N. 1 SENTENZA 9 - 10 gennaio 1997

 
 
 Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale.
 
 Confisca  - Reato di contrabbando - Confisca delle cose che servirono
 o furono destinate a commettere reato ovvero che ne sono l'oggetto il
 prodotto o il profitto - Disciplina differenziata solo  per  i  mezzi
 utilizzati per la commissione del reato nel caso di beni appartenenti
 a  persona  estranea  al  reato  alla  quale non sia imputabile alcun
 difetto di vigilanza - Richiamo alla giurisprudenza  della  Corte  in
 materia  (v.    sentenze nn. 229/1974 e 259/1976) - Insussistenza dei
 requisiti di adeguatezza e proporzionalita' nel caso di  applicazione
 di  un  trattamento di maggiore severita' esteso al terzo estraneo al
 reato privato anche della possibilita' di dimostrare la propria buona
 fede - Illegittimita' costituzionale.
 
 (D.P.R. 23 gennaio 1973, n. 43, art. 301, primo comma).
(GU n.3 del 15-1-1997 )
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
 composta dai signori:
  Presidente: dott. Renato GRANATA;
  Giudici:  prof.  Giuliano  VASSALLI,  prof.  Francesco GUIZZI, prof.
 Cesare MIRABELLI, prof.  Fernando  SANTOSUOSSO,  avv.  Massimo  VARI,
 dott.   Cesare   RUPERTO,   dott.  Riccardo  CHIEPPA,  prof.  Gustavo
 ZAGREBELSKY,  prof.  Valerio  ONIDA,  prof.  Carlo  MEZZANOTTE,  avv.
 Fernanda  CONTRI,  prof.  Guido  NEPPI  MODONA,  prof.  Piero Alberto
 CAPOTOSTI;
 ha pronunciato la seguente
                                Sentenza
 nel giudizio di legittimita'  costituzionale  dell'art.  301,  primo,
 secondo   e   terzo   comma,  del  d.P.R.  23  gennaio  1973,  n.  43
 (Approvazione del  testo  unico  delle  disposizioni  legislative  in
 materia  doganale),  come  modificato  dall'art.  11  della  legge 30
 dicembre 1991, n. 413, promosso con ordinanza emessa  il  4  dicembre
 1995  dalla  Corte  di  cassazione  sul  ricorso  proposto  da Plateo
 Massimo, quale legale rappresentante della Metalsa  S.r.l.,  iscritta
 al  n.  272  del  registro ordinanze 1996 e pubblicata nella Gazzetta
 Ufficiale della Repubblica n. 13,  prima  serie  speciale,  dell'anno
 1996;
   Visto  l'atto  di costituzione della Metalsa S.r.l., nonche' l'atto
 di intervento del Presidente del Consiglio dei Ministri;
   Udito  nell'udienza  pubblica  del  12  novembre  1996  il  giudice
 relatore Carlo Mezzanotte;
   Uditi  l'avv.  Giancarlo Pezzano per la Metalsa S.r.l. e l'Avvocato
 dello Stato Ivo M. Braguglia per  il  Presidente  del  Consiglio  dei
 Ministri.
                           Ritenuto in fatto
   1.  -   La Corte di cassazione, chiamata a pronunciarsi sul ricorso
 proposto dal  legale  rappresentante  della  Metalsa  S.r.l.  avverso
 l'ordinanza  della Corte di appello di Milano, con la quale era stata
 respinta  la  richiesta,  avanzata  nelle  forme  dell'incidente   di
 esecuzione,   di   restituzione   di  un  quantitativo  di  alluminio
 sottoposto  a  confisca  all'esito  di  un  procedimento  penale  per
 contrabbando  svoltosi nei confronti di un altro soggetto ed al quale
 la Metalsa S.r.l. era rimasta estranea,  ha  sollevato  questione  di
 legittimita'  costituzionale,  in riferimento agli artt. 3 e 27 della
 Costituzione, dell'art. 301, primo, secondo e terzo comma, del d.P.R.
 23  gennaio  1973,  n.  43  (Approvazione  del  testo   unico   delle
 disposizioni   legislative  in  materia  doganale),  come  modificato
 dall'art. 11 della legge 30 dicembre 1991, n. 413, nella parte in cui
 consente, nei casi  di  contrabbando,  la  confisca  delle  cose  che
 costituiscono  oggetto,  prodotto  o  profitto  del  reato,  anche se
 appartenenti a terzi estranei al reato, e  anche  quando  questi  non
 siano colpevoli di difetto di vigilanza.
   La  Corte  di  cassazione  rileva che in materia di contrabbando il
 legislatore ha disciplinato in modo  piu'  rigoroso  ed  incisivo  le
 misure  di  sicurezza  patrimoniali, rendendo obbligatoria, in deroga
 all'art. 240 del codice penale, la confisca delle cose che servono  o
 sono  destinate  a  commettere  il  reato  o  delle  cose che ne sono
 l'oggetto,  il  prodotto  o  il   profitto,   e   rendendo   altresi'
 obbligatoria  la  confisca  dei  mezzi  di  trasporto  oggettivamente
 predisposti  all'occultamento   della   merce   per   facilitare   il
 contrabbando;   in  quest'ultimo  caso,  se  il  mezzo  di  trasporto
 appartiene a persona estranea al reato e questa dimostri che il mezzo
 e' stato usato senza la sua volonta' e senza sua colpa,  la  confisca
 puo'  essere disposta solo se il mezzo di trasporto puo' considerarsi
 intrinsecamente criminoso.
   In tal modo, osserva  il  giudice  a  quo,  il  legislatore  si  e'
 adeguato,  ma  solo in relazione ai mezzi di trasporto, alle sentenze
 nn. 229 del 1974, 259 del 1976 e 2 del 1987 di questa Corte,  con  le
 quali  era  stata  dichiarata,  sotto piu' profili, la illegittimita'
 costituzionale dell'art. 116 della legge doganale n.  1424  del  1940
 (poi  divenuto art. 301 del d.P.R. n. 43 del 1973). Conseguentemente,
 ad avviso del giudice a  quo,  l'art.  301,  per  la  parte  relativa
 all'oggetto  del contrabbando, continuerebbe a porsi in contrasto sia
 con il principio della personalita' della responsabilita' penale, sia
 con il principio di  eguaglianza,  dal  momento  che  discriminerebbe
 irragionevolmente  tra  terzi  estranei al contrabbando, ai quali non
 sia imputabile violazione di doveri di vigilanza, a seconda che siano
 proprietari dei mezzi di trasporto o cose usate per il  reato  ovvero
 di cose oggetto del contrabbando.
   Quanto  alla  rilevanza  della  questione,  la  Corte di cassazione
 osserva che, ove la questione stessa fosse accolta, il ricorrente nel
 giudizio a quo potrebbe evitare  la  confisca  dimostrando  di  avere
 acquistato in buona fede le merci oggetto di contrabbando.
   2.  -  Si  e'  costituita nel presente giudizio la societa' Metalsa
 S.r.l., la quale, dopo  una  analitica  ricostruzione  della  vicenda
 processuale, con particolare riferimento alle circostanze comprovanti
 la  buona  fede  nell'acquisto  delle merci confiscate (nella specie,
 circa  duecento  tonnellate  di  alluminio),  svolge   considerazioni
 adesive alla ordinanza di rimessione.
   In  particolare,  la  parte  privata ricorda le decisioni di questa
 Corte che hanno dichiarato, sotto diversi profili, la  illegittimita'
 costituzionale  dell'originario testo dell'art. 301 del d.P.R. n.  43
 del  1973,  sul  presupposto  che  la   previsione   della   confisca
 obbligatoria   sia   delle   cose   utilizzate   per  l'attivita'  di
 contrabbando, sia  delle  cose  oggetto  di  contrabbando,  anche  se
 appartenenti  a persone estranee al reato, realizzando una ipotesi di
 responsabilita' oggettiva, si pone  in  contrasto  con  il  principio
 della  personalita'  della responsabilita' penale stabilito dall'art.
 27,  primo  comma,  della  Costituzione  La  stessa   parte   privata
 sottolinea poi come, in quelle sentenze, questa Corte abbia affermato
 il  principio  che,  se  possono  esservi  cose  il cui possesso puo'
 configurare una illiceita' obiettiva in senso assoluto, a prescindere
 dal rapporto con il soggetto che ne  dispone,  e  che  legittimamente
 devono  essere  quindi confiscate presso chiunque le detenga, in ogni
 altro caso l'art. 27, primo comma, della  Costituzione  non  potrebbe
 consentire,  viceversa,  che si proceda a confisca di cose pertinenti
 al reato, ove chi ne sia proprietario al momento in cui  la  confisca
 deve  essere disposta non sia anche l'autore del reato o non ne abbia
 tratto in alcun modo profitto.
   La parte privata  rileva  quindi  che,  benche'  in  tutti  i  casi
 analoghi  a  questi  ultimi  la  confisca  obbligatoria  deve  essere
 considerata illegittima, il legislatore, intervenuto nel 1991, si  e'
 limitato  a  prevedere  un nuovo regime solo per quel che riguarda la
 confisca dei mezzi di trasporto usati  per  commettere  il  reato  di
 contrabbando,  confermando,  invece,  l'originaria  formulazione  del
 primo comma, il quale stabilisce,  appunto,  l'obbligatorieta'  della
 confisca   anche  delle  cose  oggetto  di  contrabbando.  Il  regime
 risultante dalla modificazione legislativa  vanificherebbe  pero'  il
 senso  e  la  portata  delle  decisioni  di  questa Corte che avevano
 dichiarato la illegittimita' costituzionale dell'art. 301  nella  sua
 precedente formulazione.
   L'art.  301  sarebbe quindi illegittimo innanzitutto per violazione
 dell'art. 3  della  Costituzione,  in  ragione  della  diversita'  di
 trattamento  riservata  al terzo proprietario dei mezzi di trasporto,
 la cui diligenza puo' essere fatta valere per  evitare  la  confisca,
 rispetto  al  proprietario  delle  altre  cose  considerate dal primo
 comma, il quale non  potrebbe  mai  provare  la  propria  buona  fede
 nell'acquisto delle cose oggetto di contrabbando.
   La  stessa  disposizione  sarebbe  poi illegittima, ad avviso della
 parte privata, oltre che per violazione del principio di personalita'
 della responsabilita' penale, per contrasto con gli artt.  24,  25  e
 42,  terzo  comma,  della  Costituzione;  parametri questi ultimi non
 indicati nella ordinanza di rimessione.
    3.  -  E'  intervenuto  il  Presidente  del Consiglio dei Ministri
 chiedendo che la questione sia dichiarata non  fondata,  dal  momento
 che  le cose che sono l'oggetto, il profitto o il prezzo del reato di
 contrabbando devono essere ritenute cose oggettivamente  illecite  in
 senso assoluto, delle quali proprio la sentenza n. 229 del 1974 della
 Corte  costituzionale  consentirebbe  la  confisca presso chiunque le
 detenga.
   Tale  soluzione,  ad  avviso  dell'Avvocatura,  sarebbe  pienamente
 ragionevole,  a  meno di non voler svuotare di contenuto e di effetti
 la previsione del reato di contrabbando. Infatti, se  tale  reato  e'
 stato  compiuto,  e'  la  stessa permanenza delle cose nel territorio
 dello  Stato  che  deve  considerarsi  illecita,  a  prescindere  dal
 rapporto  soggettivo con il loro attuale possessore o detentore. Sono
 quindi le finalita' perseguite dal legislatore con la repressione del
 contrabbando a richiedere di qualificare come indisponibili  le  cose
 oggetto  di  contrabbando, perche' altrimenti sarebbe sufficiente una
 "ripulitura" della merce attraverso una societa' di comodo,  come  la
 stessa  Avvocatura  ritiene  essere  avvenuto  nella fattispecie, per
 legittimare un acquisto di buona fede e per rendere cosi' impossibile
 una fruttuosa lotta alla evasione delle imposte doganali.
                         Considerato in diritto
   1. -   La questione sottoposta all'esame  di  questa  Corte  ha  ad
 oggetto l'art. 301 del d.P.R. 23 gennaio 1973, n. 43, come modificato
 dall'art.    11  della  legge  30 dicembre 1991, n. 413, il quale, al
 primo comma, stabilisce in via generale "la confisca delle  cose  che
 servirono  o furono destinate a commettere il reato" di contrabbando,
 nonche' di quelle "che ne sono l'oggetto  ovvero  il  prodotto  o  il
 profitto" e, nei commi successivi, detta una disciplina differenziata
 solo  per i mezzi utilizzati per commettere il reato di contrabbando,
 allorquando questi appartengano a persona  estranea  al  reato,  alla
 quale  non sia imputabile alcun difetto di vigilanza (secondo e terzo
 comma).
   A  giudizio  della  Corte  di  cassazione  l'art.   301,   rendendo
 obbligatoria   la   confisca   delle   cose   oggetto  del  reato  di
 contrabbando, quando le stesse appartengano a terzi estranei al reato
 e  ai  quali  non  sia  addebitabile   un   difetto   di   vigilanza,
 contrasterebbe   sia   con   l'art.      3   della  Costituzione,  in
 considerazione del differente trattamento  riservato  ai  proprietari
 dei  mezzi  utilizzati per il reato di contrabbando rispetto a quello
 previsto per i proprietari delle cose oggetto  di  contrabbando,  sia
 con  il principio di personalita' della pena, stabilito dall'art. 27,
 primo comma, della Costituzione.
   Benche' in essa siano  formalmente  indicate  tra  le  disposizioni
 sottoposte  all'esame  di  questa  Corte  anche il secondo e il terzo
 comma  dell'art.  301,  l'ordinanza   di   rimessione   deve   essere
 interpretata  nel  senso  che  le  censure  investano,  come  risulta
 dall'intero contesto della motivazione, il solo primo comma dell'art.
 301, che disciplina la confisca delle cose oggetto  di  contrabbando,
 della quale si disquisisce nel giudizio principale.
   2. - La questione e' fondata.
   Non  e'  nuovo,  nella giurisprudenza costituzionale, il tema della
 confisca  penale  regolata,   con   disciplina   derogatoria,   dalla
 legislazione doganale.
   Con   la   sentenza   n.  229  del  1974  e'  stata  dichiarata  la
 illegittimita' costituzionale dell'art. 116, primo comma, della legge
 doganale (legge 25 settembre 1940, n. 1424), trasfuso  nell'art.  301
 del  testo unico delle leggi doganali approvato con d.P.R. 23 gennaio
 1973, n. 43, nella parte in cui, quanto alle  cose  che  servirono  o
 furono  destinate  a commettere il reato di contrabbando, imponeva la
 confisca anche nella  ipotesi  di  appartenenza  di  esse  a  persone
 estranee  al  reato  alle  quali  non  fosse imputabile un difetto di
 vigilanza.  Con  la  successiva  sentenza  n.   259   del   1976   la
 dichiarazione  di  illegittimita'  costituzionale  ha  investito  gli
 stessi artt. 116, primo comma, della legge n. 1424 del 1940 e 301 del
 d.P.R. 23 gennaio 1973, n. 43,  nella  parte  in  cui  imponevano  la
 confisca    delle   cose   oggetto   del   reato   di   contrabbando,
 illegittimamente  sottratte  a   terzi,   quando   tale   sottrazione
 risultasse  giudizialmente  accertata. Con la sentenza n. 2 del 1987,
 infine, le medesime disposizioni, insieme all'art. 66 della  legge  1
 giugno  1939, n. 1089, sono state ritenute illegittime nella parte in
 cui prevedevano che le opere d'arte oggetto di  esportazione  abusiva
 fossero  sottoposte a confisca anche se risultassero di proprieta' di
 un terzo estraneo al reato, che da questo non avesse tratto in  alcun
 modo profitto.
   Nell'ultima  sentenza  la  Corte,  rendendo ancor piu' esplicita la
 ratio decidendi che aveva sorretto i suoi  precedenti,  ebbe  gia'  a
 ricordare  che  nelle  sentenze  nn. 229 del 1974 e 259 del 1976 (che
 pure prendevano le mosse da fattispecie peculiari dedotte dai giudici
 remittenti: mezzi utilizzati per commettere il reato,  nell'un  caso,
 provenienza   furtiva   dell'oggetto   del   reato  di  contrabbando,
 nell'altro) era dotata di portata generale l'affermazione secondo  la
 quale  il proprietario della cosa sottoposta a confisca obbligatoria,
 se estraneo al reato e indenne da colpa, finisce con l'essere colpito
 a titolo di responsabilita'  oggettiva,  con  conseguente  violazione
 dell'art.  27, primo comma, della Costituzione.
   L'art.  11  della  legge  30  dicembre 1991, n. 413, dettando nuove
 regole in tema di confisca doganale, ha  modificato  il  citato  art.
 301  del  testo unico; lo ha adeguato pero' solo in parte ai principi
 risultanti dalla giurisprudenza  di  questa  Corte.  Il  legislatore,
 infatti,  ha  dato  rilievo  allo  stato soggettivo di buona fede del
 proprietario del bene (sotto il profilo del non essere questi incorso
 in un difetto di  vigilanza)  unicamente  con  riferimento  ai  mezzi
 utilizzati o destinati al contrabbando, mantenendo per il resto ferma
 l'indiscriminata  obbligatorieta'  della confisca dei beni oggetto di
 contrabbando.   In tal modo  lo  stesso  legislatore  ha  mancato  di
 portare  alle  conseguenze  necessarie  la  generalita' del principio
 affermato da questa Corte, il  quale  conduce  ad  escludere  che  la
 misura  della  confisca possa investire la cosa appartenente al terzo
 estraneo al reato di contrabbando, quando questi dimostri di  esserne
 divenuto  proprietario  senza  violare  alcun  obbligo di diligenza e
 quindi in buona fede.
   3.   -   Non   sono   condivisibili   le   argomentazioni    svolte
 dall'Avvocatura  dello  Stato,  secondo  cui,  poiche'  il fine della
 repressione penale del contrabbando  consisterebbe  nell'impedire  la
 circolazione nel territorio nazionale di beni per i quali siano stati
 evasi  i  tributi doganali, il sacrificio imposto, mediante la misura
 della confisca, anche al terzo di  buona  fede  sarebbe  giustificato
 dall'esigenza  di  tutelare  il preminente interesse pubblico sotteso
 alla previsione dell'illecito. Un  simile  sacrificio,  infatti,  non
 puo'  essere inflitto al terzo di buona fede: altro sono le attivita'
 illecite   dell'autore   del   contrabbando,   dei   suoi   eventuali
 concorrenti,  di coloro che siano incorsi nei reati di ricettazione o
 di incauto acquisto, altra la posizione del terzo che abbia  compiuto
 il suo acquisto in buona fede e senza che esistessero elementi idonei
 a  far sorgere sospetti circa la provenienza del bene. Tale posizione
 e' da ritenere protetta dal principio della  tutela  dell'affidamento
 incolpevole, che permea di se' ogni ambito dell'ordinamento giuridico
 e  dal  quale scaturisce anche la regola generale di circolazione dei
 beni mobili nel nostro sistema di mercato (cfr. art. 1153 del  codice
 civile). Si puo' anzi dire che, secondo l'ordinamento civilistico, lo
 stato  di  buona  fede nell'acquisto di beni mobili, salve le deroghe
 positivamente previste, possiede una cosi'  accentuata  rilevanza  da
 interrompere  qualunque legame del bene con i precedenti possessori e
 da determinare un acquisto a titolo originario,  sicche'  la  pretesa
 sanzionatoria  dello  Stato  di  aggredire  con  il  provvedimento di
 confisca il bene del terzo, negandogli  persino  la  possibilita'  di
 dimostrare la propria buona fede nell'acquisto, e' priva di qualsiasi
 collegamento  con  una sua condotta suscettibile di riprovazione e si
 pone  irrimediabilmente  in  contrasto   con   il   principio   della
 personalita' della responsabilita' penale.
   Ne'  tale  conclusione puo' ritenersi validamente contrastata dalla
 considerazione  dell'Avvocatura  dello  Stato,  secondo  cui  i  beni
 provenienti  da  contrabbando  avrebbero una intrinseca pericolosita'
 sociale  che  giustificherebbe  l'applicazione  di  una   misura   di
 sicurezza  anche  nei  confronti  del  terzo  incolpevole. Se e' vero
 infatti che misure di sicurezza patrimoniali possono  talora  colpire
 singoli  beni  indipendentemente  dal rapporto con il soggetto che ne
 dispone, e' altrettanto vero, come risulta dall'art. 240  del  codice
 penale  e  come questa Corte non ha mancato di osservare (sentenza n.
 229 del 1974), che cio' puo' avvenire solo quando si tratti  di  cose
 "nelle  quali sia insita una illiceita' oggettiva in senso assoluto":
 cose delle quali la fabbricazione, l'uso, il porto, la  detenzione  o
 l'alienazione    non    possono   essere   consentiti   neppure   con
 autorizzazione  amministrativa.     Quando  pero'   tale   illiceita'
 "oggettiva"  non  sussista,  l'affidamento incolpevole costituisce un
 insuperabile diaframma che  si  interpone  tra  l'attivita'  illecita
 dell'autore  del  contrabbando e l'acquisto della proprieta' del bene
 da parte del terzo, il  quale  sarebbe  altrimenti  inammissibilmente
 colpito,   a  causa  della  confisca,  a  titolo  di  responsabilita'
 oggettiva.
   4. - Non puo' negarsi che, come questa Corte ha  gia'  rilevato  in
 altre occasioni (sentenze n. 5 del 1977, n. 114 del 1974 e n. 157 del
 1972),   il   reato   di  contrabbando  doganale  presenta  peculiari
 caratteristiche  collegate  con  la  lesione  di  primari   interessi
 finanziari  dello  Stato  tali  da  giustificare  l'imposizione di un
 trattamento  sanzionatorio  particolarmente  rigoroso  e  severo  nei
 confronti  degli  autori del reato stesso (disciplina della recidiva,
 equiparazione tra reato tentato e reato consumato,  dichiarazione  di
 abitualita'). Tuttavia, la maggior severita' di trattamento del reato
 di   contrabbando,   non   irragionevole  nei  confronti  dell'autore
 dell'illecito, quando venga estesa al terzo  estraneo  al  reato,  il
 quale  sia  addirittura  privato  della possibilita' di dimostrare la
 propria buona fede, non e' sorretta dai requisiti  di  adeguatezza  e
 proporzionalita'  che  costituiscono  vincoli generali dell'attivita'
 legislativa intesa a comprimere diritti dei privati.
   Un piu' ragionevole equilibrio degli interessi che in  simili  casi
 vengono  in considerazione (quelli dello Stato connessi all'esercizio
 della potesta' tributaria, quelli del privato derivanti dal principio
 dell'affidamento  incolpevole)  porta  a  ritenere  che   l'interesse
 finanziario  dello  Stato  possa  certo  ricevere un ambito di tutela
 privilegiata anche nei confronti del  terzo  sul  piano  processuale.
 Puo'  quindi  risultare  non  irragionevole  una  deroga al principio
 vigente in materia di acquisti di beni mobili  secondo  il  quale  la
 buona  fede  e' generalmente presunta; ma la tutela di tale interesse
 non puo' spingersi sino al punto di impedire  al  terzo  estraneo  al
 reato  di  essere  ammesso  a provare che non sussistevano al momento
 dell'acquisto circostanze tali  da  far  sorgere  sospetti  circa  la
 provenienza del bene da contrabbando.
                           Per questi motivi
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
   Dichiara   l'illegittimita'  costituzionale  dell'art.  301,  primo
 comma, del d.P.R. 23 gennaio 1973,  n.  43  (Approvazione  del  testo
 unico  delle  disposizioni  legislative  in  materia  doganale), come
 modificato dall'art.  11 della legge 30 dicembre 1991, n. 413,  nella
 parte  in  cui non consente alle persone estranee al reato di provare
 di avere acquistato la proprieta' delle cose  ignorando  senza  colpa
 l'illecita immissione di esse sul mercato.
   Cosi'  deciso  in  Roma,  nella  sede  della  Corte costituzionale,
 Palazzo della Consulta, il 9 gennaio 1997.
                        Il Presidente: Granata
                       Il redattore: Mezzanotte
                       Il cancelliere: Di Paola
   Depositato in cancelleria il 10 gennaio 1997.
                 Il direttore di cancelleria: Di Paola
 97C0037