N. 27 SENTENZA 30 gennaio - 10 febbraio 1997

 
 
 Giudizio sulla ammissibilita' della richiesta di referendum popolare.
 
 Costituzione  della Repubblica italiana - Referendum - Stupefacenti e
 sostanze psicotrope - Piante  di  canapa  indiana  -  Sottrazione  al
 divieto  assoluto  di  coltivazione  nel  territorio  dello Stato con
 conseguente esclusione dell'applicazione di sanzioni amministrative e
 penali - Esistenza di obblighi  per  lo  Stato  italiano  discendenti
 dalle convenzioni internazionali di Vienna del 1988 e di New York del
 1961  per l'applicazione di misure di natura penale ed amministrativa
 - Riferimento alla giurisprudenza della Corte in materia (v. sentenze
 nn. 16/1978, 30 e 31 del 1981, 25/1987 e 63/1990) - Inammissibilita'.
 
 (D.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, artt. 26, comma 1, 38, commi 1 e 2, e
 79, comma 1).
(GU n.7 del 12-2-1997 )
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
 composta dai signori:
  Presidente: dott. Renato GRANATA;
  Giudici:  prof.  Giuliano  VASSALLI,  prof.  Francesco GUIZZI, prof.
 Cesare MIRABELLI, prof.  Fernando  SANTOSUOSSO,  avv.  Massimo  VARI,
 dott. Cesare RUPERTO, prof. Gustavo ZAGREBELSKY, prof. Valerio ONIDA,
 prof.  Carlo  MEZZANOTTE,  avv.  Fernanda  CONTRI,  prof. Guido NEPPI
 MODONA, prof. Piero Alberto CAPOTOSTI;
 ha pronunciato la seguente
                                Sentenza
 nel giudizio di ammissibilita', ai sensi dell'art.  2,  primo  comma,
 della  legge  costituzionale  11  marzo 1953, n. 1 della richiesta di
 referendum popolare per  l'abrogazione  del  decreto  del  Presidente
 della  Repubblica  9 ottobre 1990, n. 309 "Testo unico delle leggi in
 materia di  disciplina  degli  stupefacenti  e  sostanze  psicotrope,
 prevenzione,   cura   e   riabilitazione   dei   relativi   stati  di
 tossicodipendenza", relativamente agli articoli:
     26, comma 1, limitatamente alle  parole:  "di  piante  di  canapa
 indiana,";
     38,  comma  1,  limitatamente  alla  parola:  "II,"  e  comma  4,
 limitatamente alla parola: ",II";
     50, comma 9, limitatamente alla parola: "II,";
     54,  comma  1,  limitatamente  alla  parola:  "II,"  e  comma  2,
 limitatamente alla parola: ",II";
     75,  comma  1,  limitatamente  alle  parole:  "II  e"  e comma 2,
 limitatamente alle parole: "II e";
     79, comma 1, limitatamente alle parole: "II e",  iscritto  al  n.
 95 del registro referendum.
   Vista  l'ordinanza  dell'11-13 dicembre 1996 con la quale l'Ufficio
 Centrale  per  il  Referendum  presso  la  Corte  di  cassazione   ha
 dichiarato legittima la richiesta;
   Udito  nella  camera  di  consiglio  dell'8 gennaio 1997 il giudice
 relatore Guido Neppi Modona;
   Uditi  gli  avvocati  Adelmo  Manna  e  Giovanni  Pitruzzella per i
 presentatori Bernardini Rita e Sabatano Mauro.
                           Ritenuto in fatto
   1. - L'Ufficio centrale per il  referendum,  costituito  presso  la
 Corte  di  cassazione, in applicazione della legge 25 maggio 1970, n.
 352,  e  successive  modificazioni,  ha  esaminato  la  richiesta  di
 referendum  popolare  presentata  da  Rita  Bernardini, Lorenzo Strik
 Lievers, Mauro Sabatano e  Fiorella  Mancuso,  sul  seguente  quesito
 riguardante  il  decreto  del  Presidente  della Repubblica 9 ottobre
 1990, n. 309, (Testo unico delle leggi in materia di disciplina degli
 stupefacenti   e   sostanze   psicotrope,   prevenzione,    cura    e
 riabilitazione dei relativi stati di tossicodipendenza):
     "Volete   voi   che   siano  abrogati  l'articolo  26,  comma  1,
 limitatamente  alle  parole  ''di  piante   di   canapa   indiana,'';
 l'articolo  38, comma 1, limitatamente alla parola ''II,'' e comma 4,
 limitatamente  alla  parola  '',  II'';  l'articolo  50,   comma   9,
 limitatamente   alla   parola   ''II,'';   l'articolo  54,  comma  1,
 limitatamente alla parola  ''II,''  e  comma  2,  limitatamente  alla
 parola  '',  II'';  l'articolo 75, comma 1, limitatamente alle parole
 ''II e'' e comma 2, limitatamente alle parole  ''II  e'';  l'articolo
 79,  comma  1,  limitatamente  alle  parole  ''II e'' del decreto del
 Presidente della Repubblica 9 ottobre  1990,  n.  309,  "Testo  unico
 delle  leggi  in  materia di disciplina degli stupefacenti e sostanze
 psicotrope, prevenzione, cura e riabilitazione dei relativi stati  di
 tossicodipendenza"?".
   2. - L'Ufficio centrale per il referendum, con ordinanza dell'11-13
 dicembre  1996,  ritenuta  la tempestivita' della presentazione della
 richiesta referendaria, dato atto che le sottoscrizioni raccolte  dai
 promotori   avevano   superato   il  numero  di  cinquecentomila,  ha
 dichiarato che la richiesta e' conforme alle disposizioni  di  legge.
 La  denominazione  del  referendum  e'  stata  stabilita  come segue:
 "DROGHE LEGGERE: Esclusione dei derivati della canapa  indiana  (come
 hashish e marijuana) dalle droghe proibite".
   3. - Ricevuta comunicazione dell'ordinanza, il Presidente di questa
 Corte  ha  fissato  il  giorno 8 gennaio 1997 per la deliberazione in
 camera di  consiglio  sull'ammissibilita'  della  richiesta,  dandone
 comunicazione,  ai  sensi dell'art. 33, secondo comma, della legge 25
 maggio 1970, n. 352, ai presentatori della richiesta ed al Presidente
 del Consiglio dei Ministri.
   4. - Con ordinanza del 18 dicembre 1996, l'Ufficio centrale per  il
 referendum  ha  rigettato  l'istanza dei promotori del referendum che
 tendeva alla modifica della denominazione del referendum, sulla  base
 della  considerazione  che  l'intento  abrogativo  non  sarebbe stato
 quello   della   mera   liberalizzazione,   bensi'   di   una   nuova
 regolamentazione  delle  attivita' connesse alle c.d. droghe leggere.
 Nell'ordinanza si rileva che la  denominazione  e'  volta  a  rendere
 possibile  all'elettore  di  cogliere  a prima lettura il significato
 dell'oggetto del referendum; pertanto e' necessario e sufficiente che
 essa contenga una chiara e  sintetica  indicazione  del  testo  della
 norma  di  cui  si  propone  l'abrogazione,  senza estendersi fino ad
 esplicitare l'assetto normativo che i promotori  si  ripromettono  di
 conseguire:  cio'  giustifica il rigetto dell'istanza, essendo questa
 motivata esclusivamente con l'argomentazione che la denominazione del
 referendum  non  corrisponderebbe  all'intento   abrogativo   che   i
 promotori dichiarano di ripromettersi con l'iniziativa referendaria.
   5.  -  In  prossimita' della camera di consiglio, i promotori hanno
 depositato una memoria nella quale  si  chiede  la  dichiarazione  di
 ammissibilita'  del referendum. Nella memoria si rileva innanzi tutto
 che scopo dei promotori non e' la liberalizzazione dell'uso personale
 delle  droghe  leggere,  bensi'  una  nuova  regolamentazione   delle
 attivita'  connesse  a  tale  uso.  Si  tratterebbe,  quindi,  di una
 richiesta ben diversa da quella dichiarata inammissibile dalla  Corte
 con la sentenza n. 30 del 1981. La finalita' si ricaverebbe dal fatto
 che  il quesito non coinvolge ne' l'articolo 17 del d.P.R. n. 309 del
 1990, che pone un regime autorizzatorio  per  le  attivita'  connesse
 alle  sostanze  stupefacenti, ne' l'articolo 73 dello stesso decreto,
 che prevede sanzioni penali per le ipotesi di violazione.
   Per quanto riguarda le singole norme prese in considerazione  dalla
 richiesta  referendaria,  si  afferma in primo luogo che l'intervento
 sul primo comma dell'articolo 26 va raccordato con il  permanere  del
 regime   autorizzatorio  di  cui  all'articolo  17:  di  conseguenza,
 l'abrogazione  referendaria   determinerebbe   "la   liceita'   della
 coltivazione  per uso personale", ma non farebbe venir meno l'obbligo
 per il produttore a fini commerciali di  richiedere  l'autorizzazione
 alla  coltivazione,  obbligo  sanzionato penalmente dall'articolo 73.
 Con l'intervento sull'articolo 38,  invece,  sarebbe  "consentita  la
 vendita   di   droghe   leggere  anche  a  soggetti  non  previamente
 autorizzati dal  Ministro  della  sanita',  purche',  si  badi  bene,
 contenuta  nei  limiti  dell'uso  personale";  anche  in questo caso,
 dunque, non vi sarebbe contrasto con la previsione di sanzioni penali
 per le attivita' poste in essere senza la prescritta  autorizzazione.
 Con   questi   interventi  sarebbe  coerente  l'abrogazione  parziale
 dell'articolo 75, che determinerebbe "il venir  meno  delle  sanzioni
 amministrative  esclusivamente  per coloro che detengono o acquistano
 per uso personale". Quanto all'abrogazione parziale dell'articolo 79,
 essa sarebbe coerente con l'intento di "consentire il libero  consumo
 per  uso  personale"  e  la  cessione  finalizzata all'uso personale.
 Infine, anche l'eliminazione del riferimento alla  tabella  II  dagli
 articoli 50 e 54 sarebbe in linea con il quadro normativo realizzato,
 "che  dovrebbe  eliminare gli ostacoli e le sanzioni nei confronti di
 quelle attivita' dirette a realizzare l'uso  personale  delle  droghe
 leggere".
   Nella  memoria  ci  si  sofferma,  poi, sull'effetto dell'eventuale
 abrogazione parziale dell'articolo 75, che - a giudizio del  Comitato
 promotore  -  non  comporterebbe  la  riespansione della norma penale
 incriminatrice  di  cui   all'articolo   73.   A   tale   conclusione
 condurrebbero  sia l'interpretazione sistematica delle due norme, sia
 la precedente evoluzione della disciplina.
   Infine, non opererebbe il limite,  di  cui  all'articolo  75  della
 Costituzione,  relativo  alle  leggi  di  autorizzazione a ratificare
 trattati internazionali. A parte le valutazioni sulla  giurisprudenza
 costituzionale  in  materia, infatti, in primo luogo le norme oggetto
 del quesito non fanno parte dell'ordine di esecuzione di un trattato.
 In   secondo   luogo,   il   limite   va   interpretato   nel   senso
 dell'inammissibilita' delle richieste di referendum che condurrebbero
 inevitabilmente  all'impossibilita' dello Stato di adempiere i propri
 obblighi internazionali, e  non  nel  senso  della  sottrazione  allo
 strumento referendario delle norme interne, sul contenuto delle quali
 possa spiegare una qualche influenza una regolamentazione pattizia.
   6. - Nella camera di consiglio del 9 gennaio 1997 sono stati uditi,
 per  i  presentatori  Rita  Bernardini e Mauro Sabatano, gli avvocati
 Riccardo Luzzatto, Giovanni Pitruzzella e Adelmo Manna.
                        Considerato in diritto
   1. - La richiesta in esame investe varie disposizioni del d.P.R.  9
 ottobre  1990,  n.  309  (Testo  unico  delle  leggi  in  materia  di
 disciplina  degli  stupefacenti  e  sostanze psicotrope, prevenzione,
 cura e riabilitazione dei relativi stati  di  tossicodipendenza).  In
 particolare, viene proposta la soppressione:
     nell'art.  26,  primo  comma,  dell'inciso  "di  piante di canapa
 indiana", al fine di sottrarle al divieto  assoluto  di  coltivazione
 nel territorio dello Stato;
     nell'art.  75,  primo  e  secondo  comma, dell'inciso "II e", cui
 conseguirebbe   l'esclusione   dell'assoggettamento   alle   sanzioni
 amministrative  ivi  previste  nei  confronti  di  chi, per farne uso
 personale, importa, acquista  o  comunque  detiene  le  sostanze  (la
 cannabis indica, i prodotti da essa ottenuti, nonche' le preparazioni
 contenenti  le  predette  sostanze)  indicate nella predetta tabella,
 inserita nell'art. 14;
     nell'art. 79, primo comma, dell'inciso "II e", che determinerebbe
 il venir meno delle sanzioni  penali  stabilite  nei  commi  primo  e
 secondo  di  tale  norma  a carico di chi adibisce o consente che sia
 adibito un locale pubblico o un circolo privato, ovvero un  immobile,
 un ambiente o un veicolo, a luogo di convegno di persone che si danno
 all'uso di c.d. droghe leggere.
   Accanto  a  queste  norme,  che  nel  quesito referendario assumono
 un'importanza centrale, viene proposta l'abrogazione del termine "II"
 negli articoli 38, primo e quarto comma; 50, nono comma; 54, primo  e
 secondo comma:  ne deriverebbe che le sostanze indicate nella tabella
 II  dell'art.    14  verrebbero  sottratte  alle  regole  e ai limiti
 rispettivamente previsti in tali norme in tema di vendita o cessione,
 importazione, esportazione e transito, prelevamento  di  campioni  da
 parte della dogana destinataria.
   2.  -  Malgrado  la  complessita' del quesito e i delicati problemi
 interpretativi che dovrebbero essere  affrontati  in  caso  di  esito
 positivo    della   consultazione   referendaria,   con   particolare
 riferimento alla disciplina che risulterebbe in tema di  coltivazione
 della   canapa   indiana,  il  significato  oggettivo  e  la  matrice
 sostanzialmente unitaria del referendum, come  emergono  anche  dalla
 memoria del Comitato promotore, sono individuabili nella finalita' di
 rendere lecite e, quindi, prive di sanzione, le attivita' preliminari
 e  connesse  all'uso  personale  della  canapa  indiana  e  dei  suoi
 derivati, quali hashish e marijuana.
   Risulta pertanto soddisfatta l'esigenza di omogeneita' del quesito,
 indicata sin dalla  sentenza  n.  16  del  1978  quale  requisito  di
 ammissibilita',  ed  a cui, in particolare, la Corte si e' richiamata
 nelle due precedenti sentenze sull'ammissibilita' dei  referendum  in
 materia di sostanze stupefacenti (n. 30 del 1981 e n. 28 del 1993).
   Occorre   pero'   verificare   se   non  sussistano  altre  ragioni
 costituzionali di inammissibilita'.
   3. - Vengono in primo luogo  in  considerazione,  anche  alla  luce
 delle  gia'  menzionate  sentenze  n. 30 del 1981 e n. 28 del 1993, i
 profili attinenti ad eventuali violazioni di obblighi  internazionali
 assunti dallo Stato italiano in tema di coltivazione e detenzione per
 uso personale della canapa indiana e dei suoi derivati.
   Bastera' qui ricordare che nella prima sentenza il referendum venne
 dichiarato  inammissibile  perche',  avendo tra l'altro ad oggetto la
 tabella II (allora prevista dall'art.  12  della  legge  22  dicembre
 1975, n. 685) e, con riferimento al divieto assoluto di coltivazione,
 l'inciso "di piante di canapa indiana" di cui all'art. 26 della legge
 ora  citata,  si  poneva in contrasto con gli obblighi internazionali
 assunti dall'Italia in materia di disciplina della canapa  indiana  e
 dei  suoi derivati. Nella seconda sentenza il referendum venne invece
 dichiarato ammissibile in quanto  l'intervento  abrogativo  sull'art.
 75  del  decreto  legislativo  n.  309 del 1990 aveva come effetto la
 depenalizzazione dell'importazione, dell'acquisto e della  detenzione
 per  uso personale di sostanze stupefacenti anche in dose superiore a
 quella  media  giornaliera,  ma   lasciava   sussistere   le   misure
 amministrative  previste  dallo stesso art. 75. Sotto questo aspetto,
 non si poneva pertanto in contrasto con gli  obblighi  internazionali
 assunti in materia dallo Stato italiano.
   Il  quadro  degli  obblighi  internazionali  rilevanti  ai fini del
 presente giudizio e' definito dalla Convenzione delle  Nazioni  Unite
 adottata  a Vienna il 20 dicembre 1988 contro il traffico illecito di
 stupefacenti e sostanze psicotrope, ratificata e  resa  esecutiva  in
 Italia per effetto della legge 5 novembre 1990, n. 328, nonche' dalla
 Convenzione unica sugli stupefacenti, adottata a New York il 30 marzo
 1961  e  dal relativo Protocollo di emendamento adottato a Ginevra il
 25 marzo 1972, entrambi ratificati e resi  esecutivi  in  Italia  per
 effetto della legge 5 giugno 1974, n. 412.
   La Convenzione di Vienna - riconosciuta nel preambolo la necessita'
 di rafforzare e completare le misure previste nella Convenzione unica
 sugli  stupefacenti del 1961, cosi' come modificata dal Protocollo di
 emendamento del 1972, e nella Convenzione sulle sostanze psicotrope -
 stabilisce nell'art. 3, paragrafo 2, l'obbligo per ciascuna parte  di
 adottare  "le  misure  necessarie  per attribuire la natura di reato,
 conformemente alla propria legislazione interna, qualora  l'atto  sia
 stato  commesso  intenzionalmente,  alla detenzione e all'acquisto di
 stupefacenti  e  di  sostanze  psicotrope  e  alla  coltivazione   di
 stupefacenti destinati al consumo personale".
   Nel paragrafo 4, lett. c), dello stesso articolo si precisa poi che
 "in  casi  adeguati  di  reati  di natura minore, le parti possono in
 particolare prevedere in luogo di una  condanna  o  di  una  sanzione
 penale  misure  di  educazione,  di  riadattamento o di reinserimento
 sociale, nonche', qualora l'autore  del  reato  sia  un  tossicomane,
 misure   di   trattamento   terapeutico  e  di  assistenza  sanitaria
 post-ospedaliera".  Tale facolta' e' ulteriormente  articolata  nella
 successiva  lett.   d), ove si chiarisce che le misure sopra indicate
 possono essere "sia in  sostituzione  della  condanna  o  della  pena
 decretate  per un reato determinato conformemente con le disposizioni
 del paragrafo 2 del presente articolo, sia in aggiunta ad essa".
   Per quanto qui interessa, il sistema della Convenzione di Vienna e'
 completato dal paragrafo 2 dell'art. 14, che impone a ciascuna  parte
 l'obbligo  di  adottare  "misure  appropriate  per  impedire  sul suo
 territorio la coltura illecita di  piante  contenenti  stupefacenti",
 tra  cui  "la pianta di canapa indiana", nonche' dall'art. 25, ove e'
 stabilito che le  disposizioni  della  Convenzione  non  derogano  ai
 diritti e agli obblighi derivanti dalla Convenzione unica di New York
 del  1961,  cosi'  come  modificata dal Protocollo di emendamento del
 1972, nonche' dalla Convenzione sulle sostanze psicotrope del 1971.
   In particolare, l'art. 4  della  Convenzione  unica  di  New  York,
 dedicato  agli  obblighi  di carattere generale, impone alle parti di
 adottare le  misure  legislative  e  amministrative  necessarie  "per
 limitare esclusivamente a fini medici e scientifici la produzione, la
 fabbricazione,  l'esportazione,  l'importazione, la distribuzione, il
 commercio, l'uso e la detenzione di stupefacenti"; l'art.  33  impone
 alle  parti  di  vietare  "la  detenzione  di  stupefacenti senza una
 autorizzazione  legale";  l'art.  28,  nel  caso  in  cui  una  parte
 autorizzi  la  coltivazione della cannabis, impone l'applicazione del
 rigoroso regime di controllo disposto dall'art.  23 per  il  papavero
 da oppio.
   Infine,  l'art.  14,  paragrafo  1,  lett.  a)  del  Protocollo  di
 emendamento, modificativo dei paragrafi 1  e  2  dell'art.  36  della
 Convenzione,  impone  alle  parti  di  adottare "le misure necessarie
 affinche'  la  coltivazione  e  la  produzione,   la   fabbricazione,
 l'estrazione,  la preparazione, la detenzione, l'offerta, la messa in
 vendita, la distribuzione, l'acquisto, la vendita,  la  consegna  per
 qualunque  scopo...  siano  considerati  infrazioni  punibili qualora
 siano commesse intenzionalmente  e  sempreche'  le  infrazioni  gravi
 siano  passibili  di  una  pena  adeguata, in particolare di pene che
 prevedono la reclusione  o  altre  pene  detentive".    La  lett.  b)
 consente  poi  alle parti, "qualora tali infrazioni siano commesse da
 "persone utilizzanti in  modo  abusivo  stupefacenti",  in  luogo  di
 condannarle  o  pronunciare  una  sanzione  penale  a  loro danno, di
 sottoporle "a misure di cura, correzione, postcura, riabilitazione  e
 reinserimento sociale".
   Non  vi  e'  quindi  dubbio  che,  alla  stregua  delle convenzioni
 internazionali di Vienna e di New York, la canapa indiana  e  i  suoi
 derivati rientrano tra le sostanze stupefacenti la cui coltivazione e
 detenzione,   anche  per  fini  di  consumo  personale,  deve  essere
 qualificata  come  reato   o,   quantomeno,   sottoposta   a   misure
 amministrative riabilitative e di reinserimento sociale diverse dalla
 sanzione  penale:  al riguardo, la Corte si richiama alle conclusioni
 cui sono pervenute le sentenze n. 30 del  1981  e  n.  28  del  1993,
 all'analitico   esame   ivi   contenuto   delle   disposizioni  della
 Convenzione unica di New York del 1961, come emendata dal  Protocollo
 di  Ginevra  del  1972, della Convenzione di Vienna del 1988, nonche'
 delle allegate  tabelle  I  e  IV,  con  specifico  riferimento  alla
 sottoposizione  della  canapa  indiana e dei suoi derivati alle varie
 misure di controllo previste per la coltivazione,  il  commercio,  la
 detenzione e l'uso delle sostanze stupefacenti.
   4. - Alla stregua di quanto sopra esposto, ed alla luce del rilievo
 centrale  che  nell'intera  operazione referendaria assume il quesito
 relativo all'art. 75, primo e secondo comma, l'esame degli  eventuali
 rilievi    di   inammissibilita'   per   violazione   degli   impegni
 internazionali puo' opportunamente prendere le mosse  dall'intervento
 referendario su tale norma.
   Poiche' l'obiettivo significato del quesito relativo all'art. 75 e'
 di eliminare le sanzioni amministrative ivi previste nei confronti di
 chi, per farne uso personale, importa, acquista o comunque detiene le
 sostanze  indicate  nella  tabella II, l'eventuale esito positivo del
 referendum  lascerebbe  tali  condotte  prive di qualsiasi sanzione o
 misura amministrativa.
   La Corte ritiene che  sia  proprio  tale  conseguenza  a  porsi  in
 irrimediabile   contrasto   con   le  sopra  menzionate  norme  delle
 Convenzioni di Vienna del 1988 e di New York del 1961, che  impongono
 appunto  alle  parti contraenti di attribuire carattere di reato alle
 condotte descritte dall'art. 75, o, quantomeno, di applicare nei casi
 di minore gravita' misure alternative  di  carattere  amministrativo,
 anche  quando  le  sostanze  stupefacenti  sono  destinate al consumo
 personale ed anche quando le infrazioni sono commesse da persone  che
 utilizzano in modo abusivo sostanze stupefacenti (art. 3, paragrafi 2
 e 4, lett. c) e d) della Convenzione di Vienna; art. 14, paragrafo 1,
 lett.  b)  del  Protocollo  di  emendamento  della Convenzione di New
 York).
   Per completezza, la  Corte  rileva  che  non  ha  pregio  la  tesi,
 adombrata  dai  difensori  del  Comitato  promotore  nella  camera di
 consiglio del 9 gennaio 1997, secondo cui l'art. 120  del  d.P.R.  n.
 309   del   1990  consentirebbe  comunque  interventi  terapeutici  e
 socio-riabilitativi nei confronti di chi fa uso personale di sostanze
 stupefacenti: la norma  si  riferisce  infatti  a  forme  di  terapia
 volontaria,  non  assimilabili  alle misure alternative alla sanzione
 penale, ma pur sempre  di  natura  coattiva,  previste  dall'art.  3,
 paragrafo 4, lett. c), della Convenzione di Vienna.
   La  conclusione in ordine all'art. 75, primo e secondo comma, rende
 superfluo  procedere  all'esame  degli  interventi  abrogativi  sugli
 articoli  26,  primo comma, 38, primo e quarto comma, 50, nono comma,
 54, primo e secondo comma, 79, primo  comma,  in  quanto  l'eventuale
 accertamento  di  ulteriori  profili  di  contrasto  con gli obblighi
 discendenti dalle convenzioni internazionali risulta assorbito  dalle
 valutazioni  cui  la  Corte  e'  pervenuta  in ordine all'art. 75 del
 decreto legislativo n. 309 del 1990.
   5.  -  Quanto   sinora   esposto   determina   una   pronuncia   di
 inammissibilita'  del presente referendum. Al riguardo, va ricordato,
 che sin  dalla  sentenza  n.  16  del  1978,  la  Corte  ha  ritenuto
 ricomprese  nella  categoria  delle  leggi  per  cui  l'art. 75 della
 Costituzione preclude il ricorso al referendum abrogativo  anche  "le
 disposizioni  produttive  di  effetti collegati in modo cosi' stretto
 all'ambito di operativita'" delle leggi espressamente escluse "che la
 preclusione debba ritenersi sottintesa".
   Tale canone interpretativo ha trovato puntuale  applicazione  nella
 gia'  citata  sentenza n. 30 del 1981 (ed e' stato poi direttamente o
 indirettamente ripreso nelle sentenze n. 31 del 1981, n. 25 del 1987,
 n. 63 del 1990), che ha stabilito  che  "debbano  venire  preclusi  i
 referendum  che  investano  non soltanto le leggi di autorizzazione a
 ratificare trattati  internazionali,  ma  anche  quelle  strettamente
 collegate  all'esecuzione  dei  trattati  medesimi".  Ne  consegue  -
 richiamandosi  ancora  alla  sentenza  n.  30  del  1981,  dalle  cui
 conclusioni  la  Corte  non  ha  motivo  di  discostarsi  -  che sono
 sottratte all'abrogazione referendaria "non tutte  le  norme  che  lo
 Stato   italiano  puo'  emanare,  operando  delle  scelte,  per  dare
 attuazione agli impegni assunti sul piano internazionale, ma soltanto
 quelle  norme,  la  cui  emanazione  e',  per  cosi'  dire,   imposta
 dagl'impegni  medesimi:  per  le quali, dunque, non vi sia margine di
 discrezionalita'  quanto  alla loro esistenza e al loro contenuto, ma
 solo l'alternativa tra il dare  esecuzione  all'obbligo  assunto  sul
 piano   internazionale  e  il  violarlo,  non  emanando  la  norma  o
 abrogandola dopo averla emanata".
   Nel caso di specie, le norme di cui viene proposta l'abrogazione al
 fine di eliminare qualsiasi sanzione, sia penale che  amministrativa,
 nei  confronti  di  chi, per farne uso personale, importa, acquista o
 comunque detiene la canapa  indiana,  i  suoi  derivati  e  le  altre
 sostanze  indicate  nella  tabella II dell'art. 14, rientrano appunto
 tra quelle la cui emanazione e' necessariamente  imposta  allo  Stato
 italiano   per   dare   esecuzione  ad  obblighi  assunti  sul  piano
 internazionale, non essendovi  margini  di  discrezionalita'  tra  il
 prevedere  - come imposto dalle convenzioni - l'esistenza di sanzioni
 o misure quantomeno amministrative e la loro abrogazione.  Si  tratta
 pertanto  -  contrariamente  a  quanto  sostenuto  nella  memoria del
 Comitato dei promotori - di norme la  cui  abrogazione  costituirebbe
 inadempimento  degli  obblighi  internazionali  assunti  dallo  Stato
 italiano.
   Dall'abrogazione di tali norme deriverebbe  pertanto  l'esposizione
 dello  Stato  italiano  a  responsabilita'  nei confronti delle altre
 parti contraenti a causa della violazione degli  impegni  assunti  in
 sede  internazionale.  Responsabilita'  che  la  Costituzione  - come
 enunciato nella sentenza n. 30 del 1981 - "ha voluto  riservare  alla
 valutazione politica del Parlamento, sottraendo le norme in questione
 alla  consultazione  popolare,  alla  quale  si rivolge il referendum
 abrogativo previsto dall'art. 75  della  Costituzione".  Nel  che  si
 sostanzia    il    motivo    assorbente    della   dichiarazione   di
 inammissibilita' della presente richiesta referendaria.
                           Per questi motivi
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
   Dichiara inammissibile la  richiesta  di  referendum  popolare  per
 l'abrogazione,  nelle  parti  indicate  in  epigrafe, del decreto del
 Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309 (Testo unico delle
 leggi  in  materia  di  disciplina  degli  stupefacenti  e   sostanze
 psicotrope,  prevenzione, cura e riabilitazione dei relativi stati di
 tossicodipendenza), richiesta dichiarata legittima con  ordinanza  in
 data  11-13  dicembre  1996  dall'Ufficio  centrale per il referendum
 costituito presso la Corte di cassazione.
   Cosi' deciso  in  Roma,  nella  sede  della  Corte  costituzionale,
 Palazzo della Consulta, il 30 gennaio 1997.
                        Il Presidente: Granata
                      Il redattore: Neppi Modona
                       Il cancelliere: Di Paola
   Depositata in cancelleria il 10 febbraio 1997.
               Il direttore della cancelleria: Di Paola
 97C0156