N. 207 ORDINANZA (Atto di promovimento) 3 dicembre 1996
N. 207 Ordinanza emessa il 3 dicembre 1996 dal pretore di Pescara nel procedimento penale a carico di Di Giovanni Ottavio Ambiente (tutela dell') - Inquinamento - Scarichi da utilizzazione agronomica delle acque di vegetazione (nella specie: frantoi oleari) - Osservanza delle prescrizioni, dei limiti e degli indici di accettabilita' previsti dalla legge n. 319/1975 e successive modificazioni - Esclusione - Conseguente depenalizzazione di condotta nociva all'ambiente e alla salute - Ingiustificato trattamento di privilegio rispetto agli scarichi di altri insediamenti produttivi - Riferimento alla sentenza della Corte costituzionale n. 330/1996 di inammissibilita' di questione analoga. (Legge 11 novembre 1996, n. 574, artt. 3, 8, 10, commi 1, 2, 3 e 4). (Cost., artt. 3, 9, secondo comma, 32, e 41, secondo comma).(GU n.18 del 30-4-1997 )
IL PRETORE Ha emesso la seguente ordinanza letti gli atti del procedimento n. 1659/1996 r.g. pretura a carico di Di Giovanni Ottavio, per il reato di cui all'art. 21, primo comma, della legge 10 maggio 1976 n. 319. O s s e r v a Nel processo in questione e' stata contestata la violazione della legge n. 319 del 1976 in relazione allo scarico di un frantoio oleario, considerato dalla legge quale scarico da insediamento produttivo, quindi soggetto agli obblighi ed alle sanzioni penali previsti per questi scarichi a tutela dall'inquinamento. Tuttavia e' nel frattempo intervenuta la legge 11 novembre 1996, n. 574, la quale stabilendo "Nuove norme in materia di utilizzazione agronomica delle acque di vegetazione e di scarichi dei frantoi oleari", prevede una particolare disciplina di favore per questi scarichi espressamente derogatoria rispetto a quella stabilita dalla legge n. 319/1976 per tutti gli altri scarichi da insediamenti produttivi. In particolare si consente lo scarico delle acque di vegetazione e delle sanse umide, cui l'art. 1, comma secondo, estende lo stesso regime di favore, provenienti dalla lavorazione delle olive, senza autorizzazione preventiva e senza l'osservanza dei limiti tabellari previsti dalla legge n. 319, pure gia' previsti dall'art. 2, comma 2, legge n. 119/1987 (disposizioni urgenti in materia di scarico dei frantoi oleari), prevedendo al piu' sanzioni amministrative non superiori, nel massimo, a 5 milioni; e si precisa in proposito che "L'utilizzazione agronomica delle acque di vegetazione ai sensi dell'art. 1, non e' subordinata all'osservanza da parte dell'interessato delle prescrizioni dei limiti e di accettabilita' previsti dalla legge n. 319/1976 e succ. modificazioni" (art. 10, comma primo). Per altro la legge in esame era stata preceduta sin dall'aprile 1995 da una serie di decreti-legge reiterati e mai convertiti i quali tendevano anch'essi a creare una disciplina di favore (anche se piu' limitata) in deroga a quella generale per gli scarichi dei frantoi. Sotto il profilo penale, la nuova legge oltre ad essere piu' favorevole, fa anche salvi gli effetti prodottisi sulla base dei citati decreti-legge, prevedendo in proposito, una espressa causa di non punibilita' (art. 10, commi 3 e 4). Nel caso di specie, dunque, alla stregua della nuova disciplina, si dovrebbe pervenire al proscioglimento, trattandosi di fatto non piu' previsto dalla legge come reato ovvero espressamente dichiarato non punibile. A parere di questo pretore sussistono, pero', profili di inconstituzionalita' che inducono questo giudice a prospettare la questione alla Corte costituzionale. In primo luogo, infatti, non sembra infondato ritenere che sia stato violato il principio di uguaglianza sancito dall'art. 3 della Costituzione. La Corte costituzionale ha costantemente affermato che il rispetto dell'art. 3 consente al legislatore di emanare norme differenziate riguardo a situazioni obiettivamente diverse solo a condizione che tali norme rispondano alla esigenza che la disparita' di trattamento sia fondata su presupposti logici obiettivi, i quali razionalmente ne giustifichino l'adozione (cfr. per tutte la sentenza n. 3 del 1963). Per cui la Corte ha dichiarato illegittime norme che prevedevano un trattamento sanzionatorio irrazionalmente differenziato rispetto a quello previsto da altre fattispecie, ovvero, con una decisione recente proprio relativa all'art. 21 della legge Merli (ove si fa' espresso riferimento anche al complesso della normativa ambientale) eliminando il divieto di applicazione di sanzioni sostitutive (sentenza n. 254 del 20-23 giugno 1994). In questa sentenza la Corte ricorda che si viola il principio di eguaglianza qualora con leggi successive si dia vita ad un "sistema normativo assolutamente squilibrato". Ed anzi, a proposito del principio di eguaglianza in questo delicato settore la Corte, come rilevato da recente dottrina, ha anche precisato che si tratta di un modello "dinamico" il quale, in presenza di una diversa disciplina giuridica di situazioni omogenee, dovrebbe indurre l'interprete ad interrogarsi sul "perche' una determinata disciplina operi, all'interno del tessuto egualitario dell'ordinamento, quella specifica distinzione" ed a "trarne le debite conseguenze in punto di corretto uso del potere normativo" (sentenza n. 89 de 28 marzo 1996); dichiarando, in tema di sanzioni, la "arbitrarieta' delle statuizioni non uniformi" per "contrasto con i principi di ragionevolezza e di razionalita' della legislazione, desumibili dall'art. 3 della Costituzione" (sentenza n. 52 del 21 febbraio 1996). Esattamente quello che ha fatto il legislatore con la nuova legge. Infatti con essa si e' introdotta, senza alcuna ragionevole giustificazione, un evidente disparita' di trattamento, sia come obblighi che come sanzione, tra scarichi da insediamenti produttivi; tanto piu' che, trattandosi di norme contro l'inquinamento, l'unico presupposto che dovrebbe giustificare un trattamento di favore per gli scarichi dei frantoi dovrebbe riguardare la loro minore pericolosita' per l'ambiente e non il tipo di attivita'. Mentre e' vero il contrario, come si evince anche da tutta la normativa tecnica elaborata per il trattamento delle acque di vegetazione (vedi tra gli altri d.m. 24 luglio 1987 n. 397). In altri termini appare del tutto evidente che se lo scopo del legislatore e' di evitare lo scarico nell'ambiente di sostanze con parametri che superino determinati limiti di accettabilita', e' del tutto irrilevante, ai fini eventuali "ragionevoli" esclusioni, la provenienza ed il tipo di attivita' svolta. Del resto appare del tutto evidente che se il legislatore ritenesse che gli scarichi dei frantoi sono da ritenersi innocui, in quanto non superano i limiti tabellari, non ci sarebbe stata alcuna necessita', (dopo avere stabilito l'obbligo del rispetto dei limiti di cui alla tabella A della legge n. 319/1976 entro due anni dall'entrata in vigore della legge n. 119/1977), di escludere oggi con la legge n. 574/1996 il rispetto degli obblighi della legge n. 319. Peraltro, la nuova legge configura una evidente disparita' di trattamento rispetto anche al sistema complessivo della normativa di tutela ambientale (cfr. ad es. il d.P.R. 24 maggio 1988 n. 203 sull'inquinamento atmosferico da industria) ed in particolare altre leggi che si occupano, come la Merli, di inquinamento delle acque (quale il d.-l. 27 gennaio 1992 n. 133 sugli scarichi di sostanze pericolose), le quali prevedono tutte sanzioni penali (e non amministrative) per fatti di inquinamento o per violazioni delle prescrizioni dell'autorizzazione commessi da titolari di insediamenti produttivi. Ma il nuovo testo appare in contrasto anche con l'art. 32 della Costituzione che garantisce il diritto alla salute. Se infatti secondo il costante insegnamento della Corte costituzionale e della Corte di cassazione l'art 32 stabilisce il diritto ad un ambiente salubre per cui "l'Amministrazione non ha il potere di rendere l'ambiente insalubre neppure in vista di motivi di interesse pubblico di particolare rilevanza" (Cass. 6 ottobre 1979 n. 5172) appare evedente il contrasto con questo diritto di una normativa la quale elimina per i soli titolari di scarico di frantoi oleari gli obblighi e le sanzioni penali previste dalla legge n. 319 per violazioni che danneggino l'ambiente. Altrettanto evidente appare il contrasto della citata legge n. 575/1996 con l'art. 9, secondo comma, della Costituzione, per insegnamento della Corte costituzionale l'ambiente e' diritto fondamentale insuscettivo di essere subordinato a qualunque altro, laddove in questo caso, evidenti ragioni di carattere economico conducono non solo a prevedere diverse procedure amministrative di autorizzazione ma giungono comunque a depenalizzare una condotta (scarico non autorizzato) privando di effettiva tutela penale un bene ed un diritto fondamentale. Cio' fa sorgere anche perplessita' sul possibile contrasto con l'art. 41, secondo comma della Costituzione che vieta iniziative economiche private "in contrasto con l'utilita' sociale". Peraltro come segnalato dall'ordinanza del pretore di Vicenza del 2 agosto 1984 in relazione di un decreto-legge poi sfociato nella legge n. 172/1995 suscita dubbi di costituzionalita' qualunque legge che favorisce apertamente, con deroghe, depenalizzazione e sanzioni irrisorie, chi ha violato la normativa da inquinamento da scarichi e "penalizza invece, anche sul piano della concorrenza fra imprese, proprio le aziende che hanno affrontato rilevanti investimenti per adeguare i propri impianti alle esigenze di tutela ambientale". A proposito del possibile intervento della Corte costituzionale, tuttavia, si deve rilevare che, nel caso di analoghe eccezioni sollevate in relazione alla disciplina di favore introdotta, con riferimento soprattutto alle sanzioni, dalla legge n. 172 del 1995 per gli scarichi delle pubbliche fognature, la Corte ha ritenuto di doverle dichiarare manifestamente inammissibili in quanto "il fondamentale principio di stretta legalita' dei reati e delle pene preclude pronunce che configurino nuove ipotesi di reato o aggravamenti di pena" (ordinanza n. 332 del 30 luglio 1996); aggiungendo che "le questioni tendono ad introdurre o reintrodurre, figure di reato o aggravamenti di pena, chiedendo una pronuncia che esula dai poteri spettanti a questa Corte, giacche' il potere di creare fattispecie penali o di aggravare le pene e' esclusivamente riservato al legislatore, in forza del principio di stretta legalita' dei reati e delle pene, sancito dall'art. 25, secondo comma della Costituzione" (sentenza n. 330 del 29 luglio 1996). A tale argomentazione e' agevole replicare che nel caso di specie, ricorrono situazioni diverse per cui non si chiede affatto alla Corte di creare nuovi illeciti penali o di aggravare le pene, ma molto piu' semplicemente, di valutare se il nuovo regime di favore, relativo agli obblighi prima ancora che alle sanzioni, creato con la legge n. 574 per gli scarichi dei frantoi, sia in contrasto o meno con alcuni articoli della Costituzione. Che poi, da tale eventuale pronuncia possa derivare il ripristino della disciplina precedente (anche come sanzioni), e' fatto del tutto secondario ed automatico, e certamente non tale da impedire alla Corte di esercitare il suo potere-dovere rispetto a norme di legge che si sospettano incostituzionali. Del resto, richiamando alcune considerazioni gia' accennate, e' pacifico per la Corte, che l'esercizio della discrezionalita' del legislatore in tema di sanzioni "puo' essere censurato quando esso non rispetti il limite della ragionevolezza e dia luogo ad una disparita' di trattamento palesemente irrazionale ed ingiustificata" (sentenza n. 25 del 26 gennaio 1984); e che spetta alla Corte verificare, caso per caso, se una data misura sanzionatoria sia o meno proporzionata (sentenza n. 110 del 12 aprile 1996). Considerato che nel caso in esame e' contestato il reato di cui all'art. 21, primo comma della legge n. 319/1976, ma che trattandosi di scarico da frantoio si potrebbe pervenire ad un proscioglimento ai sensi dell'art. 8, primo comma e 10 della legge sopravvenuta 11 novembre 1996 n. 574, come richiesto dalla difesa. Considerato che per le argomentazioni sopra esposte vi sono validi motivi per ritenere non manifestamente infondato il sospetto che gli artt. 3, 8, 10 primo-secondo-terzo e quarto comma della legge 11 novembre 1996 n. 574 siano in contrasto con gli artt. 3, 9, secondo comma, 32, 41, secondo comma, della Costituzione e che ove le predette norme fossero dichiarate illegittime dalla Corte costituzionale si applicherebbero la disciplina e le sanzioni della legge n. 319/1976.
P. Q. M. Ritenuto che il giudizio non possa essere definito indipendentemente dalla questione di legittimita' costituzionale innanzi prospettata; Visti gli artt. 1 della legge costituzionale 9 febbraio 1948, n. 1, 24 della legge 11 marzo 1953, sospende il procedimento e dispone l'immediata trasmissione degli atti alla Corte costituzionale; Dispone che la presente ordinanza, letta all'udienza, sia notificata a cura della cancelleria al Presidente del Consiglio dei Ministri e comunicato ai Presidenti delle due Camere del Parlamento. Pescara, 3 dicembre 1996 Il pretore: Cillo 97C0370