N. 85 SENTENZA 25 marzo - 8 aprile 1997

 
 
 Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale.
 
 Sanita' pubblica  -  Frodi  alimentari  -  Trattamento  sanzionatorio
 penale  -  Sospensione  condizionale  della pena e non menzione della
 condanna nel certificato del casellario  giudiziale  -  Disciplina  -
 Previsione  relativamente  ai  reati contravvenzionali con esclusione
 per  i  delitti  -  Discrezionalita'  legislativa  nell'ambito di una
 valutazione delle fattispecie penali a seconda della loro particolare
 gravita' - Non fondatezza.
 
 (Legge 30 aprile 1962, n. 283, art. 6, quinto comma).
 
 (Cost., artt. 3, primo comma, e 27, terzo comma).
 
(GU n.16 del 16-4-1997 )
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
 composta dai signori:
  Presidente: dott. Renato GRANATA;
  Giudici: prof. Giuliano  VASSALLI,  prof.  Francesco  GUIZZI,  prof.
 Cesare  MIRABELLI,  prof.  Fernando  SANTOSUOSSO,  avv. Massimo VARI,
 dott.  Cesare  RUPERTO,  dott.  Riccardo   CHIEPPA,   prof.   Gustavo
 ZAGREBELSKY,  prof.  Valerio  ONIDA,  prof.  Carlo  MEZZANOTTE,  avv.
 Fernanda CONTRI,  prof.  Guido  NEPPI  MODONA,  prof.  Piero  Alberto
 CAPOTOSTI;
 ha pronunciato la seguente
                                Sentenza
 nel  giudizio  di  legittimita'  costituzionale  dell'art.  6, quinto
 comma, della legge 30 aprile 1962, n. 283 (Modifica degli artt.  242,
 243,  247,  250 e 262 del testo unico delle leggi sanitarie approvato
 con  r.d.  27  luglio  1934,  n.  1265.  Disciplina  igienica   della
 produzione   e  della  vendita  delle  sostanze  alimentari  e  delle
 bevande), promosso con ordinanza  emessa  il  20  dicembre  1995  dal
 pretore  di  Benevento  nel  procedimento penale a carico di Barletta
 Luigi ed altro, iscritta al n. 229  del  registro  ordinanze  1996  e
 pubblicata  nella  Gazzetta  Ufficiale  della Repubblica n. 12, prima
 serie speciale, dell'anno 1996.
   Visto  l'atto  di  intervento  del  Presidente  del  Consiglio  dei
 Ministri;
   Udito  nella  camera  di  consiglio del 27 novembre 1996 il giudice
 relatore Carlo Mezzanotte.
                           Ritenuto in fatto
   1.  -    Con  ordinanza  in  data  20  dicembre  1995 il pretore di
 Benevento ha sollevato questione di legittimita'  costituzionale,  in
 riferimento  agli  artt.  3,  primo  comma,  e 27, terzo comma, della
 Costituzione, dell'art. 6, quinto comma, della legge 30 aprile  1962,
 n. 283 (Modifica degli artt. 242, 243, 247, 250 e 262 del testo unico
 delle  leggi  sanitarie  approvato  con r.d. 27 luglio 1934, n. 1265.
 Disciplina igienica della produzione e della vendita  delle  sostanze
 alimentari e delle bevande), secondo il quale in caso di condanna per
 frode  tossica  o  comunque  dannosa  alla salute non si applicano le
 disposizioni  degli  artt.  163  e  175  del   codice   penale,   che
 rispettivamente    disciplinano    i   benefici   della   sospensione
 condizionale della pena e  della  non  menzione  della  condanna  nel
 certificato del casellario giudiziale.
   Preliminarmente  il  giudice  a  quo  afferma  la  rilevanza  della
 questione, in quanto nel processo penale innanzi  a  lui  pendente  a
 carico  di Barletta Luigi e Barletta Giacomo per il reato di cui agli
 artt.  81 cod. pen., 5, lettera b), e 6 della legge n. 283 del  1962,
 proprio   per  effetto  della  disposizione  censurata,  in  caso  di
 affermazione della  responsabilita'  degli  imputati,  non  sarebbero
 applicabili  la sospensione condizionale della pena e la non menzione
 della condanna,  benefici  dei  quali  i  condannati  potrebbero,  in
 astratto,  godere,  trattandosi di persone incensurate o comunque con
 precedenti penali non ostativi.
   Premesso  che  i  delitti  nel  nostro  sistema  penale  presentano
 maggiore gravita' rispetto alle contravvenzioni, il remittente rileva
 che  l'art. 6, quinto comma, della legge n. 283 del 1962 impedisce la
 concessione dei benefici di cui agli artt. 163 e 175 cod. pen. per  i
 reati  contravvenzionali  di cui agli artt. 5 e 6 della citata legge,
 mentre tali benefici possono essere concessi  indistintamente  a  chi
 abbia  commesso  delitti  previsti  dal  codice penale a tutela della
 salute alimentare dei cittadini, sicuramente piu' gravi delle ipotesi
 contravvenzionali  disciplinate  dalla  legge  speciale,   le   quali
 avrebbero  per di piu', in taluni casi, secondo un orientamento della
 Corte di cassazione,  carattere  sussidiario  rispetto  ad  essi  (ad
 esempio il delitto di vendita di sostanze alimentari non genuine come
 genuine, previsto dall'art. 516 cod. pen.).
   Il  fatto  che  fattispecie meno gravi ricevano una disciplina meno
 favorevole di quella  riservata  a  fattispecie  piu'  gravi,  aventi
 identico  oggetto  giuridico,  violerebbe il principio di eguaglianza
 dei  cittadini  davanti  alla  legge,  determinando  una  irrazionale
 disparita' di trattamento.
   Ad   avviso   del   giudice   a   quo  la  disposizione  denunciata
 contrasterebbe  altresi'  con   l'art.   27,   terzo   comma,   della
 Costituzione,  poiche'  le  esigenze  di  rieducazione  che  tende  a
 soddisfare  l'istituto  della  sospensione  condizionale  della  pena
 (evitare  il  carcere al condannato a pene detentive di breve durata,
 essendo nei suoi confronti sufficiente il deterrente della condanna e
 della possibile futura esecuzione della  pena)  sarebbero  del  tutto
 frustrate,  dovendo  l'imputato comunque scontare in carcere la pena,
 anche se condannato per reati non  eccessivamente  gravi  e  comunque
 piu'  lievi  di  altri per i quali e' concedibile il beneficio di cui
 all'art. 163 cod. pen.
   Anche  l'impossibilita' di fruire della non menzione della condanna
 nel certificato del casellario giudiziale per reati contravvenzionali
 puniti con pene detentive brevi impedirebbe la risocializzazione  del
 condannato, scopo al quale tende l'art. 175 cod. pen.
   2.  -  E'  intervenuto  in giudizio il Presidente del Consiglio dei
 Ministri,  rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura  generale  dello
 Stato, chiedendo che la questione sia dichiarata infondata.
   Ad  avviso  dell'Avvocatura,  il  superiore  interesse della salute
 pubblica nella produzione e nel commercio delle  sostanze  alimentari
 imporrebbe  di  sanzionare  tutti  i comportamenti di coloro che, sia
 pure  non  dolosamente,  producano  e  distribuiscano  sostanze   che
 presentino  carenze  degli  elementi  nutritivi richiesti dalle leggi
 vigenti:  proprio  tale  finalita'   della   disposizione   censurata
 porterebbe  ad  escludere  qualunque  contrasto  con  l'art.  3 della
 Costituzione.
   L'Avvocatura rileva ancora che, mentre le  contravvenzioni  di  cui
 agli  artt.  5 e 6 della legge n. 283 del 1962 mirerebbero a tutelare
 la salute pubblica, le disposizioni di cui agli artt. 515 e  516  del
 codice penale garantirebbero l'ordine economico.
   Infine,  ad avviso dell'Avvocatura, le contravvenzioni in esame non
 potrebbero essere ricomprese tra i reati "non eccessivamente  gravi",
 come  ritenuto  dal  Pretore, proprio perche' previste a salvaguardia
 della   salute   pubblica,   bene   essenziale,   la    cui    tutela
 giustificherebbe l'immediata esecuzione della pena.
                        Considerato in diritto
   1.  -    La questione di legittimita' costituzionale investe l'art.
 6, quinto comma, della legge 30  aprile  1962,  n.  283,  secondo  il
 quale,  in caso di condanna per frode tossica o comunque dannosa alla
 salute, non si applicano le disposizioni degli artt. 163  e  175  del
 codice  penale,  che  disciplinano rispettivamente il beneficio della
 sospensione condizionale della pena e quello della non menzione della
 condanna nel certificato del casellario giudiziale.
    Ad avviso  del  giudice  remittente,  la  disposizione  denunciata
 violerebbe  l'art.  3  della  Costituzione,  poiche'  essa troverebbe
 applicazione solo con  riferimento  alle  contravvenzioni  per  frode
 alimentare previste e punite negli artt. 5 e 6 della legge n. 283 del
 1962,  che  si  qualifichino  come  tossiche  o comunque dannose alla
 salute, e non anche in relazione a delitti previsti dal codice penale
 a salvaguardia della salute alimentare dei cittadini, che  presentino
 le  medesime  caratteristiche.    I  delitti,  nel nostro ordinamento
 penale, sono considerati  reati  piu'  gravi  delle  contravvenzioni,
 sicche'  la  circostanza  che  fattispecie  meno  gravi  ricevano  un
 trattamento meno favorevole di fattispecie piu' gravi sarebbe tale da
 comportare, di per se', una lesione  del  principio  di  razionalita'
 della  denunciata  disciplina  delle frodi tossiche. Sotto un diverso
 profilo, sarebbe leso l'art. 27,  terzo  comma,  della  Costituzione,
 posto  che  l'istituto  della  sospensione  condizionale  della  pena
 risponde all'esigenza di rieducazione del  condannato,  che  verrebbe
 frustrata  se,  per reati puniti con pene detentive di breve durata e
 piu' lievi di quelli per  i  quali  pure  e'  consentito  al  giudice
 disporre  la  sospensione  condizionale  della pena e la non menzione
 della condanna, il soggetto fosse aprioristicamente escluso  da  tali
 benefici.
   2. - La questione non e' fondata.
   Per  quanto  riguarda  la  pretesa irrazionalita', ipotizzata sulla
 base  di  un'interpretazione  che   esclude   i   benefici   per   le
 contravvenzioni  e ne afferma invece la concedibilita' per le ipotesi
 delittuose, nessun elemento testuale e' suscettibile di  avvalorarla.
 Al contrario, la formulazione dell'art. 6 consente di ritenere che il
 divieto  di  concessione  dei  benefici  e' operante quando si sia in
 presenza di un'attivita' di  preparazione,  produzione,  commercio  e
 vendita  di  sostanze  che risultino tossiche o comunque dannose alla
 salute, allorche' sussistano elementi di frode.
   La circostanza che la disposizione sia inserita nella legge n.  283
 del  1962  che  configura  come  contravvenzioni  gli  illeciti   ivi
 specificamente  previsti,  compiuti  nella produzione e nella vendita
 delle sostanze  alimentari  e  delle  bevande,  anziche'  nel  codice
 penale,  dove  pure  sono  disciplinati  (al  capo  II del titolo VI)
 delitti di comune pericolo  mediante  frode,  non  e'  sufficiente  a
 superare il suo chiaro tenore letterale e a far ritenere che essa non
 si applichi anche a tali delitti. La norma, infatti, non si riferisce
 alle   singole   enumerate  fattispecie  contravvenzionali,  ma,  con
 espressione generale  ed  onnicomprensiva,  si  estende  a  tutte  le
 ipotesi  di condanna (qualunque sia la natura del reato), nelle quali
 all'elemento del pericolo per la collettivita',  rappresentato  dalla
 tossicita'  dell'alimento  o  della  bevanda  o  comunque  dalla  sua
 possibile nocivita' per la salute, si accompagni quello della  frode.
 Vi  rientrano  pertanto  tutti  i  comportamenti fraudolenti, che, in
 quanto tali, sono normalmente sorretti dall'elemento soggettivo della
 volonta' dolosa.
   Il fatto che tale  severa  previsione  sia  stata  introdotta  solo
 successivamente,  allorche'  il  legislatore  ha  posto  mano  ad una
 disciplina generale dell'igiene nella  produzione  degli  alimenti  e
 delle  bevande,  e  non fosse invece gia' presente nel codice penale,
 che  pure  contempla  delitti  ascrivibili  al  genus   delle   frodi
 alimentari, trova giustificazione in ragioni di carattere storico. Il
 passaggio  da  una  produzione  alimentare  su  scala prevalentemente
 artigianale quale quella tenuta presente dal  legislatore  del  1930,
 che  comportava una diffusione di prodotti in ambiti territoriali per
 lo piu' circoscritti, ad una produzione industriale  di  massa  nella
 quale  la  frode alimentare di una singola impresa e' suscettibile di
 mettere a repentaglio la salute dell'intera collettivita'  nazionale,
 spiega  l'opzione  a favore di una specifica tecnica di tutela penale
 dei valori coinvolti; una opzione che, diversamente dalla generalita'
 degli illeciti penali, rispetto ai quali puo' trovare applicazione  -
 entro  limiti  di  pena predeterminati - l'istituto della sospensione
 condizionale,  privilegia  il   principio   dell'effettivita'   della
 espiazione della pena.
   Voler  restringere  l'applicazione  di tale principio agli illeciti
 meno gravi ed  escluderla  per  le  fattispecie  manifestamente  piu'
 gravi,  nelle quali il pericolo di danno alla salute si accompagna ad
 una  attivita'  fraudolenta,  significa   imputare   al   legislatore
 valutazioni irrazionali che in nessun modo sono desumibili dal tenore
 letterale  della  disposizione  contenuta  nell'art. 6, quinto comma,
 della legge n. 283 del 1962.
   D'altra parte, la scelta del legislatore di  accomunare  delitti  e
 contravvenzioni  nella  previsione  di  cui all'art. 6, quinto comma,
 della legge n. 283 del 1962 si inserisce in  una  linea  di  politica
 criminale  che  tende a sottoporre condotte particolarmente gravi nel
 comune sentire, pur qualificate come illeciti contravvenzionali, a un
 regime  penale  piu' severo, che e' generalmente proprio dei delitti,
 come dimostrano le esclusioni  oggettive  di  alcune  contravvenzioni
 dall'amnistia  (art. 2 d.P.R. 16 dicembre 1986, n. 865; art. 3 d.P.R.
 12 aprile 1990, n.  75)  e  dalle  sanzioni  sostitutive  delle  pene
 detentive (art. 60 legge 24 novembre 1981, n. 689).
    3.  -  Per quanto riguarda la pretesa contrarieta' del sopracitato
 quinto comma dell'art. 6 all'art. 27, terzo comma, della Costituzione
 ed al principio in esso affermato secondo il  quale  le  pene  devono
 tendere  alla rieducazione del condannato, questa Corte deve ribadire
 che, pur essendo la finalita' rieducativa qualita'  essenziale  della
 pena,  che  l'accompagna  dal  suo  nascere, nell'astratta previsione
 normativa, fino a quando in concreto si estingue (sentenze n. 313 del
 1990 e n. 364 del 1988), concorrono  con  essa  finalita'  di  difesa
 sociale,  che  il  legislatore e' legittimato a perseguire purche' le
 sue  valutazioni  non  eccedano  i  confini  della   discrezionalita'
 politica e non si trasformino in arbitrio (sentenze n. 282 del 1989 e
 n.  264  del 1974). In questo senso la sospensione condizionale della
 pena non puo' dirsi  postulata  dalla  Costituzione  quale  strumento
 assoluto  e indefettibile per la rieducazione del condannato, essendo
 anch'essa rimessa, alla pari degli altri istituti di diritto  penale,
 all'apprezzamento  discrezionale  del  legislatore in via generale ed
 astratta prima ancora che a quello del giudice, da compiersi caso per
 caso. Spetta infatti al legislatore stabilire, quale  condizione  per
 l'applicabilita'  di  tale  istituto,  che  la condanna non superi un
 determinato ammontare, ma non puo' dirsi  estraneo  all'ambito  delle
 sue  valutazioni  diversificare talune categorie di reati e negare la
 concessione del beneficio in fattispecie nelle quali  la  particolare
 gravita'  del  reato  emerga  da  elementi diversi dalla loro formale
 qualificazione (delitto o contravvenzione) o dalla pena edittale  per
 esse prevista.
   Il  carattere  di massa della produzione, della distribuzione e del
 consumo dei prodotti  alimentari,  l'inanita'  di  qualsiasi  cautela
 adottabile  dai  singoli  consumatori,  che  non  si risolva nel mero
 impraticabile rifiuto del rapporto di consumo, l'enorme  diffusivita'
 del  danno  potenzialmente connesso ad ogni comportamento fraudolento
 nella produzione e nel commercio di sostanze alimentari costituiscono
 elementi  che  fanno  apparire  non  irragionevole  la   scelta   del
 legislatore  intesa  a  realizzare, nelle frodi alimentari tossiche o
 comunque dannose alla salute, l'equilibrio tra le  diverse  finalita'
 della  pena,  collegando la rieducazione ad alcuni aspetti - quali la
 qualificazione del reato come contravvenzionale, l'entita' della pena
 edittale  e  la  sua  eventuale  sostituibilita'  -  ed   attribuendo
 all'effettivita'   dell'espiazione   una   specifica   finalita'   di
 prevenzione, retribuzione e difesa sociale.
                           Per questi motivi
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
   Dichiara non fondata la questione  di  legittimita'  costituzionale
 dell'art.  6,  quinto  comma,  della  legge  30  aprile  1962, n. 283
 (Modifica degli artt. 242, 243, 247, 250 e 262 del testo unico  delle
 leggi   sanitarie  approvato  con  r.d.  27  luglio  1934,  n.  1265.
 Disciplina igienica della produzione e della vendita  delle  sostanze
 alimentari  e delle bevande), sollevata, in riferimento agli artt. 3,
 primo  comma,  e  27, terzo comma, della Costituzione, dal pretore di
 Benevento con l'ordinanza indicata in epigrafe.
   Cosi' deciso  in  Roma,  nella  sede  della  Corte  costituzionale,
 Palazzo della Consulta, il 25 marzo 1997.
                         Il Presidente: Granata
                        Il redattore: Mezzanotte
                        Il cancelliere: Di Paola
   Depositata in cancelleria l'8 aprile 1997.
                Il direttore della cancelleria: Di Paola
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