N. 101 SENTENZA 7 - 18 aprile 1997

 
 
 Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale.
 
 Processo penale - Nullita' del  decreto  di  giudizio  immediato  nel
 quale   sia  stato  omesso  l'avviso  che  l'imputato  puo'  chiedere
 l'applicazione della pena ai sensi dell'art. 444 del c.p.p. -  Omessa
 previsione - Disomogeneita' di situazioni e identita' di ratio tra le
 fattispecie  a  raffronto  da  parte  del giudice rimettente quali il
 decreto che dispone tale forma di giudizio immediato e il decreto  di
 citazione  a  giudizio  nel  procedimento  davanti  al  pretore - Non
 fondatezza.
 
 (C.P.P., art. 456, secondo comma).
 
 (Cost., artt. 3 e 24).
 
(GU n.17 del 23-4-1997 )
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
 composta dai signori:
  Presidente: dott. Renato GRANATA;
  Giudici: prof. Giuliano  VASSALLI,  prof.  Francesco  GUIZZI,  prof.
 Cesare  MIRABELLI,  avv.  Massimo  VARI,  dott. Cesare RUPERTO, dott.
 Riccardo CHIEPPA, prof. Gustavo  ZAGREBELSKY,  prof.  Valerio  ONIDA,
 prof.  Carlo  MEZZANOTTE,  avv.  Fernanda  CONTRI,  prof. Guido NEPPI
 MODONA, prof. Piero Alberto CAPOTOSTI;
 ha pronunciato la seguente
                                Sentenza
 nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'art. 456,  comma  2,
 del  codice  di procedura penale, promosso con ordinanza emessa il 16
 luglio 1996 dalla Corte d'appello di Venezia, nel procedimento penale
 a carico di Dona' Francesco Raimondo ed altri, iscritta  al  n.  1107
 del  registro  ordinanze  1996  e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale
 della Repubblica n. 42, prima serie speciale, dell'anno 1996;
   Visto l'atto di costituzione di Fagan Giampaolo, nonche' l'atto  di
 intervento del Presidente del Consiglio dei Ministri;
   Udito  nell'udienza pubblica dell'11 marzo 1997 il giudice relatore
 Guido Neppi Modona;
   Udito l'avvocato  Emanuele  Fragasso  jr.  per  Fagan  Giampaolo  e
 l'Avvocato  dello  Stato  Giuseppe  O.  Russo  per  il Presidente del
 Consiglio dei Ministri.
                           Ritenuto in fatto
   1. - Nel corso di un procedimento penale a  carico  degli  imputati
 Dona'  e  Fagan, la Corte d'appello di Venezia ha sollevato questione
 di legittimita' costituzionale dell'art. 456, comma 2, del codice  di
 procedura   penale,   in   riferimento   agli  artt.  3  e  24  della
 Costituzione, nella parte in cui non prevede la nullita' del  decreto
 di  giudizio  immediato  nel  quale  sia  stato  omesso  l'avviso che
 l'imputato puo' chiedere l'applicazione della pena ai sensi dell'art.
 444 del codice di procedura penale.
   Premesso che nel caso di specie  gli  imputati  avevano  rinunciato
 all'udienza  preliminare  e  richiesto che si procedesse con giudizio
 immediato, la difesa aveva eccepito nel dibattimento di  primo  grado
 la  nullita'  dei  decreti che avevano disposto giudizio immediato ai
 sensi degli artt. 419, comma 5, e 456 cod.  proc.  pen.,  per  omessa
 indicazione   dell'avviso   che   gli   imputati   potevano  chiedere
 l'applicazione della  pena,  e  aveva  riproposto  l'eccezione  quale
 motivo di gravame.
   Nell'ordinanza  di  rimessione  la  Corte  d'appello,  rilevato che
 effettivamente i decreti con i quali era stato disposto  il  giudizio
 immediato  non  contenevano  l'avviso  della  facolta'  di richiedere
 l'applicazione della pena, obliterato con linea di cancellazione  sul
 modulo  a  stampa,  osserva  che  tale  omissione  risulta "in palese
 contrasto con il testuale disposto dell'art. 456, comma 2, cod. proc.
 pen.",  ma  che  da  essa  non  consegue  "direttamente  sanzione  di
 nullita', ex art. 177 cod.   proc. pen.",  in  assenza  di  "prevista
 sanzione  specifica, e non potendo rientrare il caso nella previsione
 d'ordine generale di cui all'art.  178 lett. c), cod. proc. pen.".
   Il  giudice  a  quo  ritiene  peraltro   che   sussista   "evidente
 parallelismo  tra  il decreto di citazione a giudizio pretorile (art.
 555  cod.  proc.     pen.),  dichiarato   illegittimo   dalla   Corte
 costituzionale  con  sentenza n. 497 del 1995, nella parte in cui non
 prevede sanzione di nullita' per l'omessa indicazione dell'avviso che
 l'imputato puo' chiedere entro  15  giorni  il  giudizio  abbreviato,
 ovvero  l'applicazione  della pena o presentare domanda di oblazione,
 ed il decreto di giudizio immediato afferente il caso in esame".
   2. - La  Corte  di  appello  ha  pertanto  sollevato  questione  di
 legittimita'  costituzionale dell'art. 456, comma 2, cod. proc. pen.,
 nei limiti  in  cui  risulta  applicabile  in  virtu'  del  combinato
 disposto degli artt. 419, comma 5, e 458, comma 3, cod. proc. pen., e
 cioe'  nella  parte  in  cui  non  prevede la nullita' del decreto di
 giudizio  immediato  che  non  contenga  menzione   dell'avviso   che
 l'imputato  puo'  chiedere l'applicazione della pena ex art. 444 cod.
 proc. pen. La norma impugnata contrasterebbe, ad avviso del giudice a
 quo:
     con  l'art.  3  della  Costituzione,  per  la  non   giustificata
 disparita'  di  trattamento  tra  gli imputati di un reato pretorile,
 tratti a  giudizio  con  decreto  del  pubblico  ministero  ai  sensi
 dell'art.  555 cod. proc.  pen., nel quale l'avviso della facolta' di
 chiedere pena patteggiata,  a  seguito  della  sentenza  della  Corte
 costituzionale  n.  497  del  1995,  deve  essere  previsto a pena di
 nullita', e gli imputati di un  reato  di  cognizione  di  tribunale,
 tratti  a  giudizio immediato su loro richiesta a seguito di rinuncia
 all'udienza preliminare, nonostante l'omogeneita' delle situazioni da
 ricondursi ad identica ratio;
     con l'art. 24 della Costituzione, in relazione a quanto  ritenuto
 nella sentenza della Corte costituzionale n. 497 del 1995.
   3.   -   Si   e'   costituito   nel  giudizio  dinanzi  alla  Corte
 costituzionale l'imputato Giampaolo  Fagan,  rappresentato  e  difeso
 dall'avvocato   Fragasso   del   Foro   di   Padova,   deducendo   la
 illegittimita' costituzionale dell'art.  456,  comma  2,  cod.  proc.
 pen.,  per  violazione degli artt.   3 e 24 della Costituzione, nella
 parte in cui non prevede che il decreto di giudizio  immediato  debba
 contenere  a pena di nullita', la menzione dell'avviso che l'imputato
 puo' chiedere l'applicazione della pena ex art. 444 cod. proc.  pen.,
 come,  invece,  e'  previsto nel giudizio dinanzi al pretore, anche a
 seguito della sentenza della Corte  costituzionale  dell'11  dicembre
 1995,  n.  497  sull'art.  555,  comma 2, cod. proc. pen., nonostante
 l'identita' della ratio.
   4. - Si e' altresi' costituito  il  Presidente  del  Consiglio  dei
 Ministri,  rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura  generale  dello
 Stato, chiedendo la reiezione dell'eccezione perche' infondata.
   Sostiene l'Avvocatura che la sentenza n. 497 del 1995 si basa sulla
 necessita' di evitare che l'imputato, non avvertito della facolta' di
 chiedere il rito abbreviato  nel  perentorio  termine  di  15  giorni
 previsto  dalla  legge,  possa  decadere  da  tale  diritto.  Analoga
 situazione non si verificherebbe invece in relazione all'applicazione
 della pena ai sensi dell'art. 444 cod. proc. pen., poiche' l'imputato
 ha  facolta' di farne richiesta sino all'apertura del dibattimento di
 primo grado, ed ha, quindi, le piu' ampie possibilita'  di  usufruire
 della  garanzia  della  difesa  tecnica e di essere reso edotto della
 facolta' di richiedere l'applicazione della pena.
                        Considerato in diritto
   1. - La questione sottoposta all'esame della Corte ha  per  oggetto
 l'art.  456, comma 2, del codice di procedura penale, del quale viene
 denunciata l'illegittimita' costituzionale nella  parte  in  cui  non
 prescrive  che il decreto di giudizio immediato, disposto dal giudice
 per  le  indagini  preliminari  su  richiesta  dell'imputato  che  ha
 rinunciato all'udienza preliminare (art. 419, commi 5 e 6, cod. proc.
 pen.),  preveda  la  sanzione  della  nullita'  in  caso di omissione
 dell'avviso che l'imputato puo' chiedere l'applicazione della pena  a
 norma dell'art.  444 cod. proc. pen.
    L'omessa   previsione  della  sanzione  di  nullita'  del  decreto
 contrasterebbe, ad avviso del giudice  a  quo,  con  l'art.  3  della
 Costituzione per l'ingiustificata disparita' di trattamento riservata
 agli  imputati  di  reati  di  competenza del tribunale rispetto agli
 imputati di reati di competenza del pretore, posto  che  l'art.  555,
 comma 1, lettera e), cod. proc. pen., a seguito della sentenza n. 497
 del  1995,  prevede  appunto  la nullita' del decreto di citazione in
 caso  di  omissione  dell'avviso   che   l'imputato   puo'   chiedere
 l'applicazione della pena.
    Risulterebbe  inoltre  violato  l'art.  24,  secondo  comma, della
 Costituzione, per le ragioni espresse nella sentenza n. 497 del  1995
 di   questa   Corte,   sintetizzabili   nella   mancanza   di  tutela
 dell'esercizio del diritto  di  difesa  dell'imputato,  che  verrebbe
 privato   della   facolta'  di  avvalersi  tempestivamente  dei  riti
 alternativi al dibattimento, con  particolare  riferimento  nel  caso
 concreto all'applicazione della pena su richiesta.
   2. - La questione e' infondata.
   3.  - Le argomentazioni del giudice a quo si basano sul presupposto
 che la disciplina delle  due  situazioni  -  quella  considerata  nel
 presente  giudizio  di costituzionalita' e quella cui si riferisce il
 tertium  comparationis  rappresentato  dal  decreto  di  citazione  a
 giudizio  emesso  dal  pubblico ministero nel procedimento davanti al
 pretore, su cui e' intervenuta la sentenza n.  497  del  1995  -  sia
 omogenea e riconducibile alla medesima ratio.
   In realta', tra le due situazioni esistono differenze profonde, che
 emergono  con  particolare  evidenza  nel  caso di giudizio immediato
 richiesto   dall'imputato   a   seguito   di   rinuncia   all'udienza
 preliminare,  quale risulta disciplinato dal combinato disposto degli
 artt. 419, commi 5 e 6, 456, comma 2 e 458, comma 3, cod. proc. pen.
   Al riguardo, si deve tenere presente che l'art. 456, comma 2,  cod.
 proc. pen., pur prevedendo una disciplina apparentemente unitaria del
 decreto che dispone il giudizio immediato, va scomposto in due norme,
 che  si riferiscono a due diverse forme di giudizio. I due modelli di
 giudizio immediato si differenziano,  infatti,  per  i  soggetti  che
 assumono  l'iniziativa della relativa richiesta (pubblico ministero o
 imputato),  per  i  presupposti  (evidenza  della  prova  o  rinuncia
 all'udienza  preliminare  da  parte  dell'imputato),  per  la diversa
 incidenza dell'intervento del giudice per le indagini preliminari  in
 funzione  di  controllo  giurisdizionale  (ex  art. 455 del codice di
 procedura  penale  il  giudice  puo'  emettere  il   decreto   ovvero
 respingere  la  richiesta del pubblico ministero, mentre ex art. 419,
 comma 6, cod. proc. pen. il giudice deve  necessariamente  accogliere
 la richiesta di giudizio immediato presentata dall'imputato).
   Diversi  sono,  infine,  il  contenuto  del  decreto che dispone il
 giudizio immediato  e  le  opzioni  che  il  decreto  stesso  propone
 all'imputato.    In  caso  di  richiesta  del  pubblico ministero, il
 decreto, a norma dell'art. 456, comma 2, cod.  proc.  pen.,  contiene
 l'avviso  che  l'imputato  puo'  chiedere  il  giudizio  abbreviato o
 l'applicazione della pena, mentre in caso di richiesta  dell'imputato
 il  decreto,  a  norma  dell'art.    458,  comma  3, cod. proc. pen.,
 contiene solo l'avviso relativo all'applicazione della pena,  per  la
 ragione   assorbente   che   la  rinuncia  dell'imputato  all'udienza
 preliminare comporta necessariamente la rinuncia al rito  abbreviato:
 salve le eccezioni espressamente previste dalla legge, per i reati di
 competenza  del  tribunale il giudizio abbreviato puo' infatti essere
 celebrato solo in sede di udienza preliminare.
   4.  -  Cosi'  delimitato  l'oggetto  della   questione   sottoposta
 all'esame della Corte con esclusivo riferimento al giudizio immediato
 richiesto  dall'imputato,  non  e'  dato  ravvisare, contrariamente a
 quanto sostenuto dal giudice rimettente e dalla difesa dell'imputato,
 omogeneita' di situazioni e identita' di ratio  tra  il  decreto  che
 dispone  tale forma di giudizio immediato e il decreto di citazione a
 giudizio nel procedimento davanti al pretore  disciplinato  dall'art.
 555  cod.  proc. pen., cosi' come integrato dalla sentenza n. 497 del
 1995.
   A causa della mancanza dell'udienza preliminare,  nel  procedimento
 davanti  al  pretore  il  decreto  di citazione a giudizio emesso dal
 pubblico ministero e' normalmente, o comunque puo' essere,  il  primo
 atto   con   cui   la   res  iudicanda  viene  portata  a  conoscenza
 dell'imputato:    di  qui  l'assoluta  necessita',  avvertita   dalla
 sentenza  n.  497  del  1995,  di  avvisarlo  a pena di nullita', nel
 rispetto del diritto di  difesa,  delle  opportunita'  che  gli  sono
 offerte  di  evitare  il  dibattimento optando per i riti alternativi
 menzionati nell'art. 555, comma 1, lettera e),  cod.  proc.  pen.  In
 realta',  la  previsione  della  nullita'  del  decreto  in  caso  di
 omissione dell'avviso  trova  la  sua  ragione  essenzialmente  nella
 perdita   irrimediabile   della  facolta'  di  chiedere  il  giudizio
 abbreviato entro il termine di quindici giorni, previsto  a  pena  di
 decadenza,  per  presentare  la  relativa  richiesta.    nel caso del
 giudizio immediato instaurato ex art. 419, comma 5, cod. proc.  pen.,
 la  rinuncia all'udienza preliminare e la richiesta del giudizio sono
 conseguenza di una precisa strategia difensiva dell'imputato,  frutto
 di  opportune  consultazioni  con  il difensore:   l'imputato ha gia'
 operato  la  sua  scelta  rispetto  al  rito,  rinunciando,   insieme
 all'udienza  preliminare,  al  giudizio  abbreviato  e  optando nello
 stesso tempo  per  il  giudizio  immediato.  L'unica  opzione  ancora
 praticabile  e'  la  richiesta  di  applicazione  della  pena a norma
 dell'art.  444 cod. proc. pen., ma ai fini della  proposizione  della
 relativa  richiesta  l'imputato  non incorre in alcuna decadenza: qui
 opera la disciplina generale in tema di applicazione della  pena,  la
 cui richiesta puo' essere formulata, ex art. 446, comma 1, cod. proc.
 pen.,  sino  alla dichiarazione di apertura del dibattimento di primo
 grado, in un contesto  in  cui  le  garanzie  di  informazione  e  di
 conoscenza   sono   assicurate   dall'assistenza   obbligatoria   del
 difensore.
   Ove venga omesso l'avviso della facolta' di chiedere l'applicazione
 della pena, l'imputato rinviato a giudizio immediato su sua richiesta
 viene  cioe'  a  trovarsi nella medesima situazione dell'imputato nei
 cui confronti il giudice ha emesso il decreto che dispone il giudizio
 al termine dell'udienza preliminare: anche quel decreto, infatti, non
 contiene alcun avviso circa l'applicazione della pena (art. 429  cod.
 proc. pen.).
   L'imputato  rinviato a giudizio immediato su sua richiesta non puo'
 neppure lamentare,  in  caso  di  omesso  avviso  della  facolta'  di
 chiedere  l'applicazione  della  pena,  il  pregiudizio di non potere
 avvalersi di tale facolta' prima  dell'inizio  del  dibattimento:  la
 giurisprudenza  ha infatti correttamente sostenuto che l'applicazione
 della pena puo' essere disposta solo dal giudice del dibattimento,  e
 non  anche dal giudice per le indagini preliminari, che disponendo il
 giudizio immediato si e' ormai spogliato del procedimento.
   La disciplina di cui  all'art.  456,  comma  2,  cod.  proc.  pen.,
 denunciata   dal   giudice   rimettente,   non   configura   pertanto
 un'ingiustificata e irragionevole disparita' di trattamento  rispetto
 al  decreto  di  citazione  a  giudizio  del  procedimento davanti al
 pretore e neppure viola il diritto di difesa.
                           Per questi motivi
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
   Dichiara non fondata la questione  di  legittimita'  costituzionale
 dell'art. 456, comma 2, del codice di procedura penale, sollevata, in
 riferimento  agli  artt.  3  e  24 della Costituzione, dalla Corte di
 appello di Venezia, con l'ordinanza in epigrafe.
   Cosi' deciso  in  Roma,  nella  sede  della  Corte  costituzionale,
 Palazzo della Consulta, il 7 aprile 1997.
                         Il Presidente: Granata
                       Il redattore: Neppi Modona
                        Il cancelliere: Di Paola
   Depositata in cancelleria il 18 aprile 1997.
                Il direttore della cancelleria: Di Paola
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