N. 1369 ORDINANZA (Atto di promovimento) 21 ottobre 1996

                                N. 1369
  Ordinanza emessa il 21 ottobre 1996 dalla Corte di appello di Torino
 nel procedimento penale a carico di Carlino Giuseppe
 Processo  penale - Sentenze di non luogo a procedere - Impugnazione -
    Termine  di  quindici  giorni  -  Mancata  previsione  di  termini
    differenziati, in relazione alla possibilita' che, a seguito della
    modifica  dell'art.   425 del cod. proc. pen. (legge n. 105/1993),
    possano essere emanate  sentenze  particolarmente  complesse,  con
    deposito  successivo  - Disparita' di trattamento anche rispetto a
    quanto stabilito per l'impugnazione di sentenze emesse in sede  di
    giudizio    abbreviato    -    Compressione   del   principio   di
    obbligatorieta' dell'azione penale.
 (C.P.P. 1988, art. 585, comma 1, lettera a)).
 (Cost., artt. 3 e 112).
(GU n.3 del 15-1-1997 )
                          LA CORTE DI APPELLO
   Ha pronunciato la seguente ordinanza nel procedimento a  carico  di
 Carlino  Giuseppe,  nato  a Cittanova il 19 giugno 1938, residente in
 Biella, via Carso n. 18/4 (avv. P. Chiorino) del foro di Biella.
   A seguito di denuncia sporta da  un  dipendente  della  pretura  di
 Biella  che  segnalava l'indebita attribuzione di compensi per lavoro
 straordinario prestato in occasione  delle  consultazioni  elettorali
 politiche  dell'aprlle  1992,  nonche'  il  fatto  che  il canceliere
 dirigente   del   tribunale   si   fosse   avvalso,   senza    alcuna
 autorizzazione,  per  coordinare  i lavori di segreteria dell'ufficio
 elettorale  circoscrizionale,  dell'ausilio  dell'ex   direttore   di
 cancelleria,  in  quiescenza  dal  gennaio  1992,  la  procura  della
 Repubblica presso i tribunale di Biella avviava indagini  preliminari
 che  portavano  ad  accertare  come,  effettivamente,  sulla base dei
 prospetti di richiesta di liquidazione,  predisposti  dal  presidente
 del  tribunale  di  Biella  in  quanto  indotto in errore dal Carlino
 Giuseppe, cancelliere, dirigente presso detto tribunale, fosse  stato
 riconosciuto  ed  attribuito a buona parte del personale degli uffici
 giudiziari  ed  in  particolare  allo  stesso  Carlino  Giuseppe,  un
 compenso    per    lavoro   straordiario   c.d.   "elettorale",   non
 corrispondente  ed  eccessivo  rispetto   alle   ore   effettivamente
 destinate  alla  attivita' lavorativa e comunque, a quelle risultanti
 dalle annotazioni sugli appositi fogli   presenza del  personale.  Si
 accertava  altresi' che il Carlino si era avvalso, indebitamente, per
 il    coordinamento    dell'attivita'     dell'ufficio     elettorale
 circoscrizionale,  dell'aiuto  dell'ex  direttore  di  cancelleria in
 quiescenza  da  qualche  mese,  compensandolo  con  la  somma  di  L.
 1.200.000  attinta  dal  compenso  corrisposto, ad esso Carlino ed ad
 altro impiegato di cancelieria, dalla Corte  d'appello  di  Torino  a
 titolo  di  retribuzione  del  lavoro  straordinario svolto in quella
 occasione.
   Sulla base ed in relazione ai fatti ed alle risultanze anzidetti il
 p.m. chiedeva rinviarsi a giudizio il Carlino Giuseppe quale imputato
 del reato di abuso in atti d'ufficio ai sensi  dell'art.  323,  comma
 secondo,  c.p. (capo A), del reato continuato di falso per induzione,
 ai sensi degli art. 81, 48, 479 c.p. (capo B) e del reato  continuato
 di truffa, ai sensi degli art. 81, 640 c.p. (capo C).
   Ad  esito  di  udienza  preliminare,  il presso il g.u.p. presso il
 trinunale di Biella pronunciava sentenza 16 novembre 1994, depositata
 in data 21 novembre 1994 (con trasmissione di copia, in pari data, al
 p.m. in sede ) con la quale  dichiarava  non  doversi  procedere  nei
 confronti   dell'imputato,   con   riferimento  a  tutti  i  capi  di
 imputazione, perche' il fatto non costituisce reato.
   Avverso tale sentenza il p.m. proponeva ricorso per, cassazione, ai
 sensi dell'art. 428, comma quarto, c.p.p., con dichiarazione in  data
 14  dicembre  1994  con  la quale, denunciando l'erronea applicazione
 della legge  penale  nonche'  il  vizio,  risultante  dal  testo  del
 provvedimento   impugnato,   di   mancanza   ed   illogicita'   della
 motivazione,  chiedeva  l'annullamento  con  rinvio  della   sentenza
 impugnata.
   Con ordinanza 1 febbraio 1996 la Corte suprema di cassazione - sez.
 V  -  rilevato  che  l'impugnazione del p.m.   doveva ricondursi alla
 generale previsione del c.d. ricorso per saltum di che all'art.   569
 c.p.p.  e  che  pertanto  -  atteso  il  dedotto  vizio di carenza ed
 illogicita di motivazione - il terzo  comma  del  predetto  art.  569
 c.p.p.  imponeva  la  conversione  in  appello  del  ricorso  de quo,
 dichiarava il ricorso del p.m. di  Biella  convertito  in  appello  e
 ordinava la trasmissione degli atti a questa Corte d'apppello.
   All'odierna   udienza   in   camera   di  consiglio,  il  difensore
 dell'imputato ha preliminarmente percepito la tardivita' del  gravame
 del  p.m.  chiedendo  dichiararsene  l'inammissibilita;  ha  concluso
 chiedendo comunque la conferma dell'impugnata sentenza.   Il p.g.  ha
 chiesto   rimettersi  gli  atti  alla  Corte  costituzionale  per  il
 controllo di legittimita' costituzionale in relazione agli artt. 3  e
 112  della Costituzione e cio' anche in considerazione della pendenza
 di identica questione sollevata da altra sezione di questa Corte;  in
 subordine  ha  chiesto  emettersi  il  decreto disponente il rinvio a
 giudizio dell'imputato.
   Ad esito dell'odierno giudizio in camera di consiglio, questa Corte
 osserva quanto segue.
   Non v'e' dubbio che l'impugnazione - sotto  forma  di  ricorso  poi
 dichiarato  convertito  in  appello con l'ordinanza 1 febbraio 1996 -
 viene proposta dal p.m.,  cosi'  come  riconosciuto  anche  dal  p.g.
 d'udienza,  oltre  il  quindicesimo giorno di cui all'art. 585, primo
 comma, lett. a) c.p.p. essendo stata la sentenza, emessa a seguito di
 procedimento camerale, depositata e comunicata dal p.m.  in  data  21
 novembre  1994  ed  essendo  stata l'impugnazione proposta in data 14
 dicembre 1994. Orbene, a seguito degli interventi delle sezioni unite
 della Corte di cassazione in tema di appello avverso sentenze  emesse
 a  seguito  di  giudizio "abbreviato" (cas. pen. sez. un. 15 dicembre
 1992) puo' considerarsi ius receptum che il termine per  proporre  il
 predetto  appello sia quello di giorni trenta o giorni quarantacinque
 a seconda che ricorrano i casi di cui alle lett. b)  o  c)  di  primo
 comma  art.  585  c.p.p.;  per  le altre procedure camerali, compresa
 quella prevista per l'udienza preliminare, il termine di impugnazione
 risulta sempre ancorato al termine di giorni  quindici  di  cui  alla
 lett. A dell'art. 585, primo comma c.p.p.
   Tale  piu'  breve  termine  rispondeva  originariamente  a  indubbi
 criteri di ragionevolezza in relazione alla presunta  semplicita'  di
 procedimenti  in  camera  di consiglio attesa la non-complessita' del
 relativo  thema  decidendum.  Peraltro  con  la   sopprressione   del
 requisito  "evidenza",  introdotta  al testo dell'art. 425 c.p.p., e'
 derivato che il giudice ha acquisito la possibilita'  di  giungere  a
 soluzioni  assolutorie  anche  sulla base di argomentazioni complesse
 che,  a  suo  giudizio,  valgono a sorreggere il convincimento che il
 fatto "non sussiste o che l'imputato non lo  ha  commesso  o  che  il
 fatto  non costituisce reato ...". Conseguentemente anche l'eventuale
 impugnazione del p.m.  potrebbe comportare una altrettanto  complessa
 attivita'  argomentativa,  da  ritenersi  del tutto incompatibile col
 breve termine riconosciutogli per la proposizione  dell'appello  (fra
 l'altro  in contrasto con l'eventuale termine riservatosi dal giudice
 per il deposito della complessa motivazione  della  sentenza).  Nella
 sua  attuale formulazione l'art. 585, lett.  a), c.p.p. non distingue
 le procedure camerali  semplici  da  quelle  complesse  e  per  tutte
 stabilisce  inopportunamente  il  breve  termine  di  impugnazione di
 quindici giorni. Inoltre si realizza una "disparita' di  trattamento"
 fra le sentenze emesse con giudizio abbreviato, per le quali la Corte
 di  cassazione  ha  giustamente ancorato il termine di impugnazione a
 quello delle sentenze dibattimentali, e le sentenze di  non  luogo  a
 procedere  emesse con procedura cameraleall'udienza preliminare e con
 motivazione  depositata  successivamente,  cosi'  come  nel  caso  di
 specie.    Sotto   quest'ultimo   profilo   verrebbero   disciplinate
 diversamente fattispecie sostanzialmente uguali  il  che  conferma  i
 forti  dubbi  di  costituizionalita'  dell'art. 585, lett. a), c.p.p.
 gia' da altre parti manifestati. Piu' precisamente si osserva che  il
 criterio   seguito   dal  legislatore  in  tema  di  impugnazione  fa
 riferimento alla maggiore o minore complessita' dell'atto soggetto ad
 impugnazione.  Cio' si evince anche dal fatto che anche una  sentenza
 dibattimentale  puo'  essere  impugnabile  nel  breve termine di soli
 quindici  giorni  quando  tale  sentenza  e'  considerata  priva   di
 particolare   complessita',   cosi'  da  giustificarsi  una  sommaria
 motivazione della stessa, contestualmente alla lettura in udienza del
 dispositivo (art. 544, primo comma, c.p.p.).    A  tale  mancanza  di
 particolare  complessita',  viene dunque a corrispondere, nel sistema
 delineato dal legislatore, un termine di impugnazione particolarmente
 breve. Alla  stessa  stregua  era  considerata  la  sentenza  di  cui
 all'art.  425  c.p.p.  proprio perche', essendo richiesta la evidenza
 della non-colpevolezza  dell'imputato,  la  dimostrazione  di  questo
 giudizio    non    poteva    richiedere   motivazioni   complesse   o
 particolarmente articolate. Non cosi' dopo la riforma  dell'art.  425
 che  escludendo  il  requisito  della  "evidenza" rende possibili (ed
 anche frequenti) sentenze di non luogo  a  procedere  particolarmente
 complesse  e  tali  da  richiedere  un lungo termine per la redazione
 della motivazione ed il deposito. La lettura coordinata  degli  artt.
 544  e  585  rende  evidente  come  il  criterio  fatto  proprio  dal
 legislatore per la determinazione del  termine  di  impugnazione  sia
 fondato  sulla  distinzione  fra procedimenti "semplici" e facilmente
 motivabili  e  provvedimenti  di  complessa  motivazione.    Dopo  la
 modifica  introdotta  nell'art.  425  c.p.p., una coerente disciplina
 delle  impugnazioni  delle  sentenze  di  non   luogo   a   procedere
 postulerebbe  che  anche  tali  sentenze  possano essere impugnate in
 trenta o quarantacinque giorni (e non solo in quindici) a seconda che
 i  motivi  dell'assoluzione  siano  contestabili  alla  pronuncia   o
 depositati  entro  quindici  giorni  o depositati entro il piu' ampio
 termine indicato dal giudice. Attualmente cosi'  non  e'  essendo  la
 sentenza di cui all'art. 425 considerata, sempre e comunque (e quindi
 spesso  in  contrasto  con  la realta'), un provvedimento "semplice".
 Sotto tale profilo, il vizio di disparita'  di  trattamento  (art.  3
 della  Costituzione)  di  fattispecie analoghe, se non uguali, appare
 fondato  ed  in  tal  senso  la  questione  va  rimessa  alla   Corte
 costituzionale.   Si   osserva   inoltre   che  qualora  il  titolare
 dell'azione  penale  si  veda  costretto  a   motivare   la   propria
 impugnazione in termini brevissimi, anche in presenza di questioni di
 particolare   complessita'  richiedenti  articolate  ed  approfondite
 argomentazioni anche  nell'ambito  della  proposizione  dell'appello,
 l'esercizio  dell'appello  medesimo  verrebbe  ad essere compresso in
 modo tale da risultare compresso lo stesso potere-dovere di esercizio
 dell'azione penale il che appare in aperto contrasto con il principio
 costituzionale   (art.   112    Costituzione)    dell'obbligatorieta'
 dell'azione penale.
   Anche  sotto  questo  profilo la questione merita di essere rimessa
 alla Corte costituzionale.
   Evidente e' infine la rilevanza  della  questione  in  quanto,  ove
 venisse dichiarata illegittimita' costituzionale dell'art. 585, primo
 comma  lett.  a) c.p.p., l'appello del p.m., allo stato inammissibile
 per tardivita' risulterebbe tempestivo in quanto  proposto  entro  il
 termine  (trenta  giorni)  di  cui alla lett. b) primo comma art. 585
 c.p.p.
                               P. Q. M.
   Visti gli artt. 23 e seguenti della legge  11  marzo  1953  n.  87,
 dichiara  rilevante  e  non  manifestamente infondata la questione di
 legittimita' costituzionale dell'art. 585, primo comma,  lett.a)  del
 c.p.p.  in  relazione agli artt. 3 e 112 della Costituzione nel senso
 sopra prospettato;
   Sospende il presente procedimento;
   Dispone la rimessione degli atti alla Corte costituzionale;
   Dispone che la presente ordinanza venga  notificata  al  Presidente
 del  Consiglio  dei  Ministri e comunicata ai Presidenti dei due rami
 del Parlamento.
     Torino, addi' 21 ottobre 1996
                       Il presidente: Giribaldi
                         Il consigliere estensore: (firma illeggibile)
 97C0026