N. 10 SENTENZA 9 - 23 gennaio 1997

 
 
 Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale.
 
 Processo penale - Reiterazione  della  dichiarazione  di  ricusazione
 fondata   sui   medesimi  elementi  -  Possibilita'  del  giudice  di
 pronunciare sentenza fino a che non sia intervenuta  l'ordinanza  che
 dichiari inammissibile o rigetti la ricusazione - Omessa previsione -
 Sospensione  del  termine  di  prescrizione  dei reati per i quali si
 procede -  Riferimento  alla  sentenza  della  Corte  n.  353/1996  -
 Situazione   idonea   a   determinare   la  paralisi  della  funzione
 processuale - Richiamo alla giurisprudenza della Corte (v.  ordinanza
 n.  5/1997,  sentenze nn. 460/1995, 114/1994, 289/1992 e 178/1991) in
 materia di efficienza del processo - Illegittimita' costituzionale.
 
 (C.P.P., art. 37, secondo comma).
(GU n.5 del 29-1-1997 )
                         LA CORTE COSTITUZIONALE
 composta dai signori:
  Presidente: dott. Renato GRANATA;
  Giudici: prof. Giuliano VASSALLI, prof.  Francesco  GUIZZI,    prof.
 Cesare  MIRABELLI,    prof. Fernando SANTOSUOSSO,  avv. Massimo VARI,
 dott. Cesare RUPERTO,   dott.  Riccardo  CHIEPPA,      prof.  Gustavo
 ZAGREBEL  SKY,  prof.  Valerio ONIDA,   prof. Carlo MEZZANOTTE,  avv.
 Fernanda CONTRI, prof. Guido  NEPPI  MODONA,    prof.  Piero  Alberto
 CAPOTOSTI;
 ha pronunciato la seguente
  Sentenza
 nel  giudizio  di  legittimita' costituzionale del combinato disposto
 degli artt. 37, comma 2, e 124, commi 1 e 2, del codice di  procedura
 penale,  anche  in  relazione  agli  articoli da 157 a 161 del codice
 penale, promosso con ordinanza emessa il 24 novembre 1995 dal pretore
 di Rossano nel procedimento  penale  a  carico  di  Libero  Pasquale,
 iscritta  al  n.  778  del registro ordinanze 1996 e pubblicata nella
 Gazzetta Ufficiale della Repubblica  n.  36,  prima  serie  speciale,
 dell'anno 1996;
   Udito  nella  camera  di  consiglio del 27 novembre 1996 il giudice
 relatore Francesco Guizzi.
                           Ritenuto in fatto
   1. - Imputato del reato di usura di cui  all'art.  644  del  codice
 penale,  Libero  Pasquale  proponeva nel corso del procedimento a suo
 carico, con atti del 2  e  6  febbraio  1995,  due  dichiarazioni  di
 ricusazione  che,  riunite,  venivano rigettate, con ordinanza del 18
 febbraio,  dal  tribunale  di  Rossano.  Il  successivo  ricorso  per
 Cassazione era dichiarato inammissibile dalla Suprema corte.
   Ripresa  l'istruttoria  dibattimentale, l'imputato presentava altre
 due dichiarazioni di ricusazione,  una  innanzi  al  Pretore,  il  13
 ottobre,  e  l'altra, il giorno successivo, davanti al tribunale, che
 pero' respingeva soltanto la prima. Sollecitato da una "missiva"  del
 pretore  a  pronunciarsi  ulteriormente,  il tribunale concludeva non
 doversi procedere su tale richiesta. Ma il Pretore, ritenendo  ancora
 pendente  la  dichiarazione  di ricusazione del 14 ottobre, sollevava
 d'ufficio,  in  riferimento  agli  artt.  3,  24,  101  e  112  della
 Costituzione,  questione  di  legittimita' costituzionale degli artt.
 37, comma 2, e 124, commi 1 e 2,  del  codice  di  procedura  penale,
 nella  parte  in cui non prevedono che, in caso di reiterazione della
 dichiarazione di ricusazione, il giudice possa emettere la  sentenza,
 ovvero  nella  parte in cui e' preclusa la sospensione dei termini di
 prescrizione dei reati per i quali si procede.
   2. - Osserva il rimettente che ciascuna delle quattro dichiarazioni
 di ricusazione avrebbe una propria autonomia  e  obbligherebbe  a  un
 esame   separato,   sebbene   -   al  di  la'  della  forma  e  delle
 argomentazioni svolte - si presentino  sostanzialmente  identiche  e,
 quindi,  prive del benche' minimo fumus di fondatezza. Pure in questo
 caso l'istituto della ricusazione sarebbe utilizzato  strumentalmente
 dall'imputato  per sottrarsi alla conclusione del processo attraverso
 la maturazione del termine  di  prescrizione  del  reato  contestato,
 nella  specie  imminente.   Di qui, la questione di costituzionalita'
 del combinato disposto degli artt. 37, comma 2, e 124, commi 1  e  2,
 del  codice  di procedura penale, anche in relazione agli articoli da
 157 a 161 del codice penale.
   Complesso di disposizioni, questo, che sarebbe in contrasto con  il
 generale  canone  di  coerenza  dell'ordinamento  giuridico, quale si
 desume  dall'art.  3  della  Costituzione.  Applicabile  anche   agli
 istituti processuali, tale principio sarebbe vulnerato ogni volta che
 di  esso  si  faccia  uso  distorto,  con  conseguente paralisi della
 funzione processuale e, quindi, in violazione  dell'art.  101,  primo
 comma,   e   degli  artt.  112  e  24  della  Costituzione,  sia  per
 l'impossibilita' che l'azione penale venga esercitata sino in  fondo,
 sia perche' si priverebbero le parti civili della efficace tutela dei
 propri diritti nella sede del processo penale.
                         Considerato in diritto
   1.  -  Viene  all'esame  della  Corte  la questione di legittimita'
 costituzionale del combinato disposto degli artt. 37, comma 2, e 124,
 commi 1 e 2, del codice di  procedura  penale,  in  riferimento  agli
 articoli  da  157  a  161  del  codice  penale;  e cio' perche' - non
 prevedendo che, nel  caso  di  reiterazione  della  dichiarazione  di
 ricusazione,  il  giudice  possa pronunciare la sentenza, ovvero che,
 nello stesso periodo, restino sospesi i termini di  prescrizione  dei
 reati per i quali si procede - esso contrasterebbe con:
     l'art.  3,  segnatamente  con  il  generale  canone  di  coerenza
 dell'ordinamento giuridico, cui devono uniformarsi pure gli  istituti
 processuali,  altrimenti violato quando se ne faccia uso distorto con
 la conseguente paralisi del processo;
     l'art. 101, che non tollera disposizioni  lesive  della  funzione
 giurisdizionale;
     gli  artt.  112 e 24 della Costituzione, sia per l'impossibilita'
 che l'azione penale dispieghi in concreto i suoi effetti, sia perche'
 si priverebbero le  parti  civili  dell'efficace  tutela  dei  propri
 diritti nella sede del processo penale.
   2.  -  La questione e' fondata, alla luce degli artt. 3 e 101 della
 Costituzione.
   Come si e' gia' rilevato (sentenza n. 353  del  1996)  a  proposito
 della  rimessione  -  che  pure  e'  istituto del tutto distinto, per
 presupposti e  meccanismi  procedimentali  -  non  vi  e'  equilibrio
 soddisfacente  fra  i principi di economia processuale e di terzieta'
 del giudice nella ponderazione  codicistica  che,  sulla  scia  della
 previsione  dell'art.    69,  secondo  comma, del codice di procedura
 penale del 1930, ha affermato il divieto, per il giudice ricusato, di
 pronunciare o "concorrere a pronunciare sentenza fino a che  non  sia
 intervenuta  l'ordinanza  che  dichiara  inammissibile  o  rigetta la
 ricusazione" (art. 37, comma  2,  del  vigente  codice  di  procedura
 penale).
   Analogamente, in questa ipotesi, il possibile abuso - ad avviso del
 pretore  rimettente  ben  documentato nel caso in esame - e' idoneo a
 determinare  la  paralisi  della   funzione   processuale,   con   la
 conseguente  compromissione  del  bene costituzionale dell'efficienza
 del processo, che e' aspetto del principio di indefettibilita'  della
 giurisdizione,  ricollegabile  a  vari precetti costituzionali, fra i
 quali l'art.   101 della Costituzione  invocato  dal  giudice  a  quo
 (oltre  alla sentenza n. 353 del 1996 e l'ordinanza n. 5 del 1997, v.
 le sentenze nn. 460 del 1995, 114 del 1994, 289  del  1992,  178  del
 1991).   E  qui  va  riconosciuta,  certo,  la  discrezionalita'  del
 legislatore per quanto attiene alla  individuazione  delle  scansioni
 processuali,  tuttavia  nel  rispetto del principio di ragionevolezza
 perche' non venga  compromessa,  di  fatto,  la  nozione  stessa  del
 processo.  Si' che sono da censurare, pure alla luce del principio di
 razionalita' normativa, istituti o regole quando si prestino a un uso
 distorto, recando cosi'  lesione  dell'efficiente  svolgimento  della
 funzione giurisdizionale.
   Per   rimuovere  il  rischio  che  il  processo  resti  paralizzato
 dall'abuso della richiesta di ricusazione, occorre dunque  dichiarare
 l'illegittimita'  costituzionale dell'art. 37, comma 2, del codice di
 procedura penale,  nella  parte  in  cui  -  qualora  sia  riproposta
 dichiarazione  fondata  sui medesimi elementi - fa divieto al giudice
 di pronunciare o concorrere a pronunciare la sentenza fino a che  non
 sia  intervenuta  l'ordinanza che dichiara inammissibile o rigetta la
 ricusazione.
   Restano assorbite le altre censure di legittimita' costituzionale.
                           Per questi motivi
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
   Dichiara l'illegittimita' costituzionale dell'art. 37, comma 2, del
 codice  di  procedura  penale,  nella  parte  in  cui,  qualora   sia
 riproposta  la  dichiarazione  di  ricusazione,  fondata sui medesimi
 motivi,  fa  divieto  al  giudice  di  pronunciare  o  concorrere   a
 pronunciare  la  sentenza  fino a che non sia intervenuta l'ordinanza
 che dichiara inammissibile o rigetta la ricusazione.
   Cosi' deciso  in  Roma,  nella  sede  della  Corte  costituzionale,
 Palazzo della Consulta, il 9 gennaio 1997.
                        Il Presidente: Granata
                         Il redattore: Guizzi
                        Il cancelliere: Malvica
   Depositata in cancelleria il 23 gennaio 1997.
                        Il cancelliere: Malvica
 97C0067