N. 80 SENTENZA 24 marzo - 3 aprile 1997

 
 
 Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale.
 
 Processo civile - Chiamata in causa del terzo - Libera  effettuazione
 da  parte  del  convenuto senza necessita' di autorizzazione da parte
 del giudice  -  Sottoposizione  al  sindacato  di  ammissibilita'  di
 medesima  istanza  formulata  dall'attore  -  Esigenza di verifica da
 parte del giudice che un'estensione del  contraddittorio  sollecitata
 dall'attore, derivi effettivamente e necessariamente dalle difese del
 convenuto  e  non sia invece uno strumento surrettizio per modificare
 impropriamente la domanda originariamente proposta - Non fondatezza.
 
 (C.P.C., art. 269, secondo comma).
 
 (Cost., artt. 3 e 24).
 
(GU n.15 del 9-4-1997 )
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
 composta dai signori:
  Presidente: prof. Giuliano VASSALLI;
  Giudici:  prof.  Francesco  GUIZZI,  prof.  Cesare  MIRABELLI,  avv.
 Massimo  VARI,  dott.  Cesare  RUPERTO, dott. Riccardo CHIEPPA, prof.
 Gustavo ZAGREBELSKY, prof. Valerio  ONIDA,  prof.  Carlo  MEZZANOTTE,
 avv.  Fernanda  CONTRI, prof. Guido NEPPI MODONA, prof. Piero Alberto
 CAPOTOSTI;
 ha pronunciato la seguente
                                Sentenza
 nei giudizi di legittimita'  costituzionale  dell'art.  269,  secondo
 comma,  del  codice  di  procedura civile, promossi con due ordinanze
 emesse il 19 febbraio 1996 ed il 18 marzo 1996 dal pretore  di  Parma
 nei procedimenti civili vertenti tra A. Due s.r.l. di Squeri Donato e
 Progeco  Engineering  s.r.l.  ed  altra  e tra Berchi s.r.l. e Spagni
 Nelson, iscritte ai nn. 436 e  510  del  registro  ordinanze  1996  e
 pubblicate  nella  Gazzetta  Ufficiale  della Repubblica nn. 21 e 23,
 prima serie speciale, dell'anno 1996;
   Visti gli atti di  intervento  del  Presidente  del  Consiglio  dei
 Ministri;
   Udito  nella  camera  di  consiglio del 12 febbraio 1997 il giudice
 relatore Fernanda Contri.
                           Ritenuto in fatto
   1. -  Nel corso di un procedimento  civile  avente  ad  oggetto  il
 pagamento  di somme di denaro, il pretore di Parma, con ordinanza del
 19 febbraio 1996, ha sollevato, in riferimento  agli  artt.  3  e  24
 della   Costituzione,   questione   di   legittimita'  costituzionale
 dell'art.  269, secondo comma, del codice di procedura civile,  nella
 parte  in  cui  non  prevede  che la chiamata in causa di un terzo ad
 opera del convenuto sia autorizzata dal giudice istruttore.
   Osserva il remittente che la normativa contenuta negli artt. 269  e
 271  del  codice  di  procedura  civile,  la quale non attribuisce al
 giudice alcun potere di delibazione in ordine  alla  sussistenza  dei
 presupposti  per  la  chiamata  in  causa del terzo quando questa sia
 effettuata dal convenuto e, per contro, sottopone  ad  autorizzazione
 la  medesima istanza formulata dall'attore o dai terzi gia' chiamati,
 determina una ingiustificata disparita' di trattamento fra le  parti,
 in contrasto con gli artt. 3 e 24 della Costituzione.
    2.  -  Nel giudizio e' intervenuto il Presidente del Consiglio dei
 Ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura dello Stato, che  ha
 concluso per la infondatezza della questione.
   A parere dell'Avvocatura, non potrebbe in primo luogo escludersi un
 sindacato   del   giudice  sulla  chiamata  in  causa  richiesta  dal
 convenuto, allorche', nel provvedere  con  decreto  allo  spostamento
 della  prima udienza per consentire la citazione del terzo, rilevi il
 carattere  pretestuoso  dell'intento  dichiarato  dal  convenuto.  La
 diversita'   di   trattamento  risulta,  poi,  secondo  l'Avvocatura,
 pienamente giustificata in relazione alla differente posizione  delle
 parti:  infatti,  l'autorizzazione  alla  chiamata in causa richiesta
 dall'attore postula la verifica da parte del giudice  che  l'esigenza
 di  chiamare il terzo sia effettivamente sorta a seguito delle difese
 del convenuto, e cio' al fine di impedire un ampliamento tardivo  dei
 soggetti  del  giudizio.  Inoltre,  quella stessa possibilita' che ha
 l'attore, in sede di instaurazione del procedimento, di  chiamare  in
 causa   tutti  i  soggetti  che  ritenga  necessari  al  giudizio  e'
 riconosciuta al convenuto al momento della sua costituzione, si'  che
 non vi e' motivo di prevedere un controllo del giudice.
   3.  -  Con  ordinanza  emessa  il  18 marzo 1996 nel corso di altro
 procedimento civile,  il  medesimo  pretore  di  Parma  ha  sollevato
 identica  questione  di  legittimita'  costituzionale  dell'art. 269,
 secondo comma, del codice di procedura civile.
   4. - Anche in questo giudizio  e'  intervenuto  il  Presidente  del
 Consiglio  dei  Ministri, svolgendo argomentazioni identiche a quelle
 gia' indicate.
                         Considerato in diritto
   1. -  Con due distinte ordinanze il pretore di Parma  ha  sollevato
 questione  di  legittimita'  costituzionale  dell'art.  269,  secondo
 comma, del codice di procedura civile, nella parte in cui non prevede
 che la chiamata in causa di un  terzo  ad  opera  del  convenuto  sia
 autorizzata dal giudice istruttore.
   Poiche'  le  due  ordinanze  sollevano  una  identica  questione di
 legittimita' costituzionale, i relativi giudizi devono  riunirsi  per
 essere decisi con un'unica sentenza.
   2.  -  Ad  avviso  del  giudice  remittente,  la  norma  denunciata
 contrasterebbe con gli artt.  3  e  24  della  Costituzione,  per  la
 irragionevole  e ingiustificata disparita' di trattamento operata tra
 le parti del processo in relazione alla chiamata in causa del  terzo,
 la  quale  puo'  essere  liberamente  effettuata  dal convenuto senza
 necessita' di autorizzazione del giudice, mentre la medesima  istanza
 formulata  dall'attore  e'  sottoposta al sindacato di ammissibilita'
 del giudice.
   3. - La questione e' infondata.
   L'art. 269, secondo comma, del codice di procedura  civile  pone  a
 carico del convenuto, che intenda chiamare un terzo in causa, l'onere
 di  farne  dichiarazione  nella  comparsa  di  risposta e di chiedere
 contestualmente al giudice  istruttore  lo  spostamento  della  prima
 udienza  allo  scopo di consentire la citazione del terzo, stabilendo
 che il giudice provveda con decreto a fissare  la  data  della  nuova
 udienza.
   La  forma  stessa  di  decreto,  che caratterizza il provvedimento,
 mediante il quale il giudice, senza  necessita'  di  contraddittorio,
 fissa  la data della nuova udienza, certamente dimostra che in questo
 momento, nel quale  non  viene  sentito  l'attore,  non  puo'  essere
 esercitato   alcun   potere   valutativo  intorno  all'esistenza  dei
 presupposti della  chiamata  in  causa.  Tuttavia,  contrariamente  a
 quanto   ritenuto   dal   giudice   remittente,   non   e'  priva  di
 ragionevolezza la previsione  della  insindacabile  facolta'  per  il
 convenuto,  all'atto  della  sua  prima difesa, di estendere l'ambito
 soggettivo del processo, ove si consideri che l'attore per  primo  ha
 facolta'   di   convenire   in  giudizio  qualunque  soggetto,  senza
 limitazioni   di   sorta   e   senza   necessita',   ovviamente,   di
 autorizzazione alcuna.
   Per  verificare  che  sia  garantita  alle  parti  un'identita'  di
 trattamento, la comparazione  dei  poteri  ad  esse  attribuiti  deve
 essere eseguita con riferimento ad uno stesso momento processuale, il
 quale,  nella  fattispecie,  e'  da  individuarsi  nell'atto  in  cui
 ciascuna parte espone introduttivamente le proprie ragioni: in questo
 momento le parti devono essere poste in grado di compiere le medesime
 attivita' con eguali poteri. Ed in effetti, nell'indicato momento, la
 posizione dell'attore, che puo' liberamente scegliere i  soggetti  da
 convenire  in  giudizio,  e'  del  tutto  corrispondente a quella del
 convenuto, cui e'  esattamente  e  correlativamente  riconosciuta  la
 facolta'  di  chiamare  in causa qualsivoglia terzo, al quale ritenga
 comune la causa o dal quale pretenda essere garantito.
   Una volta cosi'  definito  il  thema  decidendum,  qualunque  altra
 istanza  difensiva  non  puo'  non essere sottoposta al controllo del
 giudice, al quale  e'  rimessa  sia  la  valutazione  della  utilita'
 processuale,  sia  il  controllo della tempestivita' della richiesta,
 particolarmente incisivo nell'attuale regime di preclusioni.
   Ed e' proprio in tale successiva fase che  si  colloca  la  domanda
 dell'attore  di chiamare in causa un terzo, chiamata che, a norma del
 terzo comma dell'art. 269 del codice di procedura civile, puo' essere
 autorizzata dal giudice solo se l'interesse dell'attore alla chiamata
 sia sorto a seguito delle difese svolte dal convenuto nella  comparsa
 di risposta.
   Lo  spirito informatore delle nuove disposizioni processuali, quale
 risulta, particolarmente, dallo schema  delle  preclusioni  delineato
 negli artt. 163 e seguenti del codice di procedura civile, giustifica
 che  la  proposizione  di  una domanda ulteriore nei confronti di una
 nuova parte del processo, nella quale si  sostanzia  la  chiamata  in
 causa  ad  opera  dell'attore,  sia  sottoposta ad autorizzazione del
 giudice, che dovra' verificare se  l'estensione  del  contraddittorio
 sollecitata dall'attore derivi effettivamente e necessariamente dalle
 difese  del  convenuto e non sia invece uno strumento surrettizio per
 modificare impropriamente la domanda originariamente proposta.
   Ricondotta la questione nei termini delineati, e' di tutta evidenza
 come le parti siano poste in  una  situazione  di  perfetta  parita',
 essendo loro attribuite le medesime facolta' in relazione al medesimo
 momento processuale, cui deve farsi riferimento nella comparazione.
   Onde   l'infondatezza   dei   dedotti   profili  di  illegittimita'
 costituzionale.
                           Per questi motivi
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
   Riuniti  i  giudizi,  dichiara  non   fondata   la   questione   di
 legittimita'  costituzionale dell'art. 269, secondo comma, del codice
 di procedura civile, sollevata, in riferimento  agli  artt.  3  e  24
 della Costituzione, dal pretore di Parma con le ordinanze indicate in
 epigrafe.
   Cosi'  deciso  in  Roma,  nella  sede  della  Corte costituzionale,
 Palazzo della Consulta, il 24 marzo 1997.
                        Il Presidente: Vassalli
                          Il redattore: Contri
                        Il cancelliere: Di Paola
   Depositata in cancelleria il 3 aprile 1997.
                Il direttore della cancelleria: Di Paola
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