N. 94 SENTENZA 26 marzo - 11 aprile 1997

 
 
 Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale.
 
 Processo  penale - Udienza preliminare - Possibilita' di emissione di
 sentenza di non  luogo  a  procedere  per  difetto  di  imputabilita'
 nell'ipotesi in cui sia in corso di applicazione una misura cautelare
 con  incapacita' dell'imputato a partecipare al procedimento - Omessa
 previsione - Riferimento alla giurisprudenza della Corte  in  materia
 (v.   sentenza   n.   71/1996)   -   Possibilita'  di  una  manifesta
 compromissione di piu' valori costituzionali in caso di  accoglimento
 della  questione segnatamente al diritto a partecipare coscientemente
 alla fase dell'udienza preliminare - Inammissibilita'.
 
 (C.P.P., artt. 71 e 425).
 
 (Cost., artt. 3, 24 e 112).
 
(GU n.16 del 16-4-1997 )
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
 composta dai signori:
  Presidente: prof. Giuliano VASSALLI;
  Giudici:  prof.  Francesco  GUIZZI,  prof.  Cesare  MIRABELLI,  avv.
 Massimo VARI, dott. Cesare RUPERTO,  dott.  Riccardo  CHIEPPA,  prof.
 Gustavo  ZAGREBELSKY,  prof.  Valerio  ONIDA,  avv.  Fernanda CONTRI,
 prof. Guido NEPPI MODONA,  prof. Piero Alberto CAPOTOSTI;
 ha pronunciato la seguente
                                Sentenza
 nei giudizi di legittimita' costituzionale degli artt. 425 e  71  del
 codice di procedura penale, promossi con ordinanze emesse:
     1)  il  29  maggio  1996  dal giudice per le indagini preliminari
 presso il tribunale di S.Maria Capua Vetere, nel procedimento  penale
 a  carico  di  Di  Tella  Antonio,  iscritta  al  n. 865 del registro
 ordinanze 1996 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica
 n. 38, prima serie speciale, dell'anno 1996;
     2)  il  24  aprile  1996  dal giudice per le indagini preliminari
 presso il tribunale di Catania, nel procedimento penale a  carico  di
 Quaceci  Nicola,  iscritta  al  n. 1185 del registro ordinanze 1996 e
 pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della  Repubblica  n.  44,  prima
 serie speciale, dell'anno 1996;
   Visto  l'atto  di  intervento  del  Presidente  del  Consiglio  dei
 Ministri;
   Udito nella camera di consiglio del 12  febbraio  1997  il  giudice
 relatore Giuliano Vassalli.
                           Ritenuto in fatto
   1.  - Il giudice per le indagini preliminari presso il tribunale di
 S.Maria Capua Vetere premette, in fatto,  che  nei  confronti  di  un
 imputato, al quale e' stata a suo tempo provvisoriamente applicata la
 misura di sicurezza del ricovero in ospedale psichiatrico giudiziario
 a norma dell'art. 312 cod. proc. pen., e' stata pronunciata ordinanza
 di  sospensione  del  procedimento  a  causa  della  sua  accertata e
 perdurante incapacita' di partecipare coscientemente al  procedimento
 stesso.      Non   risulta  quindi  possibile  procedere  all'udienza
 preliminare, considerato che l'art. 71, comma 1, cod. proc. pen.,  il
 quale  fa  salva  la possibilita' di emettere sentenza di non luogo a
 procedere, non puo' trovare applicazione in  ipotesi  di  difetto  di
 imputabilita',   essendo   stata   la   relativa  formula  dichiarata
 costituzionalmente illegittima  con  la  sentenza  n.  41  del  1993.
 D'altra   parte,   osserva  il  giudice  a  quo,  in  pendenza  della
 sospensione del procedimento non e' possibile neppure assumere  prove
 che potrebbero indurre ad una modifica della imputazione, considerato
 che  al  giudice  e'  consentito  assumere soltanto le prove utili al
 proscioglimento dell'imputato e  quelle  non  rinviabili.  Per  altro
 verso,  essendo  in  corso  "un  provvedimento  cautelare", avendo il
 giudice  sostituito  la  misura  di  sicurezza  con  il  ricovero  in
 struttura  ospedaliera  a  norma  dell'art.  73  del  codice di rito,
 sussiste un interesse per l'imputato  ad  ottenere  un  provvedimento
 giurisdizionale  che permetta di "fissare" l'imputazione, considerati
 i riflessi che ne scaturiscono sul piano dello status libertatis.  La
 situazione  di  "stallo  processuale"  che  ne  consegue e' dunque, a
 parere del rimettente, del tutto irragionevole, cosi'  da  comportare
 la  necessita'  di  un  "ripensamento" della decisione adottata dalla
 Corte nella citata sentenza n. 41 del 1993, alla luce delle modifiche
 normative introdotte dalla legge n. 105 del 1993, che ha  ampliato  i
 poteri decisori del giudice sopprimendo il requisito della "evidenza"
 che  prima  circoscriveva  la possibilita' di adottare la sentenza di
 non luogo a procedere. Tenuto conto, quindi, dell'indicato  mutamento
 del  quadro  normativo  e  dei  poteri  riconosciuti al giudice della
 udienza preliminare in  tema  di  modifica  della  imputazione  e  di
 qualificazione  giuridica  del  fatto,  appare possibile - osserva il
 giudice a quo - una "fissazione del fatto" in udienza preliminare con
 relativa "reintroduzione del potere di emettere sentenza di non luogo
 a procedere nei casi  di  assenza  di  imputabilita'  per  infermita'
 mentale,   quantomeno   nell'ipotesi  in  cui  risulti  in  corso  di
 esecuzione un provvedimento di natura cautelare". Una reintroduzione,
 ribadisce il rimettente, che si giustifica  in  considerazione  della
 sopravvenuta   inattualita'   degli  argomenti  posti  a  base  della
 richiamata sentenza n. 41 del 1993. In  via  principale,  dunque,  il
 giudice  a quo solleva, in riferimento all'art. 3 della Costituzione,
 questione di legittimita' costituzionale  dell'art.  425  cod.  proc.
 pen., nella parte in cui non prevede - quantomeno nell'ipotesi in cui
 sia  in corso di applicazione una misura cautelare e l'imputato versi
 in condizioni di incapacita'  a  partecipare  al  procedimento  -  la
 possibilita'  di  emettere  sentenza  di  non  luogo  a procedere per
 difetto di imputabilita'. In via  subordinata,  il  medesimo  giudice
 solleva,   sempre  in  riferimento  all'art.  3  della  Costituzione,
 questione di legittimita' costituzionale dell'art.    71  cod.  proc.
 pen.,  nella  parte  in  cui  prevede  la  necessita'  di pronunciare
 ordinanza di sospensione del procedimento anche nell'ipotesi in  cui,
 pur  potendosi  ragionevolmente  prevedere  l'emissione  di  sentenza
 dibattimentale di proscioglimento  per  assenza  di  imputabilita'  a
 causa  della  presenza  in  atti  di accertamento peritale attestante
 l'incapacita'  al  momento  del  fatto,  il  giudice  della   udienza
 preliminare debba disporre il rinvio a giudizio.
   2.  - Il giudice per le indagini preliminari presso il tribunale di
 Catania a sua volta solleva, in riferimento agli artt. 24 e 112 della
 Costituzione, questione di legittimita' costituzionale dell'art.  425
 cod. proc. pen., nella parte in cui  non  prevede  che  nel  caso  di
 persona non imputabile al momento del fatto e incapace di partecipare
 coscientemente al processo, non debba emettersi, da parte del giudice
 dell'udienza preliminare, sentenza di non luogo a procedere allorche'
 risulti  evidente  la  materiale  attribuibilita'  del fatto medesimo
 all'imputato. Rileva a  tal  proposito  il  giudice  a  quo  che  dal
 combinato disposto degli artt. 71 cod. proc. pen., operante anche nel
 caso  di  infermita'  mentale  preesistente  al fatto a seguito della
 sentenza n. 340 del 1992, e 425 dello stesso codice, come  dichiarato
 costituzionalmente illegittimo con la sentenza n. 41 del 1993, deriva
 senza  alcuna  valida  ragione la sospensione indefinita del processo
 nonostante l'evidente sussistenza di una causa  di  non  punibilita',
 con   correlativa   ingiustificata   violazione   del   principio  di
 obbligatorieta' dell'azione penale nonche' del diritto  dell'imputato
 ad  essere  immediatamente  giudicato  e prosciolto.   D'altra parte,
 osserva il rimettente, neppure verrebbe in discussione la ratio posta
 a fondamento della sentenza n. 41  del  1993  ove  si  versi  in  una
 ipotesi  in  cui,  come nella specie, non sussista alcun dubbio sulla
 materiale  attribuibilita'  del  fatto  all'imputato  nonche'   sulle
 relative modalita' e circostanze.
   3.  -  In  quest'ultimo  giudizio ha spiegato atto di intervento il
 Presidente  del  Consiglio  dei  Ministri,  rappresentato  e   difeso
 dall'Avvocatura  generale dello Stato, chiedendo che la questione sia
 dichiarata  non  fondata.  A  parere  dell'Avvocatura  risulterebbero
 anzitutto  non  pertinenti  i  parametri  invocati: non il diritto di
 difesa, infatti, in quanto utilizzato nella sentenza n. 41  del  1993
 proprio  per  giungere alla conclusione opposta; non l'art. 112 della
 Costituzione, in quanto la sospensione del procedimento determina  la
 sospensione   del   corso   della  prescrizione.  D'altronde,  rileva
 l'Avvocatura, l'impossibilita' di dichiarare il non luogo a procedere
 per  difetto  di  imputabilita'  e  la  conseguente  sospensione  del
 processo  non si traduce in una "arbitraria ed indefinita sospensione
 sine die del rapporto  processuale  penale,  priva  di  contrappesi",
 giacche',  come  ha  osservato la dottrina, l'istituto previsto dagli
 artt. 70 e ss. cod. proc. pen. e' volto a scongiurare il  rischio  di
 creare  una  categoria  di  "eterni  giudicabili",  come emerge dalle
 verifiche periodiche  previste  dall'art.  72  dello  stesso  codice,
 bilanciato   dalle  cautele  che  presidiano  l'azione  civile  e  la
 prescrizione penale.
                        Considerato in diritto
    1. - Le ordinanze di rimessione prospettano dubbi di  legittimita'
 costituzionale parzialmente coincidenti e riferiti al medesimo quadro
 normativo:  i  relativi  giudizi  vanno  pertanto  riuniti per essere
 decisi con un'unica sentenza.
   2. - Il giudice per le indagini preliminari presso il tribunale  di
 S.Maria  Capua  Vetere  solleva,  in  riferimento  all'art.  3  della
 Costituzione, questione di legittimita' costituzionale dell'art.  425
 del codice di procedura penale, nella parte  in  cui  non  prevede  -
 quantomeno  nell'ipotesi  in  cui  sia  in  corso di applicazione una
 misura cautelare e l'imputato versi in condizioni  di  incapacita'  a
 partecipare al procedimento - la possibilita' di emettere sentenza di
 non  luogo  a  procedere  per difetto di imputabilita'. Osserva a tal
 proposito il giudice a quo che, essendo stato soppresso  dalla  legge
 n.  105  del  1993  il  requisito della "evidenza" che relegava entro
 angusti confini la possibilita' di pronunciare sentenza di non  luogo
 a  procedere,  e  poiche'  risultano,  quindi,  incrementati i poteri
 riconosciuti al giudice della udienza preliminare in tema di modifica
 dell'imputazione e di qualificazione giuridica del  fatto,  sarebbero
 venute  meno  le ragioni che indussero questa Corte a dichiarare, con
 la sentenza n. 41 del 1993, l'illegittimita' costituzionale dell'art.
 425  cod.  proc.  pen.,  proprio  nella  parte  in  cui  sanciva   la
 possibilita'  di  pronunciare  sentenza  di non luogo a procedere per
 difetto di imputabilita'.   L'irragionevolezza del  sistema,  osserva
 ancora  il  rimettente,  e'  esaltata  dalla disciplina che regola la
 sospensione del procedimento a causa della incapacita'  dell'imputato
 a  partecipare  coscientemente allo stesso, giacche' in tale ipotesi,
 non potendosi  dichiarare  nell'udienza  preliminare  il  difetto  di
 imputabilita',  si  determina  uno "stallo processuale" che impedisce
 l'adozione  di  un  provvedimento  che  cristallizzi   l'imputazione,
 quantomeno  ai  rilevanti  effetti che ne possono scaturire sul piano
 delle misure cautelari in corso di applicazione. In via  subordinata,
 il  medesimo  giudice  ha sollevato, sempre in riferimento all'art. 3
 della  Costituzione,   questione   di   legittimita'   costituzionale
 dell'art.  71  cod.  proc.  pen.,  nella  parte  in cui stabilisce la
 necessita' di pronunciare ordinanza di sospensione  del  procedimento
 anche nell'ipotesi in cui, pur potendosi prevedere in dibattimento la
 emissione   di   sentenza   di   proscioglimento   per   difetto   di
 imputabilita', il giudice della udienza preliminare debba disporre il
 rinvio a giudizio.
   3. - Questione analoga e' stata sollevata anche dal giudice per  le
 indagini  preliminari  presso  il  tribunale di Catania. A parere del
 rimettente, infatti, l'art. 425  cod.  proc.  pen.,  si  porrebbe  in
 contrasto  con  gli artt. 24 e 112 della Costituzione, nella parte in
 cui non prevede che, nel caso di persona non  imputabile  al  momento
 del  fatto  e incapace di partecipare coscientemente al processo, non
 debba emettersi sentenza di non luogo a procedere  allorche'  risulti
 evidente   la   materiale  attribuibilita'  del  fatto  all'imputato.
 Sottolinea al riguardo il giudice a quo che,  dovendosi  disporre  la
 sospensione  del  procedimento  a  norma dell'art. 71 cod. proc. pen.
 anche nel caso di infermita' mentale preesistente al fatto a  seguito
 della  sentenza  n.  340  del  1992,  e non potendosi al tempo stesso
 pronunciare  sentenza  di  non  luogo  a  procedere  per  difetto  di
 imputabilita',  essendo  stata   la   relativa   formula   dichiarata
 costituzionalmente  illegittima  con  la sentenza n. 41 del 1993, nei
 confronti dell'infermo tunc et nunc si determina, senza alcuna valida
 ragione, l'indefinita sospensione del  processo  malgrado  l'evidente
 sussistenza   di  una  causa  di  non  punibilita',  con  conseguente
 violazione del principio di obbligatorieta' dell'azione penale e  del
 diritto   dell'imputato   ad   essere   immediatamente   giudicato  e
 prosciolto.
   4. - L'analisi delle considerazioni poste a fondamento  della  piu'
 volte  richiamata  sentenza  n. 41 del 1993 si rivela dunque centrale
 agli  effetti  di  una  compiuta  valutazione  dei  vari  profili  di
 illegittimita'   costituzionale  che  gli  odierni  rimettenti  hanno
 ritenuto di sottoporre all'esame di questa Corte, sicche' e'  proprio
 da quelle considerazioni che occorre prendere le mosse per verificare
 se   e   in   che   misura   le  censure  dedotte  possono  ritenersi
 pertinentemente  argomentate  sulla  base  della   decisione   allora
 adottata.  In  quella occasione, la Corte ritenne che la possibilita'
 di pronunciare  all'udienza  preliminare  sentenza  di  non  luogo  a
 procedere  per  difetto  di  imputabilita'  presentasse  tre distinti
 profili di illegittimita' in riferimento ad altrettanti parametri. Si
 considero', innanzitutto, che la norma  -  anche,  ma  non  solo,  in
 virtu' del presupposto della "non evidenza" che allora caratterizzava
 l'art.  425  cod.  proc.  pen.  -  contrastasse con l'art.   24 della
 Costituzione, in quanto la persona non imputabile  veniva  ad  essere
 per   cio'   solo   privata  del  dibattimento  e  della  conseguente
 possibilita' di esercitare appieno il diritto alla prova  sul  merito
 della  regiudicanda,  con  conseguente  compressione  del  diritto di
 difesa che non poteva  certo  ritenersi  bilanciata  da  contrapposte
 esigenze di economia processuale.
   Fu  poi  rilevato che la previsione della formula della sentenza di
 non luogo a procedere  per  difetto  di  imputabilita'  generava  una
 ingiustificata  disparita'  di trattamento nei confronti dei soggetti
 ugualmente non imputabili, in quanto per costoro la  possibilita'  di
 fruire  del  dibattimento  e  delle conseguenti garanzie veniva fatta
 dipendere esclusivamente dal modulo  processuale  adottato.  "Mentre,
 infatti - si osservo' - nei confronti del non imputabile a carico del
 quale  si  celebra l'udienza preliminare si determina una preclusione
 all'esercizio dei propri diritti indibattimento, essendo  il  giudice
 chiamato  a  pronunciare  sentenza  di  non  luogo a procedere con la
 corrispondente formula, una  analoga  preclusione  non  si  realizza,
 invece,  in  tutte  le  altre ipotesi in cui manca, come nel giudizio
 direttissimo  e  nel  procedimento  davanti  al  pretore,   la   fase
 dell'udienza  preliminare,  il  cui  svolgimento,  per  di  piu',  e'
 condizionato dall'esistenza di una richiesta  che  si  raccorda  alle
 scelte sul rito che l'ordinamento riserva al pubblico ministero".
   La  sentenza  ravviso',  infine,  un  contrasto con l'art. 76 della
 Costituzione, in quanto il difetto di imputabilita' non compariva tra
 le cause che legittimano  la  sentenza  di  non  luogo  a  procedere,
 secondo  la rassegna operata nel numero 52), sesto periodo, dell'art.
 2 della legge-delega 16 febbraio 1987, n. 81, a differenza di  quanto
 invece  espressamente  previsto  per  il  processo  minorile,  la cui
 disposizione di rinvio, contenuta nell'art. 32, comma  1,  d.P.R.  22
 settembre  1988,  n.  448,  venne  pertanto  fatta salva. Una scelta,
 quella  del  legislatore  delegante,  che  si  ritenne tutt'altro che
 incoerente, considerata la diversa funzione delle fasi processuali  e
 dunque  la  necessita'  di  riservare al giudice del dibattimento "la
 delibazione del difetto di imputabilita',  postulando  la  stessa  il
 necessario  accertamento  di responsabilita' in ordine al fatto-reato
 che puo' compiutamente svolgersi solo in sede dibattimentale".
   Alla luce  delle  considerazioni  teste'  sinteticamente  rievocate
 emerge  dunque  con chiarezza come l'insistito richiamo dei giudici a
 quibus alla sopravvenuta "inattualita'" di quella sentenza a  seguito
 della  novella  che ha modificato la regola di giudizio dell'art. 425
 cod. proc. pen., si riveli fallace, proprio perche' le ragioni  della
 incostituzionalita'  non  riposavano  soltanto  su  quel  presupposto
 normativo e sul connesso parametro di costituzionalita', con  l'ovvia
 conseguenza  di  rendere  l'intento  che ora viene perseguito esposto
 alle medesime censure che indussero questa  Corte  a  pronunciare  la
 declaratoria   di   illegittimita'   costituzionale   che  i  giudici
 rimettenti intenderebbero nella sostanza porre nel nulla,  attraverso
 una sentenza additiva evidentemente improponibile.
   D'altra  parte,  questa  Corte  ha  in piu' occasioni avuto modo di
 ribadire che la sentenza di non luogo a procedere "era e resta, anche
 dopo le modifiche  subite  dall'art.  425  del  codice  di  procedura
 penale,  una sentenza di tipo "processuale", destinata null'altro che
 a  paralizzare  la  domanda  di  giudizio  formulata   dal   pubblico
 ministero",  al  punto  da  imporre  l'adozione  del provvedimento di
 rinvio a giudizio anche nelle ipotesi in cui sia stata  semplicemente
 ritenuta   la   "necessita'   di   consentire  nella  dialettica  del
 dibattimento  lo  sviluppo  di  elementi  ancora  non  chiariti"  (v.
 sentenza  n.  71  del  1996).  Sicche',  anche  sotto il circoscritto
 profilo che  i  rimettenti  prospettano,  non  puo'  certo  ritenersi
 soluzione   costituzionalmente   imposta   quella  di  prevedere  una
 pronuncia  per  difetto  di  imputabilita'  non  basata  sul   previo
 accertamento  della responsabilita' dell'imputato, ma sul ben diverso
 paradigma,  tutto  processuale,  della  ritenuta   fondatezza   della
 richiesta di rinvio a giudizio formulata dal pubblico ministero.
   Significativa,  per  altro  verso,  e'  la  parcellizzazione  delle
 ipotesi che i due giudici rimettenti prospettano come  oggetto  della
 sollecitata sentenza additiva, facendo riferimento, l'uno, al caso in
 cui  sia  in  corso di applicazione una misura cautelare (cosi' dando
 luogo ad alternative processuali  irragionevolmente  differenziate  a
 seconda  dello  status  libertatis)  e,  l'altro, alla ipotesi in cui
 "risulti   evidente   la   materiale   attribuibilita'   del    fatto
 all'imputato"  (quasi  che  cio'  basti,  da un lato, ad affermare la
 responsabilita' e, dall'altro, a rendere  legittima  l'esclusione  di
 qualsiasi  difesa  sul  punto).    Una parcellizzazione, quindi, che,
 anche a voler prescindere dai segnalati e assorbenti profili di assai
 dubbia legittimita', e' comunque  di  per  se'  idonea  a  dimostrare
 l'impossibilita'  di  risolvere  sul  piano  costituzionale una gamma
 quanto  mai  variegata  di  possibili  opzioni,   che   soltanto   il
 legislatore  e'  abilitato a compiere. Diversa puo' infatti essere la
 disciplina in  rapporto,  ad  esempio,  alla  necessita'  o  meno  di
 applicare  misure  di  sicurezza,  alla  tipologia del rito che viene
 adottato  o  alla  stessa  prevedibile   durata   della   incapacita'
 processuale,  al  punto che un modello unitario non soltanto non puo'
 ritenersi costituzionalmente estrapolabile dal sistema, ma  non  puo'
 neppure  essere  teoricamente abbozzato se non scendendo sul piano di
 valutazioni plurime di opportunita' che questa  Corte  non  e'  certo
 abilitata a compiere.
   Le  stesse  considerazioni  valgono, ovviamente, anche per cio' che
 riguarda la questione di legittimita' costituzionale che  il  giudice
 di  S.Maria Capua Vetere ha sollevato in via subordinata operando sul
 diverso versante della sospensione  del  processo:  in  questo  caso,
 pero',  l'inammissibilita' del quesito e' resa ancor piu' trasparente
 dalla manifesta compromissione di piu' valori costituzionali  che  un
 eventuale accoglimento della questione automaticamente comporterebbe.
 Da  un lato, infatti, non si vede perche' il processualmente incapace
 dovrebbe essere privato - rimuovendosi la sospensione - del diritto a
 partecipare coscientemente alla fase della udienza preliminare,  che,
 pure,  e' sede di difesa; dall'altro, neppure si comprende la ragione
 per la quale la sospensione del procedimento, prevista anche  per  la
 fase  delle  indagini  preliminari,  non dovrebbe aver luogo soltanto
 agli effetti del rinvio a giudizio e nel solo caso in cui si  proceda
 con  l'udienza  preliminare, cosi' facendo dipendere l'applicabilita'
 di un istituto di garanzia dal momento  in  cui  l'incapacita'  viene
 accertata e dal modello processuale adottato.
                           Per questi motivi
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
   Riuniti i giudizi, dichiara inammissibili:
     le  questioni di legittimita' costituzionale degli artt. 425 e 71
 del codice di procedura penale, sollevate, in riferimento all'art.  3
 della Costituzione, dal giudice per le indagini preliminari presso il
 tribunale di S.Maria Capua Vetere con l'ordinanza in epigrafe;
     la questione di legittimita'  costituzionale  dell'art.  425  del
 codice  di procedura penale, sollevata, in riferimento agli artt.  24
 e 112 della Costituzione, dal giudice  per  le  indagini  preliminari
 presso il Tribunale di Catania con l'ordinanza in epigrafe.
   Cosi'  deciso  in  Roma,  nella  sede  della  Corte costituzionale,
 Palazzo della Consulta, il 26 marzo 1997.
                  Il Presidente e redattore: Vassalli
                       Il cancelliere: Di Paola
   Depositata in cancelleria l'11 aprile 1997.
               Il direttore della cancelleria: Di Paola
 97C0351