N. 1208 ORDINANZA (Atto di promovimento) 21 giugno 1996
N. 1208 Ordinanza emessa il 21 giugno 1996 dal pretore di Brescia sul ricorso proposto da F.I.O.M. - C.G.I.L. c/ Ghio s.p.a. Lavoro (rapporto di) - Decreto pretorile repressivo di comportamenti antisindacali - Esecutorieta' ed irrevocabilita' fino alla chiusura del giudizio di opposizione al decreto stesso - Mancata previsione di una sospensione del decreto in questione in seguito ad opposizione allo stesso - Irrazionalita', violazione del diritto di difesa e del principio di legalita' in materia penale, operando, secondo il giudice rimettente, la disciplina impugnata, mediante le prescrizioni del decreto oggetto di opposizione in relazione all'art. 650 cod. pen., da norma penale in bianco. Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale - Nozione di rilevanza della questione nel giudizio a quo - Nesso di necessaria pregiudizialita' della questione stessa per la definizione del giudizio - Compressione del sindacato della Corte. Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale - Condizioni e forme di proponibilita' - Previsione con legge ordinaria - Violazione del principio della riserva di legge costituzionale. (Legge 20 maggio 1970, n. 300, art, 28, secondo comma, modificato dalla legge 8 novembre 1977, n. 847; legge 11 marzo 1953, n. 87, art. 23). (Cost., artt. 3, 24, primo e secondo comma, 25, secondo comma, 101, 104, primo comma, 111, primo comma, e 134).(GU n.45 del 6-11-1996 )
IL PRETORE Visti: il ricorso e le difese svolte dal difensore della societa' resistente nel verbale d'udienza; l'art. 28 della legge 20 maggio 1970, n. 300; l'art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87; l'art. 1 della legge costituzionale 9 febbraio 1948, n. 1; l'art. 1 della legge costituzionale 11 marzo 1953, n. 1; gli artt. 3, 24, primo comma, 25, secondo comma, 101, 102, 104, 111, 134 e 137 della Costituzione. Ha pronunciato, dandone integrale lettura, la seguente ordinanza di rimessione alla Corte costituzionale di questioni di legittimita' costituzionale, rilevate d'ufficio, nel procedimento ex art. 28 della legge n. 300/1970, promosso da FIOM - CGIL, di Brescia, in persona del segretario generale Maurizio Zipponi, elettivamente domiciliata in Brescia presso gli avv.ti Mario Berruti e Pierlugi Gerardi, i quali la rappresentano e difendono in forza di procura a margine del ricorso, ricorrente, contro Ghio s.p.a. con sede in Gussago (BS), in persona del procuratore speciale Rocco Pezzella (come da procura in atti), elettivamente domiciliata in Brescia, presso l'avv. Pelizzoni, il quale la rappresenta e difende in forza di mandato in data 18 giugno 1996 depositato agli atti, convenuta. Nel presente procedimento ex art. 28 della legge n. 300/1970, introdotto con ricorso depositato in cancelleria in data 17 giugno 1996, la ricorrente organizzazione sindacale ha espresso le seguenti (testuali) conclusioni: previa tutte le declaratorie del caso; ogni contraria istanza ed eccezione respinta; voglia il pretore G.d.l.: Nel merito Dichiarare antisindacale il comportamento posto in essere dalla convenuta descritto in ricorso, consistito nell'aver discriminato i lavoratori scioperanti a mezzo dell'avviso 28 giugno 1996; di aver altresi' condizionato la propria disponibilita' a discutere con i lavoratori a patto che non fossero presenti funzionari del Sindacato; di aver infine minacciato il mancato pagamento di emolumenti economici nel caso perdurasse l'agitazione sindacale; Ordinare alla convenuta di immediatamente cessare il comportamento dichiarato antisindacale e pertanto ordinare alla convenuta di concedere ai lavoratori scioperanti l'uso del mezzo aziendale come da prassi, di accettare la presenza di funzionari del Sindacato alle trattative, di corrispondere tutti gli emolumenti economici dovuti anche ai lavoratori scioperanti; Inibire alla convenuta di reiterare il comportamento dichiarato antisindacale; Ordinare alla convenuta di affiggere copia dell'emanando decreto per una volta, e a spese della convenuta, sui quotidiani "Il Giornale di Brescia", "Bresciaoggi nuovo", "La Repubblica". A seguito della convocazione-notifica a mezzo telefax del 18 giugno 1996, la societa' convenuta, costituitasi all'udienza del successivo giorno 19, ha contestato il ricorso, sostenendo, in primo luogo, l'assenza di antisindacalita' nei comportamenti denunciati dal sindacato e, in secondo luogo, la mancanza dei requisiti di immediatezza delle lesioni lamentate, per effetto della cessazione della conflittualita' e del ripristino delle condizioni originarie del rapporto, sia da parte dei prestatori, sia da parte del datore di lavoro. In sede di sommarie informazioni e' emerso che l'ultimo sciopero e' stato attuato in data 13 giugno 1996, mentre dal successivo giorno 17, di fatto, la societa' datrice di lavoro ha ripristinato il sistema precedente l'inizio delle agitazioni, con la riserva, pero', di ridar vita agli ordini di servizio di cui agli avvisi del 28 maggio 1996 e 7 giugno 1996 (in atti). Da parte sindacale si e' chiarito che, benche' non siano stati gia' programmati altri scioperi, lo stato di agitazione non e' cessato. Il procedimento, avendo avuto esito negativo il tentativo di raggiungere la conciliazione della controversia, che ha portato al rinvio all'odierna udienza, e' maturato per la decisione, ma nessuna pronuncia puo' essere emessa, perche' devono essere rilevate d'ufficio varie questioni di legittimita' costituzionale non manifestamente infondate e rilevanti ai fini del decidere. Poiche' non e' nelle intenzioni di questo pretore rendere noto il proprio convincimento, ne' anticipare la decisione - e per tali ragioni risulta superfluo riferire altri elementi del presente procedimento in questa sede - e' chiaro che la rilevanza delle questioni di costituzionalita' non puo' essere definita essenziale con riferimento ad una specifica pronuncia, riducendosi l'essenzialita' della rilevanza delle questioni di legittimita' costituzionale (anche per la loro stessa natura, come si vedra') nel presente giudizio alla sola potenzialita' di determinare, o semplicemente influenzare, la decisione. Poiche' sono di varia natura le questioni di legittimita' costituizionale da sollevare d'ufficio, una attinente l'art. 28 della legge n. 300 del 1970 e altre concernenti l'art. 23 della legge n. 87 del 1953, la presente ordinanza deve essere distinta in due parti specifiche, cosi' da consentire la migliore esposizione degli argomenti da sviluppare. PRIMA PARTE La questione di legittimita' costituzionale attinente l'art. 28, secondo comma, della legge 20 maggio 1970, n. 300, come modificato dalla legge 8 novembre 1988, n. 847, per violazione degli artt. 3, 24, comma 1 e 25, comma 2, della Costituzione. Dubita questo pretore della legittimita' costituzionale dell'art. 28, secondo comma, della legge n. 300 del 1970, poiche' la negazione della possibilita' della revoca dell'efficacia esecutiva del decreto, emesso ai sensi dell'art. 28, in sede di opposizione e sino alla sentenza che definisce il giudizio di opposizione, determina il permanere della vigenza di una norma penale - costituita, quanto alla sanzione, dall'art. 650 c.p. e, quanto al fatto penalmente rilevante, dalla violazione delle prescrizioni del decreto, apppunto oggetto dell'opposizione -, anche se sottoposta a giudizio di fondatezza e legittimita', con conseguente sua incertezza. L'espressa negazione della revocabilita' dell'efficacia esecutiva del decreto, a seguito di opposizione, viola l'art. 25, secondo comma, della Costituzione, poiche' consente ad una norma penale, non piu' certa, di esplicare i suoi effetti in modo ultrattivo anche nella fase di accertamento della stessa sua legittimita'. E', inoltre, irrazionale ed irragionevole, con violazione dell'art. 3 della Costituzione, al contrario, la mancata previsione di un'automatico effetto sospensivo dell'opposizione sull'efficacia del decreto, dalla data dell'opposizione medesima, sino all'eccertamento definitivo con sentenza passata in giudicato sulla sussistenza del comportamento antisindacale e, dunque, sulla legittimita' del precetto penale costituito dal quarto comma dell'art. 28 della legge n. 300, norma penale in bianco, riempita di contenuto dall'ordine diretto al datore di lavoro di cessare il comportamento ritenuto antisindacale e dalle prescrizioni dirette alla rimozione degli effetti. La minaccia della sanzione penale a carico del datore di lavoro si pone come illegittima, in presenza del divieto di sospensione del decreto, anche per il suo effetto dissuasivo dall'esercizio del diritto a proporre opposizione (con lesione, dunque, anche dell'art. 24, primo comma, della Costituzione), essendo il giudizio di opposizione ragolato dalle norme ordinarie del codice di procedura civile e, dunque, soggetto ai tempi normali del processo del lavoro, tempi che, per quanto rapidi, risultano, comunque, immensamente piu' lunghi rispetto a quelli, se non istantanei, quanto meno rapidissimi (di certo i piu' rapidi previsti nel nostro ordinamento giuridico) del procedimento ex art. 28. Vi e', invero, il concreto rischio che nessun reale vantaggio sostanziale possa attingere il datore di lavoro dal giudizio di opposizione, dopo aver dato piena e assoluta esecuzione alle disposizioni del decreto, poiche', in caso di accoglimento dell'opposizione, la conseguente revoca, o modifica del decreto sara' sempre tardiva e inidonea a ripristinare la lesione subita dal datore di lavoro. Le norme penali non possono esplicare i loro effetti se non e' certa la loro definitivita' e legittimita' e nessun diritto sindacale puo' aver tanto forte tutela da determinare anche la minima lesione al diritto del datore di lavoro di avere certezza sulla legittimita' della sanzione penale che incombe su di lui. Risulta sussistente, in relazione alla quiestione di legittimita' costituzionale appena prospettata, non solo il requisito della non manifesta infondatezza, ma anche quello della rilevanza essenziale ai fini del decidere, poiche' l'esistenza del disposto del secondo comma dell'art. 28 della legge n. 300/1970 (imputato d'incostituzionalita' per le ragioni sopra esposte) preclude a questo giudice (nell'eventualita' di una decisione favorevole al sindacato ricorrente) di emettere delle statuizioni che andranno a costituire il contenuto precettivo di una norma penale, di vigenza ultrattiva anche in presenza di opposizione finalizzata all'accertamento dell'insussistenza dei presupposti di fatto e di diritto del decreto ex art. 28, poiche' il medesimo provvedimento costituirebbe violazione dell'art. 25, secondo comma, della Costituzione, norma che questo pretore non intende violare. SECONDA PARTE Le questioni di legittimita' costituzionale relative all'art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87 Le questioni che ora vengono in esame devono essere sollevate in via diretta ed autonoma, ma anche in via preliminare rispetto a quella appena sopra rilevata: in via preliminare, qualora la Corte costituzionale non ne ritenesse sussistente la rilevanza ai fini della decisione del presente procedimento; in via diretta, perche', per quanto il discorso possa apparire forzato, esse sono rilevanti in qualsiasi giudizio, in quanto relative alla stessa rilevabilita', d'ufficio o su istanza di parte, delle questioni di legittimita' costituzionale. A1) In relazione alla questione di legittimita' costituzionale dell'art. 23, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, ove prevede che "il giudizio non possa essere definito indipendentemente dalla risoluzione della questione di legittimita' costituzionale" e limitamente a tale parte, per violazione dell'art. 134, nonche' degli artt. 101, 104, primo comma, e 111 della Costituzione. L'art. 134, per quanto qui interessa, dispone testualmente: "La Corte costituzionale giudica: sulle controversie relative alla legittimita' costituzionale delle leggi e degli atti, aventi forza di legge, dello Stato e delle Regioni". L'art. 1 della legge costituzionale 9 febbraio 1948, n. 1, emessa in attuazione dell'art. 137, primo comma, della Costituzione recita: "La questione di legittimita' costituzionale di una legge o di un atto avente forza di legge della repubblica, rilevata d'ufficio o sollevata da una delle parti nel corso di un giudizio e ritenuta dal giudice non manifestamente infondata, e' rimessa alla Corte costituzionale per la sua decisione". A fronte di tali norme costituzionali, l'art. 23, secondo comma, della legge 11 marzo 1952, n. 87, invece, cosi' dispone: "L'autorita' giurisdizionale, qualora il giudizio non possa essere definito indipendentemente dalla risoluzione della questione di legittimita' costituzionale e non ritenga che la questione sollevata sia manifestamente infondata, emette ordinanza con la quale, riferiti i termini ed i motivi dell'istanza con la quale fu sollevata la questione, dispone l'immediata trasmissione degli atti alla Corte costituzionale e sospende il giudizio in corso". Il ben diverso contenuto sostanziale del secondo comma dell'art. 23, contrastante con le disposizioni dell'art. 134 della Costituzione e dell'art. 1 della legge costituzionale n. 1/1948, risalta evidente: la previsione della necessita' che "il giudizio non possa essere definito indipendentemente dalla risoluzione della questione di legittimita' costituzionale" al fine di introdurre il giudizio di costituzionalita' dinanzi al Giudice delle leggi non trova minimo riscontro a livello di normativa costituzionale. Non solo: appare anche chiaro, tanto da risultare quasi superfluo parlarne, che quella previsione dell'art. 23, ben individuata sopra, riduce enormemente la possibilita' di attivare il controllo della Corte sulla legittimita' costituzionale "delle leggi e degli atti, aventi forza di legge, dello Stato", poiche' impone che la rilevanza della questione di costituzionalita' sia tale da comportare da sola la definizione del giudizio, rendendo in tal modo irrilevanti e, percio', inammissibili tutte le questioni di legittimita' costituzionale l'oggetto delle quali sia solo concorrente nella decisione della causa. Viene cosi' incatenato il controllo della costituzionalita' delle leggi e degli atti normativi di pari forza e contestualmente mortificata la garanzia costituzionale di tale controllo, svilito nell'attuale realta' a strumento di tutela di interessi puramente privati (di singoli o di collettivita', come gia' si e' avuto modo di rilevare), mentre la sua ragion d'essere risponde al ben superiore interesse di mantenere la normativa all'interno dei principi e delle norme costituzionali, restando irrilevante, o solo eventuale, la contestuale soddisfazione di aspettative particolari. In forza delle considerazioni che precedeno, appare consequenziale riconoscere che, nel sistema vigente della legislazione ordinaria in relazione alle norme della Legge Fondamentale della Repubblica in tema di garanzie costituzionali, sussistono troppi vincoli alla piena attuazione dei principi costituzionali e cio' con particolare riferimento alla possibilita' di accesso al giudizio di legittimita' costituzionale, tanto da rendere possibile la permanenza nel diritto positivo di numerose norme contrarie alla Costituzione, senza che queste possano trovare controllo e verifica di legittimita', posto che la struttura procedimentale che consente di giungere dinanzi al Giudice delle leggi e' eccessivamente limitativa. Non e' certo nella competenza di questo giudice, ne' del Giudice delle leggi, la ricerca delle soluzioni normative necessarie per la realizzazione della Costituzione, ma la constatazione della difficolta' di accesso al giudizio dinanzi alla Corte costituzionale doveva qui essere chiaramente manifestata, non soltanto perche' direttamente attinente la questione di legittimita' costituzionale ora prospettata, ma anche perche' non puo' negarsi che numerose norme della legge n. 87/1953, e non il solo secondo comma dell'art. 23 nella parte specifica sopra individuata, violano l'art. 134 della Costituzione, riducendo a minimi livelli la possibilita' del controllo di conformita' delle leggi e degli atti aventi forza di legge, mentre il sistema costituzionale nasce con un impianto assai vasto, che appare, comunque, illecitamente compresso e mortificato dalla legge ordinaria, e non solo nella sostanza, ma anche nella forma normativa utilizzata, come risultera' piu' che evidente nello sviluppo della successiva questione sub A2. Prima di passare oltre, pero', deve essere chiarito ancora in quali termini si ritengono violati gli artt. 101 e 104 della Costituzione dall'art. 23 della legge n. 87/1953, nella parte in cui dispone che, per potersi procedre alla trasmissione degli atti alla Corte costituzionale, "il giudizio non possa essere definito indipendentemente dalla risoluzione della questione di legittimita' costituzionale". La disposizione contestata e' illegittima, poiche' determina una riduzione e compressione dell'autonomia ed indipendenza del giudice, impedendogli di valutare tutte le possibili soluzioni giuridiche per la decisione dei processi, causando grave danno all'amministrazione della giustizia, poiche' (essendo precluso alle questioni non essenziali l'accesso al giudizio di costituzionalita') sottrae alla motivazione (art. 111 della Costituzione) delle sentenzeragioni ulteriori di potenziale accoglimento o rigetto della domanda (per quanto concernente in particolare le controversie nella materia demandata alla competenza di questo pretore), idonee a rendere piu' "resistente" la motivazione e non e' superfluo qui ricordare che il bene giuridico della certezza del diritto si fonda anche sulla forza di resistenza delle pronuncie giurisdizionali nei successivi gradi di giudizio. A2) In relazione alla questione di legittimita' costituzionale dell'art. 23 della legge ordinaria 11 marzo 1953, n. 87, nelle parti che stabiliscono condizioni e forme di proponibilita' dei giudizi di legittimita' costituzionale, per palese violazione della riserva di legge costituzionale prevista dal primo comma dell'art. 137 della Costituzione. La riserva di legge imposta dal primo comma dell'art. 137, viene, per quanto qui interessa, cosi' formulata: "Una legge costituzionale stabilisce le condizioni, le forme, i termini di proponibilita' dei giudizi di legittimita' costituzionale": la materia e', dunque, riservata a legge costituzionale e non ordinaria. Ed invero sono state approvate e promulgate le leggi costituzionali 9 febbraio 1948, n. 1 e 11 marzo 1953, n. 1 delle quali la prima e' pienamente conforme al dettato costituzionale, tant'e' vero che all'art. 1 la legge costituzionale n. 1/1948 prevede che "La questione di legittimita' costituzionale di una legge o di un atto avente forza di legge, rilevata d'ufficio o sollevata da una delle parti nel corso del giudizio e non ritenuta del giudice manifestamente infondata, e' rimessa alla Corte costituzionale per la sua decisione", mentre l'art. 1 della legge costituzionale n. 1/1953 lascia perplessi, poiche' non si limita ad affermare che "La Corte costituzionale esercita le sue funzioni nelle forme e nei limiti e alle condizioni di cui alla Corte costituzionale, alla legge costituzionale 9 febbraio 1948, n. 1" ma aggiunge un richiamo generico e generale anche "alla legge ordinaria emanata per la prima attuazione delle predette norme costituzionali", con buona pace per la riserva di legge costituzionale espressamente disposta nell'art. 137, terzo comma, della Costituzione, tanto che, se si divesse giungere a ritenere richiamato anche l'art. 23 della legge n. 87/1953 (ma questo giudice deve recisamente negare la validita' di una tale ipotesi), allora anche lo stesso art. 1 della legge costituzionale n. 1 del 1953 sarebbe imputabile di violazione dell'art. 137 della Costituzione. E' palese ed indubbio (nonostante l'ambiguita', per il suo eccesso di genericita' dell'errato ed infelice riferimento alla legge ordinaria appena rilevato) che il sistema costituzionale del giudizio di legittimita' delle norme di legge e degli atti aventi forza di legge, pur stabilendo il chiaro limite della non manifesta infondatezza (l'esame della quale e' di prioritaria, quanto meno, se non anche esclusiva, competenza dell'Autorita' giuridiaria) delle questioni di legittimita' costituzionale, quale barriera per l'eccesso al giudizio dinanzi alla Corte costituzionale, non ha istituito quegli altri, diversi e assai piu' stringenti, confini che risultano, invece, nella legge ordinaria. E' allora certo che tutte le disposizioni della legge ordinaria (normale legge ordinaria, priva di qualsivoglia abnorme ed atipico carattere di super resistenza nel rapporto con le norme della Costituzione) 11 marzo 1953, n. 87 che regolano "le condizioni, le forme, i termini di proponibilita' dei giudizi di legittimita' costituzionale" in modo difforme dal sistema costituzionale che si e' sopra individuato sono illegittime nella stessa fonte e forma legislativa che le pone (per quanto espressamente riguardante la questione di legittimita' costituzionale ora discussa) per palese violazione dell'art. 137, primo comma, della Costituzione. Cosi' risulta illegittimo, in particolare, l'art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87, al quale solo si vuole limitare la trattazione, restando, comunque ed ovviamente, integro il potere della Corte, nell'ipotesi di accoglimento della presente questione, di decidere se sussistano gli estremi per procedere all'applicazione dell'ultima parte dell'art. 27 della medesima legge. L'art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87, cosi' dispone: "Nel corso di un giudizio dinanzi ad una autorita' giurisdizionale una delle parti o il pubblico ministero possono sollevare questione di legittimita' costituzionale mediante apposita instanza, indicando: a) le disposizioni della legge o dell'atto avente forza di legge dello Stato o di una Regione, viziate da illegittimita' costituzionale; b) le disposizioni della Costituzione o delle leggi costituzionali che si assumono violate. L'autorita' giurisdizionale, qualora il giudizio non possa essere definito indipendentemente dalla risoluzione della questione di legittimita' costituzionale e non ritenga che la questione sollevata sia manifestamente infondata, emette ordinanza con la quale, riferiti i termini ed i motivi dell'istanza con la quale fu sollevata la questione, dispone l'immediata trasmissione degli atti alla Corte costituzionale e sospende il giudizio in corso. La questione di legittimita' costituzionale puo' essere sollevata, di ufficio, dall'autorita' giurisdizionale davanti alla quale verte il giudizio con ordinanza contenente le indicazioni previste alle lettere a) e b) del primo comma e le disposizioni di cui al comma precedente. L'autorita' giurisdizionale ordina che a cura della cancelleria l'ordinanza di trasmissione degli atti alla Corte costituzionale sia notificata, quando non ne sia data lettura nel pubblico dibattimento, alle parti in causa ed al pubblico ministero quando il suo intervento sia obbligatorio, nonche' al presidente del Consiglio dei Ministri od al presidente della Giunta regionale a seconda che sia in questione una legge o un atto avente forza di legge dello Stato o di una Regione. L'ordinanza viene comunicata dal cancelliere anche ai presidenti delle due Camere del Parlamento e al presidente del Consiglio regionale interessato". L'art. 23 della legge ordinaria 11 marzo 1953, n. 87 e' nel suo complesso illegittimo, per la violazione del tutto evidente dell'art. 137, primo comma, della Carta costituzionale, con la sola esclusione delle seguenti specifiche parti, nelle quali nulla dispone in ordine alle condizioni e forme di accesso al giudizio dinanzi alla Corte, o si limita a ribadire immutato quanto gia' previsto dalla normativa di livello costituzionale: "Nel corso di un giudizio dinanzi ad una autorita' giurisdizionale una delle parti o il pubblico ministero possono sollevare questione di legittimita' costituzionale" ... "L'autorita' giurisdizionale, qualora" ... "non ritenga che la questione sollevata sia manifestamente infondata, emette ordinanza con la quale, riferiti i termini ed i motivi dell'istanza con la quale fu sollevata la questione, dispone l'immediata trasmissione degli atti alla Corte costituzionale" ... "La questione di legittimita' costituzionale puo' essere sollevata, di ufficio, dall'autorita' giurisdizionale davanti alla quale verte il giudizio con ordinanza" ... In tute le restanti parti l'art. 23 della legge n. 87/1953 e' radicalmente viziato da illegittimita' costituzionale e non vi e' nulla da aggiungere sulla questione ora discussa, poiche' sorretta dalla pura constatazione di una realta' evidente. Non sembra necessaria una motivazione ulteriore sulla fondatezza e sulla rilevanza delle questioni sopra trattate, stanti gli argomenti sviluppati in relazione ai precisi riferimenti normativi costituzionali indicati sui singoli temi, di certo sufficienti per escludere, quanto meno ed e' cio' solo che ha riscontro costituzionale, la manifesta infondatezza di tutti i rilievi d'incostituzionalita' ampiamente discussi. In dipendenza delle questioni di legittimita' costituzionale rimesse all'esame della Corte costituzionale, il presente giudizio pretorile deve essere sospeso, ai sensi dell'art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87, tuttora vigente, pur se anch'esso imputato d'incostituzionalita'.
P. Q. M. Solleva d'ufficio le seguenti questioni di legittimita' costituzionale: dell'art. 28, secondo comma, della legge 20 maggio 1970, n. 300, come modificato dalla legge 8 novembre 1977, n. 847, per violazione degli artt. 3, 24, primo comma, e 25, secondo comma, della Costituzione; A) con riferimento all'art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87, sia in via diretta, sia in via preliminare rispetto alla questione attinente l'art. 28 della legge n. 300/1970; A1) dell'art. 23, secondo comma, della legge n. 87/1953, ove prevede che "il giudizio non possa essere definito indipendentemente dalla risoluzione della questione di legittimita' costituzionale" e limitatamente a tale parte, per violazione dell'art. 134, nonche' degli artt. 101, 104, primo comma, e 111 della Costituzione; A2) dell'art. 23 della legge n. 87 del 1953, nelle parti che stabiliscono condizioni e forme di proponibilita' dei giudizi di legittimita' costituzionale, come meglio precisato in motivazione, per palese violazione della riserva di legge costituzionale prevista dall'art. 137, primo comma, della Costituzione; Sospende il giudizio e ordina la trasmissione degli atti alla Corte costituzionale, disponendo la notifica al Presidente del Consiglio dei Ministri, oltre alla comunicazione ai Presidenti delle due Camere del Parlamento. Manda alla cancelleria per l'esecuzione. Brescia, addi' 21 giugno 1996 Il pretore: Onni 96E1654