N. 1334 ORDINANZA (Atto di promovimento) 16 ottobre 1996

                                N. 1334
  Ordinanza emessa il 16 ottobre 1996 dal magistrato  di  sorveglianza
 di Reggio Emilia sull'istanza proposta da Civardi Camillo
 Ordinamento   penitenziario  -  Istanza  di  permesso  premio  -  Non
    concedibilita' a detenuto imputato per delitto doloso commesso nei
    due anni di espiazione della pena (o di altra misura  restrittiva)
    precedenti  la  decisione del fatto - Lesione del principio di non
    colpevolezza - Irragionevole parita' di trattamento tra l'imputato
    e il condannato con sentenza definitiva - Compressione del diritto
    di difesa - Violazione del principio di indipendenza del giudice
 (Legge 26 luglio 1975, n. 354, art. 30-ter, quinto comma).
 (Cost., artt. 3, 24, 27, terzo comma, e 101, secondo comma).
(GU n.1 del 3-1-1997 )
                     IL MAGISTRATO DI SORVEGLIANZA
   Visti gli atti relativi alla istanza diretta alla concessione di un
 permesso premio ai sensi dell'art. 30-ter della legge n. 453  del  26
 luglio  1975  avanzata  da Civardi Camillo nato a Castel San Giovanni
 (Piacenza) il 18 luglio 1964, detenuto presso la  Casa  circondariale
 di  Piacenza  in  espiazione  della pena di anni uno, mesi quattro di
 reclusione di cui a  sentenza  del  g.i.p.  presso  il  tribunale  di
 Piacenza  del 31 ottobre 1995, rilevata la non manifesta infondatezza
 e la rilevanza  nel  procedimento  della  questione  di  legittimita'
 costituzionale dell'art. 30-ter, comma quinto, legge penitenziaria in
 relazione  agli  artt.  3, 24, 27, terzo comma, e 101, secondo comma,
 della Costituzione.
                             O s s e r v a
   Il detenuto Civardi Camillo, recluso presso la  Casa  circondariale
 di  Piacenza in data 12 agosto 1996 ha presentato istanza di permesso
 premio ai sensi dell'art. 30-ter della legge penitenziaria al fine di
 recarsi presso la comunita' terapeutica "Comunita' Nuova"  di  Milano
 per   un  colloquio  con  gli  operatori  finalizzato  ad  un  futuro
 inserimento nella predetta comunita'.
   La direzione con nota 16 agosto 1996 ha espresso parere  favorevole
 alla  concessione del permesso premio con accompagnamento da parte di
 una educatrice al fine di effettuare il colloquio  menzionato  atteso
 che  il soggetto e' gia' da tempo in contatto con la comunita' ma che
 gli operatori di quest'ultima  ritengono  opportuno  parlare  con  il
 soggetto prima di dichiararsi disponibili ad accoglierlo.
   Disposti gli opportuni accertamenti, il magistrato di sorveglianza,
 letta  la  nota  della  procura  della  Repubblica  presso la pretura
 circondariale di Piacenza del  18  settembre  1996,  ha  rilevato  la
 sussistenza  della  preclusione  di  cui all'at 30-ter, quinto comma,
 legge n. 354 del  1975  alla  concessione  del  beneficio  richiesto,
 atteso  che  il  detenuto  riveste  la  qualita'  di  imputato in due
 procedimenti   (n.  4827/1995  r.g.n.r.  e  5465/1995  r.g.n.r.)  per
 presunti  reati  commessi  all'interno   dell'attuale   istituto   di
 detenzione nei due anni che precedono la decisione (il 3 ottobre 1995
 ed il 7 novembre 1995).
   Ritenuta  non manifestamente infondata la questione di legittimita'
 costituzionale della norma citata, e la rilevanza della questione per
 la  decisione,  rileva  d'ufficio  la   questione   di   legittimita'
 costituzionale dell'art. 30-ter, quinto comma, della legge n. 354 del
 1975  con  riferimento  agli  artt.  3,  24,  27, terzo comma, e 101,
 secondo comma, della Costituzione.
   Deve osservarsi preliminarmente come il piu'  recente  orientamento
 della Corte costituzionale (cfr. sentenze n. 349 del 1993, n. 227 del
 1995  e  n. 235 del 1996), di recente fatto proprio anche dalla Corte
 di cassazione (cfr. sentenza n.  702  del  2  febbraio  1996),  abbia
 riconosciuto  la  natura  non  amministrativa  ma giurisdizionale del
 procedimento diretto alla concessione o diniego dei  permessi  premio
 instaurato  innanzi  al magistrato di sorveglianza ai sensi dell'art.
 30-ter, della legge n. 354 del 1975.
   Tale  nuovo  orientamento  e'  stato  determinato  dalla  raggiunta
 consapevolezza  della rilevanza delle decisioni de quo con riguardo a
 beni   aventi   rilievo   costituzionale    in    quanto    incidenti
 "sull'esecuzione   della  pena  e,  quindi,  sul  grado  di  liberta'
 personale del detenuto" (v.  sentenze n. 225 del 1995 e  n.  349  del
 1993).  E'  stato  in  tal  modo  superata  l'opinione che vedeva nel
 permesso  premio   un   istituto   non   eccedente   l'ambito   della
 regolamentazione   della   vita   di   relazione   all'interno  degli
 stabilimenti penitenziari, avendo per contro  sottolineato  la  Corte
 costituzionale   come   "sia   da  escludere  che  misure  di  natura
 sostanziale e che incidono sulla qualita'  e  quantita'  della  pena,
 quali  quelle che comportano un sia pur temporaneo distacco, totale o
 parziale, dal carcere (c.d. misure extramurali) e che percio'  stesso
 modificano il grado di privazione della liberta' personale imposto al
 detenuto,  possano  essere  adottate  al  di fuori dei principi della
 riserva di  legge  e  della  riserva  giurisdizionale  specificamente
 indicati   dall'art.  13,  secondo  comma,  della  Contituzione"  (v.
 sentenza della Corte costituzionale n. 227 del 2-6 giugno del 1995).
   Ne  consegue  la  legittimazione  del  giudice  di  sorveglianza  a
 sollevare questione di legittimita' costituzionale della normativa da
 applicare  nel procedimento diretto alla concessione o al diniego dei
 permessi premio.
   Nella specie devesi rilevare la non  manifesta  infondatezza  della
 questione  di legittimita' della norma citata in relazione agli artt.
 3,  24,  27,  terzo  comma,  e  101,  secondo  comma,   della   Carta
 costituzionale,  nella  parte  in  cui  prevede  una preclusione alla
 concessione di permessi premio, che consegue alla assunzione da parte
 del detenuto della qualita' di imputato in un procedimento penale per
 atti posti in essere nei due anni di espiazione di pena (o  di  altra
 misura  restrittiva)  che  precedono  la decisione. Tale disposizione
 normativa si traduce difatti in un irragionevole  vincolo  al  potere
 discrezionale   del   magistrato   di   sorveglianza  in  materia  di
 trattamento  finalizzato  alla  rieducazione  del   condannato,   che
 determina   una   evidente   lesione  di  principi  aventi  rilevanza
 costituzionale.
   Deve  innanzitutto  rilevarsi  la  violazione  del principio di non
 colpevolezza  essendo  l'effetto  vincolante  per  le  decisioni  del
 magistrato  di  sorveglianza  in  materia incidente sulla sfera della
 liberta' personale, riconnesso non al passaggio in giudicato  di  una
 sentenza  ma alla mera assunzione della qualita' di imputato ai sensi
 dell'art.   60   nuovo   c.p.p.   Pur    tacendo    dell'orientamento
 giurispiudenziale  che,  in  considerazione del fatto che la norma de
 quo fu emanata prima dell'entrata  in  vigore  del  nuovo  codice  di
 procedura  penale,  ritiene che l'espressione utilizzata debba essere
 riferita non ai soli imputati ai sensi dell'art. 60 nuovo  c.p.p.  ma
 anche a coloro che non siano ancora stati rinviati a giudizio, non e'
 chi  non  veda la palese violazione del principio di non colpevolezza
 anche nella interpretazione piu' restrittiva della norma.
   La violazione del principio citato e' inoltre di tutta evidenza ove
 si  ponga  mente  al  fatto  che  l'effetto  pregiudizievole  non  e'
 conseguenza  di un giudizio di pericolosita' sociale o di sussistenza
 di diverse esigenze cautelari operato  dal  giudice  che  procede  in
 ordine  al  presunto reato commesso. L'ambito di applicazione proprio
 della norma in esame e' difatti per contro limitato proprio  ai  casi
 in  cui  il giudice che procede non abbia ritenuto di dovere emettere
 una ordinanza di custodia cautelare, che ai  sensi  del  primo  comma
 dell'art. 30-ter avrebbe comunque effetto preclusivo alla concessione
 dei permessi premio.
   La  norma  in esame deve essere sottoposta ad attenta analisi anche
 sotto il diverso profilo della lesione del principio di  uguaglianza.
 Essa  infatti,  oltre  ad  operare una arbitraria equiparazione della
 posizione dell'imputato e del  condannato  con  sentenza  definitiva,
 prescrive  un  diverso  trattamento di soggetti in analoga situazione
 processuale a seconda che abbiano commesso il  fatto  in  vinculis  o
 meno.
   L'ordinamento  pertanto  non  preclude  la  concessione di permessi
 premio a soggetto che abbia commesso un  grave  delitto  prima  della
 carcerazione  mentre  esclude  la  possibilita'  per  il  giudice  di
 sorveglianza di vagliare la situazione personale del  detenuto  nella
 ipotesi  in  cui  abbia  commesso  un  fatto  anche  di  ridottissima
 rilevanza e sia in attesa di potere dimostrare la propria estarneita'
 dinnanzi al giudice di cognizione.
   E' evidente la ratio di una rafforzata tutela dell'ordine  interno,
 ma  la  irragionevolezza  della soluzione adottata dal legislatore e'
 evidente nell'avere  previsto  un  vincolo  al  potere  discrezionale
 proprio di quei due organi (la direzione dell'istituto penitenziario,
 che  esprime  il parere di cui all'art. 30-ter l.p., ed il giudice di
 sorveglianza) che sono per legge preposti alla tutela  dell'ordine  e
 della   disciplina  all'interno  degli  istituti  penitenziari.  Tale
 vincolo al potere discrezionale del giudice, posto non per  superiori
 esigenze  di  tutela  dell'ordine  pubblico  come  accade  con  altre
 preclusioni via via introdotte dal legislatore negli ultimi anni,  ma
 per  mere  esigenze disciplinari, si risolve in una menomazione delle
 prerogative del magistrato di sorveglianza  in  materia  che  gli  e'
 propria  (la buona condotta e' uno dei presupposti per la concessione
 del beneficio de  quo).  Ed  atteso  che  l'esperienza  dei  permessi
 premio,  come  evidenziato  dalla Corte costituzionale rappresenta un
 irrinunciabile "strumento  di  rieducazione  in  quanto  consente  un
 iniziale  reinserimento  del  condannato  nella  societa',  cosi'  da
 potersene trarre elementi utili per l'eventuale concessione di misure
 alternative  alla  detenzione"  e  che  esso  diviene  pertanto  "uno
 strumento cruciale ai fini del  trattamento  perche'  puo'  rivelarsi
 funzionale  -  in  applicazione  del  principio  di  progressivita' -
 all'affidamento in prova" (v . sent. C. cost. n.  235  del  4  luglio
 1996)  pare  del  tutto  irragionevole  escludere  che  la situazione
 personale del condannato sia  vagliata  in  ogni  suo  aspetto  dalle
 autorita'  a  cio' preposte a cagione di una astratta ed inderogabile
 preclusione di legge.
   Deve a tale riguardo inoltre evidenziarsi come tale vincolo per  il
 giudizio  del  giudice  di  sorveglianza derivi di fatto da decisioni
 adottate da altro magistrato (il pubblico ministero nel  procedimento
 per  il  presunto  reato  commesso)  ed aventi tutt'altro oggetto. Ne
 consegue  pertanto   una   palese   violazione   del   principio   di
 sottoposizione del giudice solo alla legge.
   In  conclusione  la  norma  in  esame  prescrive  una irragionevole
 equiparazione di situazioni del tutto  dissimili  in  relazione  alla
 gravita'   del   fatto   che  si  presume  commesso,  alla  posizione
 processuale dell'imputato, alla condotta tenuta nel restante  periodo
 di detenzione, alla pericolosita' attuale del detenuto, alla utilita'
 del   beneficio   concesso   ai   fini  di  un  adeguato  trattamento
 penitenziario e a tutti gli altri elementi oggetto comunemente  della
 valutazione  operata  dal  giudice  di  sorveglianza  e  dalla equipe
 preposta al trattamento, che determina una ingiustificata limitazione
 del principio posto dall'art. 27, terzo comma, Cost.
                                P. Q. M.
   Dichiara   non   manifestamente    infondate    le    censure    di
 incostituzionalita'  relative  all'art.  30-ter,  quinto comma, della
 legge n. 354 del 26 luglio 1975 con riguardo agli artt.  3,  24,  27,
 terzo  comma,  e  101,  secondo  comma, della Costituzione cosi' come
 indicate nella  parte  motiva  di  questa  ordinanza,  ed  attesa  la
 rilevanza  ai  fini  della  decisione in relazione al procedimento n.
 3505 p.p. promosso da Civardi Camillo, visto l'art. 23 della legge n.
 87/1953 sospende il citato procedimento  e  dispone  la  trasmissione
 degli  atti  alla  Corte  costituzionale per la decisione in merito a
 dette censure;
   Manda alla cancelleria per le comunicazioni,  notificazioni  e  gli
 adempimenti  di rito nonche' per la comunicazione di questa ordinanza
 agli interessati ed alla procura della repubblica presso il tribunale
 in sede.
     Reggio Emilia, addi' 16 ottobre 1996
                Il magistrato di sorveglianza: Garruso
 96C1844