N. 181 ORDINANZA (Atto di promovimento) 20 giugno 1996- 24 marzo 1997
N. 181 Ordinanza emessa il 20 giugno 1996 (pervenuta alla Corte costituzionale il 24 marzo 1997) della Corte dei conti, sezione giurisdizionale per la regione Puglia nel giudizio di responsabilita' promosso dal procuratore regionale nei confronti di De Feo Alberto ed altri. Corte dei conti - Giudizio di responsabilita' (nella specie: procedimento di sequestro conservativo) - Giudice designato a confermare, modificare o revocare il decreto di sequestro - Individuazione dello stesso, alla stregua del diritto vivente, nel giudice singolo, anziche' nella sezione giurisdizionale regionale - Mancata previsione della designazione del giudice sulla base di criteri oggettivi e predeterminati - Incidenza sul principio del giudice naturale precostituito per legge. (D.-L. 15 novembre 1993, n. 453, art. 5, comma 3, lett. A, convertito con modificazioni, nella legge 14 gennaio 1994, n. 19). (Cost., art. 25, primo comma).(GU n.16 del 16-4-1997 )
LA CORTE DEI CONTI Ha pronunciato la seguente ordinanza nel giudizio di conferma, modifica o revoca del decreto di sequestro conservativo del 10 maggio 1996, emesso dal presidente della sezione giurisdizionale della Corte dei conti per la regione Puglia in data 10 maggio 1996, su istanza del procuratore regionale, nei confronti di: De Feo Alberto; Di Matteo Sergio e Trianni Marcello, rappresentati e difesi dall'avv. Enzo Gigante; Fusco Eduardo, Montedoro Michele e Secondo Giovanni Paolo, rappresentati e difesi dagli avvocati Enzo Augusto e Giuseppe Triggiani; Uditi all'udienza del 20 giugno 1996 l'avv. Giuseppe Triggiani ed il sostituto procuratore generale dott. Massimo Amato Lasalvia; Visti gli atti del giudizio, iscritto al n. 389/r del registro di segreteria; Considerato in fatto Con decreto, in data 10 maggio 1996, il presidente della sezione, giurisdizionale della Corte dei conti per la regione Puglia ha autorizzato, su istanza del procuratore regionale, il sequestro conservativo, in favore, dell'erario dello Stato, di qualsiasi credito, assegno, indennita' o somma a qualsiasi titolo dovuta o debenda dall'Amministrazione della difesa - Marina militare e/o da enti e/o casse di previdenza in dipendenza di attuale o pregresso rapporto di impiego, ivi compresi stipendi e/o pensioni (nei limiti di un quinto dovuto per legge): A) nei confronti di De Feo Alberto, sino alla concorrenza della complessiva somma di L. 281.722.750 (duecentoottantunomilioni settecentoventiduemila settecentocinquanta), oltre interessi, rivalutazione monetaria e spese di giudizio, e di quanto sussistente sul conto corrente bancario n. 7065802-01-74, ivi copresi titoli di debito pubblico, acceso a suo nome presso la Banca Comerciale Italiana filiale di Taranto; B) nei confronti di Di Matteo Sergio sino alla concorrenza della complessiva somma di L. 273.599.750 (duecentosettantatremilioni cinquecentonovantanovemila settecentocinquanta) oltre interessi, rivalutazione monetaria e spese di giudizio: e di quanto sussistente sul conto corrente bancario n. 7159/30 e sul deposito titoli 2821/37, intestati al predetto presso la Banca di Roma - agenzia 116 di Roma; C) nei confronti di Trianni Marcello sino alla concorrenza della complessiva somma di L. 273.599.750 (duecentosettantatremilioni cinquecentonovantanovemila settecentocinquanta), oltre interessi, rivalutazione monetaria e spese di giudizio, e di meta' dell'appartamento di due vani ed accessori, sito in Taranto - Lama, alla via Gladioli n. 9, in catasto alla partita 57271, foglio 299, particella 335 sub 6; D) nei confronti di Fusco Eduardo, sino alla concorrenza della complessiva somma di L. 53.777.000 (cinquantatremilioni settecentosettantasettemila); E) nei confronti di Montedoro Michele, sino alla concorrenza della complessiva somma di L. 32.575.000 (trentaduemilioni cinquecentosettantacinquemila); F) nei confronti di Secondo Giovanni Paolo, sino alla concorrenza della complessiva somma di L. 188.555.000 (centoottantottomilioni cinquecentocinquantacinquemila). Fissava, altresi', la comparizione delle parti e dei terzi sequestrati, dinanzi al giudice da designarsi, per l'udienza del giorno 20 giugno 1996, ai sensi dell'art. 5, comma 3, lett. a), del d.-l. 15 novembre 1993, n. 453 (convertito, con modificazioni, nella legge 14 gennaio 1994, n. 19). Con decreto del 23 maggio 1996 il presidente della sezione giurisdizionale ha designato il giudice competente per il giudizio di "conferma, modifica o revoca" del sequestro nella persona del sottoscritto primo referendario dott. Vittorio Raeli. Si sono costituiti in giudizio i signori: Trianni Marcello e Di Matteo Sergio, a mezzo dell'avv. Enzo Gigante; Fusco Eduardo, Montedoro Michele e Secondo Giovanni Paolo, a mezzo degli avv.ti Enzo Augusto e Giuseppe Triggiani. L'avv. Enzo Gigante, con distinte comparse di costituzione del 30 maggio 1996, ha eccepito, in via preliminare, la nullita' del decreto di sequestro conservativo per inosservanza da parte della procura dei termini di legge e, nel merito, ha chiesto la revoca del sequestro perche' concesso in assenza dei presupposti di legge, con condanna alle spese della procura o compensazione delle stesse. Analoghe richieste sono state avanzate dagli avv.ti Enzo Augusto e Giuseppe Triggiani nelle tre distinte comparse di costituzione, depositate in segreteria in data 17 giugno 1996. Nell'odierna pubblica udienza sono state depositate le seguenti dichiarazioni di terzo rese ai sensi dell'art. 547 c.p.c.: a) dichiarazione del 20 giugno 1996 rilasciata dalla signora Giacovazzi Fabrizia, in nome e per conto della Banca di Roma - agenzia 116 di Roma, con la quale si attesta che il conto corrente bancario n. 7159/30 (intestato al Di Matteo) presenta un saldo apparente di L. 6.635.499 (sei milioni seicentotrentacinquemilaquattrocentonovantanove), il deposito a custodia titoli n. 2821/37 e' privo di materialita' sin dal 30 giugno 1994, e sono stati sottoposti a sequestro, in esecuzione del decreto emesso il 12 settembre 1994 dalla procura militare della Repubblica presso il tribunale militare di Bari, sia il succitato conto corrente n. 7159/30 che la custodia titoli n. 4220/46 (intestata al Di Matteo), sulla quale sono tuttora depositati per un valore nominale di L. 365.000.000; b) dichiarazione rilasciata in data 20 giugno 1996 dal sig. Sebastio Angelo, in qualita' di procuratore della Banca Commerciale Italiana - filiale di Taranto Levante, con riferimento a De Feo Alberto, nella quale si rappresenta "di tenere in un conto bloccato infruttifero a disposizione di giustizia la somma complessiva di L. 269.908.250 (duecentosessantanovemilioni novecentoottomila duecentocinquanta) rivenienti da CN 270.000.000 Bot a suo tempo fatti oggetto di sequestro con decreto del sostituto procuratore militare presso il tribunale militare di Bari in data 24 agosto 1994" e si chiede il rimborso delle spese relative alla dichiarazione resa; c) dichiarazione rilasciata dal C.F. (CM) Aristide Mercorio, per conto della Direzione commissariato della marina militare di Napoli, con la quale si, riferisce che il signor, Secondo Giovanni Paolo percepisce lo stipendio mensile di L. 2.298.878 (duemilioni duecentonovantottomila ottocentosettantotto su cui vengono effettuate L. 420.775 (quattrocentoventimila settecentosettantacinque) a titolo di ritenuta IRPEF, e si chiede la rifusione delle spese (L. 200.000) della dichiarazione; d) dichiarazioni del 20 giugno 1996 rilasciate dal C.F. (CM) Giuseppe Petrosino, su delega del C.V. (CM) Spe Vito Macchia, per conto della Direzione di commissariato della marina militare di Roma, da cui si evince che il Di Matteo percepisce lo stipendio netto mensile di L. 3.080.000 (tremilioni ottantamila), su cui a decorrere dal mese di giugno verra' praticata la trattenuta mensile di L. 669.000 per pignoramento, ed il Montedoro uno stipendio mensile di L. 2.246.000 (duemilioni duecentoquarantaseimila), su cui dal mese di giugno sara' praticata la trattenuta mensile di L. 449.000 per pignoramento; e) dichiarazioni del 20 giugno 1996 rilasciate dal C.F. (CM) Giuseppe Petrosino, su delega dell'ammiraglio di squadra Paolo Giardini, per conto della direzione generale del personale militare della Marina, dalle quali risulta che non e' stato corrisposto il premio di previdenza della Cassa ufficiali a Di Matteo, Montedoro, Fusco, Secondo e che il De Feo ed il Trianni hanno maturato il premio di previdenza, rispettivamente, di L. 4.603.000 (quattromilioni seicentotremila quattrocentoquaranta) e di L. 3.618.460 (tremilioni seicentodiciottomila quattrocentosessanta), che verra' loro corrisposto dalla cassa sottufficiali all'atto della cessazione dal servizio; f) dichiarazioni del 20 giugno 1996 rilasciate dalla rag. Piscitelli Simona, su delega del del dott. Francesco Saverio Guido, per conto e nell'interesse dell'INPDAP - Direzione provinciale di Bari, dalle quali risulta che non e' stato corrisposto ai convenuti il trattamento di fine rapporto, al contempo chiedendosi di liquidare in favore dell'INPDAP la somma dovuta a titolo di rimborso delle spese di dichiarazione. L'avv. Triggiani, comparso nell'odierna udienza, si e' riportato ai motivi e' alle conclusioni delle comparse di costituzione ed ha chiesto un rinvio, cui si e' opposto il p.m. Ritenuto in diritto 1. - La giurisprudenza delle sezioni riunite di questa Corte e' assolutamente prevalente nell'affermare che l'espressione "giudice designato", di cui al comma 3, lett. a) dell'art. 5 del d.-l. 15 novembre 1993, n. 453 (convertito con modificazioni nella legge 14 gennaio 1994, n. 19) vada riferita' al singolo giudice, incardinato nella sezione giurisdizionale regionale ed incaricato dal presidente di questa di adottare l'ordinanza di cui al seguente comma 4, (sez. riun. n. 6/QM del 1994, n. 15/QM e n. 24/QM del 1995), e non gia' al collegio giudicante della stessa sezione giurisdizionale. Tale orientamento e' stato recepito nella giurisprudenza delle sezioni giurisdizionali regionali, sicche' a ragion veduta puo' dirsi che "in questi termini puo' ritenersi formato il diritto vivente" (cfr., ord. giud. sez. giur. sic., 23 febbraio 1996). 2. - La norma in oggetto, come interpretata nell diritto vivente, contrasta, ad avviso di questo giudice, con il principio del giudice naturale di cui all'art. 25, primo comma, della Costituzione. 2.1. - Il principio del "giudice naturale", enunciato all'indomani della Rivoluzione francese (art. 17 della legge rivoluzionaria del 16-24 agosto 1790, secondo cui "l'ordre constitutionnel des jurisdictions ne pourra etre trouble', ni les justiciables distraits de leur juges naturels par aucune commission, ni par d'autres attributions ou e'vocations que celles qui seront determine'es par la loi") e gia' presente in alcune costituzioni degli Stati italiani preunitari (Costituzioni del Regno di Napoli del 1815 e della Repubblica Romana del 1849), fece il suo ingresso nel rinovato ordinamento costituzionale italiano con l'art. 71 dello Statuto albertino ("Niuno puo' essere distolto dai suoi giudici naturali. Non potranno percio' essere creati tribunali o commissioni straordinarie"). La Costituzione repubblicana ha spezzato il nesso di conseguenzialita' tra il divieto di distogliere il cittadino dal giudice naturale e di istituire giudici straordinari o speciali, collocando il primo nella parte concernente i "diritti e i doveri dei cittadini" (art. 25, primo comma) ed il secondo nel titolo riguardante "la magistratura". Con cio' volendo significare che, mentre il principio del giudice naturale precostituito per legge costituisce una garanzia (in stretto rapporto altresi' con la garanzia del diritto di difesa, art. 24) che riguarda il cittadino in prima persona, il divieto della istituzione di giudici speciali e straordinari (art. 102, primo comma) interessa piu' in particolare il tema dei profili organizzativi dell'apparato giudiziario: mentre l'art. 102, primo comma, tutela l'apparato giudiziario astrattamente considerato, art. 25, primo comma, riguarda la designazione del giudice in relazione a ciascuna regiudicanda. Sin dalla sentenza n. 88 del 1962 (che segna il punto piu' alto della giurisprudenza costituzionale in materia) si e' affermato, per usare le parole della sentenza, che "precostituzione del giudice e discrezionalita' nella sua concreta designazione sono criteri fra i quali non si ravvisa una possibile conciliazione". Con questa sentenza viene enucleata la cosiddetta norma formale contenuta nell'art. 25, primo comma, in base alla quale la materia della competenza del giudice e' coperta da una riserva assoluta di legge, nel senso che soltanto il legislatore puo' disciplinare tale materia, essendo interdetto l'intervento di ogni altra autorita' che ponga in essere atti che non si concretino in una mera esecuzione del precetto legislativo. 2.2. - Si e' dibattuto se "giudice naturale" dovesse ritenersi l'organo giudicante o il magistrato, inteso come persona fisica astrattamente abilitata all esercizio di funzioni giurisdizionali e concretamente investita di esso (individualmente o in qualita' di componente di un collegio). Gli argomenti letterali ricavabili dal testo della Carta costituzionale non offrono sicuri elementi per risolvere l'alternativa che si pone fra il riferire la portata garantisca del principio del giudice naturale solo all'ufficio giudiziario oppure anche ai singoli magistrati che lo compongono, in quanto il termine "giudice" e' usato talvolta nel senso di "magistrato", talaltra in quello di "ufficio giudiziario". Sul punto si registrano atteggiamenti di segno opposto nella giurisprudenza di codesta Corte. Alcune decisioni sembrano accogliere la tesi dell'interpretazione del termine giudice naturale come riferito al giudice-persona fisica, anche se in base ad altre considerazioni - "obiettive ed imprescindibili esigenze di servizio", "continuita' e prontezza della funzione giurisdizionale"; "efficiente organizzazione dell'ufficio"; "razionale distribuzione del lavoro giudiziario" - per lo piu' infondate le questioni proposte. In questo senso le sentenze relative alla assegnazione temporanea di magistrati mediante supplenza, sostituzione o applicazione (cfr: Corte cost. 13 dicembre 1963, n. 156; 25 marzo 1975, n. 71; 30 marzo 1977, n. 52) nonche' quelle relative ai poteri organizzativi del pretore dirigente e del presidente del tribunale (cfr: Corte cost., 18 luglio 1973, n. 143 e n. 144 e n. 508 del 1989). Per contro in altre pronunzie si afferma che il principio si riferisce al solo ufficio giudiziano (cfr: Corte cost., sent., 3 dicembre 1969, n. 146; 12 dicembre 1972, n. 170; ord. 18 maggio 1989, n. 271; ord. 22 gennaio 1992, n. 15; sent. 12 giugno 1992, n. 269; ord. 16 giugno 1995, n. 257; sent. 23 febbraio 1996; ord. 8 marzo 1996, n. 69). 2.3. - Ad avviso del remittente la soluzione del problema del significato da attribuire al termine "giudice", che ha importanti riflessi sulla dedotta questione di legittimita' costituzionale, deve ricercarsi nella considerazione del fine perseguito dall'art. 25, primo comma, della Costituzione. Cio' che fa propendere per la tesi secondo la quale per "giudice" deve intendersi il magistrato-persona fisica. Se infatti, come si afferma costantemente in numerose decisioni (v. per es. n. 77/1977, n. 127/1979, n. 446/1990), il principio del giudice naturale e' uno strumento di garanzia dell'indipendenza e dell'imparzialita' del giudice e, quindi, funzione di questo precetto e' quella di impedire che il giudice possa essere designato con riferimento a fattispecie gia' verificatesi, eliminando il sospetto che la scelta di certi magistrati, anziche' di altri, sia finalizzata ad una certa decisione della causa piuttosto che un'altra, e' evidente che il risultato (che l'art. 25, primo comma vuole impedire) di ottenere un esito della causa almeno ipoteticamente diverso da quello che si sarebbe avuto attraverso l'opera del giudice naturale puo' essere raggiunto altrettanto bene modificando la composizione del collegio, mediante la sostituzione delle persone fisiche dei magistrati che debbono giudicare, che non alterando le regole della competenza giudiziaria. La finalita' voluta perseguire con l'introduzione di questo precetto sarebbe dunque completamente vanificata se ci si limitasse ad assicurare il formale rispetto della competenza dell'ufficio giudiziario precostituito per legge, ma si ammettesse poi che la ripartizione interna degli affari fra i magistrati, la composizione dei collegi, ecc., continuasse ad essere affidata a provvedimenti discrezionali, presi dai capi degli uffici ed ex post rispetto alla fattispecie concretamente verificatasi. L'interpretazione del termine giudice come riferito alla persona fisica del magistrato, piu' che all'ufficio giudiziario di appartenenza si fonda, inoltre, sulla considerazione che essendo la garanzia della precostituzione del giudice in stretto collegamento di strumentalita' - come sopra rilevato - con quella della imparzialita' della funzione giudiziaria, tale garanzia ha un senso solo se riferita al giudice-persona fisica, poiche' e' soltanto in relazione agli - atteggiamenti psicologici di lui che puo' valutarsi se sussista o meno l'imparzialita'. Il richiamo alla persona fisica del magistrato, e non all'ufficio giudiziario, si giustifica altresi' con il riconoscimento del carattere creativo dell'attivita' interpretativa del giudice, per cui e' possibile che si giunga ad una diversa soluzione pur dovendo fare applicazione della stessa legge a casi analoghi identici. E' proprio la diversita' dei giudici al momento della decisione che costituisce al tempo stesso un valore costituzionale (principio pluralistico ex art. 2 della Costituzione) ed il presupposto operativo del principio della precostituzione del giudice, il quale tende a realizzare ed a garantire la permanenza di un effettivo pluralismo all'interno della magistratura, escludendo che l'assegnazione di un processo venga fatta post factum tenendo in particolare conto la tendenza politica del giudice; e cio' in vista di una certa soluzione del caso. La garanzia della precostituzione del giudice, in altri termini, non avrebbe alcuna ragione di essere in una situazione di assoluta fungibilita' dei giudici, in quanto il divieto di distogliere il cittadino dal giudice naturale diverrebbe per cio' stesso completamente inutile e privo di significato. 3.1. - Sulla scorta delle superiori considerazioni, e' evidente che l'attuale potere del presidente della sezione giurisdizionale di designare in modo assolutamente discrezionale ed insindacabile il magistrato per l'ulteriore fase del giudizio cautelare, riservata alla "conferma, modifica o revoca" dei provvedimenti emanati con il decreto di cui al comma 3 dell'art. 5 del decreto-legge n. 453/1993, vanifica, in pratica, qualsiasi esigenza di obiettiva precostituzione del giudice. Il sistema vigente consente, infatti, al capo dell'ufficio di scegliere (rectius: designare) in vista del singolo processo il magistrato che - a suo avviso - risulti piu' "idoneo" sulla base di una valutazione che appare, spesso, del tutto soggettiva, se non pure arbitraria, potendo il concetto di magistrato piu' "idoneo" coincidere - tra l'altro - con quello di magistrato piu' vicino alla linea adottata dal singolo, presidente in materia di politica giudiziaria e, in particolare, con l'emissione del decreto per la cui "conferma, modifica o revoca" deve necessariamente per legge provvedere un'altro giudice da lui designato. L'esigenza che la designazione del giudice con riferimento al giudizio cautelare venga effettuata in base a criteri obiettivi e predeterminati, che sfuggono di per se' ad ogni arbitrio, e' comune al giudizio cautelare che si svolge innanzi agli organi giudiziari ordinari (tribunale e pretura) nella fase anteriore alla causa (v. art. 669-ter, terzo comma, c.p.c.: "A seguito della presentazione del ricorso il cancelliere forma il fascicolo d'ufficio e lo presenta senza ritardo al presidente del tribunale o al pretore dirigente il quale designa il magistrato cui e' affidata la trattazione del procedimento"). E tuttavia essa assume maggiore spessore nel giudizio cautelare che si svolge innanzi alle sezioni giurisdizionali regionali della Corte dei conti per l'assenza delle c.d. tabelle degli uffici giudiziari, previste invece per gli uffici giudiziari ordinari (tribunale, pretura, corte di appello, ecc.). 3.2. - Le c.d. tabelle offrono il quadro analitico delle diverse ripartizioni in cui l'ufficio e' articolato, del ruolo assegnato a ciascun magistrato all'interno di dette ripartizioni e, per gli organi giudicanti collegiali, della composizione di ogni singolo collegio che operera' secondo un calendario programmato. Il procedimento di formazione delle tabelle e' circondato di speciali garanzie, giacche' la formazione delle stesse deve essere deliberata dal Consiglio superiore della magistratura, su proposta dei presidenti delle corti di appello, sentiti i consigli giudiziari. E' questo, almeno potenzialmente, uno dei passaggi piu' rilevanti della procedura di formazione tabellare, perche' e' il momento in cui ciascun singolo magistrato ha la possibilita' di prendere visione delle proposte tabellari depositate nelle cancellerie dei singoli uffici interessati e di formulare proprie deduzioni al riguardo, secondo una procedura ormai da tempo codificata nelle circolari del Consiglio superiore della magistratura. Del procedimento di approvazione delle tabelle si puo' parlare, dunque, come di un procedimento aperto alla partecipazione ed alle osservazioni o reclami degli interessati ed in proposito e' stato giustamente affermato, nella dottrina costituzionalistica, che attraverso tale strumento si viene a conciliare il massimo possibile di partecipazione con il massimo possibile di efficienza. Il sistema tabellare, la cui importanza per l'attuazione della garanzia costituzionale della precostituzione del giudice e' di tutta evidenza, ha avuto un primo, seppure parzialmente, limitato riconoscimento nella legge n. 532 del 1982 istitutiva del tribunale della liberta', dove (art. 25) e' previsto che la composizione della sezione del tribunale competente a giudicare "e' indicata nelle tabelle formate ogni anno dal C.S.M. con predeterminazione dei magistrati titolari e supplenti". Successivamente il decreto-legge n. 394/1987 (convertito nella legge n. 479/1987), relativo alla composizione delle corti d'assise, ha previsto che "la ripartizione degli uffici giudiziari in sezioni, la designazione dei magistrati componenti gli uffici, comprese le corti d'assise, e la individuazione delle sezioni alle quali sono devoluti gli affari civili, gli affari penali, le controversie in materia di lavoro ed i giudizi in grado di appello sono effettuate ogni biennio con d.P.R., in conformita' alle deliberazioni del Consiglio superiore della magistratura, assunte sulle proposte formulate dai presidenti delle corti di appello sentiti i consigli giudiziari". Analogamente dispone l'art. 7-bis della legge sull'ordinamento giudiziario aggiunto dall'art. 3 del d.P.R. 22 settembre 1988, n. 449, secondo cui la ripartizione degli uffici giudiziari, la destinazione dei singoli magistrati alle sezioni e alle corti di assise, la assegnazione alle sezioni dei relativi presidenti e la formazione dei collegi giudicanti sono stabiliti ogni biennio con decreto del Presidente della Repubblica, in conformita' delle deliberazioni del Consiglio superiore della magistratura. Lo stesso principio e' stato infine espresso dall'art. 6 della legge 1 febbraio 1989, n. 30 (modificativo dell'art. 39, terzo comma, ord. giud.), che ha istituito le preture circondariali, essendosi stabilito che "l'assegnazione dei magistrati alle varie sezioni e presso le sezioni distaccate sono stabilite con decreto del Presidente della Repubblica, in conformita' alle deliberazioni del Consiglio superiore della magistratura". A partire dal 1984 il Consiglio superiore della magistratura ha, pero'; costantemente richiesto che i capi degli uffici formulino anche criteri obiettivi e predeterminati per la distribuzione degli affari tra le sezioni e per l'assegnazione di essi ai singoli magistrati, da allegare alle tabelle e da assogettare allo stesso procedimento di formazione ed approvazione (v., da ult., circ. C.S.M., n. P-95-11503, del 31 luglio 1995, relativa al biennio 1996-97). L'importanza di tale integrazione e' evidente perche' l'effettivo rispetto della garanzia costituzionale del giudice naturale, nell'accezione riferita al magistrato-persona fisica, postula un rapporto giudice-causa di cui sarebbe vano prefissare uno solo dei termini se l'altro - il giudice, nel nostro caso - potesse poi essere liberamente modificato di volta in volta. La regola che il C.S.M. si era dato e' stata ora recepita dal legislatore con l'art. 7-ter della legge sull'ordinamento giudiziario, aggiunto dall'art. 4 del d.P.R. n. 449/1988 , cit., attribuendo al C.S.M. il compito di indicare, in via generale, i criteri obiettivi e predeterminati di assegnazione degli affari penali cui i capi degli uffici debbono attenersi, con la precisazione che ogni revoca, da parte di questi ultimi, di una precedente assegnazione dev'essere motivata e comunicata al magistrato interessato. Analogamente, la legge 16 ottobre 1991, nel modificare l'art. 110, ord. giud. (gia' sostituito dall'art. 1 della legge n. 58/1989), in materia di applicazione di magistrati, prevede che "la scelta dei magistrati da applicare e' operata secondo criteri obiettivi e predeterminati indicati in via generale dal Consiglio superiore della magistratura ed approvati contestualmente alle tabelle degli uffici e con la medesima procedura". La norma di cui all'art. 7-ter, ord. giud., sebbene si riferisca espressamente agli "affari penali", e' stata significativamente ritenuta applicabile dal C.S.M. anche al settore degli "affari civili" sulla base della considerazione che la formulazione della norma risente dei limiti di materia imposti dalla delega legislativa (adeguamento dell'ordinamento giudiziario al nuovo processo penale). Ma non sembra dubbio che le medesime regole debbano valere anche per la materia civile, giacche' esse - come s'e' visto - sono espressione del principio costituzionale del giudice naturale che certamente opera in tutti i settori della giurisdizione. Non sembra, pertanto, possano nutrirsi dubbi circa la legittimita' dell'operato del C.S.M. per avere stabilito, per usare le parole della circolare sopra citata, che "anche nella materia civile i criteri di assegnazione degli affari tra le sezioni e tra i magistrati delle sezioni dovrano essere particolarmente precisi in modo da evitare l'incontrollata discrezionalita' del potere di assegnazione alle singole sezioni del capo dell'ufficio e di designazione del magistrato nell'ambito di ogni sezione" (v. par. 11, pag. 24). Il C.S.M. ha, poi, stabilito nella stessa circolare la necessita' che i criteri di assegnazione degli affari civili vengano "specificamente richiamati o ripetuti per la materia cautelare, con le piu' precise indicazioni necessarie per la idividuazione dei criteri di assegnazione dei reclami ai collegi precostituiti nell'ambito di ogni sezione". 4.- Questo rapido excursus sul sistema tabellare vigente per gli uffici giudiziari, che ha trovato riconoscimento sul piano legislativo, era necessario per dimostrare come l'assenza di criteri obiettivi e predeterminati che vincolino il potere del presidente della sezione giurisdizionale regionale nella designazione del giudice ai cui all'art. 5, comma 3, lett. a), del d.-l. 15 novembre 1993, n. 453 (convertito con modificazioni nella legge 14 gennaio 1994, n. 19) porta con se' il rischio che la scelta del giudice piu' "idoneo" operata dal capo dell'ufficio cada su quello piu' " malleabile" ovvero "acquiescente" oppure piu' "vicino" alla linea di politica giudiziaria del dirigente. Cio' che il Costituente ha inteso impedire, appunto, con l'art. 25, primo comma, stabilendo la pre-costituzione del giudice rispetto al fatto che e' chiamato a giudicare. 5. - L'art. 5, comma 3, lett. a), del decreto-legge n. 453/1993 (conv. con modif nella legge n. 19/1994), dunque, contrasta, ad avviso di questo giudice con l'art. 25, primo comma, della Costituzione nella parte in cui non prevede che la designazione del giudice sia effettuata sulla base di criteri oggettivi e predeterminati. 6. - La questione di legittimita' costituzionale sopra prospettata si presenta rilevante nel presente giudizio, in quanto essendo designato dal presidente della sezione giurisdizionale con decreto in data successiva al verificarsi della fattispecie sub judice e sulla base di una sua valutazione discrezionale, qualora fosse dichiarata la incostituzionalita' della norma denunciata verrebbe meno la regolare costituzione di questo giudice.
P.Q.M. Il giudice designato nel giudizio di conferma, modifica o revoca deI decreto di sequestro indicato in epigrafe; Visti gli artt. 134 della Costituzione e 23, commi 2 e 3, della legge 11 marzo 1953, n. 87; Dichiara rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 5, comma 3, lett. a) del d.-l. 15 novembre 1993, n. 453 (convertito, con modificazioni, nella legge 14 gennaio 1994, n. 19), nella parte in cui non prevede che la designazione del giudice venga effettuata sulla base di criteri oggettivi e predeterminati, per violazione dell'art. 25, primo comma, della Costituzione; Ordina l'immediata trasmissione degli atti, a cura della segreteria, alla Corte costituzionale, sospendendo conseguentemente il processo sino all'esito del giudizio incindentale di costituzionalita'; Dispone che, a cura della segreteria, la presente ordinanza sia notificata al Presidente del Consiglio dei Ministri ed alle parti, e sia comunicata ai Presidenti della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica Cosi' provveduto in Bari, nella camera di consiglio del venti giugno millenovecentonovantasei. Il giudice: Raeli 97C0337