N. 258 ORDINANZA (Atto di promovimento) 22 ottobre 1996- 24 aprile 1997

                                N. 258
  Ordinanza   emessa   il   22  ottobre  1996  (pervenuta  alla  Corte
 costituzionale  il  24  aprile  1997)  dalla  commissione  tributaria
 regionale di Milano sul ricorso proposto dall'ufficio del registro di
 Milano contro Cutolo Umberto.
 Contenzioso  tributario  - Commissioni tributarie - Pubblicita' delle
    udienze condizionata alla previa tempestiva istanza di  una  delle
    parti  -  Mancata  previsione della pubblicita' senza condizione -
    Incidenza sui principi di difesa, di trasparenza  dell'imposizione
    tributaria   e   di  pubblicita'  dei  dibattimenti  giudiziari  -
    Riferimento alle sentenze della Corte costituzionale nn. 12/1971 e
    50/1989.
 (D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 33, comma 1).
 (Cost., artt. 24, comma  secondo,  53,  comma  primo,  e  101,  comma
    primo).
(GU n.21 del 21-5-1997 )
                  LA COMMISSIONE TRIBUTARIA REGIONALE
   Ha  emesso  la  seguente  decisione  sulla  controversia  di cui al
 seguente  fascicolo:  r.g.  fasc.  n.  2827/1996  contenente  appello
 principale  n. 3856/1992 presentato a mano in data 11 maggio 1992 con
 ricevuta n, 2119/92 dall'ufficio del registro  di  Milano  1  Privati
 (controparte:    Cutolo  Umberto, residente a Cologno Monzese, in via
 Boccaccio, 16), contro la decisione  n.  20790/46/89  pronunciata  in
 data 17 marzo 1989 (atti citati: avv. di accert. numero scad. 362889,
 imposta:  reg.    +  Invim  (decisioni  pronunciate dalla commissione
 tribunale di primo grado di Milano).
                       Svolgimento del processo
   Con atto di comprovendita in data 25 settembre 1986  (registrato  a
 Milano  in data 14 ottobre 1986 al n. 55014) i coniugi Cutolo Umberto
 e  Viggiano  Giuseppina,  acquistavano  un  appartamento  in  Cologno
 Monzese  al  prezzo,  dichiarato in atto, di L. 70.000.000; l'ufficio
 del   registro  di  Milano  con  avviso  di  accertamento  n.  362889
 notificato in data 5 luglio 1988 determinava il valore  dell'immobile
 in L. 108.000.000 in ragione di L. 900.000 al metro quadrato.
   I  contribuenti ricorrevano alla commissione tributaria (allora) di
 primo grado deducendo essere stato "violato il principio di  equita'"
 in  quanto l'accertamento di maggior valore da parte dell'ufficio era
 stato possibile per la mancata attribuzione della rendita  catastale;
 chiedevano  l'applicazione  dell'art.  52  del d.P.R. n. 131/1986 con
 contestuale istanza di classamento ed attribuzione  di  rendita.  Con
 successiva  memoria  (depositata  in  data  4 marzo 1989) producevano
 copia di certificazione U.T.E. con attribuzioni di rendita.
   La commissione tributaria di  primo  grado  accoglieva  il  ricorso
 ritenendo applicabile l'art. 52 del d.P.R. n. 131/1986.
   Avverso  tale  decisione proponeva l'appello l'ufficio del registro
 deducendo:
     la mancata sottoscrizione del ricorso da parte del ricorrente;
     l'erronea interpretazione delle disposizioni di  cui  agli  artt.
 79  e  52,  comma  4,  del  d.P.R.  n. 131/1986 trattandosi di unita'
 immobiliare non censita  ma  soltanto  "denunciata  al  N.C.E.U.  con
 scheda n. 5926 del 15 febbraio 1977".
   I  contribuenti  non si costituivano in giudizio e l'udienza del 22
 ottobre 1996 la causa veniva trattata, per la decisione, in camera di
 consiglio.
                        Motivi della decisione
   Il Collegio ritiene che la decisione  sul  merito  dell'appello  in
 esame  non  possa  essere  adottata  senza la previa soluzione di una
 questione di legittimita' costituzionale.
   Va premesso, in fatto, che non e' stata  richiesta  la  discussione
 della  controversia  in pubblica udienza ai sensi dell'art. 33, comma
 1, del d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546.
   La questione di legittimita' costituzionale, rilevante nel presente
 giudizio  in  quanto  attinente   alle   modalita'   di   svolgimento
 dell'udienza, riguarda proprio la disposizione da ultimo indicata che
 subordina la pubblicita' dell'udienza di trattazione della causa alla
 istanza  di  una  delle  parti,  istanza  questa  da  depositarsi  in
 segreteria, a pena di decadenza, entro il  termine  di  dieci  giorni
 liberi prima dell'udienza.
   Questa norma appare in contrasto con l'art. 101, comma primo, della
 Costituzione,  secondo  l'interpretazione  che  ne  ha dato la stessa
 Corte costituzionale nella sentenza 16 febbraio 1989, n. 50,  con  la
 quale  e' stato dichiarato legittimo l'art. 39, comma primo, dell'ora
 vigente d.P.R. n. 636/1972 nella parte in cui impediva la pubblicita'
 delle udienze innanzi alle commissioni tributarie di primo e  secondo
 grado.
   In  quell'occasione la Corte, ribadendo quanto gia' espresso con la
 sentenza n. 12 del 1971, ha affermato che, trovando l'amministrazione
 della  giustizia  fondamento  nella  sovranita'  popolare  (ai  sensi
 dell'art.    101,  comma  primo,  della  Costituzione) deve ritenersi
 implicita nei principi costituzionali  che  disciplinano  l'esercizio
 della  giurisdizione,  la  regola  generale  della  pubblicita' delle
 udienze che puo' subire eccezioni solo per determinati  procedimenti,
 quando vi sia un'obiettiva giustificazione.
   La  Consulta ha altresi' raggiunto che per i procedimenti tributari
 non  solo  non  sussiste  alcuna  ragione  che   possa   giustificare
 l'eccezione,  ma  che,  anzi,  sono  ravvisabili peculiari esigenze a
 favore della pubblicita' delle udienze, dal  momento  che,  "in  base
 all'art.  53 della Costituzione, l'imposizione tributaria e' soggetta
 al canone della  trasparenza,  i  cui  effetti  riguardano  anche  la
 generalita'  dei  cittadini, nonche' ai princi'pi di universalita' ed
 uguaglianza, onde la posizione del contribuente non e' esclusivamente
 personale e non e' tutelabile con il segreto".
   La Corte, infine, ha sottolineato che "la generale conoscenza delle
 controversie tributarie puo' giovare  alla  concreta  attuazione  del
 sistema tributario e concorre a ridurre il numero degli inadempimenti
 e degli evasori in genere".
   Le  argomentazioni  che  precedono  portano a ritenere legittima la
 statuizione  dell'art.  33,  comma  1,  del  decreto  legislativo  n.
 546/1992  laddove  subordina  la  pubblicita'  dell'udienza in cui si
 svolge la trattazione della causa alla previa tempestiva  istanza  di
 una delle parti.
   La  questione  di  legittimita' costituzionale cosi' individuata si
 appalesa ancora piu' pregnante nel vigore della nuova  normativa  che
 regola  il  processo  tributario,  ove si consideri che gli artt. 33,
 comma 2, e 35, comma 1, del decreto legislativo n. 546/1992 escludono
 che, in caso di trattazione in camera di consiglio, le parti  possano
 essere  presenti  e  possano,  quindi,  essere sentite. Dal combinato
 disposto delle due norme risulta che,  nel  caso  di  trattazione  in
 camera  di  consiglio, le parti, sia in proprio, sia mediante il loro
 difensore abilitato, non possano comparire in udienza per svolgere le
 proprie difese.
   La mancata previsione del principio della pubblicita' delle udienze
 si configura, quindi,  anche  come  violazione  dell'art.  24,  comma
 secondo,  della  Costituzione  dal momento che la presenza in udienza
 delle  parti  costituite  viene,  di  fatto,  ostacolata  in   quanto
 subordinata   alla   presentazione   dell'apposita   istanza  che  e'
 sottoposta al termine di decadenza di dieci giorni liberi prima della
 data di trattazione, termine entro il quale  deve  essere  notificata
 alle parti costituite e depositata in segreteria.
   Il  Collegio  osserva che non e' ravvisabile alcun serio motivo che
 giustifichi un meccanismo che ostacola  o  addirittura  impedisce  la
 presenza delle parti all'udienza ove esse parti potrebbero, peraltro,
 dare   un   contributo   alla   definizione  della  controversia  sia
 illustrando  le  loro  argomentazioni,  sia  fornendo  chiarimenti  e
 precisazioni  tali da evitare decisioni istruttorie, nel rispetto del
 principio di economicita' del giudizio.
   La questione di legittimita' costituzionale  appena  illustrata  si
 appalesa, oltre che non manifestamente infondata, rilevante in questo
 giudizio  in cui, non essendo stata presentata istanza di discussione
 in pubblica udienza, la trattazione si e' svolta  in  regime  di  non
 pubblicita' e la decisione nel merito, senza il previo esame di detta
 questione,  verrebbe  adottata  in  assenza dei canoni di trasparenza
 gia' ritenuti essenziali dalla Corte costituzionale.
                                 P.Q.M.
   La commissione, visti gli artt. 134 della Costituzione e  23  della
 legge 11 marzo 1953, n. 87;
   Ritenuta  la rilevanza, ai fini della decisione della controversia,
 nonche' la non manifesta infondatezza della questione di legittimita'
 costituzionale dell'art. 33, comma 1, del d.lgs. 31 dicembre 1992, n.
 546 in relazione agli articoli 101, comma primo, 53, comma  primo,  e
 24, comma secondo, della Costituzione;
   Solleva  d'ufficio  la  detta  questione e sospende il giudizio sul
 ricorso in epigrafe;
   Dispone che la segreteria provvede a:
     trasmettere immmediatamente gli atti alla Corte costituzionale;
     notificare la presente  ordinanza  alle  parti  in  causa  ed  al
 Presidente   del   Consiglio  dei  Ministri  nonche'  comunicarla  ai
 Presidenti del Senato e della Camera.
      Cosi' deciso in Milano, addi' 22 ottobre 1996
                    Il presidente estensore: Leotta
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