N. 181 ORDINANZA (Atto di promovimento) 20 giugno 1996- 24 marzo 1997

                                N. 181
  Ordinanza  emessa  il  20  giugno   1996   (pervenuta   alla   Corte
 costituzionale  il  24  marzo  1997)  della  Corte dei conti, sezione
 giurisdizionale per la regione Puglia nel giudizio di responsabilita'
 promosso dal procuratore regionale nei confronti di De Feo Alberto ed
 altri.
 Corte  dei  conti  -  Giudizio  di  responsabilita'  (nella   specie:
    procedimento  di  sequestro  conservativo)  -  Giudice designato a
    confermare, modificare  o  revocare  il  decreto  di  sequestro  -
    Individuazione dello stesso, alla stregua del diritto vivente, nel
    giudice  singolo, anziche' nella sezione giurisdizionale regionale
    - Mancata previsione della designazione del giudice sulla base  di
    criteri  oggettivi  e predeterminati - Incidenza sul principio del
    giudice naturale precostituito per legge.
 (D.-L. 15 novembre 1993, n. 453, art. 5, comma 3, lett. A, convertito
    con modificazioni, nella legge 14 gennaio 1994, n. 19).
 (Cost., art. 25, primo comma).
(GU n.16 del 16-4-1997 )
                          LA CORTE DEI CONTI
   Ha pronunciato la seguente  ordinanza  nel  giudizio  di  conferma,
 modifica o revoca del decreto di sequestro conservativo del 10 maggio
 1996, emesso dal presidente della sezione giurisdizionale della Corte
 dei  conti  per  la regione Puglia in data 10 maggio 1996, su istanza
 del procuratore regionale, nei  confronti  di:  De  Feo  Alberto;  Di
 Matteo  Sergio  e  Trianni Marcello, rappresentati e difesi dall'avv.
 Enzo Gigante; Fusco Eduardo, Montedoro  Michele  e  Secondo  Giovanni
 Paolo,  rappresentati e difesi dagli avvocati Enzo Augusto e Giuseppe
 Triggiani;
   Uditi all'udienza del 20 giugno 1996 l'avv. Giuseppe  Triggiani  ed
 il sostituto procuratore generale dott. Massimo Amato Lasalvia;
   Visti  gli  atti del giudizio, iscritto al n. 389/r del registro di
 segreteria;
                         Considerato in fatto
   Con decreto, in data 10 maggio 1996, il presidente  della  sezione,
 giurisdizionale  della  Corte  dei  conti  per  la  regione Puglia ha
 autorizzato, su  istanza  del  procuratore  regionale,  il  sequestro
 conservativo,  in  favore,  dell'erario  dello  Stato,  di  qualsiasi
 credito, assegno, indennita' o somma  a  qualsiasi  titolo  dovuta  o
 debenda  dall'Amministrazione  della  difesa - Marina militare e/o da
 enti  e/o  casse  di  previdenza in dipendenza di attuale o pregresso
 rapporto di impiego, ivi compresi stipendi e/o pensioni  (nei  limiti
 di un quinto dovuto per legge):
     A)  nei  confronti di De Feo Alberto, sino alla concorrenza della
 complessiva  somma  di   L.   281.722.750   (duecentoottantunomilioni
 settecentoventiduemila    settecentocinquanta),    oltre   interessi,
 rivalutazione monetaria e spese di giudizio, e di quanto  sussistente
 sul  conto  corrente bancario n. 7065802-01-74, ivi copresi titoli di
 debito pubblico,  acceso  a  suo  nome  presso  la  Banca  Comerciale
 Italiana filiale di Taranto;
     B)  nei confronti di Di Matteo Sergio sino alla concorrenza della
 complessiva  somma  di  L.  273.599.750   (duecentosettantatremilioni
 cinquecentonovantanovemila   settecentocinquanta)   oltre  interessi,
 rivalutazione monetaria e spese di giudizio: e di quanto  sussistente
 sul conto corrente bancario n. 7159/30 e sul deposito titoli 2821/37,
 intestati al predetto presso la Banca di Roma - agenzia 116 di Roma;
     C)  nei confronti di Trianni Marcello sino alla concorrenza della
 complessiva  somma  di  L.  273.599.750   (duecentosettantatremilioni
 cinquecentonovantanovemila   settecentocinquanta),  oltre  interessi,
 rivalutazione  monetaria  e   spese   di   giudizio,   e   di   meta'
 dell'appartamento  di  due vani ed accessori, sito in Taranto - Lama,
 alla via Gladioli n. 9, in catasto alla partita  57271,  foglio  299,
 particella 335 sub  6;
     D)  nei  confronti  di Fusco Eduardo, sino alla concorrenza della
 complessiva   somma    di    L.    53.777.000    (cinquantatremilioni
 settecentosettantasettemila);
     E)  nei  confronti  di  Montedoro  Michele, sino alla concorrenza
 della  complessiva   somma   di   L.   32.575.000   (trentaduemilioni
 cinquecentosettantacinquemila);
     F) nei confronti di Secondo Giovanni Paolo, sino alla concorrenza
 della  complessiva  somma  di  L. 188.555.000 (centoottantottomilioni
 cinquecentocinquantacinquemila).
   Fissava,  altresi',  la  comparizione  delle  parti  e  dei   terzi
 sequestrati,  dinanzi  al  giudice  da  designarsi, per l'udienza del
 giorno 20 giugno 1996, ai sensi dell'art. 5, comma 3, lett.  a),  del
 d.-l.  15 novembre 1993, n. 453 (convertito, con modificazioni, nella
 legge 14 gennaio 1994, n. 19).
   Con  decreto  del  23  maggio  1996  il  presidente  della  sezione
 giurisdizionale ha designato il giudice competente per il giudizio di
 "conferma,  modifica  o  revoca"  del  sequestro  nella  persona  del
 sottoscritto primo referendario dott. Vittorio Raeli.
   Si sono costituiti in giudizio i signori:  Trianni  Marcello  e  Di
 Matteo  Sergio,  a  mezzo  dell'avv.  Enzo  Gigante;  Fusco  Eduardo,
 Montedoro Michele e Secondo Giovanni Paolo, a mezzo degli avv.ti Enzo
 Augusto e Giuseppe Triggiani.
   L'avv. Enzo Gigante, con distinte comparse di costituzione  del  30
 maggio 1996, ha eccepito, in via preliminare, la nullita' del decreto
 di sequestro conservativo per inosservanza da parte della procura dei
 termini  di  legge  e, nel merito, ha chiesto la revoca del sequestro
 perche' concesso in assenza dei presupposti di  legge,  con  condanna
 alle spese della procura o compensazione delle stesse.
   Analoghe  richieste sono state avanzate dagli avv.ti Enzo Augusto e
 Giuseppe Triggiani  nelle  tre  distinte  comparse  di  costituzione,
 depositate in segreteria in data 17 giugno 1996.
   Nell'odierna  pubblica  udienza  sono  state depositate le seguenti
 dichiarazioni di terzo rese ai sensi dell'art. 547 c.p.c.:
     a) dichiarazione del 20  giugno  1996  rilasciata  dalla  signora
 Giacovazzi  Fabrizia,  in  nome  e  per  conto  della Banca di Roma -
 agenzia 116 di Roma, con la quale si attesta che  il  conto  corrente
 bancario  n.  7159/30  (intestato  al  Di  Matteo)  presenta un saldo
 apparente       di       L.       6.635.499       (sei        milioni
 seicentotrentacinquemilaquattrocentonovantanove),   il   deposito   a
 custodia titoli n. 2821/37 e' privo di materialita' sin dal 30 giugno
 1994, e sono stati sottoposti a sequestro, in esecuzione del  decreto
 emesso  il  12 settembre 1994 dalla procura militare della Repubblica
 presso il tribunale militare di Bari, sia il succitato conto corrente
 n. 7159/30 che  la  custodia  titoli  n.  4220/46  (intestata  al  Di
 Matteo),  sulla  quale sono tuttora depositati per un valore nominale
 di L. 365.000.000;
     b) dichiarazione rilasciata in  data  20  giugno  1996  dal  sig.
 Sebastio  Angelo,  in qualita' di procuratore della Banca Commerciale
 Italiana - filiale di Taranto  Levante,  con  riferimento  a  De  Feo
 Alberto,  nella  quale si rappresenta "di tenere in un conto bloccato
 infruttifero a disposizione di giustizia la somma complessiva  di  L.
 269.908.250       (duecentosessantanovemilioni      novecentoottomila
 duecentocinquanta) rivenienti da CN 270.000.000 Bot a suo tempo fatti
 oggetto di sequestro con decreto del sostituto  procuratore  militare
 presso  il  tribunale  militare  di Bari in data 24 agosto 1994" e si
 chiede il rimborso delle spese relative alla dichiarazione resa;
     c) dichiarazione rilasciata dal C.F. (CM) Aristide Mercorio,  per
 conto  della Direzione commissariato della marina militare di Napoli,
 con la quale si, riferisce che  il  signor,  Secondo  Giovanni  Paolo
 percepisce   lo   stipendio   mensile  di  L.  2.298.878  (duemilioni
 duecentonovantottomila ottocentosettantotto su cui vengono effettuate
 L. 420.775 (quattrocentoventimila settecentosettantacinque) a  titolo
 di  ritenuta IRPEF, e si chiede la rifusione delle spese (L. 200.000)
 della dichiarazione;
     d) dichiarazioni del 20 giugno  1996  rilasciate  dal  C.F.  (CM)
 Giuseppe  Petrosino,  su  delega  del C.V. (CM) Spe Vito Macchia, per
 conto della Direzione di commissariato della marina militare di Roma,
 da cui si evince che il  Di  Matteo  percepisce  lo  stipendio  netto
 mensile  di L. 3.080.000 (tremilioni ottantamila), su cui a decorrere
 dal mese di giugno verra'  praticata  la  trattenuta  mensile  di  L.
 669.000 per pignoramento, ed il Montedoro uno stipendio mensile di L.
 2.246.000  (duemilioni  duecentoquarantaseimila),  su cui dal mese di
 giugno sara' praticata  la  trattenuta  mensile  di  L.  449.000  per
 pignoramento;
      e)  dichiarazioni  del  20  giugno 1996 rilasciate dal C.F. (CM)
 Giuseppe  Petrosino,  su  delega  dell'ammiraglio  di  squadra  Paolo
 Giardini,  per  conto della direzione generale del personale militare
 della Marina, dalle quali risulta che non  e'  stato  corrisposto  il
 premio  di  previdenza  della Cassa ufficiali a Di Matteo, Montedoro,
 Fusco, Secondo e che il De Feo ed il Trianni hanno maturato il premio
 di  previdenza,  rispettivamente,  di  L.  4.603.000  (quattromilioni
 seicentotremila  quattrocentoquaranta)  e di L. 3.618.460 (tremilioni
 seicentodiciottomila   quattrocentosessanta),   che    verra'    loro
 corrisposto  dalla  cassa sottufficiali all'atto della cessazione dal
 servizio;
     f)  dichiarazioni  del  20  giugno  1996  rilasciate  dalla  rag.
 Piscitelli Simona, su delega del del dott. Francesco  Saverio  Guido,
 per  conto  e  nell'interesse  dell'INPDAP - Direzione provinciale di
 Bari, dalle quali risulta che non e' stato corrisposto  ai  convenuti
 il trattamento di fine rapporto, al contempo chiedendosi di liquidare
 in  favore  dell'INPDAP  la  somma  dovuta a titolo di rimborso delle
 spese di dichiarazione.
   L'avv. Triggiani, comparso nell'odierna udienza, si e' riportato ai
 motivi e' alle conclusioni  delle  comparse  di  costituzione  ed  ha
 chiesto un rinvio, cui si e' opposto il p.m.
                          Ritenuto in diritto
   1.  -  La  giurisprudenza  delle sezioni riunite di questa Corte e'
 assolutamente prevalente nell'affermare  che  l'espressione  "giudice
 designato",  di  cui  al  comma  3, lett. a) dell'art. 5 del d.-l. 15
 novembre 1993, n. 453 (convertito con modificazioni  nella  legge  14
 gennaio  1994,  n. 19) vada riferita' al singolo giudice, incardinato
 nella sezione giurisdizionale regionale ed incaricato dal  presidente
 di  questa  di adottare l'ordinanza di cui al seguente comma 4, (sez.
 riun. n. 6/QM del 1994, n. 15/QM e n. 24/QM del 1995), e non gia'  al
 collegio   giudicante  della  stessa  sezione  giurisdizionale.  Tale
 orientamento e' stato recepito  nella  giurisprudenza  delle  sezioni
 giurisdizionali regionali, sicche' a ragion veduta puo' dirsi che "in
 questi termini puo' ritenersi formato il diritto vivente" (cfr., ord.
 giud. sez. giur. sic., 23 febbraio 1996).
   2.  -  La norma in oggetto, come interpretata nell diritto vivente,
 contrasta, ad avviso di questo giudice, con il principio del  giudice
 naturale di cui all'art. 25, primo comma, della Costituzione.
    2.1. - Il principio del "giudice naturale", enunciato all'indomani
 della  Rivoluzione  francese  (art. 17 della legge rivoluzionaria del
 16-24  agosto  1790,  secondo  cui   "l'ordre   constitutionnel   des
 jurisdictions  ne pourra etre trouble', ni les justiciables distraits
 de leur  juges  naturels  par  aucune  commission,  ni  par  d'autres
 attributions ou e'vocations que celles qui seront determine'es par la
 loi")  e  gia'  presente  in alcune costituzioni degli Stati italiani
 preunitari (Costituzioni  del  Regno  di  Napoli  del  1815  e  della
 Repubblica  Romana  del  1849),  fece  il  suo  ingresso nel rinovato
 ordinamento costituzionale  italiano  con  l'art.  71  dello  Statuto
 albertino ("Niuno puo' essere distolto dai suoi giudici naturali. Non
 potranno    percio'    essere    creati   tribunali   o   commissioni
 straordinarie").
   La   Costituzione   repubblicana   ha   spezzato   il   nesso    di
 conseguenzialita'  tra  il  divieto  di  distogliere il cittadino dal
 giudice naturale e di  istituire  giudici  straordinari  o  speciali,
 collocando il primo nella parte concernente i "diritti e i doveri dei
 cittadini"  (art.    25,  primo  comma)  ed  il  secondo  nel  titolo
 riguardante "la magistratura".   Con cio'  volendo  significare  che,
 mentre  il  principio  del  giudice  naturale precostituito per legge
 costituisce  una  garanzia  (in  stretto  rapporto  altresi'  con  la
 garanzia del diritto di difesa, art. 24) che riguarda il cittadino in
 prima  persona,  il  divieto  della istituzione di giudici speciali e
 straordinari (art. 102, primo comma) interessa piu' in particolare il
 tema dei  profili  organizzativi  dell'apparato  giudiziario:  mentre
 l'art.  102, primo comma, tutela l'apparato giudiziario astrattamente
 considerato, art. 25,  primo  comma,  riguarda  la  designazione  del
 giudice in relazione a ciascuna regiudicanda.
   Sin  dalla  sentenza  n.  88 del 1962 (che segna il punto piu' alto
 della giurisprudenza costituzionale in materia) si e' affermato,  per
 usare  le  parole  della sentenza, che "precostituzione del giudice e
 discrezionalita' nella sua concreta designazione sono criteri  fra  i
 quali non si ravvisa una possibile conciliazione".
   Con  questa  sentenza  viene  enucleata la cosiddetta norma formale
 contenuta nell'art. 25, primo comma, in base alla  quale  la  materia
 della  competenza  del  giudice e' coperta da una riserva assoluta di
 legge, nel senso che soltanto il legislatore puo'  disciplinare  tale
 materia,  essendo interdetto l'intervento di ogni altra autorita' che
 ponga in essere atti che non si concretino in una mera esecuzione del
 precetto legislativo.
   2.2. - Si e' dibattuto  se  "giudice  naturale"  dovesse  ritenersi
 l'organo  giudicante  o  il  magistrato,  inteso  come persona fisica
 astrattamente abilitata all esercizio di funzioni  giurisdizionali  e
 concretamente  investita  di  esso  (individualmente o in qualita' di
 componente di un collegio).
   Gli  argomenti  letterali  ricavabili   dal   testo   della   Carta
 costituzionale    non   offrono   sicuri   elementi   per   risolvere
 l'alternativa che si pone fra il riferire la portata  garantisca  del
 principio  del  giudice  naturale solo all'ufficio giudiziario oppure
 anche ai singoli magistrati che lo compongono, in quanto  il  termine
 "giudice"  e'  usato  talvolta nel senso di "magistrato", talaltra in
 quello di "ufficio giudiziario".
    Sul punto si  registrano  atteggiamenti  di  segno  opposto  nella
 giurisprudenza di codesta Corte.
    Alcune  decisioni sembrano accogliere la tesi dell'interpretazione
 del termine giudice naturale come riferito al giudice-persona fisica,
 anche  se  in  base  ad  altre   considerazioni   -   "obiettive   ed
 imprescindibili esigenze di servizio", "continuita' e prontezza della
 funzione  giurisdizionale"; "efficiente organizzazione dell'ufficio";
 "razionale distribuzione  del  lavoro  giudiziario"  -  per  lo  piu'
 infondate le questioni proposte.
   In  questo  senso le sentenze relative alla assegnazione temporanea
 di magistrati mediante supplenza, sostituzione o  applicazione  (cfr:
 Corte  cost. 13 dicembre 1963, n. 156; 25 marzo 1975, n. 71; 30 marzo
 1977, n. 52) nonche' quelle  relative  ai  poteri  organizzativi  del
 pretore  dirigente  e del presidente del tribunale (cfr: Corte cost.,
 18 luglio 1973, n. 143 e n. 144 e n. 508 del 1989).
   Per contro in altre  pronunzie  si  afferma  che  il  principio  si
 riferisce  al  solo  ufficio  giudiziano  (cfr: Corte cost., sent., 3
 dicembre 1969, n. 146; 12 dicembre 1972, n. 170; ord. 18 maggio 1989,
 n. 271; ord.  22 gennaio 1992, n. 15; sent. 12 giugno 1992,  n.  269;
 ord.  16  giugno  1995,  n. 257; sent. 23 febbraio 1996; ord. 8 marzo
 1996, n. 69).
   2.3. - Ad avviso del  remittente  la  soluzione  del  problema  del
 significato  da  attribuire  al  termine "giudice", che ha importanti
 riflessi sulla dedotta questione di legittimita' costituzionale, deve
 ricercarsi nella considerazione del  fine  perseguito  dall'art.  25,
 primo  comma,  della Costituzione. Cio' che fa propendere per la tesi
 secondo la quale per "giudice" deve intendersi il  magistrato-persona
 fisica.
   Se infatti, come si afferma costantemente in numerose decisioni (v.
 per  es.  n.  77/1977,  n.  127/1979,  n. 446/1990), il principio del
 giudice naturale e' uno strumento  di  garanzia  dell'indipendenza  e
 dell'imparzialita' del giudice e, quindi, funzione di questo precetto
 e'  quella  di  impedire  che  il  giudice possa essere designato con
 riferimento a fattispecie gia' verificatesi, eliminando  il  sospetto
 che la scelta di certi magistrati, anziche' di altri, sia finalizzata
 ad  una  certa  decisione  della  causa  piuttosto  che  un'altra, e'
 evidente che il risultato (che l'art. 25, primo comma vuole impedire)
 di ottenere un esito della causa  almeno  ipoteticamente  diverso  da
 quello  che  si sarebbe avuto attraverso l'opera del giudice naturale
 puo' essere raggiunto altrettanto bene  modificando  la  composizione
 del  collegio,  mediante  la  sostituzione  delle persone fisiche dei
 magistrati che debbono giudicare, che non alterando le  regole  della
 competenza giudiziaria.
   La   finalita'  voluta  perseguire  con  l'introduzione  di  questo
 precetto sarebbe dunque completamente vanificata se ci  si  limitasse
 ad  assicurare  il  formale  rispetto  della  competenza dell'ufficio
 giudiziario precostituito per legge, ma  si  ammettesse  poi  che  la
 ripartizione  interna  degli affari fra i magistrati, la composizione
 dei collegi, ecc., continuasse ad  essere  affidata  a  provvedimenti
 discrezionali,  presi  dai capi degli uffici ed ex post rispetto alla
 fattispecie concretamente verificatasi.
   L'interpretazione del termine giudice come  riferito  alla  persona
 fisica   del   magistrato,   piu'   che  all'ufficio  giudiziario  di
 appartenenza si fonda, inoltre, sulla considerazione che  essendo  la
 garanzia della precostituzione del giudice in stretto collegamento di
 strumentalita' - come sopra rilevato - con quella della imparzialita'
 della  funzione  giudiziaria,  tale  garanzia  ha  un  senso  solo se
 riferita al giudice-persona fisica, poiche' e' soltanto in  relazione
 agli  -  atteggiamenti  psicologici  di  lui  che  puo'  valutarsi se
 sussista o meno l'imparzialita'.
   Il richiamo alla persona fisica del magistrato, e  non  all'ufficio
 giudiziario,   si  giustifica  altresi'  con  il  riconoscimento  del
 carattere creativo dell'attivita' interpretativa del giudice, per cui
 e' possibile che si giunga ad una diversa soluzione pur dovendo  fare
 applicazione della stessa legge a casi analoghi identici.
   E' proprio la diversita' dei giudici al momento della decisione che
 costituisce  al  tempo  stesso  un  valore  costituzionale (principio
 pluralistico  ex  art.  2  della  Costituzione)  ed  il   presupposto
 operativo  del  principio della precostituzione del giudice, il quale
 tende a realizzare ed a  garantire  la  permanenza  di  un  effettivo
 pluralismo    all'interno    della   magistratura,   escludendo   che
 l'assegnazione di un processo venga  fatta  post  factum  tenendo  in
 particolare  conto  la tendenza politica del giudice; e cio' in vista
 di una certa soluzione del caso.
   La garanzia della precostituzione del giudice,  in  altri  termini,
 non  avrebbe  alcuna  ragione di essere in una situazione di assoluta
 fungibilita' dei giudici, in quanto  il  divieto  di  distogliere  il
 cittadino   dal   giudice   naturale   diverrebbe   per  cio'  stesso
 completamente inutile e privo di significato.
    3.1. - Sulla scorta delle superiori  considerazioni,  e'  evidente
 che  l'attuale potere del presidente della sezione giurisdizionale di
 designare in modo assolutamente  discrezionale  ed  insindacabile  il
 magistrato  per  l'ulteriore  fase  del giudizio cautelare, riservata
 alla  "conferma,  modifica o revoca" dei provvedimenti emanati con il
 decreto di cui al comma 3 dell'art. 5 del decreto-legge n.  453/1993,
 vanifica, in pratica, qualsiasi esigenza di obiettiva precostituzione
 del giudice.
    Il  sistema  vigente  consente,  infatti,  al capo dell'ufficio di
 scegliere (rectius: designare)  in  vista  del  singolo  processo  il
 magistrato  che  - a suo avviso - risulti piu' "idoneo" sulla base di
 una valutazione che appare, spesso, del tutto soggettiva, se non pure
 arbitraria,  potendo  il  concetto  di   magistrato   piu'   "idoneo"
 coincidere  - tra l'altro - con quello di magistrato piu' vicino alla
 linea  adottata  dal  singolo,  presidente  in  materia  di  politica
 giudiziaria e, in particolare, con l'emissione del decreto per la cui
 "conferma,   modifica   o  revoca"  deve  necessariamente  per  legge
 provvedere un'altro giudice da lui designato.
   L'esigenza che la  designazione  del  giudice  con  riferimento  al
 giudizio  cautelare  venga  effettuata  in base a criteri obiettivi e
 predeterminati, che sfuggono di per se' ad ogni arbitrio,  e'  comune
 al  giudizio  cautelare  che si svolge innanzi agli organi giudiziari
 ordinari (tribunale e pretura) nella fase anteriore  alla  causa  (v.
 art. 669-ter, terzo comma, c.p.c.: "A seguito della presentazione del
 ricorso  il  cancelliere  forma  il fascicolo d'ufficio e lo presenta
 senza ritardo al presidente del tribunale o al pretore  dirigente  il
 quale  designa  il  magistrato  cui  e'  affidata  la trattazione del
 procedimento"). E tuttavia essa assume maggiore spessore nel giudizio
 cautelare  che  si  svolge  innanzi  alle   sezioni   giurisdizionali
 regionali  della  Corte  dei  conti  per l'assenza delle c.d. tabelle
 degli uffici giudiziari, previste invece per  gli  uffici  giudiziari
 ordinari (tribunale, pretura, corte di appello, ecc.).
   3.2.  -  Le  c.d. tabelle offrono il quadro analitico delle diverse
 ripartizioni in cui l'ufficio e' articolato, del  ruolo  assegnato  a
 ciascun  magistrato  all'interno  di  dette  ripartizioni  e, per gli
 organi giudicanti collegiali,  della  composizione  di  ogni  singolo
 collegio che operera' secondo un calendario programmato.
   Il  procedimento  di  formazione  delle  tabelle  e'  circondato di
 speciali garanzie, giacche' la formazione delle  stesse  deve  essere
 deliberata  dal  Consiglio  superiore della magistratura, su proposta
 dei presidenti delle corti di appello, sentiti i consigli giudiziari.
 E' questo, almeno potenzialmente, uno  dei  passaggi  piu'  rilevanti
 della procedura di formazione tabellare, perche' e' il momento in cui
 ciascun  singolo  magistrato  ha  la possibilita' di prendere visione
 delle proposte tabellari depositate  nelle  cancellerie  dei  singoli
 uffici  interessati  e  di  formulare  proprie deduzioni al riguardo,
 secondo una procedura ormai da tempo codificata nelle  circolari  del
 Consiglio superiore della magistratura.
   Del  procedimento  di  approvazione  delle tabelle si puo' parlare,
 dunque, come di un procedimento aperto alla  partecipazione  ed  alle
 osservazioni  o  reclami  degli  interessati ed in proposito e' stato
 giustamente  affermato,  nella  dottrina   costituzionalistica,   che
 attraverso  tale strumento si viene a conciliare il massimo possibile
 di partecipazione con il massimo possibile di efficienza.
   Il sistema tabellare, la  cui  importanza  per  l'attuazione  della
 garanzia costituzionale della precostituzione del giudice e' di tutta
 evidenza,   ha   avuto   un  primo,  seppure  parzialmente,  limitato
 riconoscimento nella legge n. 532 del 1982 istitutiva  del  tribunale
 della  liberta', dove (art. 25) e' previsto che la composizione della
 sezione del tribunale  competente  a  giudicare  "e'  indicata  nelle
 tabelle  formate  ogni  anno  dal  C.S.M.  con  predeterminazione dei
 magistrati titolari e supplenti".
   Successivamente il  decreto-legge  n.  394/1987  (convertito  nella
 legge  n. 479/1987), relativo alla composizione delle corti d'assise,
 ha previsto che "la ripartizione degli uffici giudiziari in  sezioni,
 la  designazione  dei  magistrati  componenti gli uffici, comprese le
 corti d'assise, e la individuazione delle  sezioni  alle  quali  sono
 devoluti  gli  affari  civili,  gli affari penali, le controversie in
 materia di lavoro ed i giudizi in grado di  appello  sono  effettuate
 ogni  biennio  con  d.P.R.,  in  conformita'  alle  deliberazioni del
 Consiglio  superiore  della  magistratura,  assunte  sulle   proposte
 formulate  dai  presidenti  delle corti di appello sentiti i consigli
 giudiziari".
   Analogamente dispone  l'art.  7-bis  della  legge  sull'ordinamento
 giudiziario  aggiunto  dall'art.  3  del d.P.R. 22 settembre 1988, n.
 449,  secondo  cui  la  ripartizione  degli  uffici  giudiziari,   la
 destinazione  dei  singoli  magistrati  alle  sezioni e alle corti di
 assise, la assegnazione alle sezioni dei  relativi  presidenti  e  la
 formazione  dei  collegi  giudicanti  sono stabiliti ogni biennio con
 decreto  del  Presidente  della  Repubblica,  in  conformita'   delle
 deliberazioni del Consiglio superiore della magistratura.
    Lo  stesso  principio  e'  stato infine espresso dall'art. 6 della
 legge 1 febbraio 1989, n. 30 (modificativo dell'art. 39, terzo comma,
 ord. giud.), che ha istituito  le  preture  circondariali,  essendosi
 stabilito  che  "l'assegnazione  dei  magistrati alle varie sezioni e
 presso  le  sezioni  distaccate  sono  stabilite  con   decreto   del
 Presidente  della  Repubblica,  in conformita' alle deliberazioni del
 Consiglio superiore della magistratura".
   A partire dal 1984 il Consiglio superiore  della  magistratura  ha,
 pero';  costantemente  richiesto  che  i  capi degli uffici formulino
 anche criteri obiettivi e predeterminati per la  distribuzione  degli
 affari  tra  le  sezioni  e  per  l'assegnazione  di  essi ai singoli
 magistrati, da allegare alle tabelle e  da  assogettare  allo  stesso
 procedimento  di  formazione  ed  approvazione  (v.,  da  ult., circ.
 C.S.M., n. P-95-11503,  del  31  luglio  1995,  relativa  al  biennio
 1996-97).
   L'importanza  di  tale integrazione e' evidente perche' l'effettivo
 rispetto  della  garanzia  costituzionale   del   giudice   naturale,
 nell'accezione  riferita  al  magistrato-persona  fisica,  postula un
 rapporto giudice-causa di cui sarebbe vano prefissare  uno  solo  dei
 termini se l'altro - il giudice, nel nostro caso - potesse poi essere
 liberamente modificato di volta in volta.
   La  regola  che  il  C.S.M.  si  era dato e' stata ora recepita dal
 legislatore   con   l'art.   7-ter   della   legge   sull'ordinamento
 giudiziario,  aggiunto  dall'art.  4  del  d.P.R. n. 449/1988 , cit.,
 attribuendo al C.S.M.  il compito di indicare,  in  via  generale,  i
 criteri  obiettivi  e  predeterminati  di  assegnazione  degli affari
 penali cui i capi degli uffici debbono attenersi, con la precisazione
 che ogni revoca,  da  parte  di  questi  ultimi,  di  una  precedente
 assegnazione   dev'essere   motivata   e   comunicata  al  magistrato
 interessato.
   Analogamente,  la legge 16 ottobre 1991, nel modificare l'art. 110,
 ord. giud. (gia' sostituito dall'art. 1 della legge n.  58/1989),  in
 materia  di  applicazione  di  magistrati, prevede che "la scelta dei
 magistrati da  applicare  e'  operata  secondo  criteri  obiettivi  e
 predeterminati indicati in via generale dal Consiglio superiore della
 magistratura ed approvati contestualmente alle tabelle degli uffici e
 con la medesima procedura".
   La  norma  di  cui all'art. 7-ter, ord. giud., sebbene si riferisca
 espressamente  agli  "affari  penali",  e'  stata  significativamente
 ritenuta  applicabile  dal  C.S.M.  anche  al  settore  degli "affari
 civili" sulla base della considerazione  che  la  formulazione  della
 norma  risente dei limiti di materia imposti dalla delega legislativa
 (adeguamento dell'ordinamento giudiziario al nuovo processo  penale).
 Ma  non sembra dubbio che le medesime regole debbano valere anche per
 la materia civile, giacche' esse - come s'e' visto - sono espressione
 del principio costituzionale  del  giudice  naturale  che  certamente
 opera in tutti i settori della giurisdizione.
   Non  sembra, pertanto, possano nutrirsi dubbi circa la legittimita'
 dell'operato del C.S.M. per avere  stabilito,  per  usare  le  parole
 della  circolare  sopra  citata,  che  "anche  nella materia civile i
 criteri  di  assegnazione  degli  affari  tra  le  sezioni  e  tra  i
 magistrati  delle  sezioni  dovrano essere particolarmente precisi in
 modo  da  evitare  l'incontrollata  discrezionalita'  del  potere  di
 assegnazione   alle  singole  sezioni  del  capo  dell'ufficio  e  di
 designazione del magistrato nell'ambito di ogni sezione" (v. par. 11,
 pag. 24).
   Il C.S.M. ha, poi, stabilito nella stessa circolare  la  necessita'
 che   i   criteri   di   assegnazione  degli  affari  civili  vengano
 "specificamente richiamati o ripetuti per la materia  cautelare,  con
 le  piu'  precise  indicazioni  necessarie  per  la idividuazione dei
 criteri  di  assegnazione  dei  reclami  ai   collegi   precostituiti
 nell'ambito di ogni sezione".
   4.-  Questo  rapido  excursus sul sistema tabellare vigente per gli
 uffici  giudiziari,  che  ha   trovato   riconoscimento   sul   piano
 legislativo,  era necessario per dimostrare come l'assenza di criteri
 obiettivi e predeterminati che vincolino  il  potere  del  presidente
 della   sezione  giurisdizionale  regionale  nella  designazione  del
 giudice ai cui all'art.  5, comma 3, lett. a), del d.-l. 15  novembre
 1993,  n.  453  (convertito  con modificazioni nella legge 14 gennaio
 1994, n. 19) porta con se' il rischio che la scelta del giudice  piu'
 "idoneo"  operata  dal  capo  dell'ufficio  cada  su  quello  piu'  "
 malleabile" ovvero "acquiescente" oppure piu' "vicino" alla linea  di
 politica  giudiziaria  del  dirigente.    Cio'  che il Costituente ha
 inteso impedire, appunto, con l'art. 25, primo comma,  stabilendo  la
 pre-costituzione  del  giudice  rispetto  al  fatto che e' chiamato a
 giudicare.
   5. - L'art. 5, comma 3, lett. a),  del  decreto-legge  n.  453/1993
 (conv.  con  modif  nella  legge  n.  19/1994), dunque, contrasta, ad
 avviso  di  questo  giudice  con  l'art.  25,  primo   comma,   della
 Costituzione  nella  parte in cui non prevede che la designazione del
 giudice  sia  effettuata  sulla   base   di   criteri   oggettivi   e
 predeterminati.
   6.  - La questione di legittimita' costituzionale sopra prospettata
 si presenta  rilevante  nel  presente  giudizio,  in  quanto  essendo
 designato dal presidente della sezione giurisdizionale con decreto in
 data  successiva  al verificarsi della fattispecie sub judice e sulla
 base di una sua valutazione discrezionale, qualora  fosse  dichiarata
 la  incostituzionalita'  della  norma  denunciata  verrebbe  meno  la
 regolare costituzione di questo giudice.
                                P.Q.M.
   Il giudice designato nel giudizio di conferma,  modifica  o  revoca
 deI decreto di sequestro indicato in epigrafe;
   Visti  gli  artt.  134  della Costituzione e 23, commi 2 e 3, della
 legge 11 marzo 1953, n. 87;
   Dichiara rilevante e non manifestamente infondata la  questione  di
 legittimita'  costituzionale dell'art. 5, comma 3, lett. a) del d.-l.
 15 novembre 1993, n. 453 (convertito, con modificazioni, nella  legge
 14  gennaio  1994,  n.  19),  nella  parte  in cui non prevede che la
 designazione del giudice  venga  effettuata  sulla  base  di  criteri
 oggettivi e predeterminati, per violazione dell'art. 25, primo comma,
 della Costituzione;
   Ordina   l'immediata   trasmissione   degli   atti,  a  cura  della
 segreteria, alla Corte costituzionale,  sospendendo  conseguentemente
 il   processo   sino   all'esito   del   giudizio   incindentale   di
 costituzionalita';
   Dispone che, a cura della segreteria,  la  presente  ordinanza  sia
 notificata  al Presidente del Consiglio dei Ministri ed alle parti, e
 sia comunicata ai Presidenti della Camera dei deputati e  del  Senato
 della Repubblica
   Cosi'  provveduto  in  Bari,  nella  camera  di consiglio del venti
 giugno millenovecentonovantasei.
                           Il giudice: Raeli
 97C0337