N. 1297 ORDINANZA (Atto di promovimento) 15 febbraio - 14 novembre 1996
N. 1297 Ordinanza emessa il 15 febbraio 1996 (pervenuta alla Corte costituzionale il 14 novembre 1996) dal Tribunale di S. Maria Capua Vetere nel procedimento civile vertente tra Papa Antonio ed altra e comune di Cervino Espropriazione per pubblica utilita' - Criterio per la determinazione delle indennita' espropriative per la realizzazione di opere da parte o per conto dello Stato o di altri enti pubblici (media tra il valore dei terreni ed il reddito dominicale rivalutato, con la riduzione dell'importo cosi' determinato del quaranta per cento) - Estensione di detto criterio di valutazione anche alla misura dei risarcimenti dovuti in conseguenza di illegittime occupazioni acquisitive - Ingiustificata deroga al principio civilistico dell'integrale risarcimento del danno da parte dell'autore dell'illecito - Irrazionale e ingiustificata equiparazione delle espropriazioni regolari e delle ablazioni sine titulo - Incidenza sul diritto di proprieta'. (D.-L. 11 luglio 1992, n. 333, art. 5-bis, convertito, con modificazioni, nella legge 8 agosto 1992, n. 359, modificato dalla legge 28 dicembre 1995, n. 549, art. 1, comma 65). (Cost., artt. 3 e 42, terzo comma).(GU n.49 del 4-12-1996 )
IL TRIBUNALE Ha pronunciato la seguente ordinanza ai sensi degli artt. 23 e 24 della legge costituzionale n. 87/1953, nella causa civile iscritta al n. 2242 del r.g.a.c. dell'anno 1988, riservata in decisione all'udienza collegiale del 6 febbraio 1996, ed avente ad oggetto: risarcimento danni a seguito di espropriazione illegittima, tra Papa Antonio e De Rosa Maria Carmina, elettivamente domiciliati in Arienzo (Caserta) alla via S. Andrea n. 2, presso lo studio dell'avv. Vincenza Memola che li rappresenta e difende giusta procura a margine dell'atto di citazione, attori e comune di Cervino, in persona del sindaco legale rappresentante pro-tempore, elettivamente domiciliato insieme con l'avv. Gabriele Casertano che lo rappresenta e difende giusta procura a margine della comparsa di risposta, in S. Maria C.V. alla via Latina n. 15, presso lo studio dell'avv. Elio Sticco, convenuto. Conclusioni All'udienza del 30 novembre 1993 il procuratore dell'attore concludeva domandando l'accoglimento della domanda introdotta, con vittoria delle spese di giudizio. Il procuratore del convenuto si riportava innanzitutto alle proprie precedenti difese e domandava la rinnovazione della CTU. Concludeva, quindi, per il rigetto della domanda cosi' come formulata e per l'accoglimento delle proprie eccezioni e richieste. Chiedeva, infine, il favore delle spese di lite. Svolgimento del processo Con atto ritualmente notificato il 6 maggio 1988, Papa Antonio e De Rosa Maria Carmina convenivano in giudizio il comune di Cervino. Esponevano gli attori di avere subito ad opera del convenuto, in data 3 luglio 1984 (decreto n. 2291/1984), la parziale occupazione di un loro fondo sito in Cervino alla via Risorgimento, riportato in catasto alla partita 2793, foglio 6, particella 103, esteso per complessive are 11,94. L'occupante aveva disposto nel gennaio del 1988 il pagamento di un indennizzo di complessive L. 2.352.000, che gli istanti qualificavano "irrisorio". Chiedevano pertanto che il tribunale determinasse l'esatto importo loro dovuto, comprensivo di interessi rivalutazione e danni ulteriori, e condannasse il comune di Cervino a liquidarlo. Si costituiva il convenuto affermando l'inammissibilita' della domanda attorea poiche' gli istanti hanno ricevuto il pagamento della (sola) indennita' provvisoria dovuta, e la stessa, proprio perche' provvisoria, e' inidonea a produrre la lesione di un diritto soggettivo. Non e' sorta pertanto in favore degli attori, a seguito delle vicende descritte, alcuna pretesa soggettiva tutelabile innanzi al giudice ordinario. Con riguardo alla domanda di danni, si sosteneva che essa avrebbe dovuto essere dichiarata improponibile, poiche' i termini dell'occupazione legittima (quinquennale a far data dal 3 luglio 1984) non erano ancora scaduti, e non si era pertanto realizzato alcun comportamento illecito della pubblica amministrazione. Prodotta dalle parti documentazione varia, dopo breve istruttoria, il 5 marzo 1991 la causa era rimessa al collegio che, decidendo con sentenza non definitiva sulle contestazioni preliminari, dichiarava ammissibili le azioni proposte e rimetteva le parti innanzi all'istruttore. Completata l'esibizione documentale, espletata la consulenza tecnica richiesta dall'attore, precisate dalle parti le conclusioni come trascritte in epigrafe, la causa era rimessa al collegio che all'udienza del 6 febbraio 1996 si riservava la decisione. Motivi della decisione Prima di esaminare il merito della presente controversia, il tribunale reputa di dover analizzare una problematica preliminare. In virtu' della modifica apportata dall'art. 1, comma 65, della legge 28 dicembre 1995 n. 549 ("Misure di razionalizzazione della finanza pubblica"), - norma entrata in vigore dal 1 gennaio 1996 come previsto dall'art. 244, e pertanto prima della decisione di questo giudizio - infatti, e' stata estesa l'applicazione del criterio legale di determinazione delle indennita' espropriative di cui all'art. 5-bis del decreto-legge n. 333/1992 convertito, con modificazioni nella legge n. 359/1992 anche alla misura dei risarcimenti dovuti in conseguenza di illegittime occupazioni acquisitive. Come e' noto, l'art. 5-bis cit. nel testo previgente disponeva, tra l'altro (comma n. 1), che fino all'approvazione di una "organica disciplina per tutte le espropriazioni" preordinate alla realizzazione di opere di pubblica utilita', la misura delle indennita' espropriative sarebbe stata determinata con il criterio di cui all'art. 13, terzo comma, della legge n. 2892 del 1895, sostituendosi in ogni caso al parametro dei fitti coacervati dell'ultimo decennio quello del reddito dominicale rivalutato di cui all'art. 24 e seguenti del testo unico 22 dicembre 1986, n. 917 (in sostanza l'importo dell'indennita' si calcola operando la media aritmetica tra il valore venale del suolo e la rendita catastale rivalutata degli ultimi dieci anni), e riducendosi poi l'importo ottenuto del 40% (salvi i casi di cessione volontaria e quelli equiparati a seguito della sentenza n. 283/1993 della Corte costituzionale). Il sesto comma dell'articolo citato escludeva dall'applicazione dei criteri indennitari sopra indicati solo i casi in cui l'indennita' fosse stata accettata dalle parti o fosse divenuta non impugnabile con sentenza passata in giudicato alla data di entrata in vigore della legge di conversione del decreto-legge n. 333/1992 (in pratica all'8 agosto 1992). L'art. 1, comma 65, della legge n. 549/1995 ha sostituito integralmente tale ultimo comma, dettando: "Le disposizioni di cui al presente articolo si applicano in tutti i casi in cui non sono stati ancora determinati in via definitiva il prezzo, l'entita' dell'indennizzo e/o del risarcimento del danno alla data di conversione del presente decreto". Che il risarcimento dei danni di cui al nuovo disposto normativo sia proprio quello relativo alla perdita della proprieta' nell'ipotesi di c.d. "occupazione acquisitiva" (o "accessione invertita") non sembra seriamente contestabile, tenuto conto dell'abbinamento operato nella previsione legislativa - in forma disgiuntiva come congiuntiva (e/o) - all'indennita' di espropriazione, e considerato che, nella materia de qua, il solo altro risarcimento ipotizzabile e' quello da occupazione temporanea illegittima, per la determinazione del quale non appare proponibile il ricorso ai criteri determinativi sopra menzionati (in cui uno dei valori da mediare e' dato dal valore c.d. "pieno", o venale, del suolo). Sembra evidente, dunque, l'intenzione del legislatore che, sollecitato presumibilmente dalla necessita' di rispondere alle ricorrenti esigenze di contenimento della spesa pubblica, ha ritenuto di equiparare del tutto, sul piano patrimoniale, alle conseguenze derivanti dalle espropriazioni legittime, quelle derivanti dalle illegittime ablazioni di "fatto", poste in essere dalla pubblica amministrazione o dai soggetti per conto della stessa operanti, facendo salve solo (come gia' avvenuto nel 1992) le determinazioni divenute inoppugnabili in sede amministrativa o per effetto di giudicato. Prescindendo da ogni considerazione, non rilevante nella fattispecie, in ordine ai dubbi di applicabilita' intertemporale (nel periodo compreso tra l'8 agosto 1992 e il 1 gennaio 1996) dell'ultima disposizione, e' certo che essendo ancora controverso nella vertenza in esame, tra l'altro, l'importo del risarcimento dovuto; agli attori in conseguenza della subita "occupazione acquisitiva" (la cui verificazione e', peraltro, pacifica, controvertendosi solo in ordine alla risalenza della stessa, se alla scadenza del quinquennio o del successivo biennio di una assunta proroga legale dell'occupazione di urgenza), non si e' ancora formato un "giudicato" in ordine all'"entita'" di tale spettanza e, pertanto, occorre applicare necessariamente il ius superveniens innanzi esaminato per calcolare l'importo dell'indennita' dovuta (che e' la principale questione sostanziale dibattuta tra le parti). Tanto premesso, osserva il tribunale che la parificazione operata dalla norma in esame tra le conseguenze patrimoniali delle ablazioni lecite e di quelle illecite, si risolve in una apparentemente irrazionale e non adeguatamente giustificata attenuazione, se non elusione, del principio di legalita' delle espropriazioni. Questo, infatti, e' stato posto dal legislatore a garanzia del diritto di proprieta' privata che, come ripetutamente affermato dalla giurisprudenza della suprema Corte di cassazione e della Corte costituzionale, puo' essere si' sacrificato (previo indennizzo) per corrispondere alle preminenti esigenze della collettivita', tenuto anche conto della funzione sociale costituzionalmente attribuita al diritto dominicale, ma (soltanto) nei casi previsti dalla legge e nel rispetto delle rigorose forme dei procedimenti amministrativi finalizzati alla espropriazione. I seri dubbi di legittimita' costituzionale, in relazione al principio di uguaglianza di cui all'art. 3 della Costituzione, si pongono percio' in ordine ad un duplice profilo: 1) per l'ingiustificata discriminazione, rispetto ad altre categorie di soggetti passivi di atti illeciti, che la norma in esame introduce a danno dei titolari dei diritti di proprieta' immobiliare illegittimamente acquisiti dalla pubblica amministrazione (o da chi, per essa, si sia avvalso dell'istituto dell'occupazione acquisitiva), in quanto nei confronti ed a discapito dei predetti la norma di cui all'art. 1, comma 65, della legge n. 549/1995, prevede una vistosa deroga ad uno dei principi basilari dell'ordinamento civilistico, ai termini del quale chi abbia, per effetto della violazione della fondamentale regola di convivenza sociale del neminem laedere, subi'to un danno (ossia una decurtazione del proprio patrimonio) ha diritto all'integrale ricostituzione dello stesso a carico dell'autore dell'illecito, soggetto pubblico o privato che sia (art. 2043 c.c.); 2) per l'irrazionale, ingiustificata e totale parificazione agli effetti patrimoniali, delle conseguenze delle espropriazioni svoltesi nel rispetto delle regole legali che le disciplinano e di quelle ablazioni "di fatto", che si verificano in conseguenza di un'attivita' materiale svolta dalla pubblica amministrazione non prestando osservanza alle regole medesime. Tale parificazione non puo' trovare adeguata giustificazione nelle esigenze di contenimento della spesa pubblica, che sembrano aver indotto il legislatore ad introdurre la censurata disposizione, essendo altri i mezzi e le regole preordinate al corretto prelievo finanziario (v. artt. 23 e 53 della Costituzione), che il tribunale non reputa possa essere correttamente realizzato attraverso un risparmio di spesa realizzato fornendo un sostanziale avallo legale all'illecito posto in essere dalla pubblica amministrazione. Questo infatti sembra essere l'effetto dell'operata eliminazione di ogni conseguenza patrimoniale sfavorevole per l'espropriante in dipendenza della mancata osservanza del corretto procedimento espropriativo, con il conseguente venir meno della principale remora al compimento di atti illegittimi. Ne', considerando le due diverse situazioni di ablazioni lecite ed illecite dal punto di vista dei soggetti passivi, puo' ritenersene la sostanziale equivalenza. Se e' vero, infatti, che il sacrificio in termini di diritti dominicali puo' risultare materialmente identico (risolvendosi comunque nella perdita definitiva della proprieta' del bene), deve pero' osservarsi che non sono affatto uguali le situazioni giuridiche in cui vengono a trovarsi le due indicate categorie di soggetti, in primo luogo in ordine agli strumenti di tutela delle proprie pretese giuridiche che gli stessi possono attivare. Solo chi rimanga vittima di un procedimento occupativo-espropriativo che si svolga nel rispetto delle regole legali, infatti, ha: 1) la possibilita' di controllare l'iter del procedimento ablatorio e, se del caso, di intervenire nel corso dello stesso quale portatore (quanto meno) di interessi legittimi correlati al compimento dei vari atti procedimentali, potendo anche domandare tutela nelle competenti sedi amministrative e giurisdizionali; 2) il diritto a godere del piu' favorevole regime della prescrizione estintiva, in quanto il suo diritto alla indennita' si estingue nel termine ordinario decennale di cui all'art. 2946 del codice civile, mentre nel caso di c.d. "accessione invertita" conseguente ad illecita occupazione, il termine prescrizionale applicabile al diritto di risarcimento dei danni e' quello quinquennale di cui all'art. 2947 cit. cod. civ. Un'ulteriore considerazione sembra al Collegio meritevole di essere proposta. Ora che la pubblica amministrazione - per effetto di quanto disposto dalla norma censurata - ha la possibilita' di acquisire la proprieta' dei suoli che le occorrono per la realizzazione delle opere di interesse pubblico semplicemente agendo per le c.d. "vie di fatto", o comunque eludendo la disciplina procedimentale predisposta dal legislatore per il conseguimento del risultato, e quando agisca in tal senso si vede pure riconoscere una piu' favorevole disciplina delle obbligazioni contratte nei confronti del soggetto passivo vittima del suo operare, e' agevole ipotizzare che la pubblica amministrazione preferira' da ora in poi non seguire (mai) piu' le regole legali del procedimento ablatorio, realizzandosi in tal modo la sostanziale abrogazione, anche questa "di fatto", delle stesse. Conseguenziali alle suesposte riflessioni si pongono i forti dubbi di legittimita' della norma in esame anche in relazione all'art. 42, terzo comma, della Costituzione, considerato che l'operata equiparazione agli effetti patrimoniali vanifica del tutto o in gran parte il principio di legalita' delle espropriazioni, posto a presidio della proprieta' privata. Cio' perche' ora la pubblica amministrazione puo' acquisire il diritto dominicale contraendo, nei confronti degli ex titolari dello stesso, obbligazioni uguali ed anzi, come si e' visto, meno gravose di quelle che avrebbe contratto nell'ipotesi (che dovrebbe considerarsi) "fisiologica" di osservanza della legge, pure nel caso "patologico" in cui essa violi il disposto normativo. Evidente, dunque, e' la conseguenza. Essendosi ormai liberata (sul piano pratico) la pubblica amministrazione dall'obbligo di osservare le norme del procedimento espropriativo (giacche', la relativa mancata osservanza viene ora a trovarsi, in subiecta materia, del tutto improduttiva di conseguenze sfavorevoli sul piano patrimoniale e, quindi, non efficacemente sanzionata), si e' finito con il creare una vera e propria fattispecie di "espropriazione di fatto" che si affianca (sintomatico in tal senso e' l'uso da parte del legislatore delle congiunzioni e/o che si rinviene nel sesto comma del riscritto art. 5-bis cit.) a quella rituale e legittima, quale via alternativa e sommaria ai fini dell'acquisizione della proprieta' dei suoli occorrenti per la realizzazione di opere di pubblico interesse. E poiche' tale forma di ablazione, solo genericamente ed indirettamente prevista dalla legge, puo' svolgersi al di fuori di ogni garanzia formale, il suesposto principio di legalita' appare del tutto eluso dal nuovo dettato normativo. Giova, a questo punto, precisare che il collegio non ignora che l'istituto dell'occupazione acquisitiva ha recentemente superato indenne il vaglio di legittimita' da parte della Corte costituzionale (v. sent. n. 188 del 17/23 maggio 1995). Ma la questione oggi si pone in termini diversi, rispetto a quelli a suo tempo rimessi a detta Corte (che pur ebbe a puntualizzare le piu' significative differenze, caratterizzate e giustificate, sul piano della legittimita' costituzionale, anche e soprattutto dalle diverse conseguenze patrimoniali delle due forme di ablazione), considerato che all'epoca mancava un riconoscimento legislativo espresso, sia pure in forma indiretta, dell'occupazione acquisitiva e che le conseguenze patrimoniali dei due istituti erano nettamente diverse (ristoro parziale, in considerazione della funzione sociale della proprieta' e delle garanzie di legge, nel caso dell'indennizzo espropriativo, e reintegrazione piena della decurtazione patrimoniale subita dal soggetto passivo, nel caso di risarcimento da illegittima acquisizione). L'esame che si intende sottoporre alla Corte suddetta e', conclusivamente, duplice: I) se sia costituzionalmente legittimo, in relazione all'art. 3 della Costituzione e sotto i due profili sopra esposti, attribuire ai soggetti danneggiati dalle illegittime occupazioni acquisitive un ristoro patrimoniale decurtato (analogamente a quello che, in cospetto di diversi presupposti ed in presenza di specifiche garanzie di legge, viene attribuito ai soggetti legittimamente espropriati); II) se, cosi' come riformulato a seguito della modifica disposta con l'art. 1, comma 65, della legge n. 549/1995, l'art. 5-bis del decreto-legge n. 333/1992 convertito, con modificazioni, nella lege n. 359/1992, non abbia, sia pure implicitamente, introdotto, per effetto della parificazione come sopra operata, una forma anomala di espropriazione, del tutto svincolata dall'osservanza di garanzie procedimentali e, quindi, in violazione dell'art. 42, terzo comma, della Costituzione. Alla luce delle considerazioni esposte, ritenute pienamente soddisfatte le condizioni di cui agli artt. 23 e 24 della legge n. 87/1953, il collegio reputa necessario rimettere gli atti alla Corte costituzionale, per il giudizio di sua competenza ai termini degli artt. 134 e segg. della Cost.
P. Q. M. Il tribunale di S. Maria C.V., 1 sezione civile, pronunciando sulla domanda proposta da Papa Antonio e De Rosa Maria Carmina contro il comune di Cervino cosi' provvede: 1) dispone la sospensione del presente giudizio; 2) ordina la immediata rimessione, a cura della cancelleria, degli atti di causa alla Corte costituzionale per i fini di cui in motivazione; 3) richiede alla cancelleria di notificare la presente ordinanza di rimessione sia alle parti costituite che al Presidente del Consiglio dei Ministri, e di comunicarla ai Presidenti della Camera dei deputati e del Senato. Cosi' deciso in S. Maria C.V. il 15 febbraio 1996 Il presidente: Di Nosse Il giudice estensore: Di Marzio 96C1799