N. 34 RICORSO PER LEGITTIMITA' COSTITUZIONALE 19 aprile 1997

                                 N. 34
  Ricorso per questione di legittimita' costituzionale  depositato  in
 cancelleria   il   19  aprile  1997  (del  presidente  della  regione
 siciliana)
 Regioni in genere - Delega al Governo per il conferimento di funzioni
    alle regioni ed  enti  locali  e  per  la  riforma  della  p.a.  -
    Conferenza permanente per i rapporti tra Stato, regioni e province
    autonome  -  Ampliamento  delle attribuzioni e unificazione con la
    Conferenza Stato-Citta' e autonomie locali, per quanto concerne le
    materie e i compiti di interesse comune delle regioni, province  e
    comuni  -  Lesione delle competenze e dell'autonomia della regione
    siciliana.
 Regioni in genere - Delega al Governo per il conferimento di funzioni
    alle regioni ed enti locali e per la riforma della p.a. - Funzione
    statale di indirizzo e coordinamento  -  Adozione  degli  atti  di
    indirizzo  e  coordinamento  anche prescindendo dal rispetto delle
    previsioni degli statuti speciali -  Necessita'  di  sola,  previa
    intesa  con  la  Conferenza  permanente  per i rapporti tra Stato,
    regioni e province autonome o con la singola regione - Potere  del
    Consiglio  dei  Ministri di adottare tali atti, in caso di mancato
    raggiungimento di intesa e in caso di  urgenza  -  Violazione  del
    principio  di  legalita' sostanziale nell'esercizio della funzione
    statale di indirizzo e coordinamento - Lesione delle competenze  e
    dell'autonomia della regione siciliana.
 (Legge 15 marzo 1997, n. 50, artt. 8 e 9).
 (Cost.,  artt.  5, 114, 115, 118 e 119; statuto regione Sicilia artt.
    14, 15, 17 e 20).
(GU n.24 del 11-6-1997 )
   Ricorso del presidente della regione  siciliana  pro-tempore  on.le
 prof.  Giuseppe Provenzano, autorizzato a ricorrere con deliberazione
 della giunta regionale n. 104 del  27  marzo  1997,  rappresentato  e
 difeso,   sia  congiuntamente  che  disgiuntamente,  dal  prof.  avv.
 Giovanni Pitruzzella, dall'avv. Laura Aurelia Ingargiola e  dall'avv.
 Francesco  Torre,  ed  elettivamente  domiciliato  nell'ufficio della
 Regione in Roma, via Marghera n. 36, giusta  procura  a  margine  del
 presente  atto  contro  il  Presidente  del  Consiglio  dei  Ministri
 pro-tempore, domiciliato per la carica a Roma, presso  la  Presidenza
 del  Consiglio  dei  Ministri,  Palazzo  Chigi,  e  difeso  per legge
 dall'Avvocatura    dello    Stato    per    la    dichiarazione    di
 incostituzionalita' degli artt. 8 e 9 della legge 15 marzo 1997 n 50,
 recante  "Delega al Governo per il conferimento di funzioni e compiti
 alle regioni ed enti locali", pubblicata  nel  supplemento  ordinario
 della Gazzetta Ufficiale n. 63 del 17 marzo 1997.
   1.1. - La legge n. 63 del 17 marzo 1997, si ispira ad un modello di
 organizzazione  dei  diversi  livelli  territoriali  di  governo  che
 comporta l'equiparazione di regioni, province e comuni. In  tal  modo
 la  tensione  tra  "neoregionalismo" e "neomunicipalismo" che, com'e'
 noto, ha caratterizzato  il  recente  dibattito  istituzionale  sulla
 "forma  di stato" e che certamente e' uno dei nodi che la Commissione
 bicamerale per le riforme costituzionali ed  il  Parlamento  dovranno
 sciogliere   seguendo   le   forme   del  procedimento  di  revisione
 costituzionale, viene risolta a favore del secondo modello.
   Com'e'  noto,  mentre   la   soluzione   neoregionalista   comporta
 l'integrazione  del sistema delle autonomie (regione-enti locali), la
 soluzione neomunicipalista comporta una sistematica  delle  relazioni
 centro-periferia  di  tipo sostanzialmente triangolare, con relazioni
 dirette Stato-regioni da un lato  e  Stato-enti  locali,  dall'altro.
 Mentre  nel  primo  modello  la  regione e' competente a definire gli
 equilibri del sistema istituzionale  integrato  regione-enti  locali,
 con   il  principio  di  sussidiarieta'  a  garanzia  di  un'adeguata
 autonomia di questi ultimi, il secondo modello affida allo  Stato  la
 ripartizione  delle  funzioni  tra  i diversi livelli territoriali di
 governo e  fa  dell'amministrazione  centrale  l'interlocutore  tanto
 delle regioni che degli enti locali.
   Le   analisi   scientifiche   degli  Stati  a  forte  decentramento
 territoriale  hanno   da   tempo   permesso   di   evidenziare   come
 "neoregionalismo"    e    "neomunicipalismo"   non   sono   movimenti
 compatibili. I sistemi federali o di "regionalismo forte" sono tanti,
 con diverse soluzioni per quanto riguarda la  forma  di  governo,  il
 sistema  elettorale, l'organizzazione politica. Ma in nessuno di essi
 si  e'  affermato  un   "assetto   a   tre   punte",   basato   sulla
 pariordinazione  tra  Stato  centrale,  Stati federali/regioni e enti
 locali. O il sistema segue una strada oppure l'altra: o si costruisce
 uno Stato centrale  molto  forte  che  dialoga  direttamente  con  il
 sistema   locale  senza  una  reale  intermediazione  politica  delle
 regioni, oppure il sistema  si  basa  sulla  dialettica  tra  governo
 centrale  e  Enti  federati/regioni,  senza  che  vi  sia  spazio per
 l'interposizione dei governi locali.
   1.2.  -  Certamente  il  problema  accennato  in  sede  di  riforma
 costituzionale  potra'  essere  risolto in una direzione oppure in un
 altra, sulla base dei diversi argomenti che militano a  favore  delle
 due  soluzioni  e della reale forza degli attori e degli interessi in
 gioco. Purche' la scelta tra le due alternative sia  chiara  evitando
 gli ibridi istituzionali che sono sempre fonte di ambiguita'.
   Ma  a  "Costituzione  invariata"  ed  in  costanza di vigenza degli
 statuti delle regioni speciali, la soluzione non puo' essere affidata
 semplicemente al confronto dei partiti politici, ai loro rapporti  di
 forza e, in definitiva, alle scelte della maggioranza di governo.
   Piuttosto  qui  sono  in  gioco principi che rivestono una cruciale
 importanza nel definire l'assetto del pluralismo  tipico  del  nostro
 Stato  costituzionale  e  di cui la Corte costituzionale non puo' che
 essere garante, indipendentemente e autonomamente da quelli che  sono
 i contingenti rapporti tra gli attori politici.
   Del  resto,  in  questa  materia  il  giudice  costituzionale si e'
 espresso con grande chiarezza.
   Com'e' noto, l'occasione e' stata offerta soprattutto dall'art.   3
 della  legge  142 del 1990. Con la sentenza n. 343 del 1991 e poi con
 la sentenza n. 87  del  1996,  la  Corte  ha  affermato  che  "tratto
 caratterizzante  della riforma appare il ruolo conferito alla regione
 dall'art. 3 della legge 142 del 1990" e che tale ruolo  consiste  nel
 fatto che la legge n. 142 "ha individuato per l'appunto nella regione
 il  centro  propulsore  e  di coordinamento dell'intero sistema delle
 autonomie locali".
   Questo ruolo delineato dalla legge n. 142 del 1990 affonda  le  sue
 radici  direttamente in Costituzione per le regioni ordinarie e negli
 statuti speciali per le regioni ad autonomia differenziata.
   Come ha precisato il giudice costituzionale nella  sentenza  citata
 per  ultimo,  la  soluzione  di  configurare  la regione quale centro
 propulsivo e di coordinamento delle autonomie locali si inserisce  in
 una  prospettiva di maggiore aderenza all'art. 5 della Costituzione".
 "In  tale  disegno  -  continua  il  giudice  costituzionale   -   la
 programmazione  concertata  tra regione ed enti locali come metodo di
 raccordo dei vari livelli di governo, nonche' degli interessi e delle
 competenze  che  in  essi  si  esprimono,  contribuisce  alla   piena
 realizzazione  del  sistema  delle  autonomie  in  attuazione di quei
 principi costituzionali...", tra cui in particolare "quello che mette
 in luce la natura costituzionale dell'autonomia regionale (art.  115)
 e  quello  che  indica  le  materie  attribuite alla competenza delle
 regioni stesse (art. 117)".
   Gli artt. 5 e 114 della  Costituzione  infatti  vanno  interpretati
 sistematicamente  in  rapporto  agli  articoli  115,  117  e 128, che
 sanciscono  la  differente  garanzia  costituzionale  delle   Regioni
 rispetto  a  quelle  degli  enti locali. Garanzia di "propri poteri e
 funzioni secondo i  principi  fissati  dalla  Costituzione",  per  le
 regioni, mentre le province e i comuni sono autonomi "nell'ambito dei
 principi fissati da leggi generali della Repubblica".
   1.3.  - Ancora piu' netta e' la differente posizione costituzionale
 degli enti locali rispetto alle regioni speciali, ed  in  particolare
 alla  regione siciliana. Infatti, la Sicilia, secondo il suo statuto,
 ha competenza legislativa esclusiva in materia di regime  degli  enti
 locali  e  delle  circoscrizioni  relative  (art.  14,  lett.  o). Il
 successivo art. 15 dello Statuto siciliano prevede  che,  nell'ambito
 dei  principi  stabiliti  dalla  medesima  disposizione, "spetta alla
 regione la legislazione esclusiva e l'esecuzione diretta  in  materia
 di circoscrizione, ordinamento e controllo degli enti locali".
   Con   la   legge   costituzionale   n.   2  del  1993,  la  materia
 dell'ordinamento dei  comuni  e'  stata  attribuita  alla  competenza
 legislativa primaria delle altre regioni speciali.
   Pertanto, come ha prontamente rilevato la dottrina, puo' sostenersi
 come  "la recente legge costituzionale sia per le regioni speciali un
 ulteriore passo nella direzione  della  costruzione  di  un  tipo  di
 regionalismo  in  cui  le autonomie locali sono una parte del sistema
 regionale e non una parte del  sistema  statale.  Si  tratta  di  una
 soluzione  che  certamente  avvicina  di  piu'  il  regionalismo alla
 strutturazione dei rapporti tra  le  diverse  comunita'  territoriali
 caratteristica  di un sistema federale. In effetti, il riferimento al
 federalismo  puo'  comprendere   molti   aspetti,   uno   dei   quali
 verosimilmente  e' anche questo: un'organizzazione federale che poggi
 su enti di natura in qualche modo 'statale' e' anche una struttura in
 cui il livello regionale (ovvero il livello dello  Stato  membro)  ha
 una  padronanza  del  sistema amministrativo interno che non ammette,
 tra le altre, neppure l'eccezione degli enti territoriali" (cosi'  G.
 Falcon, Problemi e modelli per la ricomposizione delle funzioni degli
 enti locali, in Le Regioni, 1994, 672).
   In  questo  sistema  e'  esclusa  la  possibilita'  di  un  sistema
 istituzionale a "tre punte"  con  regioni  e  autonomie  locali  come
 interlocutori  pariordinati  degli organi costituzionali dello Stato.
 Espressione evidente di tale conclusione sono le norme dello  statuto
 siciliano  che  riservano alla regione la cooperazione con gli organi
 dello Stato centrale.  Infatti, solamente "l'Assemblea regionale puo'
 emettere voti, formulare progetti sulle materie di  competenza  degli
 organi  dello Stato che possano interessare la regione, e presentarli
 alle Assemblee legislative dello Stato" (art.  18).  Inoltre,  e'  il
 presidente della regione che "partecipa al Consiglio dei ministri con
 voto  deliberativo  nelle  materie  che interessano la regione" (art.
 21).
   1.4. - Di contro la legge n. 59 del 1997 - che  per  altri  profili
 costituisce una svolta storica da tempo auspicata nell'organizzazione
 dei  pubblici  poteri  in  Italia,  per  la  chiara  opzione verso la
 valorizzazione delle autonomie territoriali  -  persegue  un  disegno
 istituzionale di equiparazione di regioni, comuni e province.
   Questa  scelta  di politica istituzionale si rinviene fin dai primi
 quattro articoli della legge riguardanti la  delega  al  Governo  per
 l'emanazione  dei  decreti  legislativi  di trasferimento di funzioni
 amministrative a  regioni  ed  enti  locali,  i  quali  attribuiscono
 sostanzialmente  al  Governo  la  ripartizione  delle funzioni tra il
 livello regionale e quello locale.
   La regione siciliana, pero',  non  ha  impugnato  le  sopra  citate
 disposizioni  nel  presupposto  che  esse  non  si  applicano  al suo
 ordinamento, visto che sulla base  dello  Statuto  speciale  e  della
 prassi   concretamente   seguita   i  trasferimenti  di  funzioni  si
 realizzano mediante le norme di attuazione statutaria  approvate  dal
 Governo,   previa   determinazione   della   Commissione  paritetica.
 Pertanto,  ritenendo  che  i  decreti legislativi di trasferimento di
 funzioni previsti dalla legge non riguardano  la  Regione  siciliana,
 quest'ultima   non  ha  proposto  ricorso  avverso  le  sopra  citate
 disposizioni.
   1.5.  -  Diversa  e'  l'efficacia  dell'art.  9   che,   prevedendo
 l'unificazione  della Conferenza Stato-Regioni-Provincie autonome con
 quella  Stato-Citta',  incide  direttamente  sulla  posizione   della
 regione  siciliana nel sistema costituzionale, per l'ovvio effetto di
 svuotamento del ruolo differenziato rispetto agli  enti  locali  che,
 sulla  base  del  suo  Statuto approvato con legge costituzionale, ad
 essa deve essere riconosciuto.
   Piu' precisamente, l'art. 9, primo comma prevede che la  Conferenza
 permanente  per  i  rapporti  tra  lo Stato, le regioni e le province
 autonome sia unificata, per  i  compiti  di  interesse  comune  delle
 regioni, delle province e dei comuni con la Conferenza Stato-citta' e
 autonomie   locali.   Questa  unificazione  potrebbe  avvenire  -  la
 disposizione  e'  poco  perspicua  al  riguardo  lasciando  in  piedi
 entrambe  le  possibilita'  -  o  nella  forma  di una vera e propria
 fusione dei due organismi, ovvero mantenendo distinte le  due  figure
 organizzative  che  pero'  verrebbero  riunite insieme nel caso delle
 materie comuni, le quali pero' sarebbero, in un sistema  ispirato  al
 decentramento   ed  alla  sussidiarieta',  certamente  la  stragrande
 maggioranza. Peraltro,  ai  sensi  del  2  comma  della  disposizione
 impugnata,  la Conferenza unificata dovrebbe esprimere tutti i pareri
 richiesti     dall'attuale     legislazione      alla      Conferenza
 StatoRegioni-Province autonome.
   Com'e' noto, la Conferenza Stato-citta' e autonomie locali e' stata
 recentemente  istituita  con d.P.C.M. del  2 luglio 1996, con compiti
 di coordinamento nei rapporti con le autonomie locali, di studio,  di
 informazione   e  confronto  sulle  problematiche  connesse  con  gli
 indirizzi di politica generale che possono  incidere  sulle  funzioni
 proprie  di  comuni  e  province  e su quelle delegate agli stessi da
 leggi dello Stato. L'organismo neoistituito ha incontrato le critiche
 di chi lo ha ritenuto  espressione  di  un  assetto  triangolare  con
 relazioni  dirette  tra  lo  Stato,  da  una parte, e le regioni e le
 autonomie locali dall'altra. In particolare, e' stato osservato  come
 "la  soluzione  adottata  dal  decreto  e'  tanto piu' criticabile in
 quanto contrasta direttamente con scelte istituzionali  gia'  operate
 da  leggi  di  settore (una per tutte: la sanita' e l'assetto attuale
 del SSN) o da  leggi  ordinamentali  generali  (art.  3  della  legge
 142/1990)  che  invece  hanno  optato  per  un  sistema di necessaria
 intermediazione regionale,  al  punto  che  potrebbe  sostenersi  che
 disposizioni  quali  quelle  della  presenza  (stabile|) del Ministro
 della Sanita' nello Stato-citta' (art.  2.1)  o  quella  relativa  ai
 provvedimenti  da  adottarsi  in ordine alle attivita' di gestione ed
 erogazione  dei  servizi  pubblici  (art.    1.2  lettera   b)   sono
 illegittime  per  contrasto con le ricordate, e vigenti, disposizioni
 legislative" (cosi' M. Cammelli, La conferenza Stato-citta': partenze
 false e problemi veri, in Le Regioni, 1996, 422).
   Esistono  quindi  profili   di   contraddittorieta'   dell'art.   9
 impugnato,  che  consolida  la  Conferenza Stato-Citta', con la trama
 normativa complessiva dell'ordinamento, in  cui  si  e'  consolidata,
 anche  a  livello subcostituzionale, la posizione differenziata delle
 regioni rispetto  agli  enti  locali,  che  tra  l'altro  implica  la
 necessaria intermediazione regionale. Con la conseguenza che potrebbe
 prospettarsi la irragionevolezza della disposizione citata.
   Ma  al di la' di quest'ultimo aspetto, cio' che maggiormente rileva
 e' che l'art. 9  si  pone  in  stridente  contrasto  con  il  sistema
 costituzionale,  cosi'  come  e'  stato  ricostruito  nei  precedenti
 paragrafi,  il  quale  comporta  la  netta   differenziazione   della
 posizione  delle  regioni,  in  particolare  delle  speciali  come la
 Sicilia, rispetto a quella degli enti  locali.  Differenziazione  che
 presenta  due momenti strettamente complementari: a) la regione ha la
 padronanza del sistema amministrativo interno che si caratterizza per
 una  forte  integrazione   del   sistema   delle   autonomie   locali
 (regioni-enti   locali);   b)   le  relazioni  centro-periferia  sono
 relazioni tra lo Stato e  le  regioni,  con  la  conseguenza  che  e'
 necessaria l'intermediazione regionale.
   Questa  e'  la ricostruzione preferibile del sistema costituzionale
 delle regioni ordinarie e questa e' l'unica  ricostruzione  possibile
 dell'assetto    delle    relazioni    centro-periferia   secondo   le
 inequivocabili previsioni degli statuti delle regioni speciali.
   1.6. - Se poi dal piano del diritto costituzionale, su cui si  sono
 sviluppate  le  considerazioni  che precedono, ci si sposta su quello
 della politica istituzionale, si puo' convenire che alla  base  della
 soluzione   organizzatoria   criticata  vi  sono  le  preoccupazioni,
 corroborate dall'esperienza, di un centralismo  regionale  soffocante
 le   autonomie   locali.  Ma  a  questa  giusta  preoccupazione  puo'
 rispondersi in maniera diversa rispetto a quanto viene fatto  con  la
 Conferenza  Stato-citta'.    Da una parte il sistema amministrativo a
 scala regionale puo' essere  costruito  con  attenzione  ed  efficaci
 garanzie  nei  confronti  del principio di sussidiarieta', in modo da
 garantire la piu' ampia autonomia  agli  enti  locali.  Il  che  puo'
 avvenire  gia'  nel  vigente  sistema  costituzionale.   Si pensi, in
 particolare, all'art. 15 dello Statuto siciliano, ai sensi del  quale
 i  comuni ed i liberi consorzi dei comuni devono essere "dotati della
 piu' ampia  autonomia  amministrativa  e  finanziaria".    Dall'altra
 parte,   vi   sono   le   figure  organizzatorie  che  consentono  la
 realizzazione di forme di cooperazione tra la regione e le  autonomie
 locali,  inserendo  queste ultime nei processi decisionali regionali.
 In tale prospettiva si pone l'art. 43 della legge regionale siciliana
 7 marzo  1997,  n.  6  che  ha  istituito  la  Conferenza  permanente
 regione-autonomie  locali per il coordinamento delle politiche locali
 nel  territorio  della   regione   con   compiti   di   informazione,
 consultazione  e  raccordo  in  relazione  agli indirizzi di politica
 generale del Governo regionale che incidono sulle funzioni proprie  o
 delegate dei comuni e delle province.
   Attraverso  le  vie  sinteticamente  indicate  pare  possibile  una
 riorganizzazione della nostra "forma di stato", anche a "Costituzione
 invariata", che consenta di valorizzare sul serio regioni e autonomie
 locali.  Invece, come ha osservato un  lucido  studioso  dello  Stato
 regionale, "sicuramente perdente e' l'idea di una pari rappresentanza
 dei   due   livelli  di  governo  al  centro...",.  perche'  la  loro
 rappresentanza in seno ad uno  stesso  organo  darebbe  luogo  ad  un
 collegio  "votato  a  sicura  paralisi",  come  e'    dimostrato, tra
 l'altro, dalle  esperienze  "del  Senato,  Camera  di  rappresentanza
 territoriale in Spagna (che infatti si vorrebbe convertire al modello
 Bundesrat) e (piu' recenti, ma gia' significative) del Comitato delle
 regioni  in  Europa" (R.Bin, Quando i Sindaci marciano su Roma, in Le
 Regioni, 1995, p. 836).
   1.7.  -   Portando   alle   conseguenze   estreme   le   precedenti
 considerazioni si potrebbe addivenire ad una censura, sul piano della
 legittimita'   costituzionale,   della   stessa   previsione  di  una
 Conferenza Stato-citta'.
   Ma anche a non  volere  accedere  ad  una  soluzione  radicale,  e'
 incontrovertibile come la disciplina di cui all'art. 9, 1 comma della
 legge  impugnata  sia in contrasto con la disciplina costituzionale e
 con quella dello Statuto siciliano relativa ai  rapporti  tra  Stato,
 regioni e autonomie locali.
   Infatti, la Conferenza Stato-citta', nella versione attuale, svolge
 una  mera funzione di informazione e di confronto tra il Governo ed i
 rappresentanti   delle   autonomie   locali.   Invece,   a    seguito
 dell'unificazione  della  Conferenza  Stato-regioni-province autonome
 con la Conferenza Stato-citta' e autonomie locali,  i  rappresentanti
 delle   autonomie   locali   parteciperebbero   a  quei  procedimenti
 attraverso cui oggi si svolge la collaborazione tra  lo  Stato  e  le
 regioni  e  che  possono  assumere  diverse  configurazioni: funzione
 consultiva obbligatoria; funzione di cogestione "concertata",  frutto
 cioe'   di   intese   con  l'amministrazione  centrale;  funzioni  di
 cogestione "diretta", consistenti nella determinazione da parte della
 Conferenza, in via diretta ed esclusiva, del  contenuto  di  atti  di
 indirizzo e programmazione. In tal modo la Conferenza e' diventata un
 organismo  legittimato non soltanto a perfezionare intese, ma anche a
 gestire direttamente le fasi programmatiche di attuazione  di  talune
 normative,   mediante  deliberazioni  con  cui  la  Conferenza  fissa
 direttive generali e programmi di attivita'.
   Attraverso l'unificazione prevista dall'impugnato art. 9 si avrebbe
 un salto di qualita' della Conferenza Stato-citta' autonomie  locali,
 perche'  da  semplice  organo  che  puo'  realizzare un confronto non
 obbligatorio tra il  Governo  ed  i  rappresentanti  delle  autonomie
 locali, potrebbe intervenire in processi decisionali che culminano in
 decisioni    di   alta   amministrazione   immediatamente   incidenti
 nell'ordinamento regionale.   Ma  in  questa  trasformazione  sarebbe
 implicita  l'equiparazione  nel  sistema delle relazioni tra centro e
 periferia delle Regioni e delle autonomie locali, in contrasto con  i
 risultati interpretativi ottenuti nei precedenti paragrafi.
   1.8.  -  Ma  anche se - per assurdo - non volessero condividersi le
 precedenti conclusioni, difficilmente potrebbe negarsi che sia almeno
 necessario che nella Conferenza unificata la posizione delle  regioni
 e  quella delle autonomie locali resti comunque differenziata, almeno
 sotto  il  profilo  delle  differenti  quote  di  rappresentanti  che
 dovrebbe  comunque essere favorevole alle regioni. A questo proposito
 non  sembra  inutile  osservare  che  nel  comitato   delle   regioni
 dell'Unione europea la maggior parte dei seggi e' stata attribuita ai
 rappresentanti    dei    livelli   di   governo   regionale,   mentre
 significativamente piu' limitata e' la  rappresentanza  delle  citta'
 (93  seggi  su un totale di 222). Tuttavia, la disposizione impugnata
 nulla stabilisce al riguardo, prestandosi cosi' ad ulteriori  rilievi
 sotto il profilo dell'incostituzionalita'.
   1.9.   -   Si   aggiunga,   per  concludere,  come  e'  palesemente
 incostituzionale  la  lett.  a)  del  primo  comma  secondo  cui   la
 Conferenza  Stato-regioni-province  autonome  partecipa, oltre che "a
 tutti i processi decisionali di interesse regionale" (che riguardano,
 cioe', tutte le regioni), anche a quelle di interesse "interregionale
 e   infraregionale".  In  questo  modo  si  incide  macroscopicamente
 sull'autonomia amministrativa e organizzativa della regione nei  suoi
 rapporti   con   gli   enti   locali   collocati  in  una  dimensione
 infraregionale oppure con i rapporti  autonomamente  determinati  con
 altre  regioni.  E'  inspiegabile  a quale titolo lo Stato e le altre
 regioni   possano   intervenire   ed   ingerirsi   in   un   processo
 infraregionale o interregionale della regione siciliana.
   1.10.  -  In  conclusione  l'art.  9 va dichiarato incostituzionale
 perche' contrasta con gli articoli 14,  15,  17,  20  dello,  statuto
 siciliano,  nonche' per il contrasto con gli articoli 3, 5, 114, 115,
 117, 118 e 119 della Costituzione.
   2.1. - Parimenti incostituzionale e' l'art. 8 della legge 15  marzo
 1997  n.  50,  che ha predisposto una nuova disciplina della funzione
 statale di indirizzo e coordinamento.
   In primo luogo, va censurato il quinto comma lett. c), ai sensi del
 quale viene abrogato l'art. 2, terzo comma, lettera d) della legge 23
 agosto 1988 n. 400 limitatamente alle parole "gli atti di indirizzo e
 coordinamento  dell'attivita'  amministrativa  delle  regioni  e  nel
 rispetto  delle  disposizioni  statutarie  delle  regioni  a  statuto
 speciale e delle province autonome di Trento e  Bolzano".  In  questo
 modo sparisce l'obbligo di conformare l'esercizio della funzione alle
 previsioni  degli statuti speciali che garantiscono la loro autonomia
 amministrativa.  In  particolare,  per  quanto  riguarda  la  regione
 siciliana  va  richiamato l'art. 20 del suo statuto, in base al quale
 il presidente e gli assessori  svolgono  nella  regione  le  funzioni
 esecutive  ed amministrative concernenti le materie di cui agli artt.
 14, 15, 17 dello statuto medesimo. Cio' potra' implicare  il  rischio
 di  una  particolare  pervasivita'  della  funzione di indirizzo e di
 coordinamento.
   Si aggiunga che per effetto della disposizione citata viene meno la
 riserva in via tendenziale al Consiglio dei ministri  della  funzione
 statale di indirizzo e di coordinamento. Il che potra' incentivare il
 ricorso  a questo strumento da parte del Governo, ma anche dare luogo
 a pericolosi deficit  di  coordinamento  intragovernativo.  Peraltro,
 l'eliminazione  della  riserva  in  via  tendenziale  della  funzione
 statale di indirizzo e coordinamento al Consiglio  dei  ministri,  si
 pone  in contrasto con gli artt. 92 e 95 della Costituzione, i quali,
 secondo   l'interpretazione   prevalente,   concentrano   nell'organo
 collegiale  Consiglio  dei  ministri i poteri di indirizzo politico e
 amministrativo, collocando gli altri organi del  governo  nelle  fasi
 successive  del  processo  di  produzione dell'indirizzo politico (la
 "fase strumentale" e quella "effettuale" secondo la  terminologia  di
 una nota dottrina costituzionale).
   2.2.  -  Egualmente  censurabile,  sul  terreno  della legittimita'
 costituzionale, e' la previsione contenuta nel terzo  comma,  secondo
 cui  "in caso di urgenza" il Governo possa adottare atti di indirizzo
 e coordinamento prescindendo dalle procedure di intesa preventiva con
 la Conferenza Stato-regioni-province autonome o comunque prescindendo
 dalle  altre  intese  con  la  regione  interessata  previste   dalla
 normativa   vigente.   Infatti,   in   casi   di   effettiva  urgenza
 l'ordinamento conosce strumenti di intervento straordinario  (come  i
 decreti  legge  ed  i vari poteri di ordinanza), mentre la previsione
 censurata - anche a causa del carattere indeterminato del concetto di
 urgenza  -  si  presta  a possibili e frequenti abusi. Al riguardo le
 difficolta' che hanno caratterizzato il controllo sui presupposti  di
 urgenza della decretazione d'urgenza, dovrebbero servire a rafforzare
 le suddette preoccupazioni.
   2.3.  -  Parimenti  incostituzionale  sembra il secondo comma nella
 parte in cui  prevede  la  possibilita'  che  ove  l'intesa  non  sia
 raggiunta nel termine di quarantacinque giorni, gli atti di indirizzo
 e  coordinamento  delle  funzioni  amministrative  regionali  possono
 essere adottati con deliberazione del Consiglio dei ministri,  previo
 parere  della  Commissione parlamentare per le questioni regionali da
 esprimere entro trenta giorni dalla richiesta.
   Non si censura la previsione di un meccanismo  diretto  a  superare
 momenti  di blocco, bensi' la circostanza che non sia in qualche modo
 indicato che, per ricorrere legittimamente al meccanismo  alternativo
 rispetto  all'intesa,  il  Governo deve avere tenuto un comportamento
 leale, effettivamente e responsabilmente  diretto  al  raggiungimento
 dell'intesa con la regione.
   2.4.  -  Infine  l'intero  art.  8  si  pone  in  contrasto  con la
 consolidata  giurisprudenza  costituzionale  che,  a  partire   dalla
 "celebre"  sentenza  n.  150  del  1982,  nel caso di esercizio della
 funzione  statale  di   indirizzo   e   di   coordinamento   in   via
 amministrativa,  ritiene  necessario  il  rispetto  del  principio di
 legalita' in senso sostanziale.  Da  questo  principio  derivano  due
 importanti corollari:
     a)  ogni  esercizio  della  funzione di indirizzo e coordinamento
 deve essere appositamente previsto da norme di legge statali  dirette
 a  istituire  la  relativa  funzione  con  riguardo ad un determinato
 ambito di attivita'  attribuito alla competenza delle regioni o delle
 province autonome,
     b) gli atti di indirizzo e di coordinamento  possono  validamente
 incidere  sull'autonomia costituzionalmente garantita alle regioni ed
 alle province autonome soltanto  sulla  base  delle  disposizioni  di
 legge  volte  a  delimitare  il possibile contenuto sostanziale degli
 atti di questo tipo (v. oltre alla  sentenza  n.  150  del  1982,  le
 sentt.  nn. 338 del 1989, 37, 49 e 359 del 1991).
   Piu'  recentemente  con  la  sentenza  n.  359  del  1991, la Corte
 costituzionale ha precisato che in relazione alle specifiche  materie
 sulle   quali   sono   adottati   atti  governativi  di  indirizzo  e
 coordinamento, allorche' questi ultimi comportano  condizionamenti  e
 limiti  alla  legge  regionale, la legge dello Stato deve previamente
 determinare la disciplina, o almeno i principi  di  tale  disciplina,
 che  dovranno  fungere  da  base normativa sufficientemente precisa e
 chiara da potere  orientare  e  delimitare  la  discrezionalita'  del
 Governo  nella  determinazione  degli  indirizzi  e  delle  misure di
 coordinamento.
   Tuttavia  la  disposizione  impugnata  non  menziona  affatto  tali
 principi, ponendosi in contrasto con il sistema costituzionale.
   2.4.  -  Ne deriva pertanto l'incostituzionalita' dell'art. 8 della
 legge 15 marzo 1997 n. 50, per contrasto con gli artt. 20, 14,  15  e
 17  dello  statuto  siciliano,  nonche' con gli artt. 3, 5, 114 e 118
 della Costituzione.
                                P. Q. M.
   Si    chiede    che    l'ecc.ma   Corte   costituzionale   dichiari
 l'illegittimita' costituzionale degli artt. 8  e  9  della  legge  15
 marzo  1997  n.  50, per contrasto con gli artt. 14, 15, 17, 20 dello
 statuto siciliano, nonche' con gli artt. 5, 114, 115, 117,  118,  119
 della Costituzione.
   Si depositano con il presente atto:
     1)  autorizzazione  a ricorrere (delibera Giunta regionale n. 104
 del 27 marzo 1997);
     2) copia della legge 15 marzo 1997 n. 50.
      Palermo-Roma, addi' 14 aprile 1997
  Prof. avv. Giovanni Pitruzzella - avv. Francesco Torre - avv.  Laura
 Aurelia Ingargiola
 97C0420