N. 29 RICORSO PER CONFLITTO DI ATTRIBUZIONE 21 novembre 1996

                                 N. 29
  Ricorso  per  conflitto di attribuzione depositato in cancelleria il
 21 novembre 1996 (della corte d'appello di Milano)
 Parlamento - Immunita' parlamentari - Deliberazione della Camera  dei
    deputati  che dichiara insindacabili, ai sensi dell'art. 68, primo
    comma della Costituzione,  le  frasi  proferite  dall'on.  Umberto
    Bossi  in  un  comizio  per  l'elezione a sindaco di Milano, il 18
    giugno 1993, per cui pende a suo carico  processo  penale  per  il
    reato  di  cui all'art.   595, primo e terzo comma del cod. pen. -
    Ricorso per conflitto di attribuzione tra  poteri  proposto  dalla
    Corte d'appello di Milano in seguito a ordinanza di ammissibilita'
    n.  339  del  1996, pronunciata dalla Corte costituzionale in fase
    delibativa  -  Richiesto  intervento  della  Corte  costituzionale
    perche' accerti se le frasi incriminate costituiscano esercizio di
    attivita'  connessa  a  quella  parlamentare,  come ritenuto dalla
    Camera, ovvero attivita' politica non  connessa  all'esercizio  di
    attivita'  parlamentare,  e  come  tale  sottoponibile ad esame da
    parte del giudice penale, come sostiene la parte civile - Richiamo
    a sentenze nn. 1150/1988, 443/1993 e 131/1996 e  all'ordinanza  n.
    130/1996.
 (Delibera della Camera dei deputati 31 gennaio 1996).
 (Cost., art. 68, primo comma; d.-l. 23 ottobre 1996, n. 555).
(GU n.48 del 27-11-1996 )
                            LA CORTE D'APPELLO
   Ha  pronunciato  la  seguente  ordinanza  nella causa penale contro
 Bossi Umberto.
                             O s s e r v a
   1. - Si procede a  carico  dell'on.  Umberto  Bossi  a  seguito  di
 querela   per  diffamazione  proposta  nei  suoi  confronti  dall'on.
 Ferdinando dalla Chiesa in relazione  ad  espressioni  adoperate  dal
 primo  nei  confronti  del  secondo  in  un  comizio  elettorale (per
 l'elezione del sindaco di  Milano)  il  giorno  18  giugno  1993.  Il
 pretore   ha  ritenuto  "non  manifestamente  fondata"  la  richiesta
 dell'on.  Bossi  di  proscioglimento  ai  sensi  dell'art.  68  della
 Costituzione e ne ha affermato la responsabilita' condannandolo  alla
 pena  di  L.  2.000.000  di  multa oltre al risarcimento dei danni in
 favore del querelante costituitosi parte  civile.  L'on.    Bossi  ha
 proposto  appello,  e  prima  della  decisione  in  questo  grado del
 giudizio la Camera dei deputati, di cui  l'on.  Bossi  faceva  parte,
 chiedeva  copia  degli  atti  e quindi, in forza degli artt. 68 della
 Costituzione e 3, comma 2, ult. periodo del d.-l. 13  marzo  1995  n.
 69  e  successive  numerose reiterazioni, da ultimo (al momento della
 pronuncia della Camera) il  7  settembre  1995  n.  374  (attualmente
 invece e' vigente il d.-l. 12  marzo 1996 n. 116), in data 31 gennaio
 1996  deliberava che "i fatti per i quali e' in corso il procedimento
 riguardano l'espressione di  opinioni  formulate  da  un  membro  del
 Parlamento nell'esercizio delle sue funzioni".
   A  seguito di tale decisione parlamentare la p.c. ha presentato una
 memoria nella quale si contesta la legittimita'  -  prescindendo  dal
 merito  -  dell'intervento dell'Assemblea parlamentare in quanto essa
 avrebbe violato la nuova formulazione dell'art. 68 della Costituzione
 che consentirebbe alle Camere di pronunciarsi soltanto se il  giudice
 ordinario  non  ritenga  la  questione  manifestamente  infondata: se
 viceversa tale  la  ritenesse  (come  e'  accaduto  in  concreto)  la
 comunicazione alla Camera avrebbe il solo valore di informativa della
 esistenza   di  un  procedimento  a  carico  di  un  suo  componente.
 Conseguentemente la p.c. conclude chiedendo che il giudice  investito
 del  processo  (cioe',  nel caso, questa Corte d'appello) disponga la
 prosecuzione di questo disattendendo la decisione  della  Camera  dei
 deputati.  Con  successiva memoria, presentata all'odierna udienza in
 camera di consiglio, la p.c. sostiene che le modificazioni  normative
 intervenute  dopo  che  il  primo  giudice  ha  validamente  promosso
 l'azione, cosi' avviando il  procedimento,  non  avrebbero  influenza
 sull'ulteriore  corso  della  procedura,  la  quale  non  puo' subire
 arresti per motivi sopravvenuti.
   Il  p.g.  ha  viceversa  chiesto   che   la   Corte,   in   riforma
 dell'appellata  sentenza,  assolva  l'imputato  dal reato ascrittogli
 perche' il fatto non costituisce reato, ai sensi degli  artt.  129  e
 530 c.p.p., in quanto spetta alla Camera valutare le condizioni della
 insindacabilita'  delle  opinioni espresse dai parlamentari, salvo il
 possibile controllo di legittimita' nella forma del conflitto davanti
 alla Corte costituzionale, anche alla luce del d.-l. 12 marzo 1996 n.
 116 contenente  disposizioni  per  l'attuazione  dell'art.  68  della
 Costituzione ed attualmente vigente.
   La  Corte  costituzionale  con le sentenze n. 1150/1988 e 443/1993,
 sempre secondo il p.g., ha chiarito che  il controllo di legittimita'
 puo' avere ad oggetto unicamente la sussistenza di eventuali vizi  di
 procedura  ovvero  l'omessa od arbitraria valutazione dei presupposti
 di insindacabilita', e la delimitazione di tali presupposti non  puo'
 essere effettuata dall'autorita' giudiziaria quando (come nel caso in
 esame)  si  sia  pronunciata la Camera di appartenenza dell'imputato,
 perche' diversamente si verificherebbe una inammissibile interferenza
 nelle prerogative di cui all'art. 68 Cost.
   2. - L'art. 68 Cost., primo comma (che qui interessa),  cosi'  come
 modificato  dall'art. 1 legge cost. 29 ottobre 1993 n. 3, dispone che
 "I membri del Parlamento non possono  essere  chiamati  a  rispondere
 delle  opinioni  espresse  e  dei voti dati nell'esercizio delle loro
 funzioni".
   Il  problema  del  presente procedimento e' se le opinioni espresse
 dall'on. Bossi nel comizio del 18 giugno 1993 costituissero esercizio
 della funzione parlamentare; pregiudiziale a cio' e' la necessita' di
 stabilire a chi spetti la valutazione in proposito.
   L'art. 2 del d.-l. 12 marzo 1996 n. 116 stabilisce al  primo  comma
 che   l'art.   68   della  Costituzione  si  applica  per  una  serie
 (praticamente onnicomprensiva) di atti parlamentari; al  terzo  comma
 e'  stabilito  che per gli atti di cui sopra "e in ogni altro caso in
 cui ritenga applicabile l'art. 68, primo comma, della Costituzione ad
 attivita' divulgative connesse, pur se svolte fuori dal Parlamento il
 giudice lo dichiara con sentenza ...".  Se  il  giudice  non  ritiene
 applicabile l'art. 68 deve comunque informare il Parlamento, che puo'
 andare  di  diverso  avviso;  in  quest'ultimo  caso  (che  e' quello
 verificatosi in concreto) il giudice deve pronunciare sentenza, salvo
 che ritenga di elevare conflitto di attribuzioni.
   Da tale normativa si ricava innanzi  tutto  la  infondatezza  della
 richiesta  della  p.c.  di  disapplicare  direttamente  la  pronuncia
 parlamentare:    se  del  caso,  questa  Corte  dovra'  sollevare  il
 conflitto   davanti   alla   Corte  costituzionale.  La  operativita'
 immediata delle modificazioni normative  intervenute  nel  corso  del
 processo, gia' desumibile dai principi regolatori del processo, trova
 da  ultimo  una  conferma  nella ordinanza della Corte costituzionale
 17-24  aprile  1996  n.  130,  di  recentissima  pubblicazione  nella
 Gazzetta Ufficiale 30 aprile 1996.
   3. - Prima della riforma dell'art. 68 della Costituzione perche' si
 potesse   procedere  penalmente  a  carico  di  un  parlamentare  era
 necessario ottenere  l'autorizzazione  a  procedere  da  parte  della
 Camera  di appartenenza.   E' evidente che tale autorizzazione poteva
 essere concessa  se  il  reato  non  rientrava  tra  quelli  commessi
 nell'esercizio  delle  funzioni  parlamentari,  per i quali valeva il
 divieto (allora definitivo di "perseguibilita'", mentre oggi e' stata
 introdotta, come si e' visto, l'espressione "chiamato a rispondere").
 L'autorizzazione a procedere, come diceva  il  nome  stesso,  e  come
 giurisprudenza  e  dottrina  ritenevano, costituiva una condizione di
 procedibilita', senza la quale il  procedimento  era  bloccato.  Oggi
 tale  condizione  non  e'  piu'  richiesta  a  seguito  della riforma
 dell'art. 68, per cui il procedimento puo'  liberamente  mettersi  in
 moto,  salvo l'intervento della Camera cui appartiene l'inquisito, la
 quale puo' ritenere, con efficacia vincolante per il giudice salva la
 proposizione  del  conflitto,  che  il  fatto  commesso   costituisca
 esercizio dell'attivita' parlamentare.
   La    natura    processuale    (condizione    di    procedibilita')
 dell'autorizzazione  a  procedere  comporta   che,   soppresso   tale
 istituto,  il  processo,  anche relativo a fatti commessi prima della
 riforma dell'art. 68, puo' iniziare il suo corso, (salvo  appunto  il
 gia'  ricordato intervento di merito del Parlamento). Questo discorso
 riguarda direttamente il caso in esame,  relativo  a  fatti  commessi
 prima della riforma dell'art.  68 della Costituzione.
   Viceversa  la  pronuncia  della  Camera  sulla  legittimita'  della
 condotta di cui il singolo parlamentare e' chiamato  a  rispondere  -
 legittimita'   derivante  dell'esercizio  di  attivita'  parlamentare
 ovvero di attivita' divulgativa connessa -  costituisce  accertamento
 che  il  fatto  e' stato commesso nell'esercizio di un diritto, cioe'
 nel  concorso  di  una  causa   di   giustificazione   che   comporta
 l'assoluzione  nel  merito, come esattamente richiede il p.g.; e cio'
 salva soltanto la gia' ricordata ipotesi del conflitto.
   4. - La dettagliata specificazione  dei  casi  di  insindacabilita'
 parlamentare,  contenuta nell'art. 2 d.-l. 12 marzo 1996 n. 116 sopra
 citato,  costituisce   una   novita'   rispetto   alla   decretazione
 precedente.    Poiche'  peraltro la fonte primaria, nella materia, e'
 l'art.  68  Cost.,  il  primo  esame  da  compiere  e'  quello  della
 compatibilita'   fra  i  casi  di  insindacabilita'  stabiliti  dalla
 Costituzione e quelli  di  cui  al  decreto-legge;  l'art.  68  della
 Costituzione  come  si  e' visto, si riferisce alle opinioni espresse
 dal parlamentare nell'esercizio delle sue funzioni (ed ai voti  dati,
 ma  questa ipotesi non rileva in giudizio), il secondo definisce come
 rientranti nelle funzioni parlamentari, oltre ad una  serie  di  atti
 sicuramente  propri  dell'attivita' parlamentare (primo comma), anche
 "le attivita' divulgative connesse".  Se si dovesse ritenere che tale
 estensione dell'insindacabilita' ecceda i  limiti  dell'art.  68  non
 resterebbe  che  la  proposizione  della  questione  di  legittimita'
 costituzionale della norma davanti  alla  Corte  costituzionale.  Non
 sembra   peraltro   che   ricorra   tale   vizio   di  illegittimita'
 costituzionale, perche' non pare dubbio  che  il  parlamentare  debba
 essere libero, oltre che di manifestare la propria opinione, anche di
 darne  adeguata  divulgazione  affinche' l'elettore (cioe' il "popolo
 sovrano" di cui all'art. 1 Cost.) ne sia  compiutamente  informato  e
 possa  valutare  il  comportamento di ciascun proprio rappresentante.
 Del pari non vi e' dubbio  che  l'estensione  della  insindacabilita'
 alle  attivita' non strettamente parlamentari ma divulgative abbia un
 contenuto sostanziale  che  opera  anche  con  riferimento  ai  fatti
 commessi   in   precedenza,   anche   se  tale  fattispecie  non  era
 materialmente contemplata nella normativa previgente. Si  tratterebbe
 infatti   della   legittimazione  di  una  attivita'  precedentemente
 vietata, con conseguente operativita'  dell'art.  2,  comma  secondo,
 c.p.
   5.  -  Il problema, a questo punto, diviene quello di accertare se,
 nel caso di specie, l'attivita'  oggetto  dell'imputazione  a  carico
 dell'on.  Bossi  rientri o meno fra le attivita' divulgative connesse
 all'esercizio dell'attivita' parlamentare. La Camera dei deputati  ha
 dato una sostanziale risposta affermativa, anche se non formulata con
 riferimento  agli  esatti  termini  nei  quali la questione viene qui
 impostata perche' ancora non era stato emanato il d.-l. 12 marzo 1996
 n. 116 e quindi il Parlamento non aveva la  possibilita'  di  tenerne
 conto.   Tuttavia   la   delibera  parlamentare  rivela  la  evidente
 intenzione della Camera di considerare l'attivita' comiziale dell'on.
 Bossi  come  ricompresa  fra  l'espressione  di  opinioni   politiche
 rientranti nell'esercizio della funzione parlamentare.
   Occorre  premettere, a questo punto, una osservazione fondamentale:
 la regola della  irresponsabilita'  parlamentare  si  pone  come  una
 eccezione rispetto al generalissimo principio, proprio dello Stato di
 diritto,  della responsabilta' individuale. La eccezione in questione
 e' perfettamente lecita e trova la sua inattaccabile  giustificazione
 nella  necessita'  di  garantire  in  ogni  momento  e con la massima
 estensione possibile  la  liberta'  dei  parlamentari  -  di  ciascun
 componente  del  Parlamento  -  nell'esercizio delle sue funzioni: la
 liberta' di tale esercizio, e non un qualsivoglia tipo di privilegio,
 costituisce il fine della disposizione.
   Come e' regola comune del  diritto,  peraltro,  ogni  eccezione  va
 interpretata  in  senso  restrittivo,  nel  senso  che, dove essa non
 opera, torna a valere il principio generale. Nel caso  in  esame,  si
 ripete, non viene in questione una attivita' compiuta all'interno del
 Parlamento  e  con  riferimento ad opinioni connesse ad una attivita'
 istituzionale, ma opinioni,  politiche,  per  dir  cosi',  di  ordine
 partitico,  cioe'  proprie di attivita' di propaganda e contrasto fra
 opposti schieramenti politici.  Attivita',  bene  inteso,  del  tutto
 lecita  ed  anzi  fondamentale  per  la  sussistenza  di un regime di
 liberta', ma soggetta agli stessi  limiti  di  ogni  altra  attivita'
 civile,  tra  cui  quel  principio  che,  con  massima  latina  assai
 incisiva, si suole indicare come  neminem  laedere.  E  cio'  fino  a
 quando   non   si   incorra   nella   eccezione  di  insindacabilita'
 parlamentare.
   Il punto decisivo della vertenza, a giudizio di  questa  Corte,  e'
 dunque  il seguente: l'attivita' compiuta  dall'on. Bossi, ed oggetto
 del giudizio, rientra o meno  nelle  attivita'  divulgative  connesse
 all'esercizio  dell'attivita'  parlamentare?  In  caso affermativo si
 avra' la legittimita' della condotta per l'esercizio di  un  diritto,
 in   caso   contrario  la  insindacabilita'  parlamentare  non  sara'
 applicabile.
   6. - A giudizio del Parlamento le parole pronunciate dall'on. Bossi
 hanno  "una  indissolubile  connessione  con   l'attivita'   politica
 generale  del  parlamentare,  seppure  esercitata  in  occasione  del
 rinnovo del consiglio comunale di Milano: non e' pensabile,  infatti,
 che  l'impegno  politico di un gruppo contro il supposto "statalismo"
 di forze politiche avverse possa dispiegarsi solo in Parlamento e non
 possa essere speso in occasioni particolari, ma di  grande  rilevanza
 politica  come le tornate elettorali amministrative" (relazione della
 giunta per le autorizzazioni a procedere, presentata il 4 agosto 1995
 ed approvata dalla Camera il 31 gennaio 1996). In  altri  termini  le
 dichiarazioni  in  questione costituirebbero la prosecuzione in altra
 sede dell'attivita' politica svolta propriamente in sede parlamentare
 dal raggruppamento politico cui appartiene l'on. Bossi. Questa  Corte
 non   ha   alcun   motivo   per  dissentire  da  questa  affermazione
 parlamentare, di per se' pienamente convincente; essa  deve  tuttavia
 osservare  che  tale  impostazione  non  risolve  il  problema  della
 applicabilita' o meno della  insindacabilita'  parlamentare,  perche'
 certamente  il  dibattito  politico  e'  del  tutto libero, ma con il
 rispetto dei diritti altrui, salva la applicazione dell'art. 68 della
 Costituzione che definisce, e con  cio'  stesso  limita,  la  portata
 della insindacabilita' (come si e' gia' sopra osservato).
   7.  -  Le  sentenze fondamentali in materia sono quelle 1150/1988 e
 443/1993 della Corte costituzionale, la quale  ha  stabilito  che  in
 materia di applicazione dell'art. 68 della Costituzione "e' possibile
 solo verificare se... da parte della Camera di appartenenza sia stato
 seguito  un  procedimento corretto oppure se mancassero i presupposti
 di detta dichiarazione (di insindacabilita') - tra i quali essenziale
 quello del collegamento  delle  opinioni  espresse  con  la  funzione
 parlamentare"  (sent.  443).  La recentissima sentenza n. 131/1996 C.
 cost., in Gazzetta Ufficiale  30 aprile 1996, a sua volta, ammette il
 conflitto  magistratura-parlamento  in caso di esercizio non corretto
 del potere (parlamentare) - per  i  vizi  in  procedendo  oppure  per
 omessa o erronea valutazione dei suoi presupposti, in particolare per
 manifesta  estraneita' della condotta del parlamentare al concetto di
 "opinione" o di "esercizio delle funzioni".
   Nel primo caso si discuteva, in fatto, di dichiarazioni rese da  un
 parlamentare in sede di dibattito, nel quale egli aveva riferito dati
 sicuramente appresi nell'espletamento di una attivita' specificamente
 parlamentare;   nel   secondo   invece  si  tratta  di  dichiarazioni
 televisive su fatti di cui non e' indicata, nella sentenza, la fonte.
   8. - Non sembra che l'art. 68  possa  venire  dilatato,  in  favore
 degli  appartenenti  al Parlamento, fino a ricomprendere la tutela di
 diritti costituzionalmente garantiti non gia' ai  parlamentari  ma  a
 tutti  i  cittadini,  siano  essi  membri delle Camere o meno, come i
 diritti di opinione, di parola e via dicendo, di cui  alla  Parte  I,
 Titolo  I Cost.: non appare infatti possibile ritenere che l'art.  68
 abbia voluto ribadire una tutela gia' prevista per tutti, perche'  si
 sarebbe  trattato di una attivita' normativa superflua, ne' che abbia
 voluto estendere per i membri del  parlamento  i  limiti  fisiologici
 stabiliti  in  via  generale  all'esercizio dei diritti per gli altri
 cittadini  (come  quello  relativo  alla  salvaguardia  dei   diritti
 altrui),  perche'  in  tale caso la norma introdurrebbe un privilegio
 per i parlamentari non collegato alla  tutela  del  libero  esercizio
 delle loro funzioni, e quindi ingiustificato.
   A  conferma  di  cio' il decreto-legge n. 116/1996 ha introdotto il
 criterio (gia' individuato dalla Corte costituzionale) per  gli  atti
 non   compiuti   all'interno   del   Parlamento,  della  divulgazione
 dell'attivita' parlamentare stessa. Al di fuori di tale  collegamento
 sembra  doversi  concludere che si esula dalla salvaguardia dell'art.
 68, conclusione che non indebolisce minimamente,  d'altra  parte,  le
 necessarie  garanzie  da  cui  i membri del parlamento debbano essere
 assistiti.
   9. - Questa Corte ha presente che e' stato a volte  sostenuto  come
 la  necessita'  di  assicurare  in  ogni  caso  una  piena tutela per
 l'istituzione  parlamentare   postuli   la   eliminazione   di   ogni
 limitazione  alla  garanzia  dell'art. 68. Tale opinione, peraltro, a
 ben vedere era la stessa che sottostava alla originaria  formulazione
 dell'art.  68,  la  quale come e' noto aveva portato a fatti talmente
 disapprovati dall'opinione pubblica, che ravvisava il pericolo di  un
 travalicamento  della  garanzia  nel  privilegio  gratuito,  da avere
 imposto la modificazione del testo,  rivolta  a  meglio  garantire  i
 diritti  altrui.  La tesi della estensione non illimitata della nuova
 formulazione dell'art. 68 sembra muoversi nello stesso senso.
   10. - In sostanza il problema che si pone nel presente caso  e'  il
 seguente:  fermo certamente il diritto  dell'on. Bossi di manifestare
 liberamente il proprio pensiero, tale diritto,  qualora  si  esplichi
 nella  illustrazione  di  tesi  politiche  generali  al  di fuori del
 Parlamento (come  ha  interpretato  i  fatti  la  stessa  Camera  dei
 deputati),  trova la sua tutela nell'art. 68 ovvero nell'art. 21? Nel
 primo caso il controdiritto della parte offesa rimarrebbe privato  di
 una  tutela  che  spetterebbe,  viceversa,  se  la  condotta  venisse
 riportata nell'ambito dell'art. 21.
   Per  risolvere  il  problema  sopra  indicato  occorre  poi  ancora
 stabilire se l'art. 68, come sopra esposto,  e'  applicabile,  al  di
 fuori   dell'attivita'  parlamentare  in  senso  stretto,  alle  sole
 opinioni divulgative di attivita' parlamentare, e quindi strettamente
 connesse con queste, oppure si estenda - oltre il dettato  sia  della
 lettera  dell'art.    68  che del decreto-legge n. 116/1996 - ad ogni
 manifestazione del pensiero di ciascun parlamentare (anche se  avulsa
 dalla  logica  dell'argomentazione).    Si  tratta di un discorso sui
 limiti di esercizio della potesta' parlamentare, che quindi coinvolge
 i presupposti di questa, da valutare anche alla stregua del  criterio
 di ragionevolezza e non arbitrarieta' della condotta.
   11. - In ogni caso e' evidente che la proposizione del conflitto si
 presenta  non  gia'  come  un  mezzo  per  introdurre una impensabile
 polemica fra Parlamento e magistratura, ma  per  fornire  alla  Corte
 costituzionale  l'occasione per un chiarimento definitivo, anche alla
 luce delle non perfettamente consonanti decisioni pregresse,  in  una
 materia  cosi'  delicata  ed  essenziale  per  la liberta' di tutti i
 cittadini, sia parlamentari che non.
   In  conclusione,  pertanto,  deve  essere  sollevato  conflitto  di
 attribuzioni davanti alla Corte costituzionale affinche' quest'ultima
 stabilisca  se  le  frasi dette dall'on. Bossi nel comizio elettorale
 milanese costituiscano  esercizio  di  attivita'  connessa  a  quella
 parlamentare,  e  quindi  insindacabile  ai sensi dell'art. 68 Cost.,
 come ha ritenuto la Camera dei deputati,  ovvero  attivita'  politica
 non  connessa  all'esercizio  di  attivita' parlamentare, e come tale
 sottoponibile ad esame da parte del giudice penale, come richiede  la
 parte civile.
                                P. Q. M.
   Ordina  la trasmissione degli atti alla Corte costituzionale per la
 risoluzione del conflitto sopra delineato sospendendo il giudizio  in
 corso;
   Dispone  che  la  presente  ordinanza  sia notificata, a cura della
 cancelleria, all'imputato, alla  parte  civile  ed    al  procuratore
 generale,  e  sia comunicata al Presidente del Consiglio dei Ministri
 ed ai Presidenti delle due Camere del Parlamento.
     Milano, addi' 10 maggio 1996
                   Il presidente est.: Sciacchitano
                                    I consiglieri: Celentano-Capitanio
 96C1802