N. 251 ORDINANZA (Atto di promovimento) 21 febbraio 1997
N. 251 Ordinanza emessa il 21 febbraio 1997 dalla Corte di cassazione sul ricorso proposto da Barbieri Leda ed altro contro l'INPS Previdenza e assistenza sociale - Pensioni INPS - Previsto pagamento dei rimborsi in sei annualita' e mediante emissioni di titoli di Stato - Estensione dei giudizi pendenti alla data di entrata in vigore della normativa impugnata - Esclusione degli interessi e della rivalutazione monetaria - Previsione della spettanza della somme arretrate ai soli soggetti interessati e ai loro superstiti aventi titolo alla pensione di riversibilita' - Incidenza sul principio di uguaglianza, sul diritto di azione e sulla garanzia previdenziale - Elusione delle pronunce della Corte costituzionale nn. 240/1994 e 495/1993. (Legge 23 dicembre 1996, n. 662, art. 1, commi 181, 182 e 183). (Cost., artt. 3, primo comma, 24, 38, 42 e 136).(GU n.20 del 14-5-1997 )
LA CORTE DI CASSAZIONE Ha pronunziato la seguente ordinanza sul ricorso n. 2622/1994 r.g. proposto da Barbieri Leda e Malaguti Ermete, rappresentati e difesi dall'avv. Antonio Olivieri del foro di Bologna giusta procura speciale in calce al ricorso ed elettivamente domiciliati in Roma alla via Cola di Rienzo n. 28 presso lo studio dell'avv. Vilma Rosa, ricorrenti, contro I.N.P.S. - Istituto Nazionale della Previdenza Sociale, in persona del legale rappresentante pro-tempore, rappresentato e difeso, con delega in calce alla copia del ricorso notificato, dagli avv. Carlo De Angelis, Gabriella Pescosolido ed Andrea Barbuto, ed elettivamente domiciliato in Roma alla via della Frezza n. 17 presso il Servizio legale dell'Istituto medesimo, resistente con procura, per l'annullamento della sentenza n. 275/1993 in data 6 ottobre 1993 del tribunale civile di Bologna - sezione lavoro, nella causa civile iscritto al n. 12820 r.g. anno 1992, promossa da Barbieri Leda e Malaguti Ermete contro I.N.P.S. - Istituto Nazionale della Previdenza Sociale; Udita nella pubblica udienza, tenutasi il giorno 21 febbraio 1997, la relazione della causa svolta dal cons. dott. D. Figurelli; udito l'avv. Gianfranco Barbaria per delega dell'avv. Carlo De Angelis per l'I.N.P.S.; Udito il p.m., nella persona del dott. Angelo Arena, sostituto procuratore generale presso questa Corte suprema di cassazione, che ha concluso per il rinvio a nuovo ruolo in attesa della decisione della Corte costituzionale ed, in subordine, per il rigetto del ricorso. Premesso in fatto 1. - Con ricorso depositato il 27 ottobre 1992 i signori Leda Barbieri ed Ermete Malaguti hanno proposto appello avverso la sentenza del pretore di Bologna n. 574/1992, depositata il 15 giugno 1992; esponendo che con tale sentenza il predetto pretore aveva respinto le domande dei ricorrenti, volte ad ottenere "declaratoria di condanna dell'I.N.P.S. alla riliquidazione della pensione di riversibilita' fino a concorrenza del 60% del trattamento erogato al coniuge deceduto, ivi compresa l'integrazione al trattamento minimo, e cio' ai sensi dell'art. 22 della legge 21 luglio 1965, n. 903"; secondo quanto testualmente affermato dagli appellanti, "la pensione di riversibilita' dev'essere rapportata, a norma dell'art. 22 legge 21 luglio 1965, n. 903, al trattamento di cui fruiva il de cuius ivi compreso (ed ovviamente ridotto alla percentuale di riversibilita') il trattamento minimo". L'I.N.P.S. si costituiva tardivamente, contestando la fondatezza dell'appello. Con sentenza in data 9 giugno-6 ottobre 1993 il tribunale di Bologna respingeva l'appello e compensava le spese. Osservava il tribunale che era pacifico in causa, come espressamente attestava la sentenza del pretore - sul punto non sottoposta a critica dagli appellanti - che le bititolarita' dei trattamenti erano sorte dopo il 30 settembre 1993 e, cioe', in vigenza dell'art. 6 della legge n. 638 del 1983, il cui terzo comma stabilisce che, se concorrono due o piu' pensioni, l'integrazione compete una sola volta ed e' garantita sulla sola pensione diretta, qualora si benefici di quest'ultima e di quella ai superstiti. Il tribunale richiamava poi la sentenza di questa Corte Suprema n. 11528 del 1992, sia in ordine al principio in essa enunciato che in ordine alla motivazione, e si conformava alla predetta sentenza. II. - Avverso la sentenza del tribunale Leda Barbieri ed Ermete Malaguti hanno proposto ricorso per cassazione, affidato ad unico motivo, con atto notificato il 18 febbraio 1994. L'I.N.P.S. ha depositato solo procura. Con l'unico motivo i ricorrenti, denunziando errata interpretazione di norme di diritto (art. 22 della legge 21 luglio 1965, n. 903), dopo aver esposto gli antecedenti storico-evolutivi dell'istituto della riversibilita', hanno in particolare richiamato la sentenza n. 34 del 1981 della Corte costituzionale, oltre altre decisioni di detta Corte relative al beneficio dell'integrazione al minimo, ed hanno dedotto che la liquidazione della pensione di riversibilita', operata a calcolo, ossia solo sulla base della patrimonialita' contributiva, verrebbe a violare, nel contenuto edittale e nel principio finalistico, l'art. 22, comma 2, della legge n. 903/1965, anche perche' detto articolo deve essere coordinato altresi' con il disposto di cui all'art. 5 del decreto del Presidente della Repubblica n. 488 del 1968, e tenuto conto del rinvio fatto dal citato art. 22, secondo comma, della legge n. 903/1965 all'art. 12 del regio decreto-legge n. 636/1939, convertito nella legge n. 1272/1939. I ricorrenti richiamano poi la sentenza n. 495/1993 della Corte costituzionale, dichiarativa dell'illegittimita' costituzionale dell'art. 22 della legge n. 903/1965, nella parte in cui non prevede che la pensione di riversibilita' sia calcolata in proporzione alla pensione diretta integrata al trattamento minimo gia' liquidata al pensionato o che l'assicurato avrebbe comunque diritto di percepire. III. - Deve al riguardo osservarsi che con sentenza n. 2079 del 1995 le sezioni unite civili di questa Corte suprema hanno deciso la questione proposta dall'I.N.P.S. con ricorso contro la signora Irene Cardone per l'annullamento della sentenza n. 1081/1991 del tribunale di Taranto - sezione lavoro -, relativa alla domanda della Cardone, titolare di pensione diretta I.N.P.S., gia' integrata al minimo, e di pensione di riversibilita', a lei spettante, perche' vedova di persona gia' assicurata presso il medesimo Istituto, per la esatta rideterminazione della pensione di riversibilita' sulla base della pensione gia' spettante al defunto, comprensiva dell'integrazione al minimo. E le sezioni unite, dopo aver esaminato l'art. 13 r.d.l. 14 aprile 1939, n. 636, come sostituito dall'art. 22 della legge 21 luglio 1965, n. 903, e l'art. 12 r.d.l. citato, come sostituito dall'art. 2 legge 4 aprile 1952, n. 218, nonche' l'art. 2, comma 2, lett. a) della legge 12 agosto 1962, n. 1338 - vietante l'integrazione per i titolari di piu' pensioni che, con il cumulo, superino il minimo - e dichiarato illegittimo, con sentenza n. 34 del 1981 della Corte costituzionale, tra l'altro, "nella parte in cui preclude che la pensione di riversibilita' I.N.P.S. sia calcolata in proporzione della pensione diretta I.N.P.S. integrata al minimo, che il titolare defunto avrebbe avuto il diritto di percepire", hanno ritenuto che la base di calcolo della pensione di riversibilita' e' costituita dalla pensione diretta spettante al defunto ex art. 12 r.d.l. citato, piu' l'integrazione al minimo. Le sezioni unite hanno altresi' ritenuto che, intervenuto l'art. 6, terzo comma, decreto-legge n. 463/1983, convertito in legge n. 638/1983, il divieto di doppia integrazione al minimo, contenuto nell'art. 6 citato, non possa estendersi fino a comprendere le integrazioni che debbono apportarsi non gia' alle pensioni gia' calcolate, ma ai singoli elementi di calcolo. A tale convincimento le sezioni unite sono pervenute sia in base ad interpretazione letterale dell'art. 6, terzo comma, del decreto-legge n. 463 del 1983 citato, sia alla stregua della sentenza della Corte costituzionale n. 495 del 1993, che, come gia' con la sentenza n. 926 del 1988, ha riaffermato la funzione della pensione di riversibilita', che e' quella non semplicemente di assicurare i soli mezzi di sopravvivenza al superstite, bensi' anche di mantenere una certa corrispondenza con la funzione di sostentamento gia' assolta dal reddito spettante alla persona deceduta, mentre la stessa Corte costituzionale, con la sentenza 10 giugno 1994, n. 240, ha enunciato ancora una volta la funzione previdenziale (art. 38, primo comma) dell'istituto dell'integrazione al minimo. Hanno osservato pur le sezioni unite che la sentenza della Corte costituzionale n. 495 del 1993 definisce l'integrazione al minimo gia' spettante all'assicurato defunto come "parte integrante" della sua pensione, cio' comportando che essa e' elemento non piu' sottraibile per asseriti fini di corretta applicazione di altre norme (come l'art. 6, terzo comma, legge n. 638 del 1983). A tale orientamento delle sezioni unite si conforma la Corte decidente. Come evidenziato dalle sezioni unite, la fattispecie in esame era diversa da quella esaminata dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 495 del 1993, in quanto concerneva - come nella specie - l'ipotesi di cumulo di piu' pensioni, e non quella del calcolo di un'unica pensione di riversibilita' (esaminata dalla Corte cost.). A tal punto e' intervenuto l'art. 1 del d.-l. 28 marzo 1966, n. 166 (non convertito, e seguito da altri decreti non convertiti) in relazione al quale questa Corte Suprema - sezione lavoro - con ordinanza 14 giugno 1996 n. 486 e 19 luglio 1996 n. 592, ha ritenuto rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale, per la parte relativa alla attuazione della sentenza della Corte costituzionale n. 495 del 1993, in relazione agli artt. 3, comma primo, 24 e 38 della Costituzione. Non risulta che la Corte costituzionale si sia ancora pronunziata. Successivamente e' intervenuta la legge 23 dicembre 1996, n. 662 (Misure di razionalizzazione della finanza pubblica), che all'art. 1 (Misure in materia di sanita', pubblico impiego, istruzione, finanza regionale e locale, previdenza e assistenza) ha regolato ai commi 181, 182 e 183 il pagamento delle somme, maturate fino al 31 dicembre 1995, sui trattamenti pensionistici erogati dagli enti previdenziali interessati, in conseguenza dell'applicazione delle sentenze della Corte costituzionale n. 495 del 1993 e n. 240 del 1994. Nei citati commi 181, 182 e 183 dell'art. 1 della citata legge n. 662 del 1996 si e' previsto - tra l'altro - che il pagamento delle somme predette e' effettuato mediante assegnazione agli aventi diritto di titoli di Stato, sottoposti allo stesso regime tributario dei titoli di debito pubblico, aventi libera circolazione; che tale pagamento avviene in sei annualita' (comma 181); che il diritto al pagamento delle somme arretrate di cui al comma 181 spetta ai soli soggetti interessati e ai loro superstiti aventi titolo alla pensione di riversibilita' alla data del 30 marzo 1996; che nella determinazione dell'importo maturato al 31 dicembre 1995 non concorrono gli interessi e la rivalutazione monetaria (comma 182); che i giudizi pendenti alla data di entrata in vigore della legge in esame, aventi ad oggetto le questioni di cui ai commi 181 e 182 predetti sono dichiarai estinti di ufficio con compensazione delle spese tra le parti; che i provvedimenti giudiziari non ancora passati in giudicato restano privi di effetto (comma 183). Considerato in diritto I. - Va preliminarmente esaminata la questione della rilevanza nel presente giudizio della questione di legittimita' costituzionale dei commi 181, 182 e 183 dell'art. 1 della citata legge n. 662 del 1996. Invero detti commi fanno riferimento ai trattamenti pensionistici erogati in conseguenza - per quanto qui rileva - della sentenza della Corte costituzionale n. 495 del 1993, concernente il calcolo dell'unica pensione di riversibilita'. Osserva peraltro questa Corte che, avendo le sezioni unite di questa Corte suprema, con la citata sentenza n. 2079 del 1995, affermato il medesimo principio per la determinazione della pensione di riversibilita', anche nell'ipotesi di cumulo di piu' pensioni - e cio', come detto, sia alla stregua dell'interpretazione letterale dell'art. 6, terzo comma, del decreto-legge n. 463 del 1983, sia alla stregua della sentenza della Corte costituzionale n. 495 del 1993 - il richiamo esistente nella legge n. 662 del 1996 alla sentenza da ultimo citata, non esclude dalla fattispecie legislativa prevista, stante la identita' di ratio - ed a maggior ragione, trattandosi non di unica pensione, bensi' di cumulo di pensioni - anche le somme dovute dagli enti previdenziali per la rideterminazione della pensione di riversibilita', nel caso di cumulo di pensioni, sulla base di un identico principio. Tale interpretazione delle disposizioni della legge n. 662 del 1996 sembra la piu' rispondente alla ratio legislativa ed ai criteri di ragionevolezza, e, d'altra parte, e' stata condivisa sia dal procuratore generale, con la richiesta formulata di rinvio della causa in attesa della decisione della Corte costituzionale sui decreti-legge gia' denunziati alla medesima, sia dello stesso Istituto resistente, che, in sede di discussione, ha chiesto dichiararsi l'estinzione del giudizio, in evidente relazione al comma 183 dell'art. 1 della legge n. 662 citata. Tale interpretazione trova poi autorevole precedente nell'ordinanza di questa Corte del 1 aprile 1996 (I.N.P.S. contro Cioffi Teresa) n. 970/1996 di promovimento del giudizio della Corte costituzionale (punto II delle considerazioni in diritto). II. - In relazione ai commi predetti dell'art. 1 della legge n. 662 citata questa Corte rileva poi che la questione di legittimita' costituzionale non e' manifestamente infondata. Detti commi, invero: a) In violazione dell'art. 3, commi 1, della Costituzione, apportano in danno di una sola categoria di creditori una deroga al diritto comune delle obbligazioni, impedendo al pensionato di esigere la prestazione nella sua interezza (art. 1181 c.c.), ed impedendogli altresi' di accettarne una diversa da quella originaria (art. 1197 c.c.), inidonea per di piu' a ricostituire immediatamente, e comunque in tempi ragionevoli, il suo patrimonio, e connotata anche da profili di aleatorieta' per le oscillazioni del mercato dei titoli, concentrando il sacrificio cosi' imposto su una limitata e specifica fascia di pensionati, che non trova adeguata giustificazione nell'ambito della discrezionalita' politica riservata al legislatore. Trattasi, nella specie, di pensionati, titolari di un trattamento gia' per sua natura significativamente decurtato rispetto ad una pensione a sua volta rientrante nei livelli piu' bassi, in quanto integrata al minimo. L'esclusione altresi' per i pensionati predetti degli interessi e della rivalutazione - previsti dalla sentenza della Corte costituzionale n. 156 del 1991 fino alla data di entrata in vigore della legge 30 dicembre 1991 n. 412, che, all'art. 16, sesto comma, riconosce la rivalutazione solo per la parte eventualmente eccedente la misura degli interessi per i ratei maturati dopo il 30 dicembre 1991 - prevede un trattamento ulterioremente deteriore rispetto ad altri crediti di natura previdenziale ed assistenziale, in violazione del principio di uguaglianza (Corte costituzionale n. 1060 del 1988 e n. 85 del 1994); b) In violazione dell'art. 136 della Costituzione, negano drasticamente ai successori mortis causa dei titolari delle pensioni di riversibilita' la possibilita' di percepire l'importo dei ratei maturati fino al 31 dicembre 1995, ponendo una disciplina che priva parzialmente di efficacia la sentenza della Corte costituzionale n. 495 del 1993; c) In violazione dell'art. 24 della Costituzione, comprimono notevolmente il titolare di pensione di riversibilita' dal far valere i diritti a lui spettanti alla stregua della normativa previgente, riducendo congruamente l'entita' del credito, sia per l'annosa dilazione di esso e della negazione di interessi e rivalutazione fino al 31 dicembre 1995, con vistoso depauperamento, e considerati anche i negativi riflessi della disposta compensazione delle spese di giudizio sul patrimonio di modesta categoria di pensionati, che si vedono sopprimere il diritto a restare indenni dalle spese giudiziali - anche in caso di fondatezza della domanda -, spese che, pur riguardando un diritto accessorio, possono assumere valore rilevante, potendo riguardare piu' gradi del giudizio. Deve altresi' osservarsi che la Corte costituzionale ha ritenuto che, allorche' lo jus superveniens, opponendosi alle richieste degli interessati ed alla interpretazione giurisprudenziale ad essi favorevole, stabilisce l'estinzione dei processi in corso, vi e' una sostanziale vanificazione della via giurisprudenziale da parte del legislatore, in violazione dell'art. 24 della Costituzione (Corte costituzionale n. 123 del 1987). Va poi rilevata la irragionevole previsione della mancanza di ogni ristoro in ordine alle spese liquidate dal giudice per le parti vittoriose nei giudizi non ancora passati in giudicato - magari annosi e pur definiti in piu' gradi di giudizio -; d) In violazione dell'art. 38 della Costituzione, ledono il diritto a che siano garantiti mezzi adeguati alle esigenze della vita dei lavoratori e delle loro famiglie (Corte cost. n. 240 del 1994), eliminando, ad anni di distanza dalla maturazione del diritto, gli interessi e la rivalutazione (Corte cost. n. 156 del 1991), su un credito gia' ridotto all'essenziale, quale quello di pensione di riversibilita', sulla base di pensione gia' spettante al defunto integrata al minimo; e) in violazione dell'art. 42 della Costituzione, nell'escludere gli eredi dei titolari delle pensioni di riversibilita' dall'area dei percettori dei ratei maturati fino al 31 dicembre 1995, pongono una ingiustificata deroga al principio generale della successione mortis causa dei beni del de cuius. III. - Tenuto conto di tutte le considerazioni che precedono, gli atti devono essere trasmessi alla Corte costituzionale, con sospensione del presente procedimento. Da parte della cancelleria deve essere provveduto a tutti gli adempimenti previsti dall'art. 23 della legge 1 marzo 1953 n. 87.
P. Q. M. La Corte, visti gli artt. 134 della Costituzione e 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87, dichiara rilevante e non manifestamente infondata, in relazione agli artt. 3, primo comma, 136, 24, 38, 42 della Costituzion la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 1, commi 181, 182 e 183 della legge 23 dicembre 1996 n. 662; dispone l'immediata trasmissione degli atti alla Corte costituzionale e la sospensione del presente procedimento; ordina che a cura della cancelleria la presente ordinanza sia notificata al Presidente del Consiglio dei Ministri e comunicata ai Presidenti delle due Camere del Parlamento. Roma, addi' 21 febbraio 199 Il presidente: Nuovo 97C0461