N. 11 RICORSO PER LEGITTIMITA' COSTITUZIONALE 29 gennaio 1997

                                 N. 11
  Ricorso  per  questione di legittimita' costituzionale depositato in
 cancelleria il 29 gennaio  1997  ()  (della  provincia  autonoma  di
 Bolzano)
 Agricoltura  -  Regime  comunitario  di produzione lattiera - Rientro
    nelle quote stabilite - Impugnativa di norme di  decreto-legge  (a
    sua   volta  riproduttiva  di  disposizioni  di  altro  precedente
    decreto-legge abrogato) convertito in legge, nonche', "per  quanto
    occorra",  di  norma della stessa legge di conversione - Oggetto -
    Prevista pubblicazione, da parte  dell'AIMA,  entro  il  31  marzo
    1996,  di  appositi  bollettini di aggiornamento degli elenchi dei
    produttori titolari di quota e dei quantitativi ad essa  spettanti
    nel   periodo   1995-1996   -   Attribuzione  a  tali  bollettini,
    integralmente sostitutivi di quelli precedenti, della efficacia di
    accertamento definitivo delle posizioni individuali,  con  effetto
    vincolante  anche  nei  confronti  degli acquirenti, ai fini della
    trattenuta e del versamento supplementare eventualmente  dovuto  -
    Adozione  di  un sistema di impugnazioni avverso le determinazioni
    dell'AIMA,     che,     data     la     confermata      esclusione
    dell'autocertificazione  dei  quantitativi prodotti, gia' prevista
    da legge precedente, e  la  evidente  impraticabilita'  della  pur
    prevista  opposizione  (ma con applicazione del "silenzio-rifiuto"
    alla scadenza di un termine di soli  trenta  giorni)  alla  stessa
    AIMA,   costringe  gli  interessati,  nella  loro  generalita',  a
    ricorrere   all'autorita'   giurisdizionale,    con    conseguenti
    prolungate  e  onerose  incertezze  -  Imposizione  di un sistema,
    riguardo alla consentita compensazione tra le  maggiori  e  minori
    quantita'  di  prodotto  consegnate,  accentrato  sull'AIMA  e  da
    effettuarsi solo a livello nazionale, con  forte  pregiudizio  per
    gli  interessi degli allevatori della provincia di Bolzano, per la
    salvaguardia dei quali la compensazione nazionale avrebbe  dovuto,
    quanto  meno,  essere preceduta e coordinata con una compensazione
    gestita a base provinciale simile a quella prevista dalle abrogate
    disposizioni della legge  previgente,  ed  ora  invece  del  tutto
    esclusa  -  Effettuazione  della compensazione, da parte dell'AIMA
    (con obbligo, per gli acquirenti di  versare  il  dovuto  prelievo
    supplementare  entro  il 31 gennaio 1997) tenendo conto dell'esito
    dei ricorsi, con la conseguente non improbabile  eventualita'  per
    gli  interessati  che  hanno  proposto  i  ricorsi  di  non potere
    avvalersi della compensazione -  Impossibilita'  comunque,  di  un
    efficace  esercizio,  da  parte  della  provincia  autonoma, anche
    riguardo alla  compensazione  delle  quote,  dei  suoi  poteri  di
    programmazione,  governo  e  controllo  del settore - Attribuzione
    all'AIMA, a partire dal 1 gennaio 1997,  anche  della  definizione
    dei   criteri  di  redistribuzione  (con  confluenza  delle  quote
    liberate in  un  fondo  nazionale)  dei  programmi  di  volontario
    abbandono  della produzione, riguardo ai quali le competenze della
    provincia autonoma non tollerano limitazioni - Lamentato contrasto
    della normativa statale, negli aspetti su esposti,  con  le  norme
    dei   regolamenti   comunitari  (in  particolare  nn.  804/1968  e
    856/1984) circa i tempi  (dal  1  aprile  al  31  marzo  dell'anno
    successivo)  delle  campagne  lattiere,  e  con il principio, piu'
    volte  affermato  dalla  Corte  del  Lussemburgo  (per  tutte,  in
    procedimento  C-1/94,  sentenza  11  agosto 1995), secondo cui gli
    interventi nazionali incidenti in modo limitativo sulle  attivita'
    e capacita' delle imprese, non possono, per preminenti esigenze di
    certezza   e   di   garanzia   dell'iniziativa  economica,  essere
    retroattivi -  Insuscettibilita'  del  decreto-legge  n.  552,  in
    quanto  emanato  in  difetto  dei  presupposti di provvisorieta' e
    straordinaria  necessita'  ed  urgenza,  ad  essere  convertito  -
    Deducibilita' di tali violazioni da parte della provincia autonoma
    di  Bolzano,  giacche' toccano le competenze primarie della stessa
    nelle materie dell'agricoltura e del  patrimonio  zootecnico,  per
    rispetto   delle  quali,  alla  stregua  del  principio  di  leale
    collaborazione (non adeguatamente salvaguardato dal  pur  previsto
    intervento del Comitato permanente per le politiche agroalimentari
    e  forestali),  avrebbe  dovuto essere quanto meno previsto il suo
    parere - Contrasto, altresi', con il precetto  statutario  secondo
    il  quale  il  presidente della giunta provinciale interviene alle
    sedute del Consiglio dei Ministri quando si  tratti  di  questioni
    che  riguardino la provincia - Richiamo alla sentenza nn. 360/1996
    e 29 e 520 del 1995, nonche' all'ordinanza n. 165/1995.
 (D.-L. 23 ottobre  1996,  n.  552,  artt.  2  e  3,  convertito,  con
    modificazioni, nella legge 20 dicembre 1996, n. 642; art. 1, comma
    1).
 (Statuto  Trentino-Alto  Adige,  artt.  8,  n.  21, 16 e 52, comma 4;
    d.P.R.   22 marzo 1974, n. 279; Cost.,  artt.  3,  5,  11,  quarto
    comma, 41, 77, 97, 113 e 116).
(GU n.9 del 26-2-1997 )
   Ricorso  della  provincia  autonoma  di  Bolzano,  in  persona  del
 presidente  della   Giunta   provinciale   pro-tempore   dott.   Luis
 Dunrnwalder,  giusta  deliberazione della Giunta n. 84 del 17 gennaio
 1997, rappresentata e difesa - in virtu' di procura speciale  del  17
 gennaio  1997, rogata dal vice segretario generale della Giunta dott.
 Hermann Berger (rep.    n.  18243  -  dagli  avv.ti  proff.ri  Sergio
 Panunzio  e  Roland  Riz  e  presso  lo  studio  del  primo  di  essi
 elettivamente domiciliata in Roma, Piazza Borghese  n.  3  contro  la
 Presidenza  del  Consiglio dei Ministri, in personadel Presidente del
 Consiglio in carica;  per  la  dichiarazione  di  incostituzionalita'
 degli artt. 2 e 3 (commi da 1 a 5-bis), del d.-l. 23 ottobre 1996, n.
 552,  recante  "Interventi  urgenti  nei  settori  agricoli  e  fermo
 biologico della pesca per il 1996" convertito, con modificazioni,  in
 legge  20  dicembre 1996, n. 642; nonche' dell'art.  1, comma 1 della
 suddetta legge n. 642/1996.
                               F a t t o
   1. - Non soltanto per esigenze di sintesi e di celerita' ci  sembra
 che  qui  si  possa  prescindere  da  una  analitica  esposizione dei
 presupposti di diritto e  di  fatto  su  cui  si  fonda  il  presente
 ricorso.  In  verita' tali presupposti sono ormai notissimi a codesta
 ecc.ma Corte, non solo perche' i piu' remoti (e cioe': la  disciplina
 comunitaria  delle  quote  di  produzione  del  latte, la conseguente
 disciplina  nazionale  stabilita  dalla  legge  n.  468/1992,  e   le
 modifiche  poi inrodotte dal decreto-legge n. 727/1994, convertito in
 legge n. 46/1995) sono stati  esaminati  in  occasione  del  giudizio
 conclusosi  con  la  sentenza di codesta ecc.ma Corte n. 520/1995; ma
 anche  perche'   le   vicende   successive,   costituite   sopratutto
 dall'accavallarsi  caotico  di  successivi interventi legislativi del
 Governo,  attraverso  catene  di  decreti-legge  non   convertiti   e
 reiterati,  hanno  dato luogo a numerosissimi ricorsi di regioni, sia
 ad autonomia ordinaria che  speciale,  che  hanno  impugnato  i  vari
 decreti-legge  via  via  succedutisi  (cioe' i decreti-legge n.  124,
 260, 353, 463, 542 e 552 del 1996), dando  luogo  ad  una  catena  di
 giudizi di costituzionalita' tuttora pendenti.
   Con la conversione in legge dei decreti-legge n. 542 e 552 del 1996
 rispettivamente  con  leggi n. 649 e n. 642 del 1996) e la pressoche'
 coeva entrata  in  vigore  della  legge  23  dicembre  1996,  n.  662
 (collegato  alla  legge  finanziaria  1997) si e' giunti ad una tappa
 decisiva di questa lunga vicenda (anche se forse non e' l'ultima).
   In particolare con la legge n.  642/1996  e'  stato  convertito  il
 decreto-legge  n.  552/1996  (che  si  impugna  assieme alla legge di
 conversione con  il  presente  ricorso)  che  aveva  reiterato  senza
 modificazioni  la  disciplina  del  decreto-legge, non convertito, n.
 463/1996: quest'ultimo - come si e' detto - gia' impugnato innanzi  a
 codesta ecc.ma Corte in particolare dalle regioni Lombardia, Veneto e
 Friuli-Venezia  Giulia.  Lo stesso decreto-legge n. 552/1996 e' stato
 impugnato prima della sua conversione, dalle suddette regioni  (e  da
 altre),  con  ricorsi che dovranno quindi essere esaminati unitamente
 al presente della provincia autonoma di Bolzano (ricorsi n. 46  e  n.
 47  del  1996). Tanto basta, riteniamo, a giustificare la coincisione
 delle presenti premesse dl fatto.
   2. - Piuttosto dobbiamo ritornare preliminarmente  quali  siano  le
 competenze  provinciali  che  vengono  in  questione  con il presente
 ricorso, e quale il loro fondamento normativo.
   In  base  agli  artt.  8,  n.  21,  e  16  dello  statuto  speciale
 Trentino-Alto  Adige  (d.P.R.  31  agosto  1972, n. 670) la provincia
 ricorrente e' titolare di  competenze  esclusive  (o  "primarie")  in
 materia di "agricoltura" e di "patrimonio zootecnico": competenze sia
 legislative  che  amministrative,  nonche'  la  connessa  potesta' di
 programmazione degli interventi in materia.  Tali  attribuzioni  sono
 nella  piena  disponibilita'  della  Provincia  anche a seguito delle
 emanazioni delle relative norme d'attuazione  dello  statuto  sociale
 (di cui specialmente al d.P.R. n. 279/1974).
   3. - Cio' premesso, e' stata recentemente pubblicata la gia' citata
 legge  20 dicembre 1996,  n. 642, che ha convertito con modificazioni
 il d.-l. 23 ottobre 1996  n.  552.  Di  tale  decreto-legge  (la  cui
 disciplina,  come  si e' detto, riproduce quella del decreto-legge n.
 463/1996) ai fini del presente ricorso vengono in evidenza  le  norme
 contenute negli artt. 2 e 3.
   L'art.  2 del decreto-legge in questione, in particolare al primo e
 al quarto comma stabilisce (retroattivamente)  che  l'AIMA  pubblichi
 entro  il  31  marzo  1996 speciali bollettini di aggiornamento degli
 elenchi dei produttori dl latte titolari di quote "e dei quantitativi
 ad essi spettanti nel periodo di applicazione del regime  comunitario
 delle  quote  latte  l995-l996".  Vi  si  stabilisce inoltre che tali
 bollettini costituiscono "accertamento  definitivo"  delle  posizioni
 individuali  dei produttori, che essi sostituiscono ad ogni effetto i
 bollettini precedenti, e che ai fini del trattamento e del versamento
 del prelievo supplementare per il periodo  1995-1996  gli  acquirenti
 sono  tenuti a considerare esclusivamente le quote risultanti da tali
 bollettini.
   A tale disciplina si collega sistemati'camente quella dei commi 2 e
 3  dell'art. 2. Il comma secondo abroga retroattivamente, a decorrere
 dal 1 aprile 1996, l'art. 2-bis del decreto-legge  n.  727/1994,  che
 riconosceva  ai  produttori  -  specie  in  caso  di contenzioso - la
 facolta' di "autocertificazione" della produzione: autocertificazione
 che e' infatti incompatibile sopratutto con il  disposto  del  quarto
 comma dell'art. 2.
   Infine  il terzo comma dell'art. 2 disciplina il regime dei ricorsi
 avverso le determinazione dei  bollettini  di  cui  al  comma  1.  E'
 consentito  il  ricorso  in  opposizione  (in  termini brevissimi: 15
 giorni) allo stesso AIMA. Se il ricorso e' respinto e' esperibile  il
 ricorso   all'autorita'   giudiziaria   (o  quella  straordinaria  al
 Presidente della Repubblica); ma cio' soltanto se si  e'  previamente
 esperito il ricorso amministrativo all'AIMA.
   Quanto  all'art.  3  del  decreto-legge  n. 552/1996, esso contiene
 principalmente  modifiche  ed  integrazioni  alla   disciplina   gia'
 stabilita dalla legge n. 468/1992.
   In  particolare il primo comma sostituisce il comma 12 dell'art.  5
 della legge  n.  468,  stabilendo  che  "qualora  si  determinino  le
 condizioni  per  l'applicazione della compensazione nazionale" questa
 e' effettuata dall'AIMA senza alcuna necessaria partecipazione  delle
 regioni   e  provincie  autonome    interessate,  e  secondo  criteri
 predeterminati dallo stesso comma.
   Il secondo comma dell'art. 3 aggiunge un comma 12-bis  allo  stesso
 art. 5 della legge n. 468/1996, strettamente collegato al precedente,
 secondo  cui,  al  fine  di  consentire  la eventuale restituzione ai
 produttori delle somme trattenute degli acquirenti,  l'AIMA  effettua
 la compensazione nazionale entro il 31 luglio di ciascuno anno.
   Il  terzo  comma  dell'art.  3  contiene  una  disciplina  speciale
 retroattiva, con la quale si stabilisce che per il periodo  1995-1996
 l'AIMA  effettua  la  compensazione  nazionale  entro il 25 settembre
 1996, con riferimento ai bollettini di aggiornamento di cui  all'art.
 2,  comma  1,  e  tenuto conto dell'esito del ricorsi di cui al terzo
 comma del medesimo art.  2.
   I commi  4 e 5-bis, e dell'art. 3, infine, disciplinano l'abbandono
 della produzione lattiera. Il  quarto  comma  prevede  l'adozione  da
 parte  dell'AIMA  (entro il 1 gennaio 1997 di un programma volontario
 di  abbandono  totale  o  parziale  della   produzione,   previa   la
 corresponsione  dl  una  indennita'  ai  produttori  in  cambio della
 cessione delle loro quote latte,  che  confluiscono  in  una  riserva
 nazionale.  Il  quinto  comma  stabilisce  che le quote suddette sono
 riassegnate dall'AIMA ai produttori che ne facciano richiesta,  nella
 stessa  regione  o provincia autonoma di provenienza, secondo criteri
 stabiliti  dallo  stesso  comma  e  senza  che  sia  previsto   alcun
 intervento   collaborativo   delle   Regioni   e  Provincie  autonome
 interessate. Il comma 5-bis prevede infine che in mancanza dl domande
 dl riassegnazione delle quote da parte di produttori  delle  medesime
 regioni  e  provincie  autonome  di provenienza, l'AIMA provvede alla
 riassegnazione su base nazionale.
   Le  suddette  disposizioni  legislative   sono   costituzionalmente
 illegittime  e  lesive  delle  competenze della provincia autonoma di
 Bolzano, che pertanto le impugna  con  il  presente  ricorso,  per  i
 seguenti motivi di
                             D i r i t t o
   1.   -   Violazione   -  specialmente  da  parte  dell'art.  2  del
 decreto-legge impugnato - delle competenze provinciali  di  cui  agli
 artt.  8, n.  21, e 16 dello statuto speciale Trentino-Alto Adige ("e
 relative norme d'attuazione"; nonche' degli artt. 3, 5, 11, 41  della
 Costituzione;  dei  principi  comunitari sulla certezza del diritto e
 sulla necessaria irretroattivita' degli  interventi  incidenti  sulle
 imprese; del principio di leale collaborazione fra Stato e regioni.
   Un primo ed evidente motivo di incostituzionalita' della disciplina
 impugnata,  lesivo  -  ed  un tempo - delle posizoni dei produttori e
 delle competenze della Provincia ricorrente (specie dei  suoi  poteri
 di  controllo  e  di  programmazione)  e'  costituito  dal  carattere
 retroattivo della medesima. Si tratta, in  particolare  di  tutte  le
 disposizioni  contenute  nell'art.  2  del  decreto  legge impugnato,
 relativo alla determinazione delle quote  spettanti  per  il  periodo
 1995-1996,  e  del  connesso  regime  delle impugnative. Ma si tratta
 anche della disciplina stabilita dal comma 3  dell'art.  3,  relativo
 alla compensazione nazionale per il periodo 1995-1996.
   Come  si  e'  visto,  il  decreto-legge  n. 552/1996 qui impugnato,
 entrato in vigore il 23 ottobre 1996, all'art. 2 ha  disciplinato  un
 regime  di  quote latte basato su bollettini che dovevano essere gia'
 pubblcati dall'AIMA il 31 marzo  1996,  relativamene  al  periodo  di
 produzione  1995-1996:  periodo  dl  produzione  che,  in  base  alla
 disciplina comunitaria e nazionale, era  appunto  gia'  terminato  ad
 ogni  effetto  proprio il 31 marzo 1996 (cfr. art. 1, comma 2, d.P.R.
 23 dicembre 1993, n.   569). Ed all'art.  3,  comma  3,  il  medesimo
 decreto-legge  ha  disciplinato  una  compensazione  nazionale per il
 periodo 1995-1996, che - sulla base dei suddetti   bollettini di  cui
 all'art.  2  - l'AIMA aveva gia' effettuato al 26 settembre l996.  La
 incostituzionalita' ed irrazionalita' di una siffatta  disciplina  e'
 ogni di tutta evidenza. Il sistema delle quote di produzione regolato
 dalla  dlsciplina comunitaria e' articolato in periodi di dodici mesi
 (art. 5-quater regolamento CEE del Consiglio  n.  864/1968  (aggiunto
 dal  regolamento CEE n. 856/1984) e successive modificazioni; art.  1
 regolamento  CEE,  del  Consiglio,   n.   3950/1992,   e   successive
 modificazioni):    periodi  che  decorrono  dal  1 aprile al 31 marzo
 dell'anno successivo.  Le assegnazioni, od  eventuali  modificazioni,
 delle  quote  individuali  dei  produttori  debbono essere stabilite,
 ovviamente, prima dell'inizio del periodo annuale, per consentire  ai
 produttori  stessi  di  programmare  la  loro attivita'; ed anche per
 consentire alle stesse regioni e province autonome, nell'ambito delle
 loro competenze, di indirizzare e controllare in  modo  razionale  ed
 efficace   le   attivita'  dei  produttori  operanti  nei  rispettivi
 territori. Non a caso l'art. 4, comma 2, della legge n. 468/1992 (con
 disposizione non abrogata,  ma  incostituzionalmente  derogata  dalla
 disciplina  qui  impugnata)  stabilisce  che "Entro il 31 gennai'o di
 ciascun anno l'AIMA  pubblica  in  appositi  bollettini  gli  elenchi
 aggiornati  dei  produttori  titolari  di quote e dei quantitativi ad
 essi spettanti nel periodo avente inizio il 1 aprile successivo".
   Si osservi, al riguardo, che la  imprescindibile  esigenza  che  la
 determinazione  delle  quote  avvenga  prima  che inizi il periodo di
 produzione - in modo che i produttori sappiano con certezza su  quali
 quote  possono  contare,  ai  fini  della  programmazione  della loro
 produzione, ed anche ai fini di una ragionevole previsione  circa  le
 possibilita'   di   successiva   compensazione  -  non  solo  risulta
 espressamente  dalle specifiche norme comunitarie che disciplinano il
 sistema delle quote e dei periodi  di  produzione,  gia'  citate  (v.
 spec.  regol.  CEE  n.   804/1968). Ma esso e' espressione di un piu'
 generale  principio  della  disciplina    comunitaria  -  piu   volte
 affermato  dalla Corte di giustizia del Lussemburgo (per tutte, v. da
 ultimo sentenza della Corte di giustizia CEE - V Sezione,  11  agosto
 1995,  nel  procedimento C-1/1994:   Cavarzere produzionl industriali
 S.p.a. contro Ministero agricoltura e foreste) - secondo  cui,  salvo
 eccezioni  espressamente previste in casi particolari dai regolamenti
 comunitari (che nel caso in questione non sussistono), gli interventi
 nazionali che incidono in modo limitativo sulle attivita' e capacita'
 delle imprese (come appunto quelli relativi alla determinazione delle
 quote di produzione individuali) non possono essere retroattivi,  per
 le  preminenti  esigenze  di  certezza del diritto e della tutela che
 deve  essere  garantita  alla  iniziativa  ed  all'affidamento  delle
 imprese.
   Riassumendo, la disciplina in questione, sia perche' essa (art.  2,
 commi   da   1   a   4  del  decreto-legge  impugnato)  ha  stabilito
 retroattivamente che le quote di produzione per  il  periodo  1995-96
 venissero  stabilite quando lo stesso periodo era gia' ultimato (e ne
 ha altresi' disciplinato il relativo regime dei ricorsi), sia perche'
 essa (art. 3, comma 3 su quelle quote ha  fondato  una  compensazione
 nazionale,  anch'essa  disciplinata  in  via  retroattiva, ha nel suo
 complesso violato i diritti dei produttori. Si  tratta,  infatti,  di
 una  disciplina che in modo del tutto irragionevole (e percio' stesso
 lesivo  dell'art.  3  della  Costituzione)  viola  la   liberta'   di
 iniziativa  economica  dei produttori (art. 41 della Costituzione), e
 viola  in  particolare  e  con  la  massima  evidenza  le  specifiche
 disposizioni  e  principi  comunitari  gia'  indicati  circa  la  non
 retroattivita' dei provvedimenti di  rideterminazione  di  quote  dei
 produttori  (con  violazione,  quindi,  anche  dell'art.    11  della
 Costituzione).  Tale  disciplina,   che   incide   sulla   dimensione
 produttiva   di   aziende   del  settore  agricolo,  ricadente  nella
 competenza primaria della provincia ricorrente, parallelemente  viola
 appunto  tale  competenza  provinciale.  In particolare la disciplina
 retroattiva della determinazione delle quote di  produzione  e  della
 compensazione nazionale per il periodo 1995-1996 - procedure entrambe
 integralmente demandate all'AIMA senza alcun significativo intervento
 delle  regioni e provincie autonome, che pure sono preposte anch'esse
 al governo del settore - determina una  gravissima  violazione  delle
 attribuzioni  della  provinci'a ricorrente (specie delle attribuzioni
 programmatorie e di quelle di controllo): provincia, che viene  messa
 di  fronte  agli  effetti  retroattivi  ed automatici, per il periodo
 1995-1996, dei bollettini di cui all'art. 2, e della compensazione di
 cui  all'art.    3,  comma  3,  oltre  alle  norme  costituzionali  e
 comunitarie gia' indicate, ne' risultano dunque violate le competenze
 provinciali  di  cui  agli  artt.  8,  n.  21,  e 16 dello statuto (e
 relative norme d'attuazione:   d.P.R.  n.  279/1974);  come  pure  il
 principio  di  leale  collaborazione  che - come affermato da codesta
 ecc.ma Corte nella sentenza n. 520/1995 - governa i rapporti che,  in
 tale  materia,  intercorrono  fra  lo  Stato e le regioni e provincie
 autonome.
   2.  -  Violazione - specialmente da parte dell'art. 2, commi 1 e 2,
 del decreto-legge impugnato - delle  competenze  provinciali  di  cui
 agli  artt. 8, n. 21, e 16 dello statuto speciale Trentino-Alto Adige
 (e relative norme d'attuazione); nonche' degli artt. 5  e  116  della
 Costituzione e del principio di leale cooperazione.
   2.1.  -  Il  primo ed il quarto comma dell'art. 2 del decreto-legge
 impugnato prevedono  l'emanazione  da  parte  dell'AIMA  di  speciali
 bollettini  che  determinano,  per  ogni singolo produttore, le quote
 spettanti per il periodo  1995-1996.  Bollettini  che  devono  essere
 stati  pubblicati  dall'AIMA  entro il 31 marzo 1996,  "acquisito" da
 parte del Ministro delle risorse  agricole  il  parere  del  Comitato
 permanente  delle  politiche  agroalimentari e forestali in ordine ai
 "criteri per la riduzione delle quote individuali previste  dall'art.
 2, comma 1, della legge 24 febbraio 1995, n. 46".
   I  "bollettini"  di  cui  all'art.  2  costituiscono,  dunque,  dei
 provvedimenti individuali, con i quali l'AIMA ha determinato le quote
 dei singoli produttori (riducendole).  Provvedimenti  che,  incidendo
 nel  governo  del  settore  agricolo  di  competenza  provinciale, ed
 involgendo valutazioni spettanti soprattutto agli organi provinciali,
 non potevano non conformarsi - secondo quanto  stabilito  da  codesta
 ecc.ma  Corte  con  la  sentenza n. 520/1995, proprio in relazione ai
 provvedimenti di riduzione  delle  quote  ex  art.  2,  comma  1  del
 decreto-legge  n.  727/1994  -  al  fondamentale  principio  di leale
 collaborazone fra Stato e regioni (e province autonome).  Secondo  la
 sentenza  n.  520/1995 quel principio imponeva che tali provvedimenti
 fossero preceduti dalla richiesta di parere delle competenti regioni.
 Il giudizio definito  con  quella  sentenza  era  stato  promosso  da
 regioni  ad  autonomia  ordinaria,  cui  spetta in materia - ai sensi
 dell'art.  117  della  Costituzione  -   una   competenza   di   tipo
 "concorrente".    Sarebbe  ragionevole  ritenere  che, allorquando si
 tratti di regioni o provincie autonome che, come  quella  ricorrente,
 sono  titolari di competenze "esclusive" (o "primarie") in materia di
 agricoltura,  il  maggior  grado  di   autonomia   costituzionalmente
 riconosciuto  richieda un tipo di procedura cooperativa che riconosca
 un ruolo piu' incisivo alle regioni o provincie  autonome:  e  quindi
 non la semplice richiesta di parere, ma piuttosto l'intesa.  Come che
 sia,  non  puo'  comunque  esservi dubbio che, per quanto riguarda la
 provincia autonoma ricorrente,  l'adozione  da  parte  dell'AIMA  dei
 bollettini  di cui all'art. 2 avrebbe dovuto essere preceduta, se non
 da  una  intesa  in  ordine  alla  determinazione  delle  quote   dei
 produttori  operanti  nel  suo territorio, almeno da una richiesta di
 parere.  Ma  tale  parere  non  e'  stato  previsto  dalle  impugnate
 disposizioni  dell'art.  2  (ne'  di  fatto era stato richiesto), che
 pertanto sono per cio' stesso incostituzionali, anche per  violazione
 del  principio  di  leale cooperazione (in relazione agli artt. 8, n.
 21, e 16 statuto, nonche' agli artt. 5 e 116 della Costituzione).
   2.2. -  La  disciplina  stabilita  dall'art.  2  del  decreto-legge
 impugnato,  in particolare dal suo primo comma, viola il principio di
 leale cooperazione anche sotto un ulteriore profilo.
   Si e' detto come ivi  sia  prevista  l'acquisizione  da  parte  del
 Ministero delle risorse agricole di un parere del Comitato permanente
 delle  politiche agroalimentari e forestali (di cui all'art. 2, comma
 6, legge 4 dicembre 1993, n. 491).
   E'  palese  come tale parere, che attiene ai "criteri" generali per
 la  riduzione  delle  quote  individuali  non  possa  surrogare   gli
 specifici  pareri  che  regioni e provincie autonome avrebbero dovuto
 dare appunto sui  concreti  provvedimenti  individuali  di  riduzione
 dell'AIMA.   Sul   punto  basta  rinviare  alla  chiara  distinzione,
 contenuta nella sentenza  n.  520/1995,  fra  gli  atti  con  cui  si
 adottano  "indirizzi  generali" in ordine alla riduzione delle quote,
 per  i  quali  si  rende  necessario  l'intervento  della  Conferenza
 permanente  per  i  rapporti  fra  lo  Stato,  regioni e le provincie
 autonome (ex art. 12 legge n. 400/1988),  come  e'  infatti  previsto
 dall'art.   2,  comma  8,  della  legge  n.  468/1992;  ed  invece  i
 "provvedimenti specifici" sulle quote d competenza dell'AIMA,  per  i
 quali  invece  si  impone  il parere delle singole regioni e province
 autonome interessate.
   Ma,  messo  in  disparte  cio'  (che  attiene  alla  censura   gia'
 precedentemente illustrata), qui si deve aggiungere che la disciplina
 impugnata e' incostituzionale anche per il fatto di avere previsto un
 parere  non  gia'  - come si imponeva alla luce dei principi ribaditi
 dalla sentenza n.  520/1995  -  della  Conferenza  permanente  per  i
 rapporti  Stato/regioni,  ma  invece  del  Comitato  permanente delle
 politiche agroalimentari e forestali. Un organo, quest'ultimo, il cui
 intervento non puo' surrogare quello del primo, sotto il profi'lo del
 rispetto del principio di leale cooperazione e della autonomia  della
 provincia ricorrente.
   2.3.  -  Infine,  ed  in  via  subordinata,  la  norma  che prevede
 l'acquisizione  del  parere  del  suddetto   Comitato   e'   comunque
 incostituzionale e lesiva delle competenze della provincia ricorrente
 anche  perche'  la  norma  (entrata  in vigore il 23 ottobre 1996) ha
 previsto retroattivamente  (ora  per  allora)  l'acquisizione  di  un
 parere sui criteri generali, quando ormai l'AIMA aveva gia' emanato i
 bollettini  (entro  il termini del 31 marzo 1996). Il parere, quindi,
 se pure c'e' mai stato (il che non risulta), comunque e' stato semmai
 successivo   alla   adozione   dei   provvedimenti    dell'AIMA    di
 rideterminazione   delle  quote  individuali,  e  quindi  non  poteva
 svolgere alcun ruolo  effettivo:  meno  che  mai  di  garanzia  della
 provincia ricorrente.
   3.  -  Violazione  -  specie  da  parte  dell'art.  2, comma 3, del
 decreto-legge impugnato - delle competenze provinciali  di  cui  alle
 norme  statutarie (e d'attuazione) gia' indicate; nonche' degli artt.
 3, 24 e 113 della Costituzione.   Il  terzo  comma  dell'art.  2  del
 decreto-legge  impugnato  e'  incostituzio    nale,  oltre che per le
 ragioni di carattere generale gia'  indicate  (motivo  n.  1),  anche
 sotto un ulteriore e particolare profilo. Esso, infatti, introduce un
 regime  di  ricorsi  del tutto irrazionale, gravemente vessatorio nei
 confronti dei produttori, e che anche per questo aggrava  la  lesione
 delle competenze della provincia ricorrente.
   Come  infatti si e' gia' visto all'inizio, il terzo comma dell'art.
 2 introduce, in primo  luogo,  un  ricorso  in  opposizione  all'AIMA
 contro le determinazioni di quote di cui al primo comma. Tale ricorso
 non  solo  si deve esperire nel termine brevissimo di quindici giorni
 (assai piu' breve di quello previsto dalla  disciplina  generale  dei
 ricorsi  amministrativi: d.P.R. n. 1199/1971: artt. 2 e 7), ma per di
 piu' con un dies a quo assolutamente incerto, poiche' riferito  dalla
 norma  ad  una "pubblicazlone dei bollettini da parte della regione o
 della provincia autonoma" che non  si  comprenda  se  sia  costituita
 dalla diffusione e comunicazione dei bollettini stessi da parte delle
 regioni  e  provincie autonome (come in origine previsto dall'art. 2,
 comma 1, della legge n. 468/1992); o se invece debba intendersi  come
 una (successiva ed ulteriore?) pubblicazione nei bollettini ufficiali
 delle  regioni  e provincie autonome.   Inoltre lo stesso terzo comma
 dell'art.   2    reintroduce    l'anacronistico    principio    della
 "definitivita'"   dell'atto  amministrativo  ai  fini'  della  tutela
 giurisdizionale: il ricorso al TAR (o  il  ricorso  straordinario  al
 Capo  dello  Stato)  puo'  essere  proposto  solo da chi si sia visto
 respingere dall'AIMA il ricorso in opposizione  gia'  precedentemente
 proposto.   Se poi si ricorda che il comma 2 dell'art. 2 impugnato ha
 eliminato la possibilita' dell'autocertificazione; che  quindi  anche
 in  caso  di  contenzioso  dei produttori con l'AIMA (cfr. art. 2-bis
 decreto-legge n. 727/1994) gli acquirenti sono tenuti a  considerare,
 ai fini della trattenuta e del versamento del prelievo supplementare,
 solo   le  quote  individuali  risultanti  dal  bollettino  ancorche'
 impugnato (art. 2, comma 4);  che - in base  al  successivo  art.  3,
 comma  2, la compensazione nazionale viene effettuata ogni anno entro
 il 31 luglio in base alle  dichiarazioni  degli  acquirenti  ed  alle
 quote  risultanti  dal  bollettino  (ancorche' impugnate); e che - in
 base ancora al comma 3 dell'art.   3 - per il  periodo  1995-1996  la
 compensazione  nazionale e' effettuata dall'AIMA addirittura entro il
 25 settembre 1996 (e gli acquirenti versano il prelievo entro  il  31
 gennaio  1997);  risulta  allora chiaro da tutto cio' come il sistema
 introdotto dalla  disciplina  impugnata  sia  rivolto  ad  ostacolare
 l'esercizio   del   diritto   di  difesa  da  parte  dei  produttori,
 inducendoli a non proporre un ricorso -  la  cui  decisione  richiede
 tempi  lunghi  -  che,  anche  se  fondato,  potrebbe  impedirgli di'
 incassare intanto la compensazione.   Cio'  soprattutto  perche',  in
 base   all'art.   3,   comma   3,   impugnato,  l'AIMA  procede  alla
 compensazione "con riferimento ai bollettini di aggiornamento di  cui
 all'art.  2, comma 1, e tenuto conto dell'esito dei ricorsi di cui al
 comma 3 del medesimo articolo": il che dovrebbe significare che  fino
 alla  decisione  sul ricorso proposto dai produttori in base al terzo
 comma dell'art. 2, questi  non  possono  fruire  della  compensazione
 nazionale ex art. 3.  Si tratta dunque di una disciplina che se da un
 lato  appare  incompatib    ile  con  i  principi  costituzionali  di
 eguaglianza e ragionevolezza delle  scelte  legislative,  nonche'  di
 garanzia  della  tutela giurisdizionale e del diritto di difesa anche
 nei  confronti  dell'Amministrazione  (artt.  3,  24  e   113   della
 Costituzione),  al contempo lede le competenze provinciali in materia
 di agricoltura. La sottrazione  alla  provincia  di  ogni  potere  di
 intervento in ordine alla determinazione delle quote, e l'impedimento
 all'esercizio   di   un  effettivo  potere  di  programmazione  e  di
 controllo,   risultano   aggravati   (specie   quest'ultimo)    dalle
 disfunzioni  che  al  funzionamento ed alla gestione del regime delle
 quote di  produzione  vengono  ulteriormente  apportati  anche  dalla
 irrazionale  e  vessatoria disciplina dei ricorsi stabiliti dal terzo
 comma dell'art. 2.
   4. - Violazione - specie da parte  dell'art.  3  del  decreto-legge
 impugnato - delle competenze provinciali di cui alle norme statutarie
 (e   d'attuazione)   gia'   citati;  dei  principi  della  disciplina
 comunitaria   in   materia   di   compensazione   delle   quote,   di
 irretroattivita'  dei provvedimenti dell'autorita' e di  certezza del
 diritto;  del  principio  di leale cooperazione; nonche' ancora degli
 artt. 3, 24, 11, 41, 97 e 113 della Costituzione.
   4.1. - L'art. 3 del decreto-legge impugnato,  al  primo  e  secondo
 comma, disciplina la compensazione nazionale di competenza dell'AIMA,
 senza  specificazioni di periodi, "ove si determinano le condizioni";
 al terzo comma disciplina retroattivamente la compensazione nazionale
 per il periodo 1995-1996 effettuata dall'AIMA "entro il 25  settembre
 1996".   Tale disciplina va peraltro coordinata con quella del citato
 decreto-l   egge  n.  542/1996,  il  cui  art.  11  ha  stabilito  la
 cessazione  a  tempo  indeterminato, a partire dal periodo 1995-1996,
 della    applicazione    della     procedura     di     compensazione
 (provinciale-regionale)  prevista dall'art. 5, commi 5-9, della legge
 n. 468/1992; con la conseguente attribuzione all'AIMA del compito  di
 svolgere  l'unica  compensazione  oggi  consentita dalla legislazione
 vigente:  cioe'  la  compensazione  nazionale.  Pertanto   anche   la
 disciplina  dell'art.  3  del  decreto-legge  n.  552/1996 ha imposto
 l'abbandono delle procedure di compensazione  che  sino  ad  oggi  si
 svolgevano,   nella   provincia   di  Bolzano,  appunto    a  livello
 provinciale, e che risultano assorbite e superate dalla compensazione
 nazionale riservata all'AIMA: compensazione  disciplinata  dal  terzo
 comma  dell'art.  3  per  il periodo 1995-1996, e dal primo e secondo
 comma per gli anni successivi.
   E' evidente come la  eliminazione  del  livello  provinciale  della
 compensazione   risulti   leslva   degli   interessi  dei  produttori
 provinciali (e dei principi dell'art. 41 della Costituzione), e delle
 competenze  della   provincia   stessa.   Infatti,   svolgendosi   la
 compensazione  a livello solo nazionale risulta pi'u difficile che le
 eccedenze dei produttori provinciali possano trovare aggiustamento  e
 compensazione  nell'ambito  della stessa provincia, anche utilizzando
 eventuali produzioni sottoquota di altri  produttori  provinciali,  e
 diviene  impossibile  per  la  provincia  stessa ogni possibilita' di
 programmazione, di governo e di controllo del settore  e  del  regime
 delle quote.
   Con  cio'  non  si  vuole  certo  escludere  la opportunita' di una
 compensazione  anche  nazionale  (del  resto  gia'   prevista   dalla
 disciplina   vigente)   rivolta  a  coordinare  i  risultati  di  una
 precedente  compensazione  di  livello   provinciale-regionale:   per
 esempio   al   fine   di  utilizzare  eventuali  eccedenze  di  quote
 verificatesi in una provincia. Ma cio' che non e' ammissibile, e  che
 lede  le  competenze  della  provincia  ricorrente,  e'  la  radicale
 eliminazione di un primo livello provinciale quale e' stato  disposto
 con i primi tre commi dell'art. 3 del decreto-legge impugnato.
   Tali disposizioni violano dunque non solo le competenze provinciali
 in  questione  e  le  relative norme costituzionali gia' indicate; ma
 anche la disciplina comunitaria. Infatti  la  disciplina  comunitaria
 stabilita  dai  regolamenti  gia' indicati (art. 5-quater regolamento
 CEE n. 804/1968; regol. n. 856/1984; regol. n. 3950/1992)  richiedono
 che  la  compensazione  sia operata non solo al livello nazionale, ma
 anche e necessariamente a livello provinciale (o regionale).
   La  radicale  estromissione  della   provincia   ricorrente   della
 compensazione,  operata dalla disciplina impugnata, risulta poi tanto
 piu' grave ed  evidente per il fatto che:
     a)  i  criteri  che  l'AIMA deve seguire nella compensazione sono
 stati stabiliti direttamente ed  esaustivamente  dallo  stesso  primo
 comma  dell'art.  1, senza che la provincia autonoma ricorrente abbia
 al riguardo potuto esprimersi in alcun modo (e diversamente da quanto
 stabilito dall'art.  5,  comma  12,  della  legge  n.  468/1992,  che
 richiede invece il parere delle regioni e provincie autonome);
     b) l'art. 3 non preveda neppure che nel corso del procedimento di
 compensazione  nazionale  l'AIMA  debba  richiedere  un  parere delle
 regioni e provincie autonome interessate.
   Quest'ultima lacuna e' particolarmente grave  perche',  soprattutto
 una  volta  eliminato  il livello della compensazione provinciale, il
 principio di leale cooperazione - secondo quanto  gia'  affermato  da
 codesta  ecc.ma  Corte  nella sentenza n. 520/1995 - impone che nella
 procedura  di  compensazione  nazionale  l'AIMA  raccolga  -  se  non
 l'intesa  con la provincia ricorrente, come sembrerebbe richiedere il
 carattere "esclusivo" delle sue competenze in materia (secondo quanto
 gia' detto in precedenza: motivo n.  2)  -  almeno  il  parere  delle
 regioni e delle provincie autonome interessate alla compensazione.
   4.2.  -  I  vizi  gia'  illustrati risultano tanto piu' evidenti in
 relazione alla disci'plina della  compensazione  nazionale  stabilita
 per  il  solo periodo 1995-96 dal comma 3 dell'art. 3: perche' qui si
 aggiunge, aggravandoli, il carattere  retroattivo  della  disciplina.
 Qui,   in   particolare,   proprio  il  carattere  retroattivo  della
 disciplina    ,  che  riguarda  una  compensazione  gia'   effettuata
 dall'AIMA  il  25 settembre 1996, elimina in radice qualsiasi residua
 possibilita' di  intervento  provincale  e  annulla  ogni  potere  di
 controllo  della  compensazione  e  di programmazione del settore che
 pure  rientra  nelle  competenze  costituzionalmente  spettanti  alla
 provincia ricorrente.
   Al  riguardo  si  richiamano  anche  le  censure  gia' formulate in
 precedenza  (motivo  n.  1)  circa  la   violazione   del   principio
 comunitario   che   preclude  di  disciplinare  in  modo  retroattivo
 interventi  dell'autorita'  statale  incidenti  sulle  posizioni  dei
 produttori (come sono appunto anche gli interventi di compensazione).
 Si  aggiunga  anche  la  irrazionalita'  della disciplina dei termini
 previsti dal terzo comma per la compensazione;  specie  se  collegato
 alla,  a  sua  volta incostituzionale, dlsciplina dei ricorsi ex art.
 2, comma 3,  gia'  esaminata  (motivo  n.  3).  La  compensazione  e'
 definita  al  25  settembre 1996, e gli acquirenti debbono versare il
 prelievo supplementare, a seguito della compensazione,  entro  il  31
 gennaio  1997.  Ma  la  compensazione  non  si  puo' effettuare se il
 produttore ha presentato ricorso ex art. 2, comma 3,  e  fino  a  che
 questo non sia stato definitivamente deciso (art. 3,  comma 3). Anche
 qui  si  debbono  richiamare  le censure gia' dedotte al riguardo col
 motivo n. 3, che integrano quelle dedotte, in relazione  al  comma  3
 dell'art.  3, con il presente quarto motivo.
   5.  - Violazione - specie da parte dei commi 4 e seguenti dell'art.
 3 del decreto-legge impugnato - delle competenze provinciali  di  cui
 alle  norme  statutarie  (e d'attuazione) gia' citate. Violazione del
 principio di leale cooperazione.
   5.1. - Come si e' detto all'inizio il quarto comma dell'art. 3  del
 decreto-legge  impugnato stabilisce che l'AIMA adotti un programma di
 abbandono volontario della produzione lattiera con  confluenza  delle
 quote  liberate in un fondo nazionale; il quinto comma stabilisce che
 spetta  sempre  (e  solo)  all'AIMA di provvedere alla riassegnazione
 delle  quote  ai  produttori  che  le  richiedono,  secondo   criteri
 stabiliti  dallo  stesso  quinto  comma;  il  comma  5-bis prevede la
 possibilita'  che  le  quote  liberate  possano  essere   riassegnate
 dall'AIMA, sia pure in via subordinata, anche a produttori di regioni
 e  provincie  autonome  diversi  da  quelle  di  provenienza.    Tale
 disciplina e' incostituzionale, in primo luogo, perche' il livello di
 adozione del piano, di riserva delle quote liberate, e del potere  di
 distribuzione   esclusivamente   nazionale   (l'AIMA).  Viceversa  il
 rispetto  delle  competenze  spettanti  alla  provincia   ricorrente,
 avrebbero richiesto:
     a)   che  il  programma  di  abbandono  venisse  elaborato  dalla
 provincia autonoma ricorrente (e rispettvamente dalle altre regioni);
     b) che comunque le quote liberate  confluissero  in  una  riserva
 provinciale    (rispettivamente   regionale)   e   potessero   essere
 riassegnate esclusivamente ai produttori della  stessa  provincia  (o
 regione);
     c)  in ogni caso che il potere di riassegnazione fosse attribuito
 alla provincia autonoma ricorrente (e rispettivamente alle regioni).
   In subordine, si deduce che  il  principio  di  leale  cooperazione
 (alla luce dl quanto affermato dalla sentenza n. 520/1995) richiedeva
 almeno:
     a)  che  il  programma  di abbandono volontario venisse approvato
 dall'AIMA previa (intesa con la, od almeno) richiesta di parere  alla
 provincia autonoma ricorrente;
     b)  che  analogamente  (previa  intesa  o  parere) l'AIMA dovesse
 procedere per quanto riguarda la riassegnazione delle quote liberate;
     c) che i criteri di riassegnazione delle quote -  unilateralmente
 e rigidamente stabiliti dal comma 5 dell'art. 3 - venissero stabiliti
 a  seguito  di  una  procedura  collaborativa  fra  Stato,  regioni e
 provincie  autonome.  Ma  nemmeno  questo  e'  stato  previsto  dalle
 impugnate  disposizioni  dell'art.  3,  commi 4 e 5-bis, che pertanto
 sono incostituzionali, nel loro complesso e singolarmente, almeno per
 la violazione del principio di leale  cooperazione.    Last  but  not
 least,   col   presente   ricorso  si  deducono  anche  dei  vizi  di
 incostituzionalita' che, avendo  carattere  formale,  riguardano  nel
 loro  complesso  la  disciplina  contenuta  negli  artt.  2  e  3 del
 decreto-legge  n.  552/1992;  ovvero  dei  vizi  che  colpiscono   il
 decreto-legge  n.  552/1996  e  la  stessa  legge  di  conversione n.
 642/1996, per contrasto con l'art. 77 della Costituzione
   6.  -  Violazione,  sotto  ulteriore  profilo,   delle   competenze
 provinciali  di  cui  alle  norme  statutarie  gia' indicate, nonche'
 dell'art. 52, comma 4, dello statuto speciale Trentino-Alto  Adige  e
 relative norme di attuazione (art.19, comma 2, d.P.R. n. 49/1973).
   L'art.  52,  comma  4, dello statuto Trentino-Alto Adige stabilisce
 che il presidente della Giunta provinciale  "interviene  alle  sedute
 del  Consiglio  dei  Ministri  quando  si  tratta  di  questioni  che
 riguardano la provincia"; l'art. 19, comma 2, del d.P.R.  1  febbraio
 1973, n.  49 (recante norme d'attuazione dello statuto) specifica che
 il  presidente  della  Giunta provinciale e' invitato alle sedute del
 Consiglio dei Ministri quando questi "chiamata ad  approvare  disegni
 di  legge,  atti  aventi  valore  di  legge, atti o provvedimenti che
 riguardano la sfera  di  attribuzioni  ...  delle  province".    Alla
 provincia  ricorrente  e'  noto  che,  secondo  la  giurisprudenza di
 codesta ecc.ma Corte,  l'obbligo  di  invitare  il  presidente  della
 Giunta  provinciale  sussiste  quando il Consiglio dei Ministri debba
 decidere su questioni che tocchino un interesse "differenziato" della
 provincia. Ma la provincia ricorrente ritiene appunto  che  tanto  si
 era  verificato  nel  caso  in  questione anche in considerazione del
 carattere  "esclusivo"  delle  competenze  spettanti  alla  provincia
 ricorrente  in  materia  di  agricoltura,  diversamente  dalle  altre
 regioni cui spetta invece in materia una competenza solo concorrente.
 Pertanto il presidente della  Giunta  provinciale  ricorrente  doveva
 essere  invitato a partecipare alla seduta del Consiglio dei Ministri
 in cui venne approvato  il  decreto-legge  n.  552/1996;  e  comunque
 almeno a quella successiva in cui venne approvato il disegno di legge
 dl  conversione  del suddetto decreto-legge (poi divenuto la legge n.
 642/1996.) Ma nulla di tutto cio' e' avvenuto,  da  cui  discende  la
 incostituzionalita'  del  decreto-legge  n.  552/1996 e (anche in via
 autonoma) della stessa legge di conversione n. 642/1996.
   7. - Violazione delle competenze  provinciali  di  cui  alle  norme
 statutarie (e d'attuazione) gia' indicate, nonche' dell'art. 77 della
 Costituzione.
   7.1. - Il decreto-legge n. 552/1996 e' illegittimo perche' adottato
 in  mancanza dei necessari presupposti di straordinaria necessita' ed
 urgenza. La disciplina in esso  contenuta  contiene  delle  modifiche
 (incostituzonali)  della  precedente  legislazione  vigente (leggi n.
 468/1992 e n. 46/1995) per la cui adozione non sussistevano,  invero,
 motivi  di  urgenza  particolari;  la  qual  cosa  risulta tanto piu'
 evidente ove si consideri che gran parte di quelle disposizioni hanno
 efficacia  retroattiva.    Il  decreto-legge  manca  dunque  di  quei
 presupposti  costituzionali  la cui carenza - secondo la piu' recente
 giurisprudenza - e' censurabile  nel  giudizio  di  costituzionalita'
 (sentenze n. 29 e 165 del 1995).
   7.2.  -  Sotto  un  ulteriore profilo il decreto-legge impugnato e'
 incostituzionale perche' esso e' l'ultimo di una  catena  di  decreti
 reiterati  dal  Governo  (a partire dal d.-l. 15 marzo 1996, n. 124).
 In particolare esso ha riprodotto alla  lettera  la  disciplina  gia'
 stabilita  dagli  artt.  2  e  3  del d.-l. 6 settembre 1996, n. 463.
 Secondo  il  piu'  recente  insegnamento  di  codesta  ecc.ma   Corte
 (sentenza  n. 360/1996) l'art. 77 della Costituzione e' violato (e la
 Corte puo' conoscere del relativo vizio) allorquando un decreto-legge
 riproduca il contenuto di un precedente decreto-legge non  convertito
 senza introdurre variazioni sostanziali; e senza che il nuovo decreto
 si   fondi   su  di  nuovi,  autonomi,  sopravvenuti  (e  per  sempre
 straordinari) presupposti di necessita' e di urgenza, che non possono
 comunque essere ricondotti agli inconvenienti derivanti dalla mancata
 conversione del precedente decreto-legge.  Tale e', appunto, il  caso
 del  decreto-legge  n.  552/1996  qui  impugnato, che riproduce senza
 modifiche sostanziali la disciplina del precedente decreto-legge  non
 convertito  n.  463/1996  (a  sua  volta  reiterativo  di  precedenti
 decreti-legge non convertiti); e che non si fonda su  di  autonomi  e
 sopravvenuti  motivi  di  necessita'  ed  urgenza, nuovi ed ulteriori
 rispetto a quelli  su  cui  si  fondava  il  precedente  decreto  non
 convertito  (motivi, anche quelli, peraltro insussistenti, e comunque
 non conformi a quanzo  richiesto  dall'art.  77  della  Costituzione,
 secondo   quanto  gia'  detto  in  precedenza:  7.1.).    Dunque,  il
 decreto-legge  n.  552/1996  e'  incostituzionale perche' costituisce
 l'ultimo  anello  di  una  catena  di  decreti-legge  relterati,   in
 violazione  del  principio  del carattere necessariamente provvisorio
 della decretazione d'urgenza sancita dall'art. 77 della Costituzione,
 come illustrato da codesta ecc.ma Corte nella sentenza n. 360/1996.
   7.3. - In relazione alle censure dedotte in precedenza (n. 7.1.   e
 n.  7.2.) si osserva che esse non possono ritenersi superate o sanate
 dalla intervenuta conversione del decreto-legge n. 552/1996 ad  opera
 della  legge  n.  642/1996.  Vero  e'  piuttosto,  che  quei vizi del
 decreto-legge  si  trasferiscono  sulla  (o  comunque  inficiano   la
 validita'  della)  stessa  legge di conversione.  In particolare, per
 quanto riguarda il vizio relativo alla mancanza  dei  presupposti  di
 straordinara necessita' ed urgenza (7.1), codesta stessa Corte, nella
 citata  sentenza  n.  29/1995,  ha  gia'  affermato  che  la evidente
 mancanza  di  quei  presupposti  "configura   tanto   un   vizio   di
 legittimita' costituzionale del decreto-legge, in ipotesi adottato al
 di fuori dell'ambito delle possibilita' applicative costituzionalmene
 previste,  quanto  un  vizio  in  procedendo  della  stessa  legge di
 conversione,  avendo  quest'ultima,  nel  caso  ipotizzato,  valutato
 erroneamente  l'esistenza  di  presupposti  di  validita'  in realta'
 insussistenti e, quindi convertito in legge un atto  che  non  poteva
 essere legittimo oggetto di conversione.  Pertanto, non esiste alcuna
 preclusione  affinche'  la Corte costituzionale proceda all'esame del
 decreto-legge e/o della legge di conversione  sotto  il  profilo  del
 rispetto  dei  requisiti  di  validita'  costituzionale relativi alla
 pre-esistenza dei presupposti di necessita' e  urgenza,  dal  momento
 che il correlativo esame delle Camere in sede di conversione comporta
 una   valutazione   del   tutto  diversa  e,  precisamente,  di  tipo
 prettamente politico sia con riguardo al contenuto  della  decisione,
 sia  con  riguardo  agli  effetti  della  stessa".    Nel caso qui in
 questione, ne deriva  dunque  la  sicura  incostituzionali    ta'  (e
 sindacabilita')  sia  del decreto-legge n. 552/1996, sia della stessa
 legge di conversione n. 642/1996, sotto entrambi  i  profili  dinanzi
 illustrati: mancanza dei presupposti di necessita' ed urgenza (7.1.),
 e   illeggittima   reiterazione   dei  precedenti  decreti-legge  non
 convertiti (7.2.).
   Infatti, con riserva di ritornare piu' ampiamente in  argomento  in
 una  successiva  memoria, osserviamo che quanto affermato dalla Corte
 nella sentenza n.  29/1995,  a  proposito  della  sindacabilita'  del
 decreto-legge  incostituzionale  perche'  privo  dei  presupposti  di
 necessita' ed urgenza, ancorche' convertito, vale  allo  stesso  modo
 per  sostenere  la sindacabilita' del decreto-legge (e della relativa
 legge di conversione)  incostituzionale  perche'  riproduttivo  della
 disciplina  di  un  precedente  decreto-legge  non convertito: anzi a
 maggior ragione i principi della sentenza n.  29/1995  si  attagliano
 anche  a  questa seconda ipotesi (in cui il profilo delle valutazioni
 politiche e' recessivo rispetto precedente). Ne' in  senso  contrario
 ci  sembra  costituire  argomento decisivo un obiter dictum contenuto
 nella  motivazione  della  sentenza  n.  360/1996,  sul   cui   reale
 significato  e  valore ci si riserva - come gia' detto - di ritornare
 nella successiva memoria.
   7.4. - Infine, l'art. 77 della  Costituzione  risulta  violato  dal
 decreto-legge   impugnato   nella   parte   in   cui   esso   dispone
 retroattivamente, disciplinando fattispecie gia'  verificatesi  prima
 della  sua  entrata  in  vigore  (avvenuta  il  23  ottobre 1996): in
 particolare,  come  gia' si e' visto, quando all'art. 2 disciplina la
 pubblicazione da parte dell'AIMA dei bolletini gia'  avvenuta  "entro
 il  31  marzo  1996";  o  quando  all'art.  3, comma 3, disciplina la
 compensazione nazionale gia' avvenuta il 25 settembre 1996.  Anche  a
 questo   proposito   con   riserva   di   ulteriori   svolgimenti  ed
 approfondimenti in una  successiva  memoria,  si  deduce  che  quella
 disciplina    e'    incostituzionale    perche',   cosi'   disponendo
 retroattivamente,    il    decreto-legge    impugnato    ha    voluto
 surrettiziamente  eludere  -  e  quindi  violare  -  l'art.  77 della
 Costituzione, facendo cio' che l'art. 77, ultimo comma, espressamente
 gia' preclude: cioe' "regolare i rapporti giuridici sorti sulla  base
 dei   decreti   non  convertiti"  (come  con  disposizione  meramente
 dichiarativa stabilisce anche l'art. 15, comma  2,  lett.  d),  della
 legge  n.  400/1988.    Infatti  le suddette disposizioni retroattive
 degli artt. 2,  comma 1, e dell'art. 3, comma 3, del decreto-legge n.
 552/1996  traggono  origine   da   corrispondenti   disposizioni   di
 precedenti  decreti-legge non convertiti e reiterati (fino appunto al
 decreto-legge n. 520/1996).  Si tratta rispettivamente, dell'art.  1,
 comma 1, del d.-l. 15 marzo 1996, n. 124, che aveva stabilito (allora
 non  retroattivamene)  che  entro il successivo 31 marzo 1996  l'AIMA
 dovesse pubblicare "bollettini di  aggiornamento"  dei  produttori  e
 delle  relative  quote; e da ultimo dell'art. 3, comma 3, del d.-l. 6
 settembre 1996, n. 463, che aveva  stabilito  (allora  anch'esso  non
 retroattivamente)  che  entro  il successivo 25 settembre 1996 l'AIMA
 dovesse effettuare la  compensazione  nazionale.    Tali  decreti  (e
 quelli  che  seguirono  il  decreto-legge  n.  l24/1996)  non vennero
 convertiti, com'e' noto, ma  reiterati:  da  ultimo  con  l'impugnato
 decreto  n.  552/1996.  Il  Governo,  volendo  lui stesso far salvi i
 provvedimenti gia' adottati sulla base di quei decreti non convertiti
 - cioe' i "bollettini" dell'AIMA, ed i provvedimenti di  compensazone
 dell'AIMA   per   il   periodo   1995/1996  -  lo  ha  fatto  appunto
 surrettiziamente: senza  espressamente  fare  salvi  i  provvedimenti
 adottati  e  gli  effetti  prodotti  in  base  ai  decreti-legge  non
 convertiti (con disposizioni la cui incostituzionalita' sarebbe stata
 troppo evidente e sfacciata),  ma  piuttosto  facendo  retroagire  le
 norme dell'ultimo decreto-legge, entrato in vigore il 23 ottobre 1996
 (e  poi  finalmente  convertito),  alle  date previste dai prececenti
 decreti-legge non convertiti: il 31 marzo 1996 (art. 2, comma 1),  ed
 il  25 settembre 1996 (art. 3, comma 3).  Il Governo, in tal modo, ha
 fatto con un decreto-1egge, cio' che poteva fare solo  il  Parlamento
 con la legge di conversione: salvare in modo espresso i provvedimenti
 adottati   dall'AIMA   in   base   ai  precedenti  decreti-legge  non
 convertiti.  Per gli stessi motivi gia' detti in precedenza (7.3.)  -
 e   su   cui   si   tornera'  in  memoria  -  il  suddetto  vizio  di
 incostituzionalita' del decreto-legge n. 552/1996 non puo'  ritenersi
 sanato  dalla  1egge di conversione n. 642/1996; ed anzi si trasmette
 ad   essa,   come    vizio    in    procedendo,    determinando    la
 incostituzionalita'  della  norma  di conversione contenuta nel primo
 comma dell'art. 1 della suddetta legge n. 642/1996. Che pertanto  con
 il presente atto si impugna, unitamente al decreto-legge convertito.
   7.5.  -  E'  palese, ma per scrupolo difensivo si ritiene opportuno
 sottolinearlo,  che  tutte  le  censure  relative   alla   violazione
 dell'art.   77 della Costituzione vengono qui dedotte dalla provincia
 ricorrente come mezzo al fine per censure la violazione delle proprie
 competenze.    Infatti e' anche attraverso la violazione dell'art. 77
 della Costituzione che tale lesione  si  e'  verificata,  perche'  il
 Governo  male esercitando i suoi poteri di decretazione di urgenza (e
 poi lo stesso Parlamento in sede di conversione) ha  illegittimamente
 limitato  (ed in certi casi cancellato), come si e' ampliamente visto
 in precedenza, i poteri di governo, di programmazione e di  controllo
 della   produzione  lattiera  che  pure  rientrano  nelle  competenze
 esclusive della provincia ricorrente.
                               P. Q. M.
   Voglia  l'ecc.ma  Corte,  in  accoglimento  del  presente  ricorso,
 dichiarare  incostituzionale  in  parte qua le impugnate disposizioni
 degli artt.  2 e 3 del d.-l. 23 ottobre 1996, n.  552,  nonche',  per
 quanto   occorra,   l'art.  1,  comma  1,  della  relativa  legge  di
 conversione 20 dicembre 1996, n. 642.
     Roma, addi' 20 gennaio 1997
  Prof. avv. Sergio Panunzio - prof. avv. Roland Riz
 97C0113