N. 1294 ORDINANZA (Atto di promovimento) 10 ottobre 1996

                                N. 1294
  Ordinanza emessa il 10 ottobre 1996 dal pretore di Massa sul ricorso
 proposto da Tavarini Stefania contro il Ministero della sanita'
 Salute   (tutela   della)   -  Trattamenti  sanitari  -  Vaccinazione
    antipoliomielitica - Danni riportati dal vaccinato - Indennizzo  -
    Esclusione  per  menomazioni permanenti dell'integrita' fisica dei
    soggetti  sottoposti   a   vaccinazione   antipoliomielitica   non
    obbligatoria  dopo  l'entrata  in vigore della legge n. 695/1959 -
    Violazione  del  principio  di  uguaglianza   e   della   garanzia
    previdenziale    -   Riferimento   alla   sentenza   della   Corte
    costituzionale n. 118/1996.
 (Legge 25 febbraio 1992, n. 210, art. 1).
 (Cost., artt. 3, primo comma, 2 e 38).
(GU n.49 del 4-12-1996 )
                              IL PRETORE
   All'esito della discussione, ha pronunciato la  seguente  ordinanza
 nella  causa  n.  642/1995  promossa  da  Tavarini Stefania contro il
 Ministero della sanita'.
                               F a t t o
   Stefania Tavarini ha convenuto il Ministero della sanita' davanti a
 questo  pretore, in funzione di giudice del lavoro, allegando di aver
 contratto la poliomielite in conseguenza della vaccinazione antipolio
 praticatale con metodo Sabin il 21 marzo 1964 ed il 20  aprile  1964,
 quando la ricorrente (nata il 19 agosto 1963) aveva circa sette mesi.
   La  patologia  le  aveva  causato rilevanti postumi permanenti, che
 diverse operazioni chirurgiche non avevano neppure attenuato,  ed  in
 ragione dei quali era stata riconosciuta invalida civile al 70%.
   Proposta,   il   6   giugno   1994,   domanda   di   riconoscimento
 dell'indennizzo di cui all'art. 1 della legge 26  febbraio  1992,  n.
 210,  la  sua istanza era stata respinta dal Ministero della sanita',
 in  quanto  la  norma  sopra  richiamata  era  applicabile,   secondo
 l'Amministrazione  competente,  unicamente  ai  soggetti che avessero
 contratto la patologia a seguito di vaccinazione obbligatoria,  quale
 non era ancora, nel 1964, la vaccinazione antipolio (imposta solo con
 la  legge 4 febbraio 1966, n. 51, intitolata appunto "obbligatorieta'
 della vaccinazione antipoliomielitica").
   Di qui il presente giudizio, nel quale la Tavarini  ha  chiesto  la
 corresponsione  dell'indennizzo  previsto  dalla legge, calcolato, in
 tesi, secondo i criteri  propri  della  valutazione  del  danno  alla
 persona,  in  ipotesi,  secondo le modalita' descritte dalla legge n.
 210/1992, ma con decorrenza dalla data del fatto dannoso, in  ipotesi
 gradata,  secondo i criteri della legge n. 210 e con decorrenza dalla
 data della domanda amministrativa.
   A sostegno della propria domanda l'attrice  ha  dedotto,  in  primo
 luogo,  la  "sostanziale  obbligatorieta'"  della vaccinazione de qua
 gia' all'epoca dei  fatti  di  causa,  in  ragione  della  previsione
 dell'art.    3 della legge 30 luglio 1959, n. 695 ("provvedimenti per
 rendere   integrale   la   vaccinazione   antipoliomelitica"),   come
 interpretato dalle Autorita' sanitarie competenti.
   La  disposizione  prevedeva invero che per l'ammissione "agli asilo
 nido, alle sale di custodia, ai  brefotrofi,  agli  asili  infantili,
 alle scuole materne, alle scuole elementari, ai collegi, alle colonie
 climatiche  ed a qualsiasi altra collettivita' di bambini, da quattro
 mesi a sei anni" fosse richiesta  all'atto  dell'iscrizione  o  della
 ammissione  la  presentazione dell'attestato di avvenuta vaccinazione
 antipolio, rilasciato dall'ufficio sanitario di ogni comune, peraltro
 consentendo  comunque  l'ammissione  qualora  fosse   presentato   un
 certificato  medico  attestante "le ragioni di salute per le quali il
 bambino non era in  grado  di  subire  la  vaccinazione,  oppure  una
 dichiarazione,  sottoscritta  dall'esercente  la patria potesta' o la
 tutela, di non voler sottoporre il bambino alla vaccinazione".
   Alle disposizioni di legge la  direzione  generale  servizi  igiene
 pubblica e ospedali del Ministero della sanita' aveva dato attuazione
 emanando  una serie di circolari nelle quali si invitavano i sindaci,
 quali autorita' sanitarie  locali,  a  diffondere  la  pratica  della
 vaccinazione,  inviando  (su modelli standard approntati dallo stesso
 Ministero, e prodotti in causa) alle famiglie  con  bambini  di  eta'
 compresa  tra  i tre mesi e l'anno (epoca nella quale la vaccinazione
 doveva essere preferibilmente eseguita)  comunicazione  della  natura
 del vaccino e dei suoi effetti, omettendo tuttavia di avvertire della
 possibilita'  legislativamente  prevista  di rifiutare il trattamento
 vaccinale.
   Una  tale capillare azione di propaganda, secondo la prospettazione
 della difesa attrice, avrebbe indotto la generalita' dei cittadini  a
 sottoporre  i  propri  figli  alla  vaccinazione, cosi' attuandosi la
 ripetizione costante ed uniforme di un comportamento da parte di  una
 collettivita'.
   Peraltro  il  mancato  avvertimento  in ordine alla possibilita' di
 rifiutare  il  trattamento,  avrebbe  ingenerato  nei  cittadini   la
 convinzione  della  giuridica  obbligatorieta'  di quel comportamento
 costantemente ed uniformente tenuto, determinando cosi il sorgere  di
 una  consuetudine  normativa  praeter  legem,  che  avrebbe  reso  la
 vaccinazione obbligatoria gia' prima della legge 4 febbraio 1966,  n.
 51, sopra richiamata.
   Ne  deriverebbe  la  possibilita' di interpretare estensivamente la
 disposizione dell'art. 1, comma 1, della  legge  n.  210/1992,  cosi'
 accogliendosi la domanda di indennizzo.
   Diversamente  letta,  comunque, secondo la difesa attrice, la norma
 sarebbe confliggente con gli artt. 3  e  32  della  Costituzione,  in
 quanto  differenzierebbe  irragionevolmente  i  soggetti vaccinati in
 forza della legge n.  52/1966,  da  quelli  sottoposti  prima  ad  un
 trattamento sanitario, che per quanto non ancora imposto da una legge
 (ne' in ipotesi richiesto da un'ordinanza dell'autorita' competente),
 sarebbe  stato non di meno obbligatorio in ragione della consuetudine
 normativa di cui si e' detto, cosi'  ingiustificatamente  comprimendo
 il diritto alla salute di questi ultimi.
   In  via  di ipotesi la difesa attrice ha poi argomentato che, anche
 non ritenendo la vaccinazione antipolio obbligatoria all'epoca in cui
 essa fu praticata alla Tavarini, l'art. 1  della  legge  n.  210/1992
 escludendo  dall'indennizzo  i  soggetti  come  lei  vaccinati  prima
 dell'entrata in vigore  della  legge  n.  51/1966,  sarebbe  comunque
 costituzionalmente   illegittimo,   in  quanto  riserverebbe  diverso
 trattamento a fattispecie del  tutto  assimilabili,  riconoscendo  il
 diritto  a  quella  prestazione  (al  secondo ed al terzo comma della
 disposizione) a coloro che abbiano contratto il virus  HIV  o  subito
 danni irreversibili da epatite, a seguito di emotrasfusione.
   In  ordine  al  quantum  della prestazione pretesa la ricorrente ha
 infine   allegato   l'irragionevolezza   del   criterio   legale   di
 determinazione  dell'indennizzo,  concludendo per la rimessione degli
 atti alla Corte costituzionale sulle questioni cosi prospettate,  ove
 non ritenuta accoglibile la domanda proposta in tesi, di liquidazione
 dell'indennizzo determinato secondo i criteri ordinari di valutazione
 del danno alla persona.
   Ritualmente  costituitosi,  il  Ministero  della  sanita' non ha in
 alcun modo contestato l'esistenza del  nesso  di  causalita'  tra  la
 vaccinazione  antipolio  subita dalla ricorrente e la malattia da lei
 contratta,  con  i  relativi  esiti  permanenti,  ma  ha  argomentato
 l'incomparabilita'  tra  la situazione dei soggetti vaccinati dopo il
 1966  da  quelli  sottoposti  al  trattamento   prima,   in   ragione
 dell'espressa previsione dell'art.  3, secondo comma, della legge del
 1959,  ed  ha  eccepito  la prescrizione dell'eventuale diritto della
 Tavarini al risarcimento del  danno  per  la  lesione  della  propria
 integrita' fisica, chiedendo il rigetto del ricorso.
   Nelle  more  del  giudizio  e' intervenuta la pronuncia n. 118/1996
 della  Corte  costituzionale  che  ha   dichiarato   l'illegittimita'
 costituzionale  degli  artt.  2, comma 2 e 3, comma 7, della legge 25
 febbraio 1992, n. 210, "nella parte in cui escludono, per il  periodo
 ricompreso  tra  il  manifestarsi  dell'evento  prima dell'entrata in
 vigore  della  predetta  legge  e  l'ottenimento  della   prestazione
 determinata   a   norma  della  stessa  legge,  il  diritto  -  fuori
 dell'ipotesi dell'art. 2043 del codice civile - a un equo  indennizzo
 a  carico  dello  Stato  per  le  menomazioni  riportate  a  causa di
 vaccinazione obbligatoria antipoliomielitica da quanti  vi  si  siano
 sottoposti e da quanto abbiano prestato ai primi assistenza diretta".
   All'odierna  udienza le parti hanno discusso la causa ed il pretore
 letto la presente ordinanza.
                             D i r i t t o
   Sono, in primo luogo, incontestati  in  causa  sia  la  sussistenza
 della  patologia  lamentata dalla ricorrente sia il nesso causale tra
 detta patologia  e  la  vaccinazione  antipoliomielitica  cui  si  e'
 sottoposta  in  data  anteriore  all'entrata in vigore della legge n.
 51/1966, alla luce delle difese  dell'Avvocatura  distrettuale  dello
 Stato,   che   danno  per  presupposto  l'accadimento  dell'incidente
 vaccinale e  le  sue  conseguenze  sul  piano  del  danno  permanente
 all'integrita'  fisica,  argomentando altrimenti l'infondatezza della
 domanda attrice (cfr. pagg. 3, 5 7 della memoria di costituzione).
   E' inoltre documentata la presentazione, da parte  della  Tavarini,
 di  domanda  di indennizzo ex art. 1 della legge n. 210/1992 entro il
 termine  triennale  dall'entrata  in  vigore  della  legge,  previsto
 dall'art.  3, ultimo comma, della legge stessa per coloro che, a tale
 data, abbiano gia' riportato le menomazioni indennizzabili.
   Non di meno, sulla base della norma  dell'art.  1  della  legge  n.
 210/1992, il ricorso non potrebbe essere accolto.
   Ed   invero,   come   detto,  il  trattamento  vaccinale  e'  stato
 sommininistrato alla Tavarini  prima  dell'entrata  in  vigore  della
 legge   n.   51/1966,   che   ha  disposto  l'"obbligatorieta'  della
 vaccinazione antipoliomielitica",  ne'  la  natura  obbligatoria  del
 trattamento  potrebbe  desumersi dal testo dell'art. 3 della legge n.
 695/1959, sopra richiamato, giacche' esso condiziona l'ammissione del
 minore alle  diverse  collettivita'  di  bambini  alla  presentazione
 dell'attestato  di  vaccinazione  antipolio,  o  ad una dichiarazione
 dell'esercente la potesta' di  non  voler  sottoporre  il  minore  al
 trattamento   vaccinale,  il  che  vale  senza  dubbio  ad  escludere
 l'obbligatorieta'  del  trattamento  stesso  anche   ai   soli   fini
 dell'ammissione alle scuole o agli asili.
   Non e' poi neppure allegato (e comunque sicuramente escluso) che la
 vaccinazione  sia  avvenuta "per ordinanza di una autorita' sanitaria
 italiana"  dovendosi  tale  espressione   normativa   riferire   alle
 ordinanze in materia sanitaria del tipo di quelle all'epoca dei fatti
 di   causa   previste  dall'art.  55  t.u.  della  legge  comunale  e
 provinciale, ed attualmente dall'art. 32 della legge n. 833/1978, sia
 in ragione dell'espresso riferimento alla  forma  del  provvedimento,
 sia  in quanto la legge ha con chiarezza inteso richiamare atti della
 pubblica amministrazione che rendano giuridicamente  obbligatorio  il
 trattamento sanitario.
   Nella  specie,  invece, la dichiarazione rilasciata dal sindaco del
 comune di Carrara ed allegata agli atti di  causa,  attesta  come  la
 vaccinazione  della  Tavarini  sia  avvenuta  su  semplice "richiesta
 dell'Autorita' sanitaria competente" e "nell'ambito della campagna di
 vaccinazione per i bambini della classe 1963", cioe' in attuazione di
 quell'opera di propaganda del trattamento vaccinale Sabin nella quale
 le  autorita'  sanitarie  si erano impegnate dopo l'entrata in vigore
 della  legge  n.  695/1959  (come  documentato  dalle  circolari  del
 Ministero della sanita' agli atti).
   Del  resto  la circostanza e' del tutto pacifica in causa, giacche'
 anche nella  prospettazione  di  parte  ricorrente  l'obbligatorieta'
 della  vaccinazione non viene ricondotta alla natura autoritativa del
 provvedimento dell'autorita' sanitaria,  ma  all'instaurarsi  di  una
 consuetudine normativa.
   Infine  il  trattamento  sanitario  non  le  e' stato praticato per
 alcuno dei motivi indicati dal comma 4 dell'art.  1  della  legge  n.
 210/1992.
   All'impossibilita'  di accoglimento delle domande attrici alla luce
 della disposizione appena richiamata segue  la  rilevanza,  e  quindi
 l'obbligo di esame sotto il profilo della non manifesta infondatezza,
 delle  questioni  di costituzionalita' prospettate dalla difesa della
 Tavarini, e comunque rilevabili d'ufficio.
   1. - La prima di tali questioni e', a giudizio di  questo  pretore,
 manifestamente infondata.
   Con  essa la difesa attrice deduce l'irragionevole discriminazione,
 quanto al riconoscimento  dell'indennizzo  in  ipotesi  di  incidente
 vaccinale,  tra  i  soggetti vaccinati dopo l'entrata in vigore della
 legge n. 695/1959, ma prima  della  legge  n.  51/1966,  rispetto  ai
 vaccinati dopo il 1966.
   Cio' in quanto, come sopra detto, gia' dal 1959 l'intensa azione di
 propaganda  del  vaccino Sabin operata dalle autorita' sanitarie, non
 accompagnata dall'informazione in ordine alla possibilita' di rifiuto
 del trattamento, prevista invece  dall'art.  3,  terzo  comma,  della
 legge n. 696/1959, avrebbe determinato il sorgere di una consuetudine
 normativa,  cosi' rendendo giuridicamente obbligatorio il trattamento
 stesso.
   Ma l'esame della documentazione acquisita agli atti  di  causa  (in
 particolare  delle circolari n. 171 del 26 settembre 1964 n.10 del 27
 gennaio 1964 della Direzione  generale  servizi  igiene  pubblica  ed
 ospedali del Ministero della sanita', e relativi allegati, piu' volte
 richiamati  dalla difesa attrice a sostegno della sua prospettazione)
 non consente di ritenere fondata, gia' in fatto, la tesi esposta.
   Ed invero l'unica circostanza accertata in giudizio e'  quella  del
 massiccio  ricorso  al trattamento sanitario antipolio da parte anche
 dei cittadini  del  comune  di  Carrara  negli  anni  1959-1966,  con
 percentuali di vaccinazioni oscillanti tra il 91,82% ed il 97,74% del
 totale  della  popolazione  interessata,  per  eta',  al  trattamento
 stesso.
   Tuttavia, a fronte della generalita' di un tale  comportamento,  le
 circolari  in  atti attestano unicamente l'esistenza di una attivita'
 di incentivazione alla diffusione del vaccino, svolta da parte  degli
 organi  competenti della pubblica amministrazione, senza che, neppure
 dagli allegati (che riproducono i modelli di comunicazione consegnati
 alle  famiglie  con  bambini  per  eta'  interessati  al  trattamento
 vaccinale)  possa  desumersi  la  prospettazione  del trattamento, da
 parte dell'autorita' sanitaria, come giuridicamente  obbligatorio,  o
 comunque  l'idoneita'  dell'attivita'  di propaganda ad ingenerare la
 convizione della obbligatorieta' del comportamento.
   Ed   invero   nelle   comunicazioni   alle   famiglie  si  richiama
 "l'utilita'" della vaccinazione, consigliata (cosi' espressamente  il
 mod. 17-ter allegato alla circolare n. 171 del 2 giugno 1964) secondo
 la  "coscienza"  e  "le  ...  cognizioni  di  medico"  dell'ufficiale
 sanitario, e la gravita' dei postumi invalidanti della patologia.
   Anche  il  riferimento  alle  "responsabilita'"  dei  genitori  che
 scelgano  di non sottoporre i figli alla vaccinazione (di cui si dice
 nell'allegato alla circolare n. 128 del 13 novembre 1959), in  quanto
 segue   ad   un'esposizione   delle  conseguenze  dell'omissione  del
 trattamento  sul  piano  dei  rischi  per  la  salute  dei   bambini,
 comunicata  dall'ufficiale  sanitario  secondo  il proprio "dovere di
 medico",  non  puo'  ragionevolmente  essere  interpretato  che  come
 richiamo ai doveri genitoriali di cura dei figli, e non ad un obbligo
 giuridico avente ad oggetto specificamente il trattamento sanitario.
   Ne  segue  che,  fondandosi  la prospettazione della difesa attrice
 dell'esistenza di una consuetudine normativa essenzialmente sui  modi
 dell'attivita'  di propaganda del vaccino antipolio, sulla base degli
 atti di causa, non vi sono elementi per ritenere l'esistenza  di  una
 generale  convizione di obbligatorieta' della vaccinazione gia' prima
 della legge n. 51/1966.
   Deve, peraltro rilevarsi, come, anche ove una tale convizione fosse
 risultata provata, non potrebbe percio' concludersi  per  l'esistenza
 di una consuetudine quale fonte di obblighi giuridici.
   Infatti,  ex  art. 32, secondo comma, della Costituzione la materia
 dei trattamenti sanitari e' soggetta a  riserva  di  legge,  per  cui
 anche  un  comportamento uniforme e costante tenuto dalla generalita'
 dei  cittadini  nella  convinzione  della  sua  obbligatorieta',  non
 sarebbe  valsa  a  rendere  un  trattamento  sanitario giuridicamente
 obbligatorio, in presenza di una legge, quale  la  n.  695/1959,  che
 esplicitamente ne riconosceva la facoltativita'.
   Ne'  rilevano  sul  punto  le  argomentazioni  svolte  dalla difesa
 attrice in sede  di  note  conclusive,  secondo  le  quali  l'obbligo
 indennitario  dello  Stato  (secondo  la ricorrente irragionevolmente
 escluso dall'art.  1 della legge n.  210/1992)  deriverebbe  comunque
 dall'aver  condotto  una  campagna  di propaganda della vaccinazione,
 senza una corretta informazione in ordine ai rischi del trattamento.
   Infatti un (eventuale) simile difetto di informazione  non  avrebbe
 inciso  in  alcun  modo  sulla  natura del trattamento sanitario (che
 restava, per quanto sopra, volontario), potendo al piu'  rilevare  ai
 fini  di  una  responsabilita'    a  titolo  risarcitorio, che non e'
 dedotta in causa, e rispetto alla  quale  sarebbe  comunque  maturata
 l'eccepita  prescrizione.
   Ritenuta   pertanto   l'inesistenza   in   concreto,   e   comunque
 l'irrilevanza  in  astratto  di  una  consuetudine,  non   puo'   che
 concludersi  (anche alla luce delle considerazioni svolte dalla Corte
 costituzionale n. 118/1996,  in  punto  di  fondamento  della  tutela
 costituzionale  in  caso  di trattamenti sanitari obbligatori) per la
 manifesta "incomparabilita'" tra la posizione  di  chi  abbia  subito
 menomazioni  permanenti dell'integrita' fisica a seguito di incidenti
 vaccinali avvenuti dopo l'entrata in vigore della legge  n.  51/1966,
 rispetto a chi, come la ricorrente, abbia riportato analoghi esiti, a
 seguito di un trattamento sanitario praticatole prima di tale data, e
 quindi, per i motivi gia' esposti,
  volontario.
   La  questione di legittimita' costituzionale come sopra prospettata
 dalla difesa attrice e' pertanto manifestamente infondata.
   2. - Diversamente deve dirsi, a giudizio di questo pretore,  quanto
 all'ulteriore  eccezione  di  illegittimita'  costituzionale, dedotta
 dalla ricorrente per contrasto  con  l'art.  3,  primo  comma,  della
 Costituzione,  relativa  all'art.  1  della  legge n. 210/1992, nella
 parte in cui non riconosce il diritto all'indennizzo per chi  si  sia
 sottoposto   a   vaccinazione  antipoliomielitica  non  obbligatoria,
 prevedendolo, invece, per coloro che abbiano contratto il virus HIV o
 abbiano  subito  esiti   permanenti   di   epatite   a   seguito   di
 emotrasfusioni,  ovvero  (deve  aggiungersi, seppure sotto un diverso
 profilo, e sollevando d'ufficio la relativa  questione,  in  rapporto
 agli  artt. 3, primo comma, 2 e 38 della Costituzione) per chi si sia
 sottoposto a vaccinazioni necessarie (seppure non obbligatorie)  "per
 potere  accedere  ad  uno Stato estero" o per "motivi di lavoro o per
 incarico del (proprio) ufficio".
   Ed invero, come rilevato dalla Corte costituzionale n. 118/1996  la
 "menomazione  della  salute  derivante  da  trattamenti sanitari puo'
 determinare...: a)  il  diritto  al  risarcimento  pieno  del  danno,
 riconosciuto  dall'art.  2043  codice civile in caso di comportamenti
 colpevoli; b) il diritto ad un equo indennizzo, discendente dall'art.
 32 della Costituzione in collegamento con l'art. 2, ove il danno  non
 derivante   da  fatto  illecito,  sia  stato  subito  in  conseguenza
 dell'adempimento di un obbligo legale; c) il diritto, a  norma  degli
 artt.  38  e 2 della Costituzione, a misure di sostegno assistenziale
 disposte     dal     legislatore,     nell'ambito      dell'esercizio
 costituzionalmente  legittimo dei suoi poteri discrezionali, in tutti
 gli altri casi".
   Con la stessa pronuncia la Corte ha  chiarito  come  le  situazioni
 previste  dall'art. 1 della legge n. 210/1992 non si prestino "ad una
 valutazione  unitaria  alla  stregua   dell'anzidetta   capitolazione
 tripartita".
   Ora, a parere di questo pretore, con le previsioni dei commi 2, 3 e
 4  dell'art.  1  della  legge  n.  210/1992  (con  la  sola  parziale
 esclusione della previsione di cui al primo periodo del comma 4,  non
 facendosi  ivi  differenza  tra vaccinati obbligatoriamente e non) il
 legislatore ha inteso operare un intervento di natura  assistenziale,
 costituzionalmente  consentito  dalle disposizioni degli artt. 2 e 38
 della   Costituzione,   se   attuato   "nell'ambito    dell'esercizio
 costituzionalmente  legittimo  dei  suoi  poteri  discrezionali",  ma
 diverso, quanto al suo fondamento  costituzionale,  dalla  previsione
 del comma 1.
   I  beneficiari  della prestazione, a norma dei commi sopra indicati
 della disposizione, sono infatti (oltre agli operatori  sanitari  che
 abbiano  subito menomazioni permanenti in relazione a contatti avuti,
 in ragione della loro attivita' professionale, con sangue e derivati)
 soggetti  non  giuridicamente  obbligati,   ma   eventualmente   solo
 necessitati  a sottoporsi al trattamento sanitario da cui derivano le
 menomazioni permanenti indennizzabili, per cui la misura di  sostegno
 a  carico dello Stato si giustifica non in ragione dell'obbligo su di
 esso gravante di "ripagare il sacrifico che taluno si trova a  subire
 per un beneficio atteso dall'intera collettivita'" (cosi' Corte cost.
 sentenza n. 118/1996), ma piuttosto come scelta, dettata dai principi
 di  cui agli artt. 38 e 2 della Costituzione, di "socializzazione" di
 un  danno  di  particolare  rilievo,  attraverso  lo strumento di una
 prestazione assistenziale specifica.
   Tuttavia,  come  ribadito  dalla  piu'   volte   citata   pronuncia
 costituzionale   e  gia'  sopra  ricordato,  l'attuazione  di  simili
 interventi e' soggetta al generale sindacato della Corte in punto  di
 rispetto  del  principio  di  uguaglianza  di cui all'art. 3,   primo
 comma, della Costituzione.
   Ora, a parere della decidente, la norma  dell'art.  1,  commi  2  e
 seguenti,    prevede,    per    tutelarle   con   il   riconoscimento
 dell'indennizzo, alcune situazioni non  manifestamente  incomparabili
 con  quella  della ricorrente, cui invece una simile tutela deve, per
 quanto gia' detto, ritenersi negata.
   Ed invero, come risulta  anche  dai  lavoratori  preparatori  della
 legge  n. 210/1992 (proposta di legge n. 4964 presentata il 12 luglio
 1990), l'intervento legislativo, oltre  ad  attuare  la  sentenza  n.
 307/1990  della  Corte  costituzionale  in materia risarcibilita' dei
 darmi da  trattamenti  sanitari  obbligatori,  appare  teso  anche  a
 predisporre una tutela indennitaria in favore di soggetti che abbiano
 riportato  comunque  menomazioni permanenti dell'integrita' fisica in
 conseguenza di un trattamento sanitario "rischioso".  La  nozione  di
 rischio  del  trattamento  terapeutico,  rischio non riconducibile, o
 comunque  difficilmente  riconducibile   a   responsabilita'   (anche
 oggettive)  di  singoli e talvolta del tutto ineliminabile allo stato
 attuale attuale  delle  conoscenze  scientifiche,  e'  esplicitamente
 posto  dalla  relazione  al  citato disegno di legge quale fondamento
 dell'intervento indennitario dello Stato al di fuori delle ipotesi di
 trattamenti imposti.
   In altri termini la scelta del legislatore, desumibile  dai  lavori
 preparatori  e comunque rispecchiata dal testo della norma ai commi 2
 e seguenti dell'art. 1 della legge n. 210/1992, appare  essere  stata
 quella  di  intervenire,  si  ripete, in accordo con il dettato degli
 artt. 2 e 38 della Costituzione, con la previsione  di  una  speciale
 prestazione  assistenziale,  nei casi di danni derivati al singolo da
 una terapia, o comunque da un  trattamento  diretto  alla  protezione
 della  salute,  ma  fonte  di pericoli per il bene stesso che esso e'
 diretto a proteggere, rischi preventivabili in  astratto,  in  quanto
 statisticamente  rilevati,  ma  imprevedibili quanto al loro concreto
 verificarsi. Cio' al  fine  di  garantire  il  diritto  alla  salute,
 gravemente  pregiudicato  dal  realizzarsi del rischio, in ipotesi in
 cui difficilmente un'efficace tutela  puo'  essere  assicurata  dagli
 ordinari strumenti civilistici di risarcimento del danno.
   Del  tutto  corrispondente alla ratio legis e' quindi la previsione
 del  diritto  all'indennizzo  nei  confronti  degli  emotrasfusi  che
 abbiano  contratto,  a  seguito  del  trattamento sanitario, il virus
 dell'HIV,  o  abbiano   subito   danni   irreversibili   da   epatite
 posttrasfusionali,   senza   alcuna   limitazione   in   ordine  alla
 obbligatorieta',  e  neppure  alla  necessita'   della   trasfusione,
 trattandosi  di trattamento sanitario fonte di rischi assai gravi per
 la salute (in ragione della severita' delle  patologie  considerate),
 rischi  in larga parte "anonimi", quanto alla loro riconducibilita' a
 responsabilita' di terzi, e in certa misura ineliminabili.
   Ma una situazione del  tutto  analoga  sembra  essere,  secondo  la
 decidente,  quella dei soggetti, come la ricorrente, vaccinati contro
 la poliomielite, quando la vaccinazione era ancora facoltativa. Anche
 in tale ipotesi, infatti, il danno (assai grave, anche  in  tal  caso
 per  la natura invalidante della malattia, ed irreversibile) segue ad
 un trattamento sanitario astrattamente rischioso, seppure  praticato,
 gia'  all'epoca,  sotto  il  controllo dello Stato e presso strutture
 pubbliche. Anche in questa ipotesi, inoltre, il pericolo di danno  e'
 solo  statisticamente rilevabile, ma in concreto imprevedibile, ed il
 pregiudizio  subito   difficilmente   riparabile   secondo   "logiche
 puramente  risarcitorie"  (cfr. relazione al disegno di legge n. 4964
 gia'  citato).  Anzi,  nel  caso  di   specie,   l'accettazione   del
 trattamento sanitario e' diretta anche a soddisfare un interesse piu'
 marcatamente collettivo, quale quello alla protezione delle epidemie,
 interesse la cui rilevanza e' testimoniata dalla previsione dell'art.
 3  della  legge  n.  695/1959  (che  rendeva necessario, anche se non
 obbligatorio,  l'attestato  di  vaccinazione   per   l'accesso   alle
 comunita'  di bambini), ed induttivamente desumibile dalla successiva
 previsione della vaccinione come obbligatoria.
   Ne segue, a parere della decidente, che la situazione di coloro che
 abbiano  subito  menomazioni  permanenti  dell'integrita'  fisica  da
 poliomielite  a  seguito  di vaccinazione antipolio praticata dopo il
 1959, ma prima del 1966 (al di fuori delle ipotesi di cui al comma  4
 dell'art.  1,  della legge n. 210/1992), non appare, tenuto conto dei
 limiti propri del sindacato di questo giudice, significamente diversa
 da quella di chi abbia contratto  il  virus  HIV  in  conseguenza  di
 emotrasfusioni,   o  abbia  subito  esiti  irreversibili  di  epatite
 posttrasfusionale,  per  cui  non  e'  manifestamente  infondata   la
 questione  di  costituzionalita' dell'art. 1 della legge n. 210/1992,
 per contrasto  con  l'art.  3,  primo  comma  della  Costituzione  in
 relazione  agli artt.   2 e 38 della Costituzione, nella parte in cui
 non  prevede  il  diritto  all'indennizzo  per   chi   abbia   subito
 menomazioni   permanenti   dell'integrita'   fisica   in  ragione  di
 vaccinazione antipoliomielitica non obbligatoria  (e  non  necessaria
 per  motivi  di  lavoro  o  di  ufficio  o  per accedere ad uno Stato
 estero).
   Ma anche sotto un altro profilo deve dubitarsi della ragionevolezza
 del disposto dell'art. 1 della legge citata.
   La norma, infatti,  ha  previsto,  al  comma  4  il  riconoscimento
 dell'indennizzo anche in favore di coloro che "per motivi di lavoro o
 per  incarico  del  loro  ufficio  o  per poter accedere ad uno Stato
 estero, si siano sottoposti  a  vaccinazioni  che,  pur  non  essendo
 obbligatorie,   risultino   necessarie",   riportandone  menomanzioni
 permanenti dell'integrita' fisica.
   Il legislatore ha, quindi,  espressamente  previsto  una  tutela  a
 fronte di trattamenti vaccinali non obbligatori, tuttavia limitandola
 alle   ipotesi   di   necessita'   del   trattamento   stesso.   Ora,
 indipendentemente da ogni questione in ordine alla ragionevolezza  di
 questa  limitazione  in confronto con la piu' ampia previsione di cui
 al  2  e  3  comma  in   tema   di   conseguenza   irreversibili   di
 emotrasfusioni,  deve  osservarsi  come la necessita' del trattamento
 viene ritenuta dalla legge rilevante sempre che sussista il fine o il
 motivo normativamente previsti, senza  tuttavia  che  gli  interessi,
 alla  base  di  tali  finalita', siano in alcun modo tra comparabili.
 Cosi' l'indennizzo e' riconosciuto, non solo quando  la  vaccinazione
 si sia resa necessaria in rapporto allo svolgimento dell'attivita' di
 lavoro  o  di  ufficio  del  soggetto  leso  (interessi primari della
 persona  e  della  collettivita',  anche  alla  luce  della gerarchia
 costituzionale  dei  valori),  ma  anche  in  ogni  caso  in  cui  il
 trattamento   sia   richiesto  per  accedere  ad  uno  Stato  estero,
 indipendentemente  dalle  ragioni  e  dalla  nececsita',  non   della
 vaccinazione, ma dell'accesso.
   Ora, a parere della decidente, la situazione dei soggetti vaccinati
 contro  la polio dopo l'entrata in vigore della legge n. 695 del 1959
 (cui, si ripete, per l'accesso ad ogni collettivita' di  bambini  era
 richiesta  o la sottoposizione al trattamento vaccinale o un'espressa
 dichiarazione dell'esercente la potesta' di diniego dell'accettazione
 del trattamento) era appunto quella di  soggetti  non  obbligati,  ma
 necessitati  alla  vaccinazione, per la tutela della loro salute e di
 quella altrui, in rapporto all'elevato rischio di  contagio  in  eta'
 prescolare  e scolare, come reso manifesto dalla previsione dell'art.
 3 della legge n. 695/1959, che richiedeva un'esplicita assunzione  di
 responsabilita'  dei  genitori  per l'esclusione dal trattamento.   E
 l'attivita' in relazione al cui svolgimento il trattamento  vaccinale
 si  rendeva  (non obbligatorio), ma necessario non puo' non ritenersi
 rilevante sul piano della cura  e  della  formazione  della  persona,
 anche  alla  luce  del  disposto  dell'art.  31,  secondo comma della
 Costituzione.
   Ne segue che la situazione dei soggetti sopra indicati  non  appare
 manifestamente incomparabile con quella di coloro cui la vaccinazione
 sia necessaria per motivi di lavoro o di ufficio.
   Inoltre la previsione dell'indennizzo in favore di chi abbia subito
 menomazioni   permanenti   dell'integrita'   fisica   a   seguito  di
 vaccinazione necessaria per  accedere  ad  uno  Stato  estero,  senza
 alcuna    limitazione,    sembra   alla   decidente   ragionevolmente
 incompatibile con l'esclusione dello stesso diritto in favore di  chi
 si  sia pure volontariamente, sottoposto allo stesso trattamento, nei
 casi in cui esso sia altrimenti necessario, non  potendosi  ravvisare
 di  per  se'  nella  finalita'  di  raggiungere  uno  stato estero un
 interesse tanto rilevante (sul piano dei  valori  costituzionali)  da
 giustiticare   la   limitazione   a   quei   soli  casi  del  diritto
 all'indennizzo.
   A parere di questo pretore, quindi, anche sotto tale  profilo  deve
 ritenersi    non    manifestamente    infondata   la   questione   di
 costituzionalita' dell'art. 1, della legge n. 210/1992,  nella  parte
 in   cui   limita  il  diritto  all'indennizzo  da  vaccinazioni  non
 obbligatorie ai soli casi di necessita' del trattamento per motivi di
 lavoro, ufficio o per l'accesso ad uno Stato  estero,  per  contrasto
 con l'art. 3, primo comma della Costituzione in rapporto agli artt. 2
 e 38 della Costituzione.
   3.  -  E' invece manifestamente infondata, secondo la decidente, la
 questione,  prospettata  dalla  difesa  attrice,  di   illegittimita'
 costituzionale  dell'art.  2,  della    legge n. 210/1992, in ragione
 della (allegata) arbitrarieta' del criterio prescelto dal legislatore
 per la determinazione dell'indennizzo.
   In proposito osserva la decidente come la valutazione della censura
 cosi' mossa non possa prescindere  dalla  qualificazione  che  si  e'
 inteso  dare alla prestazione de qua nei casi di trattamenti sanitari
 non obbligatori, in accordo con Corte cost. n. 118/1996: quella cioe'
 di   prestazione   assistenziale   discrezionalmente   disposta   dal
 legislatore, in accordo con gli artt. 2 e 38 della Costituzione.
   Ed  invero,  per  soddisfare  gia'  prima  facie  il  principio  di
 ragionevolezza come coerenza della previsione normativa  rispetto  al
 suo  fine,  e' sufficiente che una prestazione di tale natura non sia
 di importo irrisorio o meramente simbolico, ed  il  meccanismo  della
 sua  determinazione  consenta  di  tener conto della diversa gravita'
 delle  menomazioni   conseguenti   al   trattamento   sanitario   non
 obbligatorio, non essendo evidentemente costituzionalmente necessaria
 l'adozione  di  criteri  di  quantificazione  assimilabili  a  quelli
 utilizzati per il  risarcimento  del  danno  alla  persona,  data  la
 profonda  diversita'  di  ratio  di tale ipotesi rispetto a quella di
 specie.
   Ora  il  criterio   adottato   dal   legislatore   appare,   quanto
 all'effettiva  determinazione delle somme riconosciute, idoneo a tali
 esigenze,  per  cui  la  questione  deve   ritenersi   manifestamente
 infondata.
   Tutto  cio'  premesso  deve  sospendersi  il giudizio e disporsi la
 trasmissione degli atti alla Corte costituzionale  per  la  soluzione
 della  questione  ritenuta  rilevante e non manifestamente infondata,
 come sopra esposta al punto 2 dell'ordinanza.
                                 P.Q.M.
   Visti gli artt. 134 della Costituzione e 23, primo e secondo comma,
 della legge 11 marzo 1953, n. 87;
   Ritenuta rilevante e non manifestamente  infondata,  per  contrasto
 con l'art. 3, primo comma, della Costituzione, in rapporto agli artt.
 2   e   38   della   Costituzione,   la   questione  di  legittimita'
 costituzionale dell'art. 1, della legge n. 210/1992  nella  parte  in
 cui    esclude    dall'indennizzo    per    menomazioni    permanenti
 dell'integrita' fisica coloro che si siano sottoposti a  vaccinazione
 antipoliomielitica  non  obbligatoria  dopo l'entrata in vigore della
 legge n. 695/1959,  al  di  fuori  dei  casi  previsti  dal  comma  4
 dell'art. 1, della legge n. 210/1992;
   Dispone la sospensione del giudizio;
   Dispone  trasmettersi  gli  atti  alla  Corte costituzionale per la
 soluzione della questione;
   Dispone  che  la  presente  ordinanza,  comunicata  alle  parti  in
 udienza,  venga notificata al Presidente del Consiglio dei Ministri e
 comunicata ai Presidenti delle due Camere del Parlamento.
     Massa, addi' 10 ottobre 1996
                         Il pretore: Tarquini
 96C1796