N. 1299 ORDINANZA (Atto di promovimento) 16 ottobre 1996
N. 1299 Ordinanza emessa il 16 ottobre 1996 dal pretore di Genova sul ricorso proposto da Lertora Giorgio contro E.P.I. - Ente poste italiane Leggi, decreti e regolamenti - Decreti-legge - Lamentata inesistenza dei requisiti della "straordinaria necessita' e urgenza" nel caso di reiterazione su di una stessa materia di decreti-legge gia' decaduti per mancata conversione - Violazione dei limiti costituzionali della decretazione di urgenza - Riferimento all'ordinanza della Corte costituzionale n. 197/1966. Poste e telecomunicazioni - Ente poste italiane - Dipendenti assunti con contratto a tempo determinato - Illegittimita' dell'apposizione del termine - Esclusione, per effetto di norma retroattiva di carattere temporaneo, dell'automatica trasformazione del rapporto in rapporto a tempo indeterminato, gia' prevista dalla normativa precedente - Incidenza della suddetta esclusione su numerosi giudizi pendenti con lesione dei relativi principi costituzionali - Violazione del principio di razionalita'-equita' (confronto tra dipendenti dell'Ente poste italiane e gli altri dipendenti del settore privato nonche' fra diverse categorie di dipendenti dell'Ente de quo) - Riferimento alla sentenza della Corte costituzionale n. 155/1990. (D.-L. 1 ottobre 1996, n. 510, art. 9, comma 21). (Cost., artt. 77, 101, 102, 104 e 3).(GU n.49 del 4-12-1996 )
IL PRETORE Il ricorrente premesso di essere stato assunto dall'Ente poste italiane (E.P.I.) con contratto a tempo determinato per il periodo dal 12 ottobre 1995 al 31 dicembre 1995, prorogato il 22 marzo 1996, assume la illegittimita' del suddetto contratto per mancanza di forma scritta, per violazione dell'art. 8 c.c.l., e la conversione del relativo rapporto in rapporto a tempo indeterminato. E' stato emanato nelle more del giudizio il decreto-legge n. 510 del 1 ottobre 1996 (Gazzetta Ufficiale 2 ottobre 1996, n. 231) che all'art. 9 comma 21, ultima parte dispone "Le assunzioni di personale con contratto di lavoro a tempo determinato effettuate dall'ente "Poste italiane", a decorrere dalla data della sua costituzione e comunque non oltre il 30 giugno 1997, non possono dar luogo a rapporti di lavoro a tempo indeterminato e decadono allo scadere del termine finale di ciascun contratto". Tale provvedimento normativo e' stato pubblicato il 2 ottobre 1996 in coincidenza con la sopravvenuta inefficacia per mancata conversione del precedente decreto-legge n. 404/1996 (Gazzetta Ufficiale 3 agosto 1996) che all'art. 9, comma 21 disponeva: "Dalla data di costituzione dell'ente "Poste Italiane" stabilita in base al decreto-legge 1 dicembre 1993, n. 487, convertito, con modificazioni, dalla legge 29 gennaio 1994, n. 71, e fino alla trasformazione dell'ente stesso in societa' per azioni, in materia di contratto a tempo determinato continuano ad applicarsi l'art. 3 della legge 14 dicembre 1965, n. 1376, e il decreto del Presidente della Repubblica 31 marzo 1971, n. 276". Sussistono ad avviso di questo pretore gravi dubbi di illegittimita' costituzionale della norma del decreto-legge n. 510/1996 nella parte sopra trascritta. La relativa eccezione di illegittimita' costituzionale e' stata sollevata solo in via subordinata dalla difesa dell'attore. In via principale la difesa dell'attore sottolinea la non rilevanza della questione stessa. Sostiene infatti che la norma in esame si limiterebbe ad impedire la trasformazione consensuale del rapporto di lavoro a tempo determinato in rapporto a tempo indeterminato nella sola ipotesi in cui il termine sia stato legittimamente apposto, sicche' la norma de qua non sarebbe applicabile nella odierna controversia in cui si deduce la illegittimita' del termine. La difesa dell'attore giustifica la propria tesi collegando la prima alla seconda parte del comma 21, dell'art. 9 del decreto-legge n. 510/1996. Sostiene in buona sostanza che il legislatore avrebbe vietato al datore di lavoro di stipulare un contratto a tempo indeterminato con personale gia' assunto a tempo determinato, proprio perche' alle assunzioni a tempo indeterminato si deve procedere ai sensi della prima parte della norma in esame, secondo criteri che dovranno essere prestabiliti da accordi sindacali. Esulerebbe quindi dalla previsione della norma la trasformazione automatica per illegittimita' del termine. La tesi non appare condivisibile e in contrasto con la ratio e con la chiara lettera della norma in questione. In contrasto con la ratio poiche' sarebbe contraddittorio porre un limite al potere del datore di lavoro di assumere personale dipendente, limite che si concreterebbe appunto nel divieto di trasformare un legittimo contratto a tempo determinato in contratto a tempo indeterminato, e contestualmente consentire al datore di lavoro di aggirare quel limite, ed eludere gli accordi sindacali in tema di assunzione, stipulando, in violazione di legge, contratti a tempo determinato che si convertono automaticamente in contratti a tempo indeterminato. La tesi si pone altresi' in insanabile contrasto con la chiara lettera della legge in quanto l'espressione "le assunzioni .... non possono dar luogo a rapporti di lavoro a tempo indeterminato ...." allude chiaramente al caso di automatica trasformazione, che prescinde da una volonta' delle parti in tal senso del rapporto a tempo determinato in rapporto a tempo indeterminato. La norma si riferisce quindi sicuramente alle ipotesi in cui il termine sia stato illegittimamente (secondo la previgente normativa) apposto, e vieta l'automatica trasformazione del contratto prevista dalla normativa previgente. Nel caso in esame come si e' visto il ricorrente deduce la illegittimita' del termine apposto nel contratto dedotto nel presente giudizio, e la conversione, ai sensi della normativa previgente, del relativo rapporto in rapporto a tempo indeterminato. Ecco quindi la rilevanza, ai fini del decidere la presente controversia, della cennata questione di illegittimita' costituzionale. Ad avviso di questo pretore il citato art. 9 nella parte sopra trascritta appare gravemente sospetto da illegittimita' costituzionale sotto diversi profili. Innanzitutto si prospetta una violazione dell'art. 77 della Costituzione nella parte in cui subordina ai ".... casi straordinari di necessita' e di urgenza" la legittimazione del Governo all'emanazione di decreti-legge. L'espressione usata dal costituente sembra alludere ad eccezionali situazioni di crisi dello Stato, ed appare quindi del tutto inidonea a comprendere la materia in questione concernente un particolare aspetto della disciplina del rapporto di lavoro (ora di natura privata) con l'Ente poste italiane, e precisamente i limiti alla facolta' di apporre un termine al relativo contratto di lavoro. E chi voglia seguire una prassi che ha enormemente dilatato la portata della espressione di cui sopra deve comunque domandarsi quali sarebbero i fatti sopravvenuti che nella specie avrebbero integrato un caso di straordinaria necessita' e urgenza ex art. 77 della Costituzione. E' sorto, la circostanza e' ben nota, un nutrito contenzioso, di cui fa parte la presente controversia, promosso dai dipendenti dell'Ente poste italiane i quali, assunti con contratto a tempo determinato, deducono l'illegittimita' del termine e la conseguente conversione del rapporto a tempo indeterminato. Si tratta di una delle tante ipotesi di controversie cosidette seriali in materia di lavoro. Prima dell'emissione dei due decreti-legge n. 404/1996 e n. 510/1996, talune domande relative a dette controversie sono state decise favorevolmente per gli attori in base alla normativa previgente. Ora non si vede proprio come l'applicazione delle leggi vigenti, effettuata dal giudice al al fine di decidere le controversie demandate alla sua cognizione, possa integrare gli estremi della "straordinaria necessita' e urgenza" sia pure conferendo all'espressione la portata piu' ampia possibile, conforme ad una prassi consolidata che va ben oltre le intenzioni del costituente. E non basta. Come si e' gia' accennato la materia in esame era stata disciplinata dal decreto-legge n. 404/1996 non convertito nei termini. Allo scadere del sessantesimo giorno vale a dire il 2 ottobre 1996, e' stato emesso il decreto-legge n. 510/1996 che nella parte gia' trascritta delinea nella materia de qua una disciplina sostanzialmente analoga a quella dettata dal precedente decreto-legge n. 404/1996. Sostanzialmente analoga perche' in definitiva esclude l'automatica conversione in contratto a tempo indeterminato di un contratto a tempo determinato con termine illegittimamente apposto. Il fenomeno della reiterazione di decreti-legge non convertiti e' assai diffuso nella prassi, ma cio' non ne esclude la illegittimita' costituzionale. L'art. 77 della Costituzione conferisce al Governo un potere legislativo in via del tutto eccezionale, vale a dire in quei casi caratterizzati da necessita' ed urgenza tali da richiedere un tempestivo intervento che le Camere non possono assicurare per ragioni attinenti ai tempi tecnici del loro operare. I tempi tecnici entro cui le Camere possono e debbono intervenire sono gia' previsti e stabiliti dal costituente nell'arco di sessanta giorni dalla pubblicazione del decreto-legge; scaduto tale termine il decreto-legge non convertito diventa inefficace. Invero scaduti i sessanta giorni, ed avendo avuto le Camere il tempo sufficiente per provvedere, non sussiste piu' la ragione che giustifica la decretazione d'urgenza. Ne consegue che la reiterazione (sia pure con talune modifiche) su di una stessa materia di un decreto-legge non convertito si risolve in un inammissibile esercizio del potere legislativo da parte del Governo; inammissibile perche' non legittimato da alcuna norma della Costituzione, ed in particolare contrario alla lettera ed allo spirito dell'art. 77 della Costituzione. E' bene sottolineare che il Parlamento puo' manifestare la sua volonta' anche mediante la semplice inerzia, vale a dire lasciando decadere un decreto-legge. Sicche' la reiterazione di un decreto-legge non convertito nei termini si risolverebbe in una sovrapposizione (inammissibile nel nostro Ordinamento che conosce il principio della distinzione dei poteri) della volonta' del Governo a quella del Parlamento. Le considerazioni svolte paiono in linea con un recente provvedimento (ordinanza 14 giugno 1996) col quale la Corte costituzionale ha sollevato di ufficio, rimettendone la trattazione avanti a se', la questione di legittimita' costituzionale, in riferimento all'art. 77 della Costituzione, del decreto-legge n. 269/1996 - in tema di espulsione dello straniero - che ha reiterato un precedente decreto-legge non convertito nei termini. Si legge testualmente nell'ordinanza in questione "... questa Corte dubita, in riferimento all'art. 77 della Costituzione, della legittimita' costituzionale del decreto-legge n. 269/1996, in quanto lo stesso, mediante reiterazione, ha rinnovato l'efficacia di norme decadute a seguito della mancata conversione, nel termine fissato dalla norma costituzionale, di un precedente decreto-legge che le prevedeva". E' pur vero che l'ordinanza aggiunge che "... il dubbio relativo alla lesione della richiamata disposizione costituzionale va nella specie valutato anche in relazione all'ambito nel quale intervengono le norme impugnate, che, disciplinando una particolare forma di espulsione dello straniero dal territorio dello Stato, attengono alla sfera dei diritti fondamentali della persona e sono suscettibili di produrre effetti irreversibili in tale sfera". Tuttavia tale puntualizzazione appare non pertinente poiche' ad avviso di questo pretore la materia oggetto della disciplina legislativa rileva solo in ordine all'ambito oggettivo della decretazione di urgenza. Un autorevole orientamento ritiene infatti sottratti ai provvedimenti governativi ex art. 77 della Costituzione le materie insuscettibili di delegazione legislativa. Mentre il difetto dei presupposti di straordinaria necessita' ed urgenza pone il decreto-legge in contrasto con l'art. 77 della Costituzione quale che sia la materia disciplinata dalla decretazione d'urgenza. Per le considerazioni svolte l'art. 9, comma 21 del decreto-legge n. 510/1996 nella parte sopra trascritta appare in contrasto con l'art. 77 della Costituzione. In ordine alla norma in esame ulteriori dubbi di illegittimita' costituzionale appaiono tutt'altro che manifestamente infondati. Si e' gia' accennato che e' in corso una serie di controversie (che sembra tutt'altro che esaurita) promosse da dipendenti dell'E.P.I. i quali, assunti con contratto a tempo determinato, deducono l'illegittimita' dell'apposizione del termine con conseguente conversione del relativo rapporto in rapporto a tempo indeterminato. Ora la norma in esame di carattere prevalentemente (come si vedra') retroattivo, e' intenzionalmente diretta ad incidere sui cennati giudizi in corso, impedendo comunque la richiesta conversione. Essa si pone pertanto in chiaro contrasto con gli artt. 101, 102 e 104 della Costituzione. In un passo dell'ampia motivazione della sentenza 155/1990 della Corte costituzionale viene affermato il seguente principio: "La legge interpretativa, per vero, non viola di per se' gli artt. 101, 102 e 104 della Costituzione indicati nell'ordinanza di remissione, a meno che essa non leda il giudicato gia' formatosi o non sia intenzionalmente diretta ad incidere sui giudizi in corso. Se queste circostanze, come nella specie non ricorrono (per vero il giudice a quo adombra il sospetto di una preordinata interferenza, ma esso non e' suffragato da elementi univoci) si deve escludere che le attribuzioni del potere giudiziario siano vulnerate in quanto legislatore e giudice agiscono su piani diversi. Tale principio puo' ragionevolmente estendersi alla legge retroattiva che sia intenzionalmente diretta ad incidere su giudizi in corso. Nella specie siffatta intenzionalita' viene suffragata da elementi, ad avviso di questo pretore, consistenti ed univoci. Il primo dei due decreti-legge in questione e' stato pubblicato nella Gazzetta Ufficiale del 3 agosto 1996 vale a dire alcuni mesi dopo l'inizio delle controversie seriali di cui si e' gia' detto, e circa due mesi dopo la pronuncia delle prime sentenze che, in primo grado, avevano accolto le domande attrici. A questa sintomatica coincidenza di tempi altri elementi sintomatici si aggiungono. La norma in esame del decreto-legge n. 510/1996, cosi' come la norma analoga del decreto-legge n. 404/1996, riguarda esclusivamente la fattispecie dedotta nelle suddette controversie: vale a dire i contratti di lavoro a termine - illegittimamente apposto - stipulati con un determinato datore di lavoro, l'Ente poste italiane. La norma e' volta esclusivamente a rendere validi ed efficaci i termini suddetti, illegittimi in base alla normativa previgente; e' quindi volta a risolvere i giudizi di cui sopra in senso favorevole al convenuto cioe' all'Ente poste italiane. Ed ancora. La norma e' limitata nel tempo, dalla costituzione dell'Ente poste (cioe' la fine del 1993) sino al 30 giugno 1997; essendo stata pubblicata il 2 ottobre 1996 e' retroattiva, e riguarda proprio il periodo in cui sono stipulati e resterebbero in vigore sulla base dell'apposito termine, i contratti dedotti e deducibili nelle controversie seriali di cui si e' detto; ed il termine finale di efficacia della norma, il 30 giugno 1997, altrimenti privo di senso, e' spiegabile ove si consideri che alla fine di giugno del 1997 saranno ormai sicuramente scaduti i termini di tutti i contratti di cui sopra. L'intenzione del legislatore di incidere su di una serie di controversie in corso emerge quindi in modo inequivoco porre la norma de qua in contrasto anche con gli artt.101, 102 e 104 della Costituzione. La norma presenta altresi' profili di contrasto con l'art. 3 della Costituzione. Come e' noto il rapporto di lavoro con l'Ente poste riveste natura privata, dopo la recente trasformazione dell'Amministrazione delle Poste e delle telecomunicazioni in Ente pubblico economico. ora in tema di rapporto di lavoro a tempo determinato i dipendenti dell'Ente poste sarebbero soggetti ad una disciplina diversa da quella dettata per tutti gli altri dipendenti nel settore privato; diversita' della quale non si vede alcuna ragionevole giustificazione. E l'irragionevolezza di tale disuguaglianza appare ancora piu' macroscopica ove di consideri che il comma 21 dell'art. 9 del decreto-legge n. 510/1996 conferisce, sic et simpliciter, validita' ed efficacia alla clausola appositiva del termine nel contratto di lavoro, a prescindere dalla causa della nullita', secondo la previgente normativa. Sicche' tale clausola sarebbe valida ed efficace, anche se determinata da un motivo illecito (ad esempio una discriminazione per ragioni di razza, o di sesso, o di appartenenza o non appartenenza del lavoratore ad una organizzazione sindacale), anche se detto motivo fosse apertamente indicato nel contratto. La validita' di siffatta clausola costituirebbe una peculiarita' del solo rapporto di lavoro dei dipendenti dell'Ente poste italiane. E la norma in esame non discrimina solo i dipendenti dell'Ente poste italiane da tutti gli altri lavoratori subordinati nel settore privato. Essa pone una ulteriore discriminazione nell'ambito degli stessi dipendenti dell'Ente poste italiane a seconda che abbiano stipulato un contratto a termine scadente prima o dopo il 30 giugno 1997. Dira' la Corte costituzionale se in tutto questo sia ravvisabile quel minimo di ragionevolezza sufficiente ad escludere un contrasto con l'art. 3 della Costituzione.
P. Q. M. Il pretore dichiara rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 9, comma 21 del decreto-legge n. 510/1996 nella parte in cui dispone: "Le assunzioni di personale con contratto di lavoro a tempo determinato effettuate dall'ente "jPoste italiane", a decorrere dalla data della sua costituzione e comunque non oltre il 30 giugno 1997, non possono dar luogo a rapporti di lavoro a tempo indeterminato e decadono allo scadere del termine finale di ciascun contratto" per contrasto con gli artt. 77, 101, 102, 104 e 3 della Costituzione; Ordina la trasmissione degli atti alla Corte costituzionale; Dispone che la presente ordinanza, di cui e' stata data lettura in udienza, sia notificata al Presidente del Consiglio dei Ministri, e comunicata ai Presidenti delle Camere; Dispone la sospensione del presente giudizio. Genova, addi' 16 ottobre 1996 Il presidente: (firma illeggibile) 96C1801