N. 1296 ORDINANZA (Atto di promovimento) 7 ottobre 1996

                                N. 1296
  Ordinanza emessa il 7 ottobre 1996 dal pretore di Torino sul ricorso
 proposto da Gallian Claudio ed altri contro l'I.N.P.D.A.I.
 Previdenza  e  assistenza  sociale  - Dirigenti aziende industriali -
    Pensioni erogate dall'I.N.P.D.A.I. - Determinazione della misura -
    Beneficio del  raddoppio  dei  massimali  contributivi  annui  del
    quinquennio  1983-1987  -  Applicabilita'  soltanto  ai  dirigenti
    collocati in pensione successivamente al  1  gennaio  1988  e  non
    anche  a  quelli  andati  in  pensione  nel  corso dei cinque anni
    considerati - Disparita' di trattamento di situazioni omogenee  in
    base  al  mero  elemento  temporale  - Riproposizione della stessa
    questione, gia' dichiarata inammissibile con sentenza n.  57/1993,
    per  inosservanza  del  monito  al  legislatore contenuto in detta
    pronuncia.
 (D.-L. 21 marzo 1988, n. 86, art. 3, comma 2-bis, convertito in legge
    20 maggio 1988, n. 160).
 (Cost., art. 3).
(GU n.49 del 4-12-1996 )
                              IL PRETORE
   Ha  prununciato  la  seguente  ordinanza  nella   controversia   n.
 6293/1996  promossa  da:  Gallian  Claudio,  Menna  Antonio, Dalponte
 Roberto contro  l'I.N.P.D.A.I.;  solleva  questione  di  legittimita'
 costituzionale dell'art. 3, comma 2-bis del decreto-legge n. 86/1988,
 cosi'  come  convertito  dalla  legge  n.  160/1988, sulla base delle
 seguenti considerazioni.
   Con unico  ricorso  depositato  il  3  luglio  1991,  i  ricorrenti
 indicati   in   epigrafe   si   costituivano  in  giudizio  chiedendo
 l'adeguamento   delle   pensioni   in   atto    godute    a    carico
 dell'I.N.P.D.A.I.  Il  pretore  in  data  12  maggio  1992  sollevava
 eccezione di  costituzionalita'  della  norma  piu'  sopra  indicata,
 emanando   l'ordinanza   che   viene  qui  di  seguito  integralmente
 riportata.
   Con  ricorso  regolarmente  depositato  presso la cancelleria della
 sezione lavoro il 3 luglio 1991, si costituivano in  giudizio  sedici
 ricorrenti fra i quali i tre indicati in epigrafe, tutti ex dirigenti
 industriali   ed  attualmente  pensionati  presso  l'INPDAI,  citando
 quest'ultimo Istituto  ed  osservando:  di  essere  tutti  andati  in
 pensione  anteriormente al gennaio 1988; che il regime delle pensioni
 dei dirigenti INPDAI era ed  e'  sottoposto  "all'iniquo  regime  del
 tetto  pensionistico",  che avrebbe determinato in capo ai ricorrenti
 un notevole divario tra il trattamento  effettivamente  retribuito  a
 titolo  pensionistico  e  quello  che sarebbe spettato in percentuale
 rispetto alla retribuzione media effettiva degli ultimi cinque  anni;
 che  l'art.  3  della legge n. 160/1988 (nella parte in cui prevedeva
 che a decorrere dal 1 gennaio 1988 l'applicazione dell'art. 2,  comma
 terzo,  della  legge  n.  967/53  sulla  previdenza  dei dirigenti di
 aziende industriali dovesse considerarsi disposta,  in  coerenza  con
 l'art. 21, comma 6 della legge n. 67/1988, entro un limite massimo di
 contribuzione lorda contributiva non inferiore al doppio della misura
 in   vigore  al  31  dicembre  1987),  doveva  ritenersi  esteso,  in
 conformita' con i principi costituzionali, anche  ai  dirigenti  gia'
 pensionati  alla data del 1 gennaio 1988; che quindi, ed in sostanza,
 del raddoppio del tetto pensionistico avrebbero dovuto godere anche i
 ricorrenti tutti; che in ogni caso una diversa interpretazione  della
 normativa  de  qua  avrebbe  implicato  un  problema  di legittimita'
 costituzionale per irragionevole  disparita'  di  trattamento  fra  i
 dirigenti  andati  in pensione prima e quelli andati in pensione dopo
 il 31 dicembre 1987.
   Si costituiva in giudizio l'INPDAI, osservando di aver  ottemperato
 alla  normativa  vigente,  da un lato non potendosi certo applicare a
 coloro che erano andati in pensione prima del 1 gennaio 1988 la legge
 n.  160/1988  nella  parte  in  cui  convertiva  con   modifiche   il
 decreto-legge  n. 422/1988, e dall'altro lato che in ogni caso nessun
 risvolto di eventuale incostituzionalita' poteva ravvisarsi  in  tale
 normativa,  sia  perche' le situazioni concrete poste a raffronto non
 potevano considerarsi identiche, sia perche' la Corte  costituzionale
 aveva   sempre   riconosciuto   la   legittimita'   di   un  graduale
 riconoscimento di miglioramenti pensionistici a coloro che di mano in
 mano raggiungevano il  diritto  al  trattamento  di  quiescenza,  sia
 infine  perche'  la  normativa,  che in ipotesi avrebbe realizzato la
 lamentata disparita' di trattamento, era un  decreto  ministeriale  e
 quindi  un  atto  amministrativo  insuscettibile di essere portato al
 giudizio della Corte.
   La controversia veniva istruita in alcune udienze comprese  fra  il
 18 dicembre 1991 e il 2 aprile 1992.
   In  quest'ultima  udienza il pretore decideva la lite nei confronti
 di tredici ricorrenti; nei confronti dei residui  tre  ricorrenti  (i
 sigg.ri  Menna  Antonio,  Gallian  Claudio  e  Dalponte  Roberto)  il
 pretore,  con  separato  provvedimento,  disponeva  la   prosecuzione
 dell'istruttoria  per sollevare la presente questione di legittimita'
 costituzionale.
   1.  -  Il  decreto-legge  n.  86/1988,  cosi'  come  convertito   e
 modificato  dalla  legge  n.  160/1988,  prevede  all'art.  2-bis una
 consistente rivalutazione del tetto retributivo al quale  commisurare
 la  contribuzione  a decorrere dal 1 gennaio 1988, ovviamente solo in
 favore di coloro che vadano in pensione dopo  tale  data.  Lo  stesso
 articolo  prevede inoltre che, sempre e solo per coloro che vadano in
 pensione a partire dal 1 gennaio 1988, le retribuzioni annue relative
 al  quinquennio  precedente  il  1  gennaio  1988  siano   prese   in
 considerazione entro il limite pari
  al  doppio  dei  massimali  annui  INPDAI  in  vigore  nel  suddetto
 quinquennio, secondo modalita' applicative da stabilirsi con apposito
 decreto del Ministro del lavoro; e poiche' con successivo decreto  n.
 422/1988  il Ministro del lavoro (in attuazione della disposizione di
 legge) ha stabilito che le retribuzioni annue imponibili relative  al
 quinquennio  precedente  il  1 gennaio 1988 siano computate (sempre e
 solo per le pensioni con decorrenza successiva al 31  dicembre  1987)
 rispetto  ad  un  tetto retributivo sostanzialmente pari al doppio di
 quello stabilito durante il quinquennio, ci troviamo oggi  di  fronte
 alla  situazione  che  segue,  con riferimento ai tetti pensionistici
 INPDAI, e a prescindere dalle correzioni pro-tempore  effettuate  con
 norme di tipo perequativo:
     1)  coloro  che  sono andati in pensione in data successiva al 31
 dicembre 1987  vedono  calcolati  la  pensione,  con  riferimento  al
 quinquennio antecedente la data di cessazione del rapporto di lavoro:
 a)  sulla  base  del  nuovo  elevato tetto pensionistico per tutte le
 retribuzioni afferenti al periodo successivo al 1 gennaio 1988; b) ed
 in misura invece corrispondente al  doppio  del  tetto  pensionistico
 pro-tempore  vigente, per il periodo antecedente al 1 gennaio 1988 (e
 sempre che, naturalmente, vi fosse "capienza retributiva" sufficiente
 per arrivare al doppio del tetto retributivo in allora stabilito);
     2) coloro che invece sono andati in pensione anteriormente  al  1
 gennaio 1988 continuano a godere di una pensione commisurata al tetto
 retributivo (e quindi contributivo) previsto anteriormente alla legge
 n.  160/1988,  pur  con  le  successive  perequazioni,  queste ultime
 comunque insufficienti i'  ad  arrivare  al  sostanziale  "raddoppio"
 della  base contributiva di riferimento (e sempre compatibilmente con
 la retribuzione a suo tempo percepita).
   Esclusa la possibilita' di interpretare la legge  n.  160/1988  nel
 senso  prospetto  in via principale dai ricorrenti, secondo i quali -
 tesi francamente ardita - la norma puo' direttamente applicarsi anche
 a coloro che sono andati in pensione prima del 1 gennaio 1988 (ma  si
 e' visto che l'inequivoca espressione letterale della norma impedisce
 in  radice una simile interpretazione), resta da valutare l'eccezione
 di incostituzionalita' sollevata in subordine dai ricorrenti stessi.
   Il pretore ha rigettato l'eccezione per manifesta infondatezza  nei
 confronti  dei  tredici  ricorrenti  che erano andati in pensione non
 solo anteriormente al 1 gennaio 1988, ma  altresi'  anteriormente  al
 quinquennio antecedente a tale data, e cioe' in sostanza, prima del 1
 gennaio  1983;  per costoro, infatti, la contribuzione di riferimento
 per il calcolo della pensione non veniva mai a cadere nel quinquennio
 per il quale la legge n. 160/1988 aveva previsto ex post il raddoppio
 del tetto retributivo e contributivo. Si poneva dunque per costoro il
 solo  generico  problema  connesso  alla  eventuale   disparita'   di
 trattamento  fra i diversi benefici pensionistici per chi si trovi ad
 andare in pensione  in  tempi  diversi;  ma  in  proposito  la  Corte
 costituzionale  ha  gia'  avuto  occasione  di affermare che non sono
 fondate le questioni sollevate con riferimento alla definizione delle
 sfere temporali di applicazione della disciplina dell'aumento o della
 indicizzazione del tetto pensionistico, rilevando che  si  tratta  di
 scelte discrezionali del legislatore, che trovano un unico limite nel
 ragionevole  uso  della  discrezionalita' legislativa, limite che non
 puo' ritenersi violato ove i trattamenti, non ricompresi in una  data
 disciplina  per  ragioni  temporali, restino tuttavia assoggettati ad
 altro sistema perequativo,  anche  se  meno  utile  (v.  sentenza  n.
 163/1986).  Ancor  piu'  recentemente  la  Corte,con  la  sentenza n.
 440/1991, ha ribadito che "sono affidati  alla  discrezionalita'  del
 legislatore   la   determinazione  dell'ammontare  delle  prestazioni
 previdenziali, il  rafforzamento  della  tutela  previdenziale  e  le
 variazioni   dei  trattamenti,  salvo  l'assicurazione  per  tutti  i
 lavoratori  della  pensione  minima  cui  e'  finalizzato  il  lavoro
 prestato...  (rientrando)  nella discrezionalita' del legislatore, la
 fissazione della data di  entrata  in  vigore  della  legge  emanata,
 essendo   peraltro   connaturale  alla  genericita'  delle  legge  la
 demarcazione temporale".  In  quest'ottica,  dunque,  il  pretore  ha
 ritenuto che i ricorrenti (nei cui confronti la causa e' stata decisa
 e le cui pensioni erano state pacificamente perequate successivamente
 all'inizio   delle   prime   prestazioni  previdenziali  godute)  non
 potessero lamentarsi per il fatto che  una  legge  successiva  avesse
 rafforzato la tutela previdenziale solo di coloro che erano andati in
 pensione   a   decorrere   dal   1   gennaio  1988,  rientrando  tale
 differenziazione nei limiti di una legittima discrezionalita' operata
 dal legislatore, ed altresi' nei limiti di ragionevolezza  posti  dai
 dettami costituzionali richiamati dalla Corte.
   2.  -  Per  i tre ricorrenti Menna, Gallian e Dalponte la questione
 puo' essere posta in maniera sensibilmente diversa,  poiche'  costoro
 sono  andati  in  pensione  prima  del  1  gennaio 1988, ma dopo il 1
 gennaio 1983. Per essi si verifica una situazione che, a parere,  del
 pretore,  richiede una pronuncia della Corte, poiche' nei casi di cui
 trattasi emerge indiscutibile una disparita' di trattamento (che  sia
 poi ragionevole o no costituira' oggetto della pronuncia della Corte)
 in  relazione  alle contribuzioni afferenti al quinquennio 1983-1987,
 poiche' esse, per identici periodi, a parita' di tetto retributivo  e
 a  parita'  di  corrispondenti versamenti previdenziali, incidono sul
 calcolo della base pensionistica in misura difforme fra chi e' andato
 in pensione prima e dopo il 1 gennaio 1988. A scopo  esemplificativo,
 e  per  chiarire  in  termini  qualitativi  la  questione  cosi' come
 prospettata da questo giudice, si puo' analizzare il caso di  chi  e'
 andato  in  pensione  il 1 gennaio 1989, a fronte di chi e' andato in
 pensione il 1 gennaio 1987; i tre anni contributivi comuni  (e  cioe'
 ricompresi  nella  base  quinquennale di riferimento), e precisamente
 gli anni 1984, 1985 e 1986, per i quali sia il tetto retributivo  sia
 i  versamenti  contributivi  erano  identici,  sono  venuti  invece a
 "pesare" in maniera diversa nelle due  posizioni,  solo  in  funzione
 della  data  del  pensionamento.   E mentre questo giudice non dubita
 che,  anche  alla  luce  delle  citate  decisioni  della  Corte,  sia
 ricompresa  nel  limite  di ragionevole discrezionalita' la decisione
 del legislatore di aumentare il tetto soltanto  a  decorrere  da  una
 certa  data,  e  anche  di  "rivalutare"  i  contributi  di  un  solo
 quinquennio (e non anche di quelli degli anni precedenti),  viceversa
 piu' problematica appare la decisione di consentire di computare sino
 al  doppio  (e sempre che la retribuzione in allora lo consentisse) i
 contributi del quinquennio 1983-1987, ma solo per chi  e'  andato  in
 pensione dopo il 1 gennaio 1988. La Corte ha infatti affermato con la
 sentenza  n. 1/1991 - nel dichiarare la illegittimita' costituzionale
 dell'art. 3 del decreto-legge n. 379/1987  nella  parte  in  cui  non
 dispone   in   favore   dei  dirigenti  statali  collocati  a  riposo
 anteriormente al 1 gennaio 1979 la liquidazione della pensione -  che
 il   legislatore   non   ha   esercitato   il   potere  discrezionale
 attribuitogli secondo i canoni di razionalita' e  ragionevolezza  nel
 momento  in  cui  ha diviso "... nettamente i dirigenti pensionati in
 due gruppi, nonostante che essi appartenessero alla stessa  categoria
 ed   avessero   svolto   identico  lavoro,  concedendo  agli  uni  la
 riliquidazione della pensione nei suddetti termini ed agli  altri  la
 mera  perequazione". In sostanza nel caso di specie si e' in presenza
 di una diversita'  di  trattamento  fra  appartenenti  alla  medesima
 categoria  derivante  (almeno parzialmente) da un diverso valore dato
 alla identica contribuzione e relativa agli stessi periodi. Certo  e'
 possibile  sostenere che la fattispecie presa in considerazione dalla
 sentenza n. 1/1991 attiene ad una categoria particolarmente  omogenea
 anche  sotto  il  profilo  retributivo  quale  quella  dei dipendenti
 statali, omogeneita' probabilmente non riscontrabile nella  categoria
 dei  dirigenti  privati,  le  cui retribuzioni sono distribuite su un
 ventaglio molto ampio, ancorche' unificato nell'ottica  contributiva.
 Ma  una  valutazione  di  tale  aspetto  sembra  al  pretore  che sia
 opportuno venga demandata alla  Corte,  non  apparendo  la  questione
 "manifestamente infondata".
   Piu' specificamente questo giudice prospetta la possibilita' che la
 Corte  incida  sulla  dizione  del  comma  n.  2-bis  dell'art. 3 del
 decreto-legge n.  86/1988,  cosi'  come  modificato  dalla  legge  di
 conversione  n.  160/1988,  nel  senso  di  eliminare  l'inciso  "Con
 decorrenza a partire dal  1  gennaio  1988";  tale  eliminazione  non
 farebbe  venir  meno la decorrenza dal 1 gennaio 1988 del nuovo tetto
 retributivo, ne' amplierebbe  l'intervallo  quinquennale  (1983-1987)
 nel   quale   le   retribuzioni   annue   possono   venire  prese  in
 considerazione entro il limite pari al  doppio  dei  massimali  annui
 INPDAI in vigore nel suddetto quinquennio; l'eliminazione dell'inciso
 consentirebbe quindi solo a coloro che siano andati in pensione in un
 momento  ricompreso in tale quinquennio, di poter godere anch'essi di
 un (eventuale) raddoppio dei massimali annui di retribuzione, per gli
 anni di tale quinquennio utili ai fini del calcolo della retribuzione
 cui commisurare la base pensionistica, nell'ambito delle  individuali
 ultime  260 settimane di contribuzione; e poiche' i tre ricorrenti de
 quibus, come riconosciuto dall'INPDAI, avevano goduto a suo tempo  di
 una   retribuzione  che  sarebbe  "capiente"  sotto  il  profilo  del
 raddoppio della base contributiva, dall'eventuale accoglimento  della
 eccezione  essi ricaverebbero un aumento pensionistico piu' rilevante
 di quello determinato dalla sola perequazione; di  qui  la  rilevanza
 della questione.
   In  tal  modo  viene  anche superata la formale eccezione sollevata
 dall'Ente convenuto, che ritiene non deducibile davanti alla Corte il
 decreto ministeriale  n.  422/1988,  che  ha  appunto  stabilito,  in
 ottemperanza alla normativa citata, che le pensioni aventi decorrenza
 successiva  al  31  dicembre  1987  siano  computate  "... secondo le
 percentuali di commisurazione indicate nella tabella di cui al  comma
 3, per una quota eccedente il limite massimo di retribuzione lorda in
 vigore  nei singoli periodi, entro un importo non superiore al doppio
 del limite stesso". La norma di  cui  viene  prospettata  l'eventuale
 modifica  ad  opera  della  Corte,  infatti,  non e' quella di natura
 regolarmente piu' sopra citata, ma  l'art.  3  del  decreto-legge  n.
 86/1988,  convertito  con  la  legge  n.  160/1988,  poiche'  e' tale
 disposizione  che  limita  i  meccanismi  rivalutativi  attinenti  al
 quinquennio  1983-1987,  solo in favore di coloro che siano andati in
 pensione dopo il 1 gennaio 1988.
   La Corte dichiarava inammissibile la questione di costituzionalita'
 con  la  sua  sentenza  n.  57/1993,  osservando,  in  chiusura   del
 provvedimento:    "Compete  viceversa al legislatore un intervento di
 razionalizzazione complessiva, volto a ripristinare  la  legittimita'
 costituzionale  del  tessuto  normativo,  intervento  che  non appare
 ulteriormente dilazionabile:   la questione non  potra'  infatti  non
 essere  riconsiderata,  anche  sotto  profili  diversi,  ove  non  si
 provveda ad armonizzare e non gia' a segmentare nel  tempo  la  linea
 diagrammatica  che segna l'andamento dei trattamenti pensionistici in
 argomento".
   Nessuna delle parti riassumeva la controversia  dopo  la  pronuncia
 della  Corte.  I  ricorrenti provvedevano invece, trascorsi circa tre
 anni dalla decisione, ad instaurare un nuovo procedimento contenzioso
 (anche  per  sottrarsi  all'eccezione  di  estinzione  per  non  aver
 riassunto  il precedente processo nel termine di sei mesi), chiedendo
 al giudice di sollevare nuovamente la questione di  costituzionalita'
 in  precedenza gia' prospettata, richiamandosi all'esplicito "monito"
 leggibile nell'ultimo capoverso della decisione della Corte.
   In tale situazione ritiene il  pretore  di  non  potersi  sottrarre
 all'onere   di   prospettare   nuovamente   la  stessa  questione  di
 costituzionalita' gia' in  precedenza  sollevata,  tenuto  conto  del
 fatto  che  negli ultimi tre anni il legislatore non ha provveduto ad
 alcuna armonizzazione che potesse in  qualche  modo  venire  incontro
 alle   esigenze   prospettate   dai   ricorrenti   quali   pensionati
 dell'I.N.P.D.A.I.
                                P. Q. M.
   Visto l'art. 23 della legge n. 87/1953;
   Solleva questione di legittimita' costituzionale dell'art. 3, comma
 2-bis del decreto-legge n. 86/1988, cosi' come convertito dalla legge
 n. 160/1988, nella parte in cui limita  il  raddoppio  dei  massimali
 annui del quinquennio 1983-1987 solo nei confronti di coloro che sono
 andati in pensione "... con decorrenza a partire dal 1 gennaio 1988",
 per contrasto con l'art. 3 della Costituzione;
   Si ordina alla cancelleria la trasmissione della presente ordinanza
 alla  Corte  Costituzionale,  disponendone  la notifica alle parti in
 causa,  nonche'  al  Presidente  del  Consiglio   dei   Ministri,   e
 comunicazione ai Presidenti delle due Camere del Parlamento;
   Si sospende il processo.
     Torino, addi' 7 ottobre 1996
                                                    Il pretore: Grassi
 96C1798