N. 347 ORDINANZA (Atto di promovimento) 25 marzo 1997

                                N. 347
  Ordinanza emessa il 25 marzo 1997 dalla Corte d'appello  di  Trieste
 nel procedimento penale a carico di Vitiello Raffaele
 Processo   penale   -  Procedimenti  speciali  -  Richiesta  di  rito
    abbreviato - Reperibilita' subordinata al  consenso  del  pubblico
    ministero  -  Violazione dei principi di indipendenza del giudice,
    di eguaglianza e del giudice naturale precostituito  per  legge  -
    Lesione del diritto di difesa.
 (C.P.P. 1988, art. 438).
 (Cost., artt. 3, 24, comma secondo, 101, comma secondo e 25).
(GU n.25 del 18-6-1997 )
                          LA CORTE D'APPELLO
   Ha  emesso  la  seguente ordinanza nel procedimento penale promosso
 contro Vitiello Raffaele di cui al numero 102/1991 r.g.app.
   Vitiello Raffaele nato a Istrana (Treviso) il 13 marzo 1956, veniva
 tratto al giudizio  del  pretore  di  Trieste  per  rispondere  degli
 addebiti come sotto descritti:
     a) agli artt. 582 e 585 in relazione all'art. 577, secondo comma,
 codice  penale,  per avere colpito con pugni in testa e al mento, con
 calci e con ginocchiate nella schiena e nel ventre, nonche' per avere
 gettato dalle scale la moglie Tempo  Mariledi,  cagionandole  lesioni
 personale  dalle  quali  derivava una malattia giudicata guaribile in
 giorni dieci;
     b) del reato p. e p. dall'art. 610  c.p.  perche',  con  violenza
 consistita negli atti di cui al capo a) e nel gettarla fuori di casa,
 costringeva  Tempo  Mariledi  ad  uscire dall'appartamento e rimanere
 all'addiaccio, vestita del solo pigiana.
   In Trieste il 3 gennaio1990.
   La vicenda traeva origine da una lite tra coniugi nell'ambito di un
 rapporto da tempo deteriorato.
   Per  tali  reati  il  Vitiello,  con  istanza  dell'11 aprile 1990,
 chiedeva che il processo venisse celebrato con il rito  del  giudizio
 abbreviato.
   Il  p.m.,  per  altro, negava il proprio consenso a tale rito, cio'
 motivando con la gravita' dei  fatti,  con  la  mancata  resipiscenza
 nell'imputato e con la necessita' di assumere oralmente alcuni testi.
   La  difesa,  allora, sollevava incidente di incostituzionalita' del
 rito  abbreviato  come  attualmente  previsto,  nella  parte  in  cui
 stabilisce la insindacabilita' del diniego del p.m. all'ammissione di
 tale rito.
   Il pretore respingeva l'eccezione ritenendola infondata.
   Nel  merito  il  giudicante  di  primo  grado, svolta l'istruttoria
 dibattimentale.   riteneva provata la colpevolezza  del  Vitiello  in
 ordine a entrambi gli addebiti tenuto conto delle testimonianze della
 madre  della  parte  offesa,  di  tale  Pecorari  che porto' la Tempo
 all'ospedale  ove  era  stata  trattenuta  per  sei  giorni   e   del
 carabiniere  Capogreco che l'aveva trovata in strada vestita del solo
 pigiama.
   Uniti quoad poenam i due delitti nella continuazione,  il  Vitiello
 veniva condannato alla pena complessiva di mesi dieci di reclusione.
   Il condannato impugnava la sentenza e in primis, rilevato di averla
 gia'  tempestivamente  formulata,  riproponeva la stessa eccezione di
 nullita' che il pretore aveva respinta.
   Diversamente dal giudice di primo grado ritiene questa Corte che la
 questione non appaia manifestamente infondata e cio' per i motivi che
 verranno esposti in appresso.
   All'esame della questione va premesso che questa Corte e' di parere
 contrario a quello del p.m. di primo grado per quanto attiene ai  tre
 ordini  di  motivi  dallo stesso svolti a sostegno della propria tesi
 contraria all'accoglimento della sollevata eccezione.
   La mancata resipiscenza e la gravita' del reato non paiono, invero,
 cause tali da giustificare l'esaminato diniego.
   Andando di diverso avviso,  ritenendo  cioe',  che  i  due  esposti
 motivi potrebbero validamente determinare il p.m. a negare il proprio
 consenso  al  rito  abbreviato,  si  giungerebbe  ad una macroscopica
 violazione dell'art. 3 della Carta costituzionale sotto il profilo di
 una manifesta disparita' di trattamento fra chi non  intende  (o  non
 puo')  ammettere  la propria colpa ovvero e' imputato di un reato dal
 p.m. genericamente e soggettivamente stimato come "grave"  e  chi  in
 tali situazioni non si trovasse.
   In ogni caso il terzo degli aspetti dedotti dal p.m. di primo grado
 e, cioe', quello relativo alla necessita' di ulteriori indagini, pare
 del tutto meritevole di indagine.
   La  questione  sollevata  appare rilevante ai fini del decidere, in
 quanto il suo accoglimento comporterebbe la riduzione  automatica  di
 un terzo della pena da infliggersi.
   E'  parere di questo collegio che la questione non appaia infondata
 in modo manifesto.
   Andando di parere contrario, invero, si verrebbe a determinare  nel
 p.m.  un  potere  che  il  vigente  codice  di rito non gli riconosce
 minimamente.
   Conferendo al p.m. un insindacabile potere di veto all'applicazione
 del   rito   abbreviato,  infatti  allo  stesso  organo  verrebbe  ad
 attribuirsi una possibilita' di influire,  in  modo  decisivo,  sulla
 entita'   della   sanzione,   possibilita'  che,  cosi'  parzialmente
 confiscata all'organo giudicante. si ripete, assolutamente  non  puo'
 spettargli.
   Valutata  l'alea del poter fruire o meno, in dipendenza di un metro
 di  giudizio  soggettivo  e  arbitrario  del  p.m.,  di  quella   che
 sostanzialmente  e' diventata una vera e propria attenuante, e tenuto
 conto che allo stesso p.m. verrebbero ad attribuirsi un potere e  una
 funzione   propri   dell'organo   giudicante,   quelli  cioe',  della
 determinazione  della  pena,  potere  che  la  Costituzione  non  gli
 riconosce,  in  sostanza  la norma costituzionale pare violata quanto
 meno sotto un quadruplice profilo e cioe':
     a) art. 3 sotto il profilo della mancata garanzia di  uguaglianza
 di trattamento del cittadino in uguali situazioni giuridiche trattate
 con p.m. diversi nella persona;
     b)  art. 24, secondo comma, causando una lesione del diritto alla
 difesa, inviolabile in ogni stato e grado del giudizio;
     c) art. 25 laddove si legge che "Nessuno puo' essere distolto dal
 giudice naturale precostituito per legge";
     d) art. 101, secondo comma, che stabilisce che  "I  giudici  sono
 soggetti soltanto alla legge".
   La  Corte  costituzionale,  del resto, nello stesso indirizzo, gia'
 con sua decisione del 15  dicembre  1991,  n.  81  ha  dichiarato  la
 illegittimita' costituzionale del combinato degli artt. 438, 439, 440
 e  442 c.p.p.  nella parte in cui non prevede che il p.m., in caso di
 dissenso, sia tenuto ad enunciarne le ragioni e nella  parte  in  cui
 non  prevede che il giudice, quando, a dibattimento concluso, ritiene
 ingiustificato il dissenso del p.m., possa applicare all'imputato  la
 riduzione di pena prevista dall'art. 442, secondo comma c.p.p.
   Cio'  premesso,  poiche'  competenza  della  Corte d'appello non e'
 quella di ammettere o meno l'imputato  al  rito  abbrevaito  ma  solo
 quella,  eventuale,  di  dichiarare  la manifesta infondatezza o meno
 dell'eccezione di incostituzionalita' della norma  e  non  quella  di
 dichiararla  inammissibile,  compito,  questo,  spettante  alla Corte
 costituzionale,
                                P. Q. M.
   Dichiara  non  manifestamente  infondata  la  eccezione   sollevata
 relativamente  alla  parte  dell'art.  438 c.p.p. in cui subordina al
 consenso  del  p.m.  l'esperibilita'  del  rito  abbreviato,  chiesto
 dall'imputato;
   Dispone   la   immediata   trasmissione   degli   atti  alla  Corte
 costituzionale e la  sospensione  del  giudizio  in  corso,  a  sensi
 dell'art. 23, legge 10 marzo 1953, n. 87;
   Ordina  che  a  cura  della  cancelleria  la presente ordinanza sia
 notificata al Presidente del Consiglio dei Ministri e sia  comunicata
 ai Presidenti delle due Camere del Parlamento.
     Trieste, 25 marzo 1997
                  Il presidente: (firma illeggibile)
 97C0598