N. 263 ORDINANZA (Atto di promovimento) 21 febbraio 1997

                                N. 263
  Ordinanza emessa il 21 febbraio 1997 dal pretore di Catania, sezione
 distaccata  di  Acireale nel procedimento penale a carico di Federico
 Carmelo
 Processo penale - Applicazione della pena su richiesta delle parti  -
    Sentenza   -   Non   identificabilita',   secondo  la  consolidata
    giurisprudenza di legittimita', con  la  sentenza  di  condanna  -
    Lamentata  omessa  pronuncia  di  responsabilita'  dell'imputato -
    Lesione dei  principi  della  personalita'  della  responsabilita'
    penale e della presunzione di non colpevolezza.
 (C.P.P. 1988, art. 444).
 (Cost., art. 27).
(GU n.21 del 21-5-1997 )
                              IL PRETORE
   Ha  pronunciato  la  seguente  ordinanza nel procedimento penale n.
 151/97 contro Federico Carmelo nato a S. Venerina il 12 giugno  1977,
 all'udienza  odierna  imputato  e pubblico ministero hanno concordato
 l'applicazione di una pena.
   Con sentenza dell'8 maggio 1996 le sezioni unite  della  Cassazione
 penale,  confermando  un orientamento giurisprudenziale e dottrinario
 diffuso, hanno deciso che la sentenza colla quale il giudice  applica
 la  pena concordata dalle parti (art. 444 c.p.p.), non essendo emessa
 a seguito di giudizio, non e' sentenza di condanna, nel senso che non
 accerta  ne'  la   fondatezza   dell'accusa   ne'   la   colpevolezza
 dell'imputato.
   L'equiparazione  della  sentenza in esame alla sentenza di condanna
 (stabilita dall'art. 445 c.p.p.) non varrebbe quindi a  far  ritenere
 l'imputato colpevole del reato.
   Pertanto,  secondo  questo  orientamento  consolidato, da ritenersi
 ormai  diritto  vivente,  il  giudice  dovrebbe  applicare  la   pena
 concordata  senza  essere  certo  che l'imputato sia colpevole (ossia
 autore  responsabile)  e  addirittura  senza  esser  certo   che   il
 fatto-reato esista o meno.
   Trattasi,  ad avviso di questo giudice, di una concezione aberrante
 sia sul  piano  etico  che  giuridico,  perche',  scindendo  pena  da
 responsabilita', vulnera il principio fondamentale del diritto penale
 secondo  cui  non  puo'  esserci applicazione di pena (cioe' condanna
 penale) senza accertamento di responsabilita'.
   Tale principio, nella  Costituzione,  trova  espressione  nell'art.
 27,  laddove  si dispone che la responsabilita' penale e' personale e
 che l'imputato  non  e'  considerato  colpevole  sino  alla  condanna
 definitiva:  infatti  dal  complesso  di  dette  norme  si  ricava la
 correlazione necessaria tra pena e responsabilita'.
   Oltretutto, ritenere che il giudice possa applicare una pena a  una
 persona   senza   essere  moralmente  certo  della  sua  colpevolezza
 significa mortificare la funzione giurisdizionale, riducendola  a  un
 ruolo meramente notarile.
   Ed e' per questa ragione che la Corte costituzionale colla sentenza
 n.  313  del  1990  ha  ammesso  che  il  giudice  possa  valutare la
 congruita' della pena concordata.
   La questione di costituzionalita' sollevata da questo  giudice  non
 investe  l'istituto  nel  suo  complesso,  poiche'  il  giudice ha la
 possibilita' di pervenire alla  certezza  morale  della  colpevolezza
 dell'imputato  patteggiante  sia sulla base della stessa richiesta di
 applicazione di  pena  (che  comporta  una  implicita  ammissione  di
 responsabilita')  sia  sulla  base  degli  atti  (cosi'  come dispone
 espressamente l'art.   444, secondo comma,  c.p.p.);  ma  investe  la
 funzione   della  sentenza,  che  secondo  il  consolidato  indirizzo
 giurisprudenziale   non   comporta   accertamento   di   colpevolezza
 dell'imputato  neppure  nel  limitato  ambito nel processo penale nel
 quale la sentenza e' stata pronunziata non ritenendosi  la  richiesta
 di patteggiamento come ammissione di responsabilita'.
   Si  ritiene  pertanto, non manifestamente infondata la questione di
 costituzionalita' dell'art. 444 c.p.p. nella parte in cui non prevede
 che, nell'applicare la pena, il giudice.
   Dichiara l'imputato colpevole del  reato  attribuitogli,  ovverosia
 (piu' semplicemente) nella parte in cui non prevede che il giudice su
 richiesta  delle  parti  "condanna"  l'imputato  alla pena concordata
 dalle parti.
   Si sospende il giudizio e si dispone l'immediata trasmissione degli
 atti alla  Corte  costituzionale,  cogli  adempimenti  a  cura  della
 cancelleria di cui all'art. 23 ultimo comma della legge 11 marzo 1953
 n. 87.
 Il pretore: (firma illeggibile)
 97C0481