N. 7 RICORSO PER CONFLITTO DI ATTRIBUZIONE 25 febbraio 1997

                                 N. 7
  Ricorso  per  conflitto di attribuzione depositato in cancelleria il
 25 febbraio 1997 (della provincia autonoma di Trento)
 Sanita' pubblica - Animali - Decreto del Ministro  della  sanita'  in
    materia di affidamento di cani randagi - Presupposti (osservazione
    e controllo sanitario, trattamento profilattico, identificazione e
    tatuaggio  a cura del Servizio veterninario della USL conpetente),
    condizioni e termini (permanenza per 60 giorni presso il canile  e
    mancato  reclamo, entro questo periodo, da parte del proprietario)
    per poter procedere all'affidamento del cane a soggetti privati  o
    ad  associazioni  protezionistiche  riconosciute - Possibilita' di
    affidamento temporaneo - Impugnativa di  tale  decreto,  da  parte
    della  provincia  autonoma  di  Trento,  nel suo intero testo e in
    particolare delle disposizioni concernenti la registrazione  (art.
    1),   il  subaffido  (art.  2),  le  modalita'  di  documentazione
    dell'affidamento (art.  3),  gli  obblighi  informativi  verso  il
    servizio  veterinario regionale e il Ministero della sanita' (art.
    4) e la prevista determinazione,  da  parte  del  Ministero  della
    sanita',  d'intesa con le omologhe autorita' sanitarie degli altri
    paesi, delle modalita' di affido  degli  animali  ad  associazioni
    protezionistiche  estere  (art.  5)  -  Incidenza della contestata
    normativa, senza che la  stessa  possa  trovare  fondamento  nelle
    leggi,  genericamente  richiamate  nel preambolo (t.u. delle leggi
    sanitarie approvato con r.d. 27 luglio 1934, n. 1265,  regolamento
    di  polizia  veterinaria  approvato con d.P.R. 8 febbraio 1954, n.
    320, legge quadro in materia di  randagismo  14  agosto  1991,  n.
    281),  sulle  competenze  della  provincia  in materia di igiene e
    sanita' - Conseguente violazione dei principi, posti dall'art. 17,
    commi 1 e 3, legge 23 agosto 1988, n. 400, per cui  i  regolamenti
    ministeriali  (quale  senza dubbio deve considerarsi il decreto de
    quo) non possono essere emanati (come nel caso e' avvenuto)  senza
    il  parere del Consiglio di Stato, e non sono comunque legittimati
    a disciplinare materie di competenza  regionale  o  provinciale  -
    Richiamo alle sentenze nn. 123/1992, 150/1982 e 482/1995.
 (Decreto  del  Ministro della sanita' 14 ottobre 1996, intero testo e
    in particolare articoli da 1 a 5).
 (Statuto speciale Trentino-Alto Adige, art. 9, comma 1, nn. 10, e 16,
    in relazione a d.lgs. 16 marzo 1992, n. 266; legge 23 agosto 1988,
    n. 400, art. 17, commi 1 e 3).
(GU n.12 del 19-3-1997 )
   Ricorso  della  provincia  autonoma  di  Trento,  in  persona   del
 presidente   della   Giunta   provinciale   pro-tempore  dott.  Carlo
 Andreotti, autorizzato con deliberazione della Giunta provinciale  n.
 1238  del 14 febbraio 1997 (doc. 1), rappresentata e difesa - come da
 procura speciale del 18 febbraio  1997  (rep.  n.  62898)  rogata  al
 notaio  dott.  Pierluigi  Mott  del  Collegio  notarile  di  Trento e
 Rovereto (doc. 2) - dagli avvocati Giandomenico Falcon  di  Padova  e
 Luigi  Manzi  di  Roma, con domicilio eletto in Roma presso lo studio
 dell'avv. Manzi, via Confalonieri n. 5;
   contro  il  Presidente  del   Consiglio   dei   Ministri   per   la
 dichiarazione  che  non  spetta  allo  Stato  di  emanare con decreto
 ministeriale,   in   assenza   di   base   normativa    e    comunque
 illegittimamente, norme in materia di affidamento dei cani randagi;
   nonche'  per  il  conseguente annullamento del decreto del Ministro
 della sanita' 14 ottobre 1996, avente  tale  oggetto,  pubblicato  in
 Gazzetta Ufficiale n. 300 del 23 dicembre 1996;
   Per violazione:
     dell'autonomia  legislativa  ed  amministrativa  della provincia,
 come in particolare stabilita dall'art. 9,  primo  comma,  n.  10,  e
 dell'art.  16  del d.P.R. 31 agosto 1972, n. 670, e relative norme di
 attuazione;
     dei principi e regole costituzionali  relativi  ai  rapporti  tra
 funzioni  statali  normative e di indirizzo e corrispondenti funzioni
 regionali e provinciali;
 per i profili e nei modi di seguito illustrati.
                               F a t t o
   Con il contestato decreto il  Ministro  della  sanita'  ha  emanato
 Norme in materia di affidamento dei cani randagi. Con tale atto viene
 disciplinata  l'attivita' dei servizi veterinari delle Aziende unita'
 sanitaria  locali  e  dei  canili  e  rifugi  comunali  in  relazione
 all'affidamento a privati ed associazioni.
   A  tal  fine  l'art.  1  del  decreto  dispone  che  i cani randagi
 accalappiati debbano essere  trattenuti  per  un  certo  periodo  nei
 canili  comunali,  per  essere  sottoposti  a osservazione, controllo
 sanitario,   trattamento   profilattico,   nonche'   identificazione,
 registrazione e tatuaggio, da parte dei servizi sanitari.
   Trascorso  tale  periodo,  i cani possono essere collocati presso i
 rifugi, per essere successivamente affidati, sia in forma  temporanea
 (forma  questa  niente  affatto  prevista  dalla  legge) che in forma
 definitiva,   a   privati   o   ad   associazioni    protezionistiche
 espressamente  riconosciute  e  registrate  dal  servizio veterinario
 regionale.
   L'art.  2 stabilisce limitazioni al numero degli affidi ed obblighi
 di  comunicazione  e  documentazione  nei   riguardi   del   servizio
 veterinario.    L'art.  3  dispone  le  modalita'  di  documentazione
 dell'affidamento avvenuto da  parte  del  servizio  veterinario,  cui
 viene  anche  fatto  onere  di  tornare  a  svolgere gli accertamenti
 sanitari in caso di nuovo affido.
   L'art.  4  disciplina  gli  obblighi   informativi   del   servizio
 veterinario   dell'unita'   sanitaria  locale  rispetto  al  servizio
 veterinario regionale, e gli obblighi informativi di questo  rispetto
 al  Ministero  della  sanita'. L'art. 5 prevede che il Ministro della
 sanita'  stabilisca  le   modalita'   di   affido   ad   associazioni
 protezionistiche estere.
   Nel  complesso,  e'  palese che la normativa in questione concerne,
 nell'ambito  del  territorio  provinciale,  l'attivita'   di   uffici
 provinciali  o  di  autorita'  e servizi amministrativi soggetti alla
 potesta' legislativa ed amministrativa della  provincia  autonoma  di
 Trento.
   Ma   tale   disciplina,  che  interferisce  con  l'esercizio  delle
 prerogative  costituzionali  della  riccorrente   provincia,   appare
 illegittima per le seguenti ragioni di
                             D i r i t t o
   1.  -  Interferenza  con  le potesta' legislative ed amministrative
 provinciali in assenza di qualunque base giuridica.
   Va in primo luogo osservato che la materia disciplinata dalla legge
 14 agosto 1991, n.  281,  legge  quadro  in  materia  di  animali  di
 affezione  e  prevenzione  del randagismo, mette capo, nel complesso,
 alla sanita', comprensiva degli aspetti relativi  alla  assistenza  e
 polizia  veterinaria,  come  e' stato sancito da codesta ecc.ma Corte
 costituzionale con la sentenza n. 123 del 1992.
   Cio' non esclude, naturalmente, che  singoli  aspetti  della  legge
 possano  attenere  ad  altra  materia:  e  nella  stessa sentenza ora
 ricordata codesta Corte ha in  particolare  ritenuto  che  l'art.  5,
 comma  2, della legge n. 281 del 1991, "nella parte in cui stabilisce
 il termine di sessanta giorni trascorso il quale, se un cane  vagante
 non  tatuato  catturato  non  viene  reclamato,  puo' essere ceduto a
 privati o ad associazioni protezioniste", attiene  alla  materia  dei
 rapporti  di diritto privato (per i quali "sussiste l'esigenza che la
 legge statale assicuri una sostanziale uniformita' di  disciplina  su
 tutto  il  tettitorio  nazionale"),  in  quanto  la  norma  detta "la
 condizione il  cui  verificarsi  integra  l'avvenuta  derelictio  del
 cane".
   Cio'  detto tuttavia, e' evidente che il decreto del Ministro della
 sanita' del 14 ottobre  1996  non  riguarda  affatto  i  rapporti  di
 diritto  privato (il che pure, come si dira', non lo salverebbe dalla
 piu' totale illegittimita'), ma riguarda invece  l'assetto  sanitario
 ed organizzativo del servizio di affidamento. D'altronde, che tale, e
 non   gli   aspetti  privatistici,  sia  l'oggetto  della  disciplina
 ministeriale risulta non soltanto dalla semplice  considerazione  del
 suo  contenuto,  ma  anche dalla considerazione che l'esigenza di una
 disciplina uniforme degli aspetti privatistici, che  la  sentenza  n.
 123/1992  ha  riconosciuto,  non  puo' trovare espressione che in una
 disciplina legislativa.
   Riconosciuto che la normativa qui contestata ha per oggetto proprio
 cio'  che  e'  riservato  all'attivita' legislativa ed amministrativa
 delle regioni e province autonome, va osservato che  il  decreto  del
 Ministro della Sanita' 14 ottobre 1996 non appare avere alcun preciso
 fondamento  legislativo, ne' d'altronde di altro genere Nel preambolo
 di esso si rinvia genericamente agli atti normativi "a monte",  cioe'
 in  particolare  al  t.u.  delle  leggi  sanitarie, al regolamento di
 polizia veterinaria ed alla legge quadro  in  materia  di  randagismo
 sopra  ricordata,  senza  indicare quale disposizione prevederebbe le
 norme ministeriali in questione; e cio'  non  a  caso,  dato  che  in
 effetti nei predetti atti non se ne rinviene alcuna.
   E' appena da osservare che nessun valore di fondazione di un potere
 ministeriale  in  materia  puo'  avere  la  presunta  "necessita'  di
 disciplinare specificamente gli aspetti relativi agli affidi dei cani
 randagi fissando  altresi'  le  opportune  procedure  che  consentano
 l'adeguata  tutela  dei  suddetti  animali  nel quadro delle norme di
 coordinamento statale di cui  alla  citata  legge  n.  281/1991".  AI
 contrario,  proprio il riferimento di per se' esatto al "quadro delle
 norme di coordinamento statale" rende evidente che entro quel  quadro
 la  sola  competenza  attuativa  e'  quella  della normazione e della
 amministrazione locale.
   La constatazione della totale assenza di base giuridica del decreto
 qui contestato fornisce da sola motivazione sufficiente  al  presente
 ricorso,  essendo  ad  avviso  della  ricorrente  provincia palese il
 carattere invasivo di una normativa che interferisce nella materia ad
 essa riservata senza alcun fondamento giuridicamente rilevante.
   2. - Illegittimita' del decreto del Ministro della sanita'  del  14
 ottobre  1996  se considerato in particolare come atto di indirizzo e
 coordinamento.
   La stessa  constatazione  vale  infatti  a  condannare  l'atto  qui
 contestato anche se lo si volesse considerare quale espressione della
 funzione di indirizzo e coordinamento.
   Infatti,   a  prescindere  dalla  considerazione  che  gli  aspetti
 essenziali di coordinamento sono gia' stati stabiliti dal legislatore
 statale nella legge n. 281/1991, che aveva appunto tale  scopo,    e'
 principio consolidato e pacifico, a partire dalla sentenza di codesta
 ecc.ma  Corte costituzionale n. 150 del 1982, che l'esercizio di tale
 funzione - quando   non  avvenga  in  forma  legislativa  -  richiede
 comunque  espresso  fondamento  legislativo,  che  possa considerarsi
 idoneo (alla luce delle caratteristiche concrete della  questione)  a
 fornire  all'atto  governativo  i  necessari  parametri  di legalita'
 sostanziale.
   Dell'atto di indirizzo mancherebbero comunque  anche  gli  elementi
 procedurali e formali.
   3.  -  Illegittimita' del decreto del Ministro della sanita' del 14
 ottobre 1996 se considerato in particolare come atto regolamentare.
   In realta' il decreto qui contestato dovrebbe  essere  qualificato,
 quanto al contenuto, come un regolamento di esecuzione della legge.
   Considerato  come  tale,  esso  sarebbe illegittimo se anche non vi
 fosse la competenza in materia delle  regioni  e  province  autonome.
 Infatti,  una  competenza odinaria per i regolamenti di esecuzione e'
 prevista soltanto per  il  Consiglio  dei  ministri,  secondo  quanto
 disposto dall'art. 17, comma 1, lett. a) della legge n. 400 del 1988.
 Per   i   singoli   ministri,  invece  (come  ben  noto),  il  potere
 regolamentare  esiste  soltanto  "quando   la   legge   espressamente
 conferisca  tale  potere",  come  dispone  il comma 3 della norma ora
 citata. Inoltre, i regolamenti sia governativi che ministeriali  sono
 soggetti  a  preventivo parere del Consiglio di Stato, che non sembra
 sia stato nella specie acquisito.
   Intervenendo in materia  regionale,  o  comunque  interferendo  con
 materia  regionale, l'illegittimita' di qualunque norma regolamentare
 risulta palese,  a  prescindere  da  quella  specifica  che  riguardi
 l'esercizio  del  potere  regolarmentare come tale. E' infatti ancora
 principio pacifico e  consolidato  che  "i  regolamenti  governativi,
 compresi quelli delegati, non sono legittimati a disciplinare materie
 di  competenza  regionale  o  provinciale"  (cosi'  espressamente  la
 sentenza n. 482 del 1995, punto 8 in diritto).
   Si noti che tale regola, che vale per tutte le autonomie, trova per
 il Trentino-Alto Adige particolare conferma nei disposti  del  d.P.R.
 n.  266  del  1992,  proprio in quanto le garanzie ivi previste hanno
 riferimento  soltanto  alle  leggi  e  agli  atti  di   indirizzo   e
 coordinamento:  evidentemente  nel  presupposto  che  non  esista  un
 problema di rapporto con la fonte regolamentare, in quanto questa non
 e' rivolta a disciplinare in alcun modo rapporti tra Stato e  regioni
 o  province  autonome.  Diversamente,  infatti  le  garanzie disposte
 risulterebbero  facilissimamente  aggirabili,  solo   ricorrendo   al
 regolamento in luogo che all'atto di indirizzo.
   4. - Illegittimita' per le ragioni dette delle singole disposizioni
 dell'atto.
   L'illegittimita'  qui lamentata concerne l'atto nella sua interezza
 e nella sua stessa esistenza,  essendo  il  contenuto  delle  singole
 disposizioni   rilevante   sopra   tutto   nel   senso   di  rivelare
 l'illegittimita' incidenza e  interferenza  dell'atto  statale  sulle
 funzioni costituzionali.
   In  ogni  modo,  tale  illegittima  interferenza  ed incidenza puo'
 essere agevolmente illustrata per le singole disposizioni.
   Come detto in narrativa, l'art. 1 del decreto dispone  che  i  cani
 randagi  catturati  debbano essere ricoverati e trattenuti per almeno
 sessanta  giorni  nei  canili  comunali,  per  essere  sottoposti   a
 osservazione,  controllo sanitario, trattamento profilattico, nonche'
 identificazione, registrazione e  tatuaggio,  da  parte  dei  servizi
 veterinari.  Trascorso  tale periodo, i cani possono essere collocati
 presso i rifugi, per essere successivamente affidati,  sia  in  forma
 temporanea  che  in  forma  definitiva,  a  privati o ad associazioni
 protezionistiche espressamente riconosciute e registrate dal servizio
 veterinario regionale.
   La  disposizione  che,  in  quanto  non  meramente  ripetitiva  dei
 disposti  della  legge, interferisce palesemente con l'organizzazione
 dei servizi e  piu'  in  generale  con  la  potesta'  legislativa  ed
 amministrativa  della  provincia,  impone una "registrazione" che non
 puo' essere prevista e disciplinata da siffatto  atto.  Essa  e'  poi
 anche  arbitraria  la'  dove  ammette, sia pure come "temporaneo", un
 affidamento  anche  prima  dei  sessanta  giorni  richiesti  per   il
 verificarsi  della derelictio:  un affidamento la cui giustificazione
 appare molto problematica sia sul  piano  dell'opportunita',  creando
 vincoli  anche  rispetto  al  disposto  legislativo,  secondo cui gli
 animali possono essere ceduti solo se non reclamati.
   L'art. 2 non solo disciplina in luogo della competente provincia le
 comunicazioni   e  documentazioni  di  servizio,  ma  arbitrariamente
 prevede  una  facolta'  di   "subaffido"   ignota   alla   disciplina
 legislativa,  che  interferisce  con  i  compiti  propri del servizio
 pubblico. La previsione e' inoltre priva - come data  la  sua  natura
 non  puo' non essere - di ogni aspetto relativo alla vigilanza o alle
 garanzie, risultando cosi' praticamente ineffettuale.
   L'art. 3 disciplina  in  luogo  della  provincia  le  modalita'  di
 documentazione   dell'affidamento  avvenuto  da  parte  del  servizio
 veterinario, cui viene anche  fatto  specifico  onere  di  tornare  a
 svolgere gli accertamenti sanitari in caso di nuovo affido.
   L'art.   4   disciplina  in  luogo  della  provincia  gli  obblighi
 informativi del servizio  veterinario  dell'unita'  sanitaria  locale
 rispetto  al  servizio  veterinario  regionale, ed inoltre disciplina
 senza averne alcun potere obblighi informativi di questo rispetto  al
 Ministero della sanita'.
   L'art.  5  prevede  che  il  Ministro  della  sanita' stabilisca le
 modalita' di affido ad associazioni protezionistiche estere "d'intesa
 con le omologhe autorita' sanitarie degli altri Paesi",  creando  dal
 nulla  una  funzione di carattere internazionale che, se esistesse (e
 non pare ve ne sia ragione) non potrebbe non  avere  essa  stessa  un
 fondamento  legislativo,  e  non  puo'  invece  essere autocreata dal
 Ministro, privo di ogni conferimento di potere.
   Tutto cio' premesso, la ricorrente provincia  autonoma  di  Trento,
 come  sopra  rappresentata  e  difesa chiede voglia l'eccellentissima
 Corte costituzionale dichiarare che non spetta allo Stato di  emanare
 con  decreto  ministeriale,  in  assenza di base normativa e comunque
 illegittimamente, norme in materia di affidamento dei  cani  randagi,
 nonche'  conseguentemente  annullare  il  decreto  del Ministro della
 Sanita' 14 ottobre 1996;  per  violazione  delle  regole  e  principi
 costituzionali,  statutari  e  delle  norme di attuazione indicati in
 premessa.
     Padova-Roma, addi' 18 febbraio 1997
           Avv. prof. Giandomenico Falcon - Avv. Luigi Manzi
 97C0207