte costituzionale sulle questioni cosi prospettate, ove non ritenuta accoglibile la domanda proposta in tesi, di liquidazione dell'indennizzo determinato secondo i criteri ordinari di valutazione del danno alla persona. Ritualmente costituitosi, il Ministero della sanita' non ha in alcun modo contestato l'esistenza del nesso di causalita' tra la vaccinazione antipolio subita dalla ricorrente e la malattia da lei contratta, con i relativi esiti permanenti, ma ha argomentato l'incomparabilita' tra la situazione dei soggetti vaccinati dopo il 1966 da quelli sottoposti al trattamento prima, in ragione dell'espressa previsione dell'art. 3, secondo comma, della legge del 1959, ed ha eccepito la prescrizione dell'eventuale diritto della Tavarini al risarcimento del danno per la lesione della propria integrita' fisica, chiedendo il rigetto del ricorso. Nelle more del giudizio e' intervenuta la pronuncia n. 118/1996 della Corte costituzionale che ha dichiarato l'illegittimita' costituzionale degli artt. 2, comma 2 e 3, comma 7, della legge 25 febbraio 1992, n. 210, "nella parte in cui escludono, per il periodo ricompreso tra il manifestarsi dell'evento prima dell'entrata in vigore della predetta legge e l'ottenimento della prestazione determinata a norma della stessa legge, il diritto - fuori dell'ipotesi dell'art. 2043 del codice civile - a un equo indennizzo a carico dello Stato per le menomazioni riportate a causa di vaccinazione obbligatoria antipoliomielitica da quanti vi si siano sottoposti e da quanto abbiano prestato ai primi assistenza diretta". All'odierna udienza le parti hanno discusso la causa ed il pretore letto la presente ordinanza. D i r i t t o Sono, in primo luogo, incontestati in causa sia la sussistenza della patologia lamentata dalla ricorrente sia il nesso causale tra detta patologia e la vaccinazione antipoliomielitica cui si e' sottoposta in data anteriore all'entrata in vigore della legge n. 51/1966, alla luce delle difese dell'Avvocatura distrettuale dello Stato, che danno per presupposto l'accadimento dell'incidente vaccinale e le sue conseguenze sul piano del danno permanente all'integrita' fisica, argomentando altrimenti l'infondatezza della domanda attrice (cfr. pagg. 3, 5 7 della memoria di costituzione). E' inoltre documentata la presentazione, da parte della Tavarini, di domanda di indennizzo ex art. 1 della legge n. 210/1992 entro il termine triennale dall'entrata in vigore della legge, previsto dall'art. 3, ultimo comma, della legge stessa per coloro che, a tale data, abbiano gia' riportato le menomazioni indennizzabili. Non di meno, sulla base della norma dell'art. 1 della legge n. 210/1992, il ricorso non potrebbe essere accolto. Ed invero, come detto, il trattamento vaccinale e' stato sommininistrato alla Tavarini prima dell'entrata in vigore della legge n. 51/1966, che ha disposto l'"obbligatorieta' della vaccinazione antipoliomielitica", ne' la natura obbligatoria del trattamento potrebbe desumersi dal testo dell'art. 3 della legge n. 695/1959, sopra richiamato, giacche' esso condiziona l'ammissione del minore alle diverse collettivita' di bambini alla presentazione dell'attestato di vaccinazione antipolio, o ad una dichiarazione dell'esercente la potesta' di non voler sottoporre il minore al trattamento vaccinale, il che vale senza dubbio ad escludere l'obbligatorieta' del trattamento stesso anche ai soli fini dell'ammissione alle scuole o agli asili. Non e' poi neppure allegato (e comunque sicuramente escluso) che la vaccinazione sia avvenuta "per ordinanza di una autorita' sanitaria italiana" dovendosi tale espressione normativa riferire alle ordinanze in materia sanitaria del tipo di quelle all'epoca dei fatti di causa previste dall'art. 55 t.u. della legge comunale e provinciale, ed attualmente dall'art. 32 della legge n. 833/1978, sia in ragione dell'espresso riferimento alla forma del provvedimento, sia in quanto la legge ha con chiarezza inteso richiamare atti della pubblica amministrazione che rendano giuridicamente obbligatorio il trattamento sanitario. Nella specie, invece, la dichiarazione rilasciata dal sindaco del comune di Carrara ed allegata agli atti di causa, attesta come la vaccinazione della Tavarini sia avvenuta su semplice "richiesta dell'Autorita' sanitaria competente" e "nell'ambito della campagna di vaccinazione per i bambini della classe 1963", cioe' in attuazione di quell'opera di propaganda del trattamento vaccinale Sabin nella quale le autorita' sanitarie si erano impegnate dopo l'entrata in vigore della legge n. 695/1959 (come documentato dalle circolari del Ministero della sanita' agli atti). Del resto la circostanza e' del tutto pacifica in causa, giacche' anche nella prospettazione di parte ricorrente l'obbligatorieta' della vaccinazione non viene ricondotta alla natura autoritativa del provvedimento dell'autorita' sanitaria, ma all'instaurarsi di una consuetudine normativa. Infine il trattamento sanitario non le e' stato praticato per alcuno dei motivi indicati dal comma 4 dell'art. 1 della legge n. 210/1992. All'impossibilita' di accoglimento delle domande attrici alla luce della disposizione appena richiamata segue la rilevanza, e quindi l'obbligo di esame sotto il profilo della non manifesta infondatezza, delle questioni di costituzionalita' prospettate dalla difesa della Tavarini, e comunque rilevabili d'ufficio. 1. - La prima di tali questioni e', a giudizio di questo pretore, manifestamente infondata. Con essa la difesa attrice deduce l'irragionevole discriminazione, quanto al riconoscimento dell'indennizzo in ipotesi di incidente vaccinale, tra i soggetti vaccinati dopo l'entrata in vigore della legge n. 695/1959, ma prima della legge n. 51/1966, rispetto ai vaccinati dopo il 1966. Cio' in quanto, come sopra detto, gia' dal 1959 l'intensa azione di propaganda del vaccino Sabin operata dalle autorita' sanitarie, non accompagnata dall'informazione in ordine alla possibilita' di rifiuto del trattamento, prevista invece dall'art. 3, terzo comma, della legge n. 696/1959, avrebbe determinato il sorgere di una consuetudine normativa, cosi' rendendo giuridicamente obbligatorio il trattamento stesso. Ma l'esame della documentazione acquisita agli atti di causa (in particolare delle circolari n. 171 del 26 settembre 1964 n.10 del 27 gennaio 1964 della Direzione generale servizi igiene pubblica ed ospedali del Ministero della sanita', e relativi allegati, piu' volte richiamati dalla difesa attrice a sostegno della sua prospettazione) non consente di ritenere fondata, gia' in fatto, la tesi esposta. Ed invero l'unica circostanza accertata in giudizio e' quella del massiccio ricorso al trattamento sanitario antipolio da parte anche dei cittadini del comune di Carrara negli anni 1959-1966, con percentuali di vaccinazioni oscillanti tra il 91,82% ed il 97,74% del totale della popolazione interessata, per eta', al trattamento stesso. Tuttavia, a fronte della generalita' di un tale comportamento, le circolari in atti attestano unicamente l'esistenza di una attivita' di incentivazione alla diffusione del vaccino, svolta da parte degli organi competenti della pubblica amministrazione, senza che, neppure dagli allegati (che riproducono i modelli di comunicazione consegnati alle famiglie con bambini per eta' interessati al trattamento vaccinale) possa desumersi la prospettazione del trattamento, da parte dell'autorita' sanitaria, come giuridicamente obbligatorio, o comunque l'idoneita' dell'attivita' di propaganda ad ingenerare la convizione della obbligatorieta' del comportamento. Ed invero nelle comunicazioni alle famiglie si richiama "l'utilita'" della vaccinazione, consigliata (cosi' espressamente il mod. 17-ter allegato alla circolare n. 171 del 2 giugno 1964) secondo la "coscienza" e "le ... cognizioni di medico" dell'ufficiale sanitario, e la gravita' dei postumi invalidanti della patologia. Anche il riferimento alle "responsabilita'" dei genitori che scelgano di non sottoporre i figli alla vaccinazione (di cui si dice nell'allegato alla circolare n. 128 del 13 novembre 1959), in quanto segue ad un'esposizione delle conseguenze dell'omissione del trattamento sul piano dei rischi per la salute dei bambini, comunicata dall'ufficiale sanitario secondo il proprio "dovere di medico", non puo' ragionevolmente essere interpretato che come richiamo ai doveri genitoriali di cura dei figli, e non ad un obbligo giuridico avente ad oggetto specificamente il trattamento sanitario. Ne segue che, fondandosi la prospettazione della difesa attrice dell'esistenza di una consuetudine normativa essenzialmente sui modi dell'attivita' di propaganda del vaccino antipolio, sulla base degli atti di causa, non vi sono elementi per ritenere l'esistenza di una generale convizione di obbligatorieta' della vaccinazione gia' prima della legge n. 51/1966. Deve, peraltro rilevarsi, come, anche ove una tale convizione fosse risultata provata, non potrebbe percio' concludersi per l'esistenza di una consuetudine quale fonte di obblighi giuridici. Infatti, ex art. 32, secondo comma, della Costituzione la materia dei trattamenti sanitari e' soggetta a riserva di legge, per cui anche un comportamento uniforme e costante tenuto dalla generalita' dei cittadini nella convinzione della sua obbligatorieta', non sarebbe valsa a rendere un trattamento sanitario giuridicamente obbligatorio, in presenza di una legge, quale la n. 695/1959, che esplicitamente ne riconosceva la facoltativita'. Ne' rilevano sul punto le argomentazioni svolte dalla difesa attrice in sede di note conclusive, secondo le quali l'obbligo indennitario dello Stato (secondo la ricorrente irragionevolmente escluso dall'art. 1 della legge n. 210/1992) deriverebbe comunque dall'aver condotto una campagna di propaganda della vaccinazione, senza una corretta informazione in ordine ai rischi del trattamento. Infatti un (eventuale) simile difetto di informazione non avrebbe inciso in alcun modo sulla natura del trattamento sanitario (che restava, per quanto sopra, volontario), potendo al piu' rilevare ai fini di una responsabilita' a titolo risarcitorio, che non e' dedotta in causa, e rispetto alla quale sarebbe comunque maturata l'eccepita prescrizione. Ritenuta pertanto l'inesistenza in concreto, e comunque l'irrilevanza in astratto di una consuetudine, non puo' che concludersi (anche alla luce delle considerazioni svolte dalla Corte costituzionale n. 118/1996, in punto di fondamento della tutela costituzionale in caso di trattamenti sanitari obbligatori) per la manifesta "incomparabilita'" tra la posizione di chi abbia subito menomazioni permanenti dell'integrita' fisica a seguito di incidenti vaccinali avvenuti dopo l'entrata in vigore della legge n. 51/1966, rispetto a chi, come la ricorrente, abbia riportato analoghi esiti, a seguito di un trattamento sanitario praticatole prima di tale data, e quindi, per i motivi gia' esposti, volontario. La questione di legittimita' costituzionale come sopra prospettata dalla difesa attrice e' pertanto manifestamente infondata. 2. - Diversamente deve dirsi, a giudizio di questo pretore, quanto all'ulteriore eccezione di illegittimita' costituzionale, dedotta dalla ricorrente per contrasto con l'art. 3, primo comma, della Costituzione, relativa all'art. 1 della legge n. 210/1992, nella parte in cui non riconosce il diritto all'indennizzo per chi si sia sottoposto a vaccinazione antipoliomielitica non obbligatoria, prevedendolo, invece, per coloro che abbiano contratto il virus HIV o abbiano subito esiti permanenti di epatite a seguito di emotrasfusioni, ovvero (deve aggiungersi, seppure sotto un diverso profilo, e sollevando d'ufficio la relativa questione, in rapporto agli artt. 3, primo comma, 2 e 38 della Costituzione) per chi si sia sottoposto a vaccinazioni necessarie (seppure non obbligatorie) "per potere accedere ad uno Stato estero" o per "motivi di lavoro o per incarico del (proprio) ufficio". Ed invero, come rilevato dalla Corte costituzionale n. 118/1996 la "menomazione della salute derivante da trattamenti sanitari puo' determinare...: a) il diritto al risarcimento pieno del danno, riconosciuto dall'art. 2043 codice civile in caso di comportamenti colpevoli; b) il diritto ad un equo indennizzo, discendente dall'art. 32 della Costituzione in collegamento con l'art. 2, ove il danno non derivante da fatto illecito, sia stato subito in conseguenza dell'adempimento di un obbligo legale; c) il diritto, a norma degli artt. 38 e 2 della Costituzione, a misure di sostegno assistenziale disposte dal legislatore, nell'ambito dell'esercizio costituzionalmente legittimo dei suoi poteri discrezionali, in tutti gli altri casi". Con la stessa pronuncia la Corte ha chiarito come le situazioni previste dall'art. 1 della legge n. 210/1992 non si prestino "ad una valutazione unitaria alla stregua dell'anzidetta capitolazione tripartita". Ora, a parere di questo pretore, con le previsioni dei commi 2, 3 e 4 dell'art. 1 della legge n. 210/1992 (con la sola parziale esclusione della previsione di cui al primo periodo del comma 4, non facendosi ivi differenza tra vaccinati obbligatoriamente e non) il legislatore ha inteso operare un intervento di natura assistenziale, costituzionalmente consentito dalle disposizioni degli artt. 2 e 38 della Costituzione, se attuato "nell'ambito dell'esercizio costituzionalmente legittimo dei suoi poteri discrezionali", ma diverso, quanto al suo fondamento costituzionale, dalla previsione del comma 1. I beneficiari della prestazione, a norma dei commi sopra indicati della disposizione, sono infatti (oltre agli operatori sanitari che abbiano subito menomazioni permanenti in relazione a contatti avuti, in ragione della loro attivita' professionale, con sangue e derivati) soggetti non giuridicamente obbligati, ma eventualmente solo necessitati a sottoporsi al trattamento sanitario da cui derivano le menomazioni permanenti indennizzabili, per cui la misura di sostegno a carico dello Stato si giustifica non in ragione dell'obbligo su di esso gravante di "ripagare il sacrifico che taluno si trova a subire per un beneficio atteso dall'intera collettivita'" (cosi' Corte cost. sentenza n. 118/1996), ma piuttosto come scelta, dettata dai principi di cui agli artt. 38 e 2 della Costituzione, di "socializzazione" di un danno di particolare rilievo, attraverso lo strumento di una prestazione assistenziale specifica. Tuttavia, come ribadito dalla piu' volte citata pronuncia costituzionale e gia' sopra ricordato, l'attuazione di simili interventi e' soggetta al generale sindacato della Corte in punto di rispetto del principio di uguaglianza di cui all'art. 3, primo comma, della Costituzione. Ora, a parere della decidente, la norma dell'art. 1, commi 2 e seguenti, prevede, per tutelarle con il riconoscimento dell'indennizzo, alcune situazioni non manifestamente incomparabili con quella della ricorrente, cui invece una simile tutela deve, per quanto gia' detto, ritenersi negata. Ed invero, come risulta anche dai lavoratori preparatori della legge n. 210/1992 (proposta di legge n. 4964 presentata il 12 luglio 1990), l'intervento legislativo, oltre ad attuare la sentenza n. 307/1990 della Corte costituzionale in materia risarcibilita' dei darmi da trattamenti sanitari obbligatori, appare teso anche a predisporre una tutela indennitaria in favore di soggetti che abbiano riportato comunque menomazioni permanenti dell'integrita' fisica in conseguenza di un trattamento sanitario "rischioso". La nozione di rischio del trattamento terapeutico, rischio non riconducibile, o comunque difficilmente riconducibile a responsabilita' (anche oggettive) di singoli e talvolta del tutto ineliminabile allo stato attuale attuale delle conoscenze scientifiche, e' esplicitamente posto dalla relazione al citato disegno di legge quale fondamento dell'intervento indennitario dello Stato al di fuori delle ipotesi di trattamenti imposti. In altri termini la scelta del legislatore, desumibile dai lavori preparatori e comunque rispecchiata dal testo della norma ai commi 2 e seguenti dell'art. 1 della legge n. 210/1992, appare essere stata quella di intervenire, si ripete, in accordo con il dettato degli artt. 2 e 38 della Costituzione, con la previsione di una speciale prestazione assistenziale, nei casi di danni derivati al singolo da una terapia, o comunque da un trattamento diretto alla protezione della salute, ma fonte di pericoli per il bene stesso che esso e' diretto a proteggere, rischi preventivabili in astratto, in quanto statisticamente rilevati, ma imprevedibili quanto al loro concreto verificarsi. Cio' al fine di garantire il diritto alla salute, gravemente pregiudicato dal realizzarsi del rischio, in ipotesi in cui difficilmente un'efficace tutela puo' essere assicurata dagli ordinari strumenti civilistici di risarcimento del danno. Del tutto corrispondente alla ratio legis e' quindi la previsione del diritto all'indennizzo nei confronti degli emotrasfusi che abbiano contratto, a seguito del trattamento sanitario, il virus dell'HIV, o abbiano subito danni irreversibili da epatite posttrasfusionali, senza alcuna limitazione in ordine alla obbligatorieta', e neppure alla necessita' della trasfusione, trattandosi di trattamento sanitario fonte di rischi assai gravi per la salute (in ragione della severita' delle patologie considerate), rischi in larga parte "anonimi", quanto alla loro riconducibilita' a responsabilita' di terzi, e in certa misura ineliminabili. Ma una situazione del tutto analoga sembra essere, secondo la decidente, quella dei soggetti, come la ricorrente, vaccinati contro la poliomielite, quando la vaccinazione era ancora facoltativa. Anche in tale ipotesi, infatti, il danno (assai grave, anche in tal caso per la natura invalidante della malattia, ed irreversibile) segue ad un trattamento sanitario astrattamente rischioso, seppure praticato, gia' all'epoca, sotto il controllo dello Stato e presso strutture pubbliche. Anche in questa ipotesi, inoltre, il pericolo di danno e' solo statisticamente rilevabile, ma in concreto imprevedibile, ed il pregiudizio subito difficilmente riparabile secondo "logiche puramente risarcitorie" (cfr. relazione al disegno di legge n. 4964 gia' citato). Anzi, nel caso di specie, l'accettazione del trattamento sanitario e' diretta anche a soddisfare un interesse piu' marcatamente collettivo, quale quello alla protezione delle epidemie, interesse la cui rilevanza e' testimoniata dalla previsione dell'art. 3 della legge n. 695/1959 (che rendeva necessario, anche se non obbligatorio, l'attestato di vaccinazione per l'accesso alle comunita' di bambini), ed induttivamente desumibile dalla successiva previsione della vaccinione come obbligatoria. Ne segue, a parere della decidente, che la situazione di coloro che abbiano subito menomazioni permanenti dell'integrita' fisica da poliomielite a seguito di vaccinazione antipolio praticata dopo il 1959, ma prima del 1966 (al di fuori delle ipotesi di cui al comma 4 dell'art. 1, della legge n. 210/1992), non appare, tenuto conto dei limiti propri del sindacato di questo giudice, significamente diversa da quella di chi abbia contratto il virus HIV in conseguenza di emotrasfusioni, o abbia subito esiti irreversibili di epatite posttrasfusionale, per cui non e' manifestamente infondata la questione di costituzionalita' dell'art. 1 della legge n. 210/1992, per contrasto con l'art. 3, primo comma della Costituzione in relazione agli artt. 2 e 38 della Costituzione, nella parte in cui non prevede il diritto all'indennizzo per chi abbia subito menomazioni permanenti dell'integrita' fisica in ragione di vaccinazione antipoliomielitica non obbligatoria (e non necessaria per motivi di lavoro o di ufficio o per accedere ad uno Stato estero). Ma anche sotto un altro profilo deve dubitarsi della ragionevolezza del disposto dell'art. 1 della legge citata. La norma, infatti, ha previsto, al comma 4 il riconoscimento dell'indennizzo anche in favore di coloro che "per motivi di lavoro o per incarico del loro ufficio o per poter accedere ad uno Stato estero, si siano sottoposti a vaccinazioni che, pur non essendo obbligatorie, risultino necessarie", riportandone menomanzioni permanenti dell'integrita' fisica. Il legislatore ha, quindi, espressamente previsto una tutela a fronte di trattamenti vaccinali non obbligatori, tuttavia limitandola alle ipotesi di necessita' del trattamento stesso. Ora, indipendentemente da ogni questione in ordine alla ragionevolezza di questa limitazione in confronto con la piu' ampia previsione di cui al 2 e 3 comma in tema di conseguenza irreversibili di emotrasfusioni, deve osservarsi come la necessita' del trattamento viene ritenuta dalla legge rilevante sempre che sussista il fine o il motivo normativamente previsti, senza tuttavia che gli interessi, alla base di tali finalita', siano in alcun modo tra comparabili. Cosi' l'indennizzo e' riconosciuto, non solo quando la vaccinazione si sia resa necessaria in rapporto allo svolgimento dell'attivita' di lavoro o di ufficio del soggetto leso (interessi primari della persona e della collettivita', anche alla luce della gerarchia costituzionale dei valori), ma anche in ogni caso in cui il trattamento sia richiesto per accedere ad uno Stato estero, indipendentemente dalle ragioni e dalla nececsita', non della vaccinazione, ma dell'accesso. Ora, a parere della decidente, la situazione dei soggetti vaccinati contro la polio dopo l'entrata in vigore della legge n. 695 del 1959 (cui, si ripete, per l'accesso ad ogni collettivita' di bambini era richiesta o la sottoposizione al trattamento vaccinale o un'espressa dichiarazione dell'esercente la potesta' di diniego dell'accettazione del trattamento) era appunto quella di soggetti non obbligati, ma necessitati alla vaccinazione, per la tutela della loro salute e di quella altrui, in rapporto all'elevato rischio di contagio in eta' prescolare e scolare, come reso manifesto dalla previsione dell'art. 3 della legge n. 695/1959, che richiedeva un'esplicita assunzione di responsabilita' dei genitori per l'esclusione dal trattamento. E l'attivita' in relazione al cui svolgimento il trattamento vaccinale si rendeva (non obbligatorio), ma necessario non puo' non ritenersi rilevante sul piano della cura e della formazione della persona, anche alla luce del disposto dell'art. 31, secondo comma della Costituzione. Ne segue che la situazione dei soggetti sopra indicati non appare manifestamente incomparabile con quella di coloro cui la vaccinazione sia necessaria per motivi di lavoro o di ufficio. Inoltre la previsione dell'indennizzo in favore di chi abbia subito menomazioni permanenti dell'integrita' fisica a seguito di vaccinazione necessaria per accedere ad uno Stato estero, senza alcuna limitazione, sembra alla decidente ragionevolmente incompatibile con l'esclusione dello stesso diritto in favore di chi si sia pure volontariamente, sottoposto allo stesso trattamento, nei casi in cui esso sia altrimenti necessario, non potendosi ravvisare di per se' nella finalita' di raggiungere uno stato estero un interesse tanto rilevante (sul piano dei valori costituzionali) da giustiticare la limitazione a quei soli casi del diritto all'indennizzo. A parere di questo pretore, quindi, anche sotto tale profilo deve ritenersi non manifestamente infondata la questione di costituzionalita' dell'art. 1, della legge n. 210/1992, nella parte in cui limita il diritto all'indennizzo da vaccinazioni non obbligatorie ai soli casi di necessita' del trattamento per motivi di lavoro, ufficio o per l'accesso ad uno Stato estero, per contrasto con l'art. 3, primo comma della Costituzione in rapporto agli artt. 2 e 38 della Costituzione. 3. - E' invece manifestamente infondata, secondo la decidente, la questione, prospettata dalla difesa attrice, di illegittimita' costituzionale dell'art. 2, della legge n. 210/1992, in ragione della (allegata) arbitrarieta' del criterio prescelto dal legislatore per la determinazione dell'indennizzo. In proposito osserva la decidente come la valutazione della censura cosi' mossa non possa prescindere dalla qualificazione che si e' inteso dare alla prestazione de qua nei casi di trattamenti sanitari non obbligatori, in accordo con Corte cost. n. 118/1996: quella cioe' di prestazione assistenziale discrezionalmente disposta dal legislatore, in accordo con gli artt. 2 e 38 della Costituzione. Ed invero, per soddisfare gia' prima facie il principio di ragionevolezza come coerenza della previsione normativa rispetto al suo fine, e' sufficiente che una prestazione di tale natura non sia di importo irrisorio o meramente simbolico, ed il meccanismo della sua determinazione consenta di tener conto della diversa gravita' delle menomazioni conseguenti al trattamento sanitario non obbligatorio, non essendo evidentemente costituzionalmente necessaria l'adozione di criteri di quantificazione assimilabili a quelli utilizzati per il risarcimento del danno alla persona, data la profonda diversita' di ratio di tale ipotesi rispetto a quella di specie. Ora il criterio adottato dal legislatore appare, quanto all'effettiva determinazione delle somme riconosciute, idoneo a tali esigenze, per cui la questione deve ritenersi manifestamente infondata. Tutto cio' premesso deve sospendersi il giudizio e disporsi la trasmissione degli atti alla Corte costituzionale per la soluzione della questione ritenuta rilevante e non manifestamente infondata, come sopra esposta al punto 2 dell'ordinanza.
P.Q.M. Visti gli artt. 134 della Costituzione e 23, primo e secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87; Ritenuta rilevante e non manifestamente infondata, per contrasto con l'art. 3, primo comma, della Costituzione, in rapporto agli artt. 2 e 38 della Costituzione, la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 1, della legge n. 210/1992 nella parte in cui esclude dall'indennizzo per menomazioni permanenti dell'integrita' fisica coloro che si siano sottoposti a vaccinazione antipoliomielitica non obbligatoria dopo l'entrata in vigore della legge n. 695/1959, al di fuori dei casi previsti dal comma 4 dell'art. 1, della legge n. 210/1992; Dispone la sospensione del giudizio; Dispone trasmettersi gli atti alla Corte costituzionale per la soluzione della questione; Dispone che la presente ordinanza, comunicata alle parti in udienza, venga notificata al Presidente del Consiglio dei Ministri e comunicata ai Presidenti delle due Camere del Parlamento. Massa, addi' 10 ottobre 1996 Il pretore: Tarquini 96C1796