N. 84 SENTENZA 25 marzo - 8 aprile 1997

 
 
 Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale.
 
 Elezioni   -   Reati  elettorali  -  Sottoscrizioni  di  due  diverse
 presentazioni di candidatura per  le  elezioni  del  consiglio  della
 provincia  regionale  di  Ragusa  -  Pena  -  Previsione  di identica
 sanzione in relazione  a  diverse  ipotesi  criminose  -  Difetto  di
 motivazione  in  ordine  alla  rilevanza  - Plurima sottoscrizione di
 liste di candidati alla elezione del consiglio comunale  di  Udine  -
 Pena  -  Trattamento  differenziato  in  senso  deteriore  in caso di
 elezioni comunali rispetto a quello previsto nelle elezioni politiche
 o addirittura inesistente  nel  caso  delle  elezioni  provinciali  -
 Discrezionalita' legislativa - Non fondatezza.
 
 (D.P.R. 16 maggio 1960, n. 570, art. 93).
 
 (Cost., artt. 3, 3, primo comma, 27 e 27, terzo comma).
 
(GU n.16 del 16-4-1997 )
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
 composta dai signori:
  Presidente: dott. Renato GRANATA;
  Giudici:  prof.  Cesare MIRABELLI, prof. Fernando SANTOSUOSSO,  avv.
 Massimo VARI,  dott. Cesare RUPERTO,  dott. Riccardo CHIEPPA,   prof.
 Gustavo ZAGREBELSKY,  prof. Valerio ONIDA, prof. Carlo MEZZANOTTE,
  avv.  Fernanda  CONTRI,    prof.  Guido  NEPPI MODONA,   prof. Piero
 Alberto CAPOTOSTI;
 ha pronunciato la seguente
                                Sentenza
 nei giudizi di legittimita' costituzionale  dell'art.  93  d.P.R.  16
 maggio 1960, n. 570 (testo unico della legge per la composizione e la
 elezione  degli  organi delle amministrazioni comunali), promossi con
 le ordinanze emesse l'8 gennaio 1996 dal pretore  di  Modica,  il  19
 febbraio  1996,  il 16 febbraio 1996 (n. 4 ordinanze), il 19 febbraio
 1996, il 16 febbraio 1996, il 19 febbraio 1996 (n. 2  ordinanze),  il
 16  febbraio  1996  (n.  2  ordinanze),  il 19 febbraio 1996 ed il 16
 febbraio  1996  (n.  2  ordinanze)  dal  giudice  per   le   indagini
 preliminari  presso  la pretura di Udine, rispettivamente iscritte ai
 nn. 251, 551, 552, 553, 554, 555, 556, 557, 558, 559, 560, 561,  562,
 563  e  564  del  registro ordinanze 1996 e pubblicate nelle Gazzette
 Ufficiali della  Repubblica  nn.  12  e  25,  prima  serie  speciale,
 dell'anno 1996.
   Udito  nella  camera  di  consiglio del 13 novembre 1996 il giudice
 relatore Valerio Onida.
                           Ritenuto in fatto
   1. - Nel corso di un giudizio di opposizione a  decreto  penale  di
 condanna  per  il reato di cui all'art. 93 del d.P.R. 16 maggio 1960,
 n. 570 (testo unico della legge per la  composizione  e  la  elezione
 degli  organi delle amministrazioni comunali), emesso a carico di una
 elettrice  per  aver  sottoscritto  due  diverse   presentazioni   di
 candidatura  per  le elezioni del consiglio della provincia regionale
 di Ragusa, il pretore di Modica, con  ordinanza  emessa  l'8  gennaio
 1996  e pervenuta a questa Corte il 26 febbraio 1996 (r.o. n. 251 del
 1996) ha  sollevato  questione  di  legittimita'  costituzionale  del
 predetto  art.  93  del testo unico n. 570 del 1960 in relazione agli
 artt. 3 e 27 della Costituzione.
   La disposizione denunciata punisce con la  reclusione  fino  a  due
 anni  e con la multa fino a lire 100.000 "chiunque, essendo privato o
 sospeso dall'esercizio del diritto elettorale, o  assumendo  il  nome
 altrui,  firma una dichiarazione di presentazione di candidatura o si
 presenta a dare  il  voto  in  una  sezione  elettorale,  ovvero  chi
 sottoscrive piu' di una dichiarazione di presentazione di candidatura
 o da' il voto in piu' sezioni elettorali".
   Il  giudice  remittente  osserva  che  tale  disposizione, la quale
 prevede la stessa pena in  relazione  a  diverse  ipotesi  criminose,
 appare  sospetta  di incostituzionalita' sotto vari profili. In primo
 luogo sotto il profilo della irragionevolezza, laddove  essa  commina
 la  stessa  pena  per  ipotesi  di diversa gravita' e per condotte di
 diverso  disvalore,  in  particolare   condotte   che   presuppongono
 necessariamente  "un'attivita'  dolosa",  come la sottoscrizione o il
 voto con assunzione di nome altrui (peraltro  punita  con  pena  meno
 severa di quella prevista dal codice penale per la falsa attestazione
 a  pubblico  ufficiale  sulla  propria  identita')  o il voto in piu'
 sezioni, e condotte che non presupporrebbero necessariamente il dolo,
 come la plurima sottoscrizione di candidature, che sarebbe spesso  la
 conseguenza  "di  colposa  negligenza  o di sconoscenza del divieto".
 Tanto piu'  macroscopica  sarebbe  la  differenza  fra  l'ipotesi  in
 questione e quella di sottoscrizione con nome altrui di dichiarazione
 di  presentazione di candidatura, equiparandosi la sottoscrizione non
 viziata di falsita' a quella falsa.
   In secondo  luogo,  secondo  il  remittente,  la  norma  denunciata
 sarebbe  irragionevole  e realizzerebbe una ingiustificata disparita'
 di trattamento rispetto a quanto previsto per l'identica condotta  di
 sottoscrizione  plurima  di  candidature  dall'art.  106  della legge
 elettorale politica (d.P.R. 30 marzo 1957, n. 361,  approvazione  del
 testo  unico  delle  leggi recanti norme per la elezione della Camera
 dei deputati),  che  prevede  una  pena  di  gran  lunga  piu'  lieve
 (reclusione  fino  a  tre  mesi  o multa sino a lire 2.000.000). Tale
 diversita' di trattamento non sarebbe giustificabile nemmeno sotto il
 profilo   delle   differenti  realta'  rappresentate  dalle  elezioni
 amministrative e  da  quelle  politiche,  perche',  se  cosi'  fosse,
 risulterebbe  incongruo  il  trattamento  penale piu' grave riservato
 invece, in occasione delle elezioni politiche,  al  caso  di  chi  si
 presenta  a  dare  il  voto assumendo il nome altrui (art. 103, terzo
 comma, del decreto del Presidente della Repubblica n. 361 del  1957).
 In  ogni  caso,  secondo  il  remittente,  la giustificazione data in
 passato alla maggiore severita'  della  norma  impugnata  rispetto  a
 quella  che  punisce  la  plurima  sottoscrizione  in occasione delle
 elezioni politiche, e cioe' il piu' limitato ambito territoriale  dei
 collegi  amministrativi  e  la  conseguente maggiore animosita' della
 competizione, non varrebbe piu' oggi, dopo l'introduzione del sistema
 elettorale maggioritario che prevede nelle elezioni politiche collegi
 piu' ristretti e sostanzialmente coincidenti con quelli previsti  per
 le elezioni amministrative.
   La  rilevanza  della  questione,  secondo  il  remittente,  sarebbe
 evidente,  dipendendo  la  decisione  di  applicazione   della   pena
 dall'inesistenza dei vizi di costituzionalita' denunciati.
   2.  -  Richiesto  dell'emissione di un decreto penale di condanna a
 carico di una elettrice imputata di aver sottoscritto  due  liste  di
 candidati  alle  elezioni del consiglio comunale di Udine, il giudice
 per le indagini preliminari presso la pretura di Udine, con ordinanza
 emessa il 19 febbraio 1996, pervenuta a questa  Corte  il  20  maggio
 1996  (r.o.  n. 551 del 1996), ha sollevato questione di legittimita'
 costituzionale, in riferimento agli artt. 3, primo comma, e 27, terzo
 comma, della Costituzione, del  medesimo  art.  93  del  decreto  del
 Presidente della Repubblica n. 570 del 1960.
   Ad  avviso  dell'autorita'  remittente,  il  sistema  sanzionatorio
 penale in materia elettorale sarebbe affetto da profonda  incoerenza,
 in quanto la sottoscrizione plurima di dichiarazioni di presentazione
 di  candidature sarebbe punita con una pena minima di quindici giorni
 di reclusione e di lire 10.000 di multa nelle elezioni comunali;  con
 una  pena  minima  di  sole  lire  10.000  di  multa  nelle  elezioni
 politiche,  e  addirittura  non   sarebbe   punita   nelle   elezioni
 provinciali.   Cio'   sarebbe   in  contrasto  con  il  canone  della
 ragionevolezza, e  si  tradurrebbe  in  arbitraria  e  ingiustificata
 disparita'   di   trattamento,   in   violazione  dell'art.  3  della
 Costituzione, nonche' in vanificazione  del  fine  rieducativo  della
 pena,  in  violazione  dell'art. 27, terzo comma, della Costituzione.
 Coerenza vorrebbe che vi fosse un regime unitario, o, addirittura, la
 maggiore  importanza  delle  elezioni   politiche   potrebbe   semmai
 comportare  una  maggiore  severita'  per  le  violazioni commesse in
 occasione di queste ultime.
   Il  giudice  a   quo   ricorda   che   la   stessa   questione   di
 costituzionalita'  fu  dichiarata  non  fondata  in  passato  con  la
 sentenza n. 45 del 1967 di questa Corte,  poi  confermata  da  alcune
 ordinanze:  ma ripropone la questione sia in relazione all'assenza di
 sanzioni che vi sarebbe per la medesima condotta in  occasione  delle
 elezioni  provinciali, sia in considerazione delle riforme introdotte
 nelle piu'  recenti  leggi  elettorali,  che  avrebbero  praticamente
 equiparato   tra   loro   le  dichiarazioni  di  presentazione  delle
 candidature in occasione delle varie elezioni, senza  pero'  incidere
 minimamente   sulla   qualita'  e  quantita'  delle  sanzioni  penali
 rispettivamente previste in relazione ad esse.  L'attuale  condizione
 di  squilibrio  e di disparita' di trattamento non avrebbe una chiara
 giustificazione;  e  lederebbe   il   principio   costituzionale   di
 eguaglianza, per la sua irragionevolezza e per la sproporzione tra la
 pena prevista e il disvalore del fatto illecito, nonche' il principio
 di   cui  all'art.  27,  terzo  comma,  della  Costituzione,  per  la
 previsione di una pena manifestamente eccessiva rispetto al disvalore
 dell'illecito,  che  determinerebbe   la   vanificazione   del   fine
 rieducativo costituzionalmente imposto alla pena.
    In  punto  di  rilevanza, il remittente osserva che dalla discussa
 legittimita' della norma impugnata dipendono le scelte procedimentali
 cui egli e' chiamato,  cioe'  l'emissione  del  decreto  di  condanna
 ovvero  la declaratoria che il fatto non e' previsto dalla legge come
 reato.
   3. - La medesima autorita' di cui al punto 2, nel corso di analoghi
 giudizi, ha sollevato, con tredici ordinanze emesse  il  16  febbraio
 1996,  pervenute a questa Corte il 20 maggio 1996 (r.o. nn. 552, 553,
 554, 555, 557, 560, 561, 563 e 564), e il 19 febbraio 1996, pervenute
 a questa Corte anch'esse il 20 maggio 1996 (r.o. nn. 556, 558, 559  e
 562  del  1996),  identica  questione,  svolgendo  considerazioni del
 medesimo tenore.
                        Considerato in diritto
   1. - Tutte le ordinanze sollevano la medesima questione,  sia  pure
 sotto  profili  solo  in  parte  coincidenti, onde i relativi giudizi
 possono essere riuniti e decisi con unica sentenza.
   2. - La questione sollevata dal pretore di Modica e'  inammissibile
 per difetto di motivazione sulla rilevanza.
   Il  remittente  e'  investito  di  un  procedimento relativo ad una
 ipotesi  di  sottoscrizione,  da  parte   di   un   elettore,   della
 presentazione  di  piu'  liste  di  candidati  per  le  elezioni  del
 consiglio della provincia  regionale  di  Ragusa,  ipotesi  che  egli
 riconduce  alla  fattispecie  sanzionata  dall'art.  93 del d.P.R. 16
 maggio 1960, n. 570. Ma le elezioni provinciali in Sicilia  non  sono
 disciplinate  da  tale decreto, che riguarda la elezione degli organi
 delle amministrazioni  comunali,  con  esclusione  dei  comuni  delle
 regioni  ad autonomia speciale, ove l'ordinamento comunale e' oggetto
 di una competenza  legislativa  regionale  (come  e'  il  caso  della
 Sicilia,  ai  sensi  dell'art.  15, comma 3, dello statuto speciale),
 bensi' dalla legge regionale 9 maggio 1969, n.  14. Ora,  tale  legge
 regionale  contiene  all'art.  11,  secondo  comma,  come  ricorda il
 remittente,  solo  il  precetto  secondo  cui  nessun  elettore  puo'
 sottoscrivere  piu' di una lista di candidati; e il giudice a quo non
 chiarisce a quale titolo e in base a quale ricostruzione del  sistema
 egli ritiene applicabile alla specie la disposizione penale contenuta
 nella  legge  statale sulle elezioni comunali, della cui legittimita'
 costituzionale egli dubita. In assenza di  qualsiasi  motivazione  in
 proposito, e poiche' la valutazione della rilevanza spetta al giudice
 a  quo,  salvo  il  controllo "esterno" di questa Corte, la questione
 sollevata non puo' essere ritenuta ammissibile.
   3. - E' ammissibile invece la questione sollevata con le  ordinanze
 del  giudice  per le indagini preliminari presso la pretura di Udine,
 pronunciate nel corso  di  procedimenti  relativi  a  fattispecie  di
 plurima  sottoscrizione  di  liste  di  candidati  alla  elezione del
 consiglio comunale di Udine: con esse si censura, sotto piu' profili,
 l'art.   93 del decreto del Presidente  della  Repubblica  n.570  del
 1960, in quanto sanziona con la pena della reclusione fino a due anni
 e  della multa fino a lire 100.000 - ovvero fino a lire 4.000.000, se
 si ritenga applicabile anche l'aumento  disposto  dall'art.  3  della
 legge  12  luglio 1961, n. 603 - il comportamento di chi "sottoscrive
 piu' di una dichiarazione di presentazione di candidatura". In  primo
 luogo   si   denuncia   la  incoerenza  del  sistema  normativo,  che
 prevederebbe per lo stesso comportamento  -  sottoscrizione  di  piu'
 liste  di  candidati  -  una  pena  piu'  severa nel caso di elezioni
 comunali, una meno  severa  nel  caso  delle  elezioni  politiche,  e
 addirittura  nessuna pena nel caso delle elezioni provinciali, in tal
 modo realizzando  una  disparita'  di  trattamento  ingiustificata  e
 violando i canoni della ragionevolezza e della proporzionalita' della
 pena  rispetto  al  disvalore del fatto illecito commesso. In secondo
 luogo si lamenta la  violazione  dell'art.  27,  terzo  comma,  della
 Costituzione,  in  quanto la sanzione prevista sarebbe manifestamente
 eccessiva  rispetto  al  disvalore  dell'illecito  e   determinerebbe
 percio'   la   vanificazione   del   fine   rieducativo   della  pena
 costituzionalmente imposto.
   4. - La questione e' infondata sotto tutti i profili denunciati.
   Alla conclusione di infondatezza si deve in  primo  luogo  giungere
 con  riguardo alla pretesa sproporzione fra disvalore dell'illecito e
 sanzione comminata. La  valutazione  di  adeguatezza  delle  sanzioni
 penali  in  relazione alla gravita' dell'illecito spetta infatti alla
 discrezionalita'   del   legislatore,   col    limite    della    non
 irragionevolezza (cfr., ex plurimis, sentenze n. 25 del 1994 e n. 333
 del  1992;  ordinanza  n.  220  del  1996):  nella  specie,  la norma
 impugnata commina pene, detentiva e pecuniaria, determinate solo  nel
 massimo  e  non  nel  minimo, e dunque consente che i fatti di minore
 gravita' siano puniti in concreto  con  l'applicazione  di  pene  che
 possono non superare l'entita' minima stabilita in via generale dagli
 artt.  23  e  24  del codice penale.   Non puo' pertanto dirsi che il
 trattamento sanzionatorio riservato alla condotta considerata  appaia
 di per se' manifestamente irragionevole.
   5. - Per la stessa ragione, non puo' ritenersi contraddetto il fine
 rieducativo  della  pena,  imposto  dall'art.  27, terzo comma, della
 Costituzione, da una sanzione determinata solo nel massimo, e  quindi
 irrogabile  in  concreto  entro il limite inferiore corrispondente ai
 minimi stabiliti in via generale per ciascuna specie di pena.
   6. -  Piu'  delicati  sono  i  profili  attinenti  alla  denunciata
 disparita'   di   trattamento   rispetto  alle  medesime  condotte  -
 sottoscrizione di piu' dichiarazioni di presentazione di  candidature
 -  tenute in occasione di altre elezioni, e precisamente, da un lato,
 delle  elezioni  provinciali,   dall'altro   lato,   delle   elezioni
 politiche.
   Per  quanto  riguarda  il primo aspetto, anche a voler accettare la
 premessa interpretativa del giudice a quo, secondo cui il divieto non
 sarebbe in questo caso assistito da  alcuna  previsione  di  sanzioni
 penali - nonostante il rinvio alla disciplina dettata per le elezioni
 dei consigli comunali, in quanto compatibile, contenuto nell'art.  8,
 secondo  comma,  della  legge  8  marzo 1951, n. 122 (con tecnica non
 dissimile da quella impiegata dalla legge sull'elezione  del  Senato,
 che  rinvia  per quanto in essa non disposto alle norme stabilite per
 la elezione della Camera dei deputati, in  quanto  compatibili:  cfr.
 art.  27  del d.P.R. 20 dicembre 1993, n. 533) -, deve osservarsi che
 l'ipotetica  assenza  di norme penali, applicabili in occasione delle
 elezioni provinciali, volte a  sanzionare  detto  comportamento,  mai
 potrebbe  essere  invocata per far cadere le previsioni sanzionatorie
 contenute nelle altre leggi elettorali,  e  cosi'  nell'art.  93  del
 testo  unico n. 570 del 1960. Infatti, il principio costituzionale di
 eguaglianza non potrebbe essere invocato per estendere una eccezione,
 in  verita'  anomala,   in   un   quadro   normativo   caratterizzato
 tradizionalmente dall'opposto principio della punibilita' di condotte
 considerate  dal  legislatore, non irragionevolmente, lesive del bene
 costituzionalmente  protetto  della  genuinita'  delle   competizioni
 elettorali,  compromessa dall'uso indebito delle facolta' connesse al
 diritto di elettorato attivo.
   7. - Resta il  profilo  relativo  alla  disparita'  di  trattamento
 sanzionatorio  della medesima condotta in occasione, rispettivamente,
 delle elezioni comunali  e  di  quelle  politiche.  In  proposito  e'
 opportuna  una  premessa  sui  caratteri  del  sistema  sanzionatorio
 vigente in materia elettorale.
   I reati elettorali, in base ad  una  tradizione  legislativa  assai
 risalente,  non  costituiscono fattispecie disciplinate in generale e
 applicabili a qualunque tipo  di  consultazione,  ma  vengono  invece
 previsti e delineati da norme specifiche che accedono, nell'ambito di
 ciascun  corpo  legislativo,  alla disciplina delle diverse specie di
 elezioni.  In  particolare,  per  quanto  riguarda  le  elezioni  dei
 consigli comunali, gia' il d.lgs.lgt. 7 gennaio 1946, n. 1, conteneva
 un   capo   IV  del  titolo  II  dedicato  alle  disposizioni  penali
 (riprendendo in buona parte la corrispondente  legge  in  vigore  nel
 periodo  prefascista:  cfr. il capo IV del titolo III del testo unico
 della legge comunale e provinciale dettato con r.d. 4 febbraio  1915,
 n.  148):  in  tale  ambito  si  collocava l'art. 78, primo comma, di
 tenore esattamente corrispondente alla disposizione  qui  denunciata,
 in  seguito  riprodotto senza variazioni nell'art. 86 del testo unico
 approvato con d.P.R.   5  aprile  1951,  n.  203,  e  successivamente
 nell'art.  93  del  testo  unico approvato con decreto del Presidente
 della Repubblica n. 570 del 1960. A sua volta il  testo  unico  delle
 leggi per la elezione della Camera dei deputati, approvato con d.P.R.
 5  febbraio  1948,  n. 26 - in gran parte, come e' noto, riproduttivo
 del d.lgs.lgt. 10 marzo 1946, n. 74, sulla elezione  della  Assemblea
 costituente:  il  quale  a sua volta riprendeva largamente, in questo
 campo, le leggi del periodo prefascista -, conteneva nel titolo VI le
 disposizioni penali poi trasfuse  nel  titolo  VII  del  testo  unico
 approvato  con d.P.R.  30 marzo 1957, n. 361, titolo rimasto in larga
 parte invariato anche dopo la riforma recata  dalla  legge  4  agosto
 1993,   n.  277.  In  questo  ambito,  una  disposizione  esattamente
 corrispondente a quella dell'art.   106 del testo  unico  in  vigore,
 invocata  dal  giudice a quo come tertium comparationis, si ritrovava
 gia'  nell'art.   16,   quinto   comma,   del   decreto   legislativo
 luogotenenziale  n.  74  del  1946  (e vedi prima ancora, ad esempio,
 l'art. 66, comma secondo, del  testo  unico  approvato  con  r.d.  26
 giugno  1913, n. 821), e poi, inserita nel titolo dedicato alle norme
 penali, nell'art. 80  del  testo  unico  approvato  con  decreto  del
 Presidente della Repubblica n. 26 del 1948.
   La   comparazione  fra  i  due  gruppi  di  testi  mostra  come  il
 legislatore abbia seguito tecniche diverse, per quanto  attiene  alla
 disciplina    sanzionatoria    penale,    riguardo    alle   elezioni
 amministrative  e,  rispettivamente,  a   quelle   politiche.   Nella
 normativa  relativa  a  queste  ultime  si configurava in origine una
 fattispecie di illecito (punita con la reclusione fino a due  anni  e
 con  la  multa  fino a lire 20.000) comprensiva di vari comportamenti
 estrinsecantisi nell'esercizio indebito  dei  diritti  di  elettorato
 attivo  (presentazione  al  voto  di  chi non e' titolare del diritto
 elettorale, o assumendo nome  altrui,  esercizio  del  voto  in  piu'
 sezioni  elettorali,  voto  espresso  in difformita' dall'indicazione
 ricevuta da parte di colui  che  voti  per  un  elettore  fisicamente
 impedito:      cfr.   art.   76,  primo  comma,  decreto  legislativo
 luogotenenziale n.74 del 1946; art. 77, primo comma, testo  unico  n.
 26  del  1948).  A parte veniva invece considerata e punita (con pena
 della reclusione fino a tre mesi o della multa fino  a  lire  10.000)
 l'ipotesi  della  sottoscrizione  di  piu'  di una lista di candidati
 (art. 16, quinto comma, decreto legislativo luogotenenziale n. 74 del
 1946; art. 80 testo unico n.  26 del 1948).
   Nel testo unico n. 361 del 1957 si configuravano diverse specifiche
 fattispecie, corrispondenti ai diversi comportamenti prima descritti,
 graduandosene  la  gravita':  e  cosi'  prevedendosi  la  pena  della
 reclusione  fino  a due anni e della multa fino a lire 20.000 per chi
 si presenti a dare il voto essendo privo del relativo  diritto  (art.
 103, primo comma); la pena della reclusione da uno a tre anni e della
 multa  fino  a lire 50.000 per l'infedelta' nell'espressione del voto
 per conto dell'elettore impedito (art. 103, secondo comma);  la  pena
 della reclusione da tre a cinque anni e della multa da lire 100.000 a
 lire  500.000  per  chi  si presenti a dare il voto assumendo il nome
 altrui o dia il voto in piu'  sezioni  elettorali  (art.  103,  terzo
 comma);  infine  la  pena  -  gia'  originariamente  prevista - della
 reclusione fino a tre mesi o della multa sino a lire  10.000  per  la
 plurima sottoscrizione di candidature (art. 106).
   Viceversa  nella legge sulle elezioni comunali i vari comportamenti
 estrinsecantisi in un indebito esercizio del  diritto  di  elettorato
 attivo  -  sottoscrizione  di  candidatura  da  parte  di chi non sia
 elettore o di chi sottoscrive con nome  altrui  (ipotesi  queste  non
 specificamente   contemplate   dalla   legge   elettorale  politica),
 presentazione  al  voto  da  parte   di   chi   non   sia   elettore,
 sottoscrizione di piu' dichiarazioni di presentazione di candidature,
 voto  in  piu'  sezioni  elettorali  -  furono ricondotti ad un'unica
 comprensiva fattispecie di illecito penale, punita con la  reclusione
 fino  a  due  anni  e  con  la multa fino a lire 20.000, cioe' con la
 stessa pena prevista all'origine, per  l'ipotesi  base  a  sua  volta
 comprensiva  di  diverse  condotte,  dalla  legge elettorale politica
 (mentre  l'infedelta'  nell'espressione  del  voto   per   l'elettore
 impedito  fu assimilata all'enunciazione fraudolenta di voti da parte
 di componenti dell'ufficio elettorale, e punita  con  la  pena  della
 reclusione  da  uno  a  sei  anni e con la multa da lire 5.000 a lire
 20.000): e questa scelta e' rimasta invariata nel  tempo,  fino  agli
 artt. 93 e 94 del testo unico in vigore.
   8.  -  E'  evidente  la  conseguenza della diversa tecnica seguita.
 Nell'un caso, e cioe' nella legge elettorale politica, il legislatore
 ha  distinto  fra  diverse  condotte,  commisurando,  attraverso   la
 delineazione  di  fattispecie diverse, la pena edittale alla ritenuta
 maggiore o minore gravita' astratta del  fatto;  e  in  questa  scala
 l'illecito  consistente  nella  sottoscrizione  di  piu'  candidature
 occupa   il  gradino  piu'  basso,  corrispondendovi  la  pena  della
 reclusione fino  a  tre  mesi  o  della  multa  (oggi)  fino  a  lire
 2.000.000.   Nell'altro   caso,   e   cioe'  nella  legge  elettorale
 amministrativa, la scelta della  configurazione  di  una  fattispecie
 comprensiva  delle  diverse  condotte ha portato a prevedere una pena
 congiunta, detentiva e pecuniaria,  affidandone  la  graduazione,  in
 rapporto  alla  gravita' del fatto, alla determinazione della pena in
 concreto  da  parte  del  giudice,  nell'ambito  dell'ampio  arco  di
 variabilita' consentito dalla fissazione della pena edittale solo nel
 massimo.
   Quest'ultima  scelta  -  di configurare cioe' una unica fattispecie
 comprensiva di piu' sotto-fattispecie, tutte punibili  con  una  pena
 fissata  solo nel massimo, e dunque tale da consentire la modulazione
 della sanzione da irrogare  in  concreto  in  rapporto  alla  diversa
 gravita'  dell'illecito  -  non  e'  di  per  se'  costituzionalmente
 preclusa al legislatore (cfr. sentenze n. 272 del 1991 e  n.  67  del
 1992;  ordinanza  n.  220  del 1996), sempreche' non travalichi in un
 vero e proprio "sovvertimento del rapporto  tra  il  principio  della
 riserva   alla   legge   del   trattamento   sanzionatorio  e  quello
 dell'individualizzazione della pena"  (sentenza  n.  285  del  1991).
 Nella  specie, tutti i comportamenti descritti nell'art. 93 del testo
 unico n. 570 del 1960 hanno in comune fra di loro l'uso indebito  del
 diritto  di elettorato attivo, con conseguente lesione del bene della
 genuinita'  della  competizione  elettorale,   o   perche'   incidono
 sull'esito  del  voto,  o perche' (come nel caso delle sottoscrizioni
 delle  dichiarazioni  di  candidatura)  incidono   sulle   condizioni
 legalmente   stabilite   per   la  partecipazione  alla  competizione
 medesima. Non puo' dunque  ritenersi  di  per  se'  irragionevole  la
 scelta  fatta  dal  legislatore; ne' del resto si appuntano su questo
 aspetto le censure del giudice per le indagini preliminari presso  la
 pretura  di Udine, che invece sottolinea la diversita' di trattamento
 risultante dalle due norme, rispettivamente  relative  alle  elezioni
 amministrative e alle elezioni politiche.
   9.  - Naturalmente la semplice constatazione che le due norme poste
 a raffronto facciano parte di sistemi distinti ed autonomi non  basta
 ad  escludere che sia irragionevole il risultato normativo: il canone
 della ragionevolezza deve trovare applicazione non  solo  all'interno
 dei  singoli  comparti  normativi,  ma  anche con riguardo all'intero
 sistema.
   Tuttavia, nella specie, la disparita', in termini di pena edittale,
 del   trattamento   penale   della   condotta    consistente    nella
 sottoscrizione  di  piu'  dichiarazioni di candidatura, fra l'ipotesi
 delle elezioni  comunali  e  quella  delle  elezioni  politiche,  non
 discende  da  una  diversa  valutazione  in  astratto, effettuata dal
 legislatore,  della  gravita'  dei  rispettivi  comportamenti.   Essa
 risulterebbe  invero  ben difficilmente giustificabile, anche tenendo
 conto  delle  differenze   fra   elezioni   politiche   ed   elezioni
 amministrative,    ancorche'    si   considerassero   queste   ultime
 suscettibili  di  una  disciplina  ragionevolmente   diversa   quanto
 all'aspetto in esame, per il loro carattere locale (cosi' la sentenza
 n. 45 del 1967) e per la frequente maggiore ristrettezza degli ambiti
 territoriali interessati (non eliminata nemmeno dalla recente riforma
 del  sistema  elettorale politico, atteso che gli ambiti territoriali
 dei comuni sono pur sempre, per  lo  piu',  inferiori  a  quelli  dei
 collegi  elettorali  per l'elezione delle Camere). Tale disparita' di
 trattamento sanzionatorio  penale  discende  piuttosto,  come  si  e'
 visto,  dalla scelta legislativa di configurare una fattispecie ampia
 e comprensiva di diverse condotte, anziche' una fattispecie specifica
 relativa alla condotta in esame.
   Un corretto raffronto fra le due  ipotesi  sanzionatorie,  ai  fini
 della  valutazione di ragionevolezza del diverso trattamento previsto
 rispettivamente dalla norma denunciata  e  da  quella  invocata  come
 tertium  comparationis,  non puo' prescindere dalla diversa struttura
 delle  due  norme:  per  effetto  della   quale   comportamenti   che
 nell'ambito  delle elezioni politiche e in forza della relativa legge
 sono distintamente considerati e puniti,  nel  diverso  ambito  delle
 elezioni  amministrative  vengono  ad  essere assoggettati tutti alla
 stessa norma sanzionatoria (l'art. 93 del  testo  unico  n.  570  del
 1960),  che commina una pena, nel massimo, volta a volta uguale (cfr.
 art. 103, primo comma, decreto del Presidente della Repubblica n. 361
 del 1957), inferiore (cfr.    art.  103,  terzo  comma,  decreto  del
 Presidente della Repubblica cit.), o superiore (cfr. art. 106 decreto
 del  Presidente  della  Repubblica  cit.)  a  quella  prevista  dalle
 corrispondenti norme della legge elettorale politica, mentre  non  e'
 determinata  nel minimo, a differenza di quanto accade per le ipotesi
 piu' severamente punite da quest'ultima legge (cfr. art.  103,  terzo
 comma, decreto del Presidente della Repubblica cit.).
   10.  -  In  concreto,  gli  ampi  margini della scelta demandata al
 giudice, dalla norma denunciata, in  ordine  alla  pena,  uniti  agli
 altri  strumenti offerti al giudice stesso dall'ordinamento (cosi' la
 convertibilita' delle pene detentive brevi in  pene  pecuniarie,  con
 conseguente  inapplicabilita' della pena accessoria della sospensione
 del diritto elettorale e dai pubblici uffici  di  cui  all'art.  102,
 primo  comma,  del decreto del Presidente della Repubblica n. 570 del
 1960), consentono di  pervenire  all'applicazione  di  pene,  se  non
 eguali   (trattandosi  nell'ipotesi  in  esame  pur  sempre  di  pena
 congiunta della reclusione e della  multa,  laddove  l'art.  106  del
 decreto  del  Presidente della Repubblica n.  361 del 1957 prevede le
 due pene come  alternative),  comunque  non  irrazionalmente  diverse
 nelle due ipotesi.
   11.  - In definitiva, dunque, puo' riconoscersi nella diversita' di
 disciplina  denunciata  il  frutto  di   scelte   discrezionali   del
 legislatore,   tali   da  non  valicare  il  limite  della  manifesta
 irragionevolezza.
   Nondimeno occorre ribadire che il perpetuarsi, in  questa  materia,
 di  tradizioni  legislative diverse da' luogo ad un sistema normativo
 alquanto  disarmonico  e  non  ben  coordinato:  onde  va   reiterato
 l'invito,  da gran tempo rivolto anche da questa Corte al legislatore
 (sentenze n. 45 del 1967, n. 121 del 1980), perche'  provveda  ad  un
 riordino  complessivo  del  sistema  sanzionatorio  in  tema di reati
 elettorali.
                           Per questi motivi
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
   Riuniti  i  giudizi,  dichiara  inammissibile   la   questione   di
 legittimita'  costituzionale  dell'art. 93 del d.P.R. 16 maggio 1960,
 n. 570 (testo unico delle leggi per la  composizione  e  la  elezione
 degli   organi   delle   amministrazioni   comunali),  sollevata,  in
 riferimento agli artt.  3 e 27 della  Costituzione,  dal  pretore  di
 Modica con l'ordinanza indicata in epigrafe;
   Dichiara  non  fondata  la questione di legittimita' costituzionale
 del medesimo art. 93 del decreto del Presidente della  Repubblica  n.
 570  del  1960 sollevata, in riferimento agli artt. 3, primo comma, e
 27, terzo comma, della Costituzione,  dal  giudice  per  le  indagini
 preliminari  presso  la pretura di Udine con le ordinanze indicate in
 epigrafe.
   Cosi' deciso  in  Roma,  nella  sede  della  Corte  costituzionale,
 Palazzo della Consulta, il 25 marzo 1997.
                        Il Presidente: Granata
                          Il redattore: Onida
                       Il cancelliere: Di Paola
   Depositata in cancelleria l'8 aprile 1997.
               Il direttore della cancelleria: Di Paola
 97C0321